Elezioni trappola per coglioni. Anche quando i coglioni votano sempre meno,
prevale ancora la storica truffa del parlamentarismo che la vecchia classe
borghese ha imposto alle società produttiviste. Di fronte alla crescente volontà
di emancipazione dei popoli, la democrazia parlamentare è apparsa come
un'alternativa all'ondata planetaria di dispotismi, dittature e totalitarismi.
Il cinismo paternalistico di Churchill ha ben definito la qualità ambigua
della democrazia parlamentare: "Il peggior governo, tutti gli altri
esclusi". Il suo british humor ha dimenticato, tuttavia, non a caso,
l'esistenza storica della democrazia diretta, ma anche di notare che attraverso
la democrazia rappresentativa si può manipolare un popolo e addomesticarlo con
la propaganda meglio che con la violenza, così come i pastori convogliano verso
il recinto un gregge di pecore con il prezioso aiuto dell'abbaiare dei loro
cani da guardia.
Del resto, le radici della trappola e della truffa dissimulate nella parola
democrazia risalgono alla volontà degli oligarchi ateniesi (i nemici del popolo
denunciati dai rivoluzionari francesi del 1789), vogliosi di salvaguardare il
loro potere tirannico. Per manipolare il popolo (δῆμός, demos) ribellatosi al loro dispotismo
totalitario, gli oligarchi di un tempo chiamarono democrazia il progetto di emancipazione dei cittadini. Perché nel greco
antico kratos definiva il potere imposto, stupido e malvagio come quello di un
popolaccio omicida che insorga pericolosamente. L'oligarchia, invece, si dice portatrice dell'arkè, potere benevolo che
richiama alla condivisione e che si presenta come la scelta dei migliori (i
primi di cordata) se non del migliore di tutti: il signore sacralizzato da un
dio (anch’esso sacro, guarda caso) che governa dal cielo l'intero universo. Da
lassù, questo maschio onnipotente ci fornisce – in offerta speciale – questo
regale autocrate che incarna la relazione pericolosa tra l'immaginaria divinità
celeste e il potere ben terrestre (ma in odore di santità) del monarca, re buono e giusto (padrone del
diritto di vita, di morte e di jus primae noctis sui suoi sudditi – corvè, imposte,
guerre, povertà, carestia, prigione e disperazione comprese).
Cazzate insopportabili, ma la manipolazione di un qualche intellettualismo
– intelligenza separata
dal corpo vivo – ci travolge sempre. Il suo suprematismo scivola
da Dio al capo di guerra, al filosofo. Come dubitare dell'intellettualismo di Sartre che nella sua vita
non ha mai perso occasione per fare sempre le scelte sbagliate dopo mature
riflessioni ideologiche? Ambiguo di fronte al fascismo prima di diventare il
nauseante filosofo della regressione totalitaria maoista, l'etichetta di liberazione che troneggiava sul suo
itinerario ideologico ha finito per annegare nel confusionismo.
Nel loro pensiero separato dal corpo individuale e sociale, gli
intellettuali inorganici si
confrontano sempre con le verità alterate dalle loro menzogne opportunistiche.
Quanto più sono dotati della parola, della penna e oggi della tastiera, tanto
meglio compongono suppliche spettacolari, ingannando soprattutto coloro che adorano
essere ingannati, i servitori volontari di tutte le ideologie. Si contendono dunque
il Premio Nobel per la Pace oppure, eventualmente, il titolo di nemico pubblico
spettacolare numero uno, avidi accaparratori bulimici di gloria, denaro e onori
che circolano nei microcosmi del mercato intellettuale globale.
Certamente, all'epoca del Movimento delle Occupazioni del maggio
68, denunciare la trappola per coglioni che si nasconde dietro le elezioni era
un lodevole monito quando non serviva a montare la maionese di un estremismo gauchista
in decomposizione, incapace di quella radicalità che fu la poesia
rivoluzionaria di un'epoca ormai archiviata ma più attuale che mai, della quale
alcuni intellettuali si riempiono ancora la bocca per meglio sputare nel vaso
di Pandora del recupero.
Di fronte a un voto volto a eleggere il nemico del popolo che prenderà il posto del precedente nella
pantomima di una democrazia rappresentativa dove il cittadino non ha né kratos né arkè, l'astensione è la risposta immediata che viene in mente. Basta
con la mascherata! Come non essere d'accordo?
Peccato che la mascherata non si fermi, però, anche se i
coglioni che vanno a votare si riducono sempre di più. Fedeli al loro nome, non
hanno bisogno di essere molto lucidi né molto numerosi, ma sono gli appestati più
vendicativi e i più volontari nella servitù. Basta, quindi, un pugno di
elettori per eleggere un luminoso amico
del popolo immaginario che marcerà fino al Pantheon per assicurare alla
popolazione spettatrice la sua benevolenza, dotato di un sapere presunto e
della sua conoscenza di tutti i dossier. Una volta rimosso il 1968, qualsiasi Presidente
eletto della Repubblica post-gaullista, da Mitterrand a Macron, ha garantito la
truffa repubblicana. Il prossimo sarà forse biologico, a corto circuito?
Sarebbe un ulteriore affronto all'ecologia cui tutti fanno riferimento,
fregandosene in realtà regalmente,
tra uno spray al glifosato e qualche nuova piccola centrale nucleare in prospettiva,
questione di rendere luminosi i futuri cimiteri del vivente. In nome della
lotta contro il riscaldamento climatico, ovviamente! Oppure, tocca a chi vuole
imporre ai francesi figli d’immigrati l’obbligo di cambiare il loro nome
barbaro con un patronimico locale che emani il buon odore della baguette e non quello
del couscous?
Non votare dà sollievo alle nostre coscienze radicali intristite
che hanno creduto a lungo nell'imminente rivoluzione sociale, incoscienti dei
mattatoi di cui ora sono denunciati i crimini contro l’animalità mentre ci si
rimpinza ancora di carne sofferente e adulterata. Perché il crimine di lesa
animalità non è all'ordine del giorno e non sono sicuro che lo sarà mai per una
specie onnivora che è sempre stata tanto vegetariana quanto carnivora. Per
quanto si faccia e soprattutto si dica, i coglioni esisteranno sempre, così
come la voglia di carne, almeno per numerose persone. Ucciderli tutti
significherebbe aggiungere il crimine al crimine senza cambiare la situazione,
perché la vita è una contraddizione che intellettuali, militanti e devoti
pretendono di far superare agli altri per meglio continuare a praticare la loro
tanto amata.
La contraddizione è ovunque, ma la coerenza esiste ed esiste
anche l'umanità, con la sua tendenza al mutuo soccorso, alla solidarietà e alla
magia naturale dell'amore che insegna a chi lo scopre che il dono è il più
piacevole degli atti rivoluzionari per godere della vita – quando non si è in manque, quando non ci si accontenta di un
misero dominio suprematista che adultera la potenza vitale in potere sociale.
Che sia il dono di sé per il piacere che comporta, o quello dei
beni di cui ci si rallegra quando ci si abbraccia nella condivisione, il dono è
il vero equivalente generale di un'economia umana. Tuttavia, gli esseri umani
sono molteplici e ognuno è diverso. Abbiamo quindi bisogno di un'organizzazione
acratica della società per impedire che l'istinto predatorio prenda il
sopravvento. Ebbene, ci sono solo due strade per affrontare questa questione:
la logica suprematista alla ricerca del potere per dominare il mondo, che favorisce
sempre il patriarcato produttivista; oppure l'organizzazione acratica di un
mondo pacificato dal mutuo soccorso dove le differenze sono rispettate senza concedere
loro altro potere che quello di esistere ed essere praticate nel rispetto
reciproco, senza dominazione. Ecco una sintesi essenziale della democrazia
diretta. Chi dice meglio?
In questo momento particolare, di fronte all'illusione e all’inganno
della democrazia parlamentare che impone la continuità del suo potere attraverso
la liturgia elettorale, non votare o votare secondo la propria virtù ideologica
è agire come se fossimo già nel mondo di domani dove i desideri e le differenze
di tutti saranno effettivamente rispettati. Tuttavia, non ci siamo e dovremo
lottare per arrivarci. Sì, ma come, con quale strategia che non riproduca le
sconfitte e gli errori del passato? Fin dall'inizio, il parlamentarismo ha organizzato
la ghettizzazione delle opinioni attraverso la perversa creazione binaria della
destra e della sinistra. Da allora, un potere indifferenziato si nutre delle
differenze ideologiche per mantenere la sua intima e indiscutibile uniformità.
Hanno tagliato molte teste in nome delle idee, non hanno saputo eliminare le
differenze nella pratica del godimento senza eliminare il godimento. Hanno
quindi devitalizzato le idee separandole dai corpi viventi, facendo della loro
pace un deserto emozionale e delle loro guerre un tragico confronto tra masse
di vittime (i popoli) e orde di aggressori assassini (i guerrieri) al servizio
del dominio e dei dottor Stranamore esistenti.
Così la rabbia del toro popolare infuria contro la muleta del torero capitalista senza
alcuna possibilità di sfuggire alla messa a morte. La magia nera della corrida
democratica consiste nella sua capacità di ghettizzare i conflitti nell’ideologia,
manipolando un consenso fittizio attraverso elezioni dove la scelta è ridotta a
priori tra l’uguale e lo stesso, con la sola opzione del peggio o del meno peggio.
Tuttavia, su tutto il pianeta, le vere lotte per l'emancipazione prendono
sempre più la direzione dell'autogestione della vita. Vale a dire la tendenza a
partecipare non allo spettacolo che c’è imposto, ma alla sfida del suo superamento.
Questa è stata la parte radicale di quel movimento dei Gilets jaunes che portava nella sua carne tutto e il suo contrario.
Perché è stato la reazione spontanea a una società snaturata dove le rotonde,
destinate a essere attraversate in un lasso di tempo molto breve senza mai
fermarvisi, sono diventate l'ultima agorà possibile di una civiltà
produttivista in perdizione. Questa sosta conviviale sulle rotonde e la loro
socializzazione reinventata, furono un momento poetico particolarmente
commovente che ha dato nuova linfa alla disobbedienza civile. Per questo il
potere è stato tanto deciso nel combatterle, nel bandirle, nel sopprimerle con
un'implacabilità mai usata contro i mitici Black
Bloc che hanno alimentato la propaganda del potere a favore
dell'addomesticamento generalizzato.
Come ogni movimento spontaneo, quello dei Gilets jaunes ha incluso il meglio e il peggio, permettendo a ciascuno
di trovarvi quel che cercava. I sopravvissuti ed eredi del vecchio Movimento
delle Occupazioni del maggio 68 (espressione compiuta della radicalità di
un'epoca) hanno potuto riconoscere in esso una sorta di rinascita, ma chi ha
attraversato e vissuto dall'interno questo movimento imprevisto e
imprevedibile, senza illusioni né certezze, ha potuto trovarvi ciò che cercava
quanto ciò che non poteva sopportare: la sperimentazione sincera di
un'autogestione generalizzata della vita quotidiana, un autentico desiderio di
emancipazione, scambi calorosi, una vera organizzazione orizzontale acratica di
democrazia diretta, ma anche dei baciapile, mistici paranoici, insurrezionalisti
della domenica, stalinisti, fascisti e altre patologie sociali. Il che è
inevitabile e non sorprendente né troppo grave, anche se questa miscela
confusionista alimenta la propaganda di Stato contro la sia pur minima volontà di
emancipazione.
Ora che il movimento originario, senza leader o portavoce
autoproclamati, si è diluito nel labirinto dello spettacolo politico, pandemico
e guerriero, spuntano alcune rare mele marce al soldo della liturgia
elettorale, spregevoli portavoce di un delirio di stampo fascista che risorge
dalle sue ceneri ammuffite. Tuttavia, la vita è sempre lì, e anche noi. Il
desiderio di autogestione resta un progetto concreto e micidiale per l'intera
civiltà produttivista in perdizione su tutto il pianeta, mentre ci sbatte in
faccia il riscaldamento globale che segnerà in un modo o nell'altro la fine della
civiltà produttivista. In premio, senza aver chiesto nulla, abbiamo anche
diritto a una bella guerra possibilmente nucleare, mentre la pandemia c'è
ancora, anche se non se ne parla quasi più.
Quindi, elezioni trappola per coglioni, senza dubbio. Tuttavia,
vista la situazione, pur rifiutando la truffa elettorale, possiamo, forse, per
non morire idioti, considerare di votare un'ultima (o prima) volta il
"monarca" più indicato per poter poi vincere, senza farla, l'unica
guerra che è nostra: quella contro i sostenitori del vecchio mondo che usano
tutto, l’economia politica, la pandemia e la guerra, per continuare ad
esercitare il loro potere come se il crollo della società mercantile planetaria
fosse solo una crisi passeggera, quando è la fine di un mondo di cui è urgente
decidere a quale superamento votarlo.
E se, sulle rotonde o altrove, decidessimo di essere lì per scegliere tutti insieme, in
assemblee autogestite, chi fare eleggere come ultimo Presidente della
Repubblica al fine di archiviare poi lo Stato in nome della democrazia diretta,
dei Consigli e dell'autogestione generalizzata della vita quotidiana, dal
locale al nazionale e al planetario? È forse folle considerare che i coglioni
di ogni genere e di ogni paese che schifano tutte le ideologie, possano accordarsi
per proclamare la demoAcrazia
popolare contro tutti i dispotismi ideologici propagati dai fascisti di ogni
tipo, dai liberali di destra o di sinistra, dai gauchisti che non concepiscono
una società umana acratica, organizzata senza Stato? Potremmo, dunque,
scegliere di votare, per una volta, con coerenza. Non per un'assurda unione
della sinistra ma per il suo superamento, vigilando per evitare che il fortunato prescelto non tradisca la
volontà acratica del popolo con riflessi retro bolscevichi. Sceglieremmo
allora, non l'ennesimo capo del “nostro partito” che non esiste, ma il “nemico”
preferibile per la Comune da fondare, il migliore non per governare un mondo in
rovina, ma per favorire l'abrogazione della democrazia spettacolare e
proclamare l'inizio della demoAcrazia
internazionale attraverso Costituzioni compartecipi di uno stesso spirito di
mutuo soccorso, redatte collettivamente e autonomamente sotto la direzione
delle assemblee dei cittadini.
Votare Mélenchon? La questione si pone seriamente, nonostante la
data!
Sergio Ghirardi
Sauvageon, 1 Aprile 2022
Douce France – Face au bulletin de vote, quelle croix ou quelle abstention ?
Elections
piège à cons. Même quand les cons votent de moins en moins, sévit
toujours l’arnaque historique du parlementarisme que l’ancienne classe
bourgeoise a imposé aux sociétés productivistes. Face à la croissante volonté
émancipatrice des peuples, la démocratie parlementaire est apparue comme une
alternative au déferlement planétaire des despotismes, des dictatures et des
totalitarismes.
Le cynisme paternaliste de Churchill a bien défini
l’ambigüe qualité de la démocratie parlementaire : « Le pire des gouvernements, exceptés tous les
autres ». Son humour british
oubliait, toutefois, comme par hasard, l’existence historique de la démocratie
directe, mais aussi de noter que par la démocratie représentative on peut
manipuler un peuple et le domestiquer par la propagande mieux que par la
violence, comme des bergers guident vers l’enclos un troupeau de brebis avec l’aide
précieuse de l’aboiement de leurs chiens de garde.
D’ailleurs, les racines du piège et de l’arnaque cachés
dans le mot démocratie remontent à la
volonté des oligarques athéniens (les ennemis
du peuple dénoncés par les révolutionnaires français de 1789), en mal de
pouvoir tyrannique. Pour manipuler le peuple (δῆμός, démos) qui se révolta contre leur despotisme totalitaire, les oligarques d’antan appelèrent
démocratie
le projet d’émancipation citoyenne. Car dans le grec ancien le kratos définissait le pouvoir imposé, bête
et méchant comme celui d’une populace meurtrière qui s’insurge redoutablement.
En revanche, l’oligarchie se dit porteuse de l’arkè,
ce pouvoir bienveillant qui rappelle le partage et qui se présente comme le
choix des meilleurs (les premiers de
cordée) sinon du meilleur de tous : le seigneur sacralisé par un dieu (lui
aussi sacré, comme par hasard) gouvernant du ciel l’univers tout entier. De
là-haut, ce mâle tout-puissant nous envoie – en offre spéciale – cet autocrate
royal qui incarne la liaison dangereuse entre la divinité céleste imaginaire et
le pouvoir bien terrestre (mais en odeur de sainteté) du monarque,
ce roi bon et juste (maître du droit de vie, de mort et de cuissage sur ses
sujets – corvées, impôts, guerres, pauvreté, famine, prison et désespoir
inclus).
Foutaises inouïes, mais la manipulation d’un quelque
intellectualisme – intelligence séparée du corps vivant – nous accable toujours.
Son suprématisme glisse de Dieu au chef de guerre, au philosophe. Comment
douter de l’intellectualisme de Sartre qui dans sa vie n’a pas perdu une
occasion pour faire toujours les mauvais choix après mûres réflexions
idéologiques ? Ambigu face au fascisme, avant de devenir le philosophe
nauséabond de la régression totalitaire maoïste, l’étiquette de libération qui dominait son itinéraire
idéologique a fini par se noyer dans le confusionnisme.
Dans leur pensée séparée du corps individuel et social,
les intellectuels inorganiques sont
toujours confrontés aux vérités altérées par leurs mensonges opportunistes. Plus
ils sont doués du discours, du stylo et aujourd’hui du clavier, mieux ils
échafaudent des plaidoiries spectaculaires en trompant surtout tous ceux qui
raffolent d’être trompés – les serviteurs volontaires de toutes les idéologies.
Ils concourent ainsi au prix Nobel de la paix ou, éventuellement, au titre
d’ennemi public spectaculaire numéro un, gourmands accaparateurs boulimiques de
la gloire, de l’argent et des honneurs qui circulent dans les microcosmes du
marché intellectuel global.
Certes, au temps du Mouvement des Occupations de Mai 68,
dénoncer le piège à cons qui se cache derrière les élections était une alerte
louable quand cela n’a pas servi à monter la mayonnaise d’un extrémisme
gauchiste en décomposition, incapable de cette radicalité qui fut la poésie
révolutionnaire d’une époque désormais révolue mais plus actuelle que jamais,
dont certains intellectuels se remplissent encore la bouche pour mieux cracher
dans la boîte de Pandore de la récupération.
Face à un vote destiné à élire l’ennemi du peuple qui prendra la place du précédant dans la
pantomime d’une démocratie représentative où le citoyen n’a ni le kratos ni l’arkè, s’abstenir est la réponse immédiate qui vient à l’esprit.
Arrêtons la mascarade ! Comment ne pas être d’accord ?
Dommage que la mascarade ne s’arrête pas, pour autant,
même si les cons qui se déplacent pour voter se réduisent à peau de chagrin. Fidèles
à leur nom, ils ne nécessitent pas d’être très lucides ni en grand nombre, mais
ils sont les pestiférés les plus vindicatifs et les plus volontaires dans la
servitude. Ainsi, une poignée d’électeurs suffit pour élire un lumineux ami du peuple imaginaire qui va marcher
jusqu’au Panthéon pour assurer la population spectatrice de sa bienveillance, bardé
de son savoir prétendu et de sa connaissance de tous les dossiers. Une fois 1968
refoulé, n’importe quel élu de la République post gaullienne, de Mitterrand à
Macron, a assuré l’arnaque républicaine. Le prochain sera-t-il bio, à circuit
court ? Ce serait un pied de nez supplémentaire à l’écologie dont tous se
revendiquent, en s’en foutant royalement,
entre un spray au glyphosate et quelques petites centrales nucléaires à la clé,
question de rendre lumineux les futurs cimetières du vivant. Au nom de la lutte
contre le réchauffement climatique, bien sûr ! Ou alors, est-ce que c’est
le tour de celui qui veut imposer aux Français issus de l’immigration de
changer leur nom barbare par un patronyme local qui sent bon la baguette et non
pas le couscous ?
Ne pas voter soulage nos tristounettes consciences
radicales qui ont longuement cru à la révolution sociale imminente, ignorant
les abattoirs dont on dénonce maintenant les crimes contre l’animalité, tout en
s’empiffrant toujours de viande souffrante et frelatée. Car le crime de lèse
animalité n’est pas à l’ordre du jour et je ne suis pas certain qu’il le sera
jamais pour une espèce omnivore qui a toujours été autant végétarienne que
carnivore. On aura beau faire et surtout beau dire, les cons existeront
toujours ainsi que l’envie de viande, du moins pour un bon nombre. Les tuer
tous, ce serait ajouter le crime au crime sans changer la donne, car la vie est
une contradiction que les intellectuels, les militants et les dévots prétendent
faire dépasser aux autres pour mieux continuer à chérir la leur.
La contradiction est partout, mais la cohérence existe et
l’humanité aussi, avec sa tendance à l’entraide, à la solidarité et à la magie
naturelle de l’amour qui apprend à qui le découvre que le don est l’action
révolutionnaire la plus agréable pour profiter de la vie – quand on n’est pas
en manque, quand on ne se contente pas d’une misérable domination suprématiste
qui frelate la puissance vitale en pouvoir social.
Que ce soit le don de soi pour le plaisir qu’il comporte,
ou celui des biens dont on se réjouit quand on s’embrasse dans le partage, le
don est le véritable équivalent général d’une économie humaine. Cependant,
l’être humain est multiple et chacun est différent. Il faut donc une
organisation acratique de la societé pour éviter que l’instinct prédateur ne prenne
le dessus. Or, il n’y a que deux manières de s’y prendre : la logique
suprématiste en quête de pouvoir pour dominer le monde, qui favorise toujours
le patriarcat productiviste ; ou l’organisation acratique d’un monde pacifié
par l’entraide où les différences soient respectées sans leur concéder aucun
autre pouvoir que celui d’exister et d’être pratiquées dans le respect
réciproque, sans domination. Voilà un raccourci essentiel de la démocratie
directe. Qui dit mieux ?
En ce moment particulier, face à l’illusion et au leurre
de la démocratie parlementaire qu’impose la continuité de son pouvoir par la
liturgie électorale, ne pas voter ou voter suivant sa vertu idéologique c’est
faire comme si nous étions déjà dans le monde de demain où les volontés et les
différences de chacun seront effectivement respectées. Or, nous n’y sommes pas
et il faudra lutter pour y arriver. Oui, mais comment, avec quelle stratégie
qui ne reproduise pas les défaites et les erreurs du passé ? Dés son
début, le parlementarisme a organisé la ghettoïsation des opinions par la perverse
création binaire de la droite et de
la gauche. Depuis, un pouvoir
indifférencié se nourrit des différences idéologiques pour entretenir son
uniformité intime et indiscutable. Ils ont coupé bien des têtes au nom des
idées, ils n’ont pas pu éliminer les différences dans la pratique des
jouissances sans éliminer la jouissance. Ils ont donc dévitalisé les idées en les
séparant des corps vivants, en faisant de leur paix un désert émotionnel et de
leurs guerres une confrontation tragique entre des masses de victimes (les
peuples) et des hordes d’agresseurs meurtriers (les guerriers) au service de la
domination et des docteurs Folamour en place.
Ainsi la rage du taureau populaire s’acharne contre la muleta du toréador capitaliste sans aucune
chance d’échapper à la mise à mort. La magie noire de la corrida démocratique consiste
en sa capacité à ghettoïser les conflits dans l’idéologie en manipulant un
consensus fictif par le biais d’élections où le choix est réduit a priori entre
le pareil et le même, avec l’unique option du pire ou du moins pire. Or, sur
toute la planète, les véritables luttes pour l’émancipation prennent de plus en
plus la direction de l’autogestion de la vie. C'est-à-dire, la tendance à la
participation non pas au spectacle qui nous est imposé, mais au pari de son
dépassement. Ce fut cela la partie radicale de ce mouvement des Gilets jaunes
qui a porté dans sa chair tout et son contraire. Car il fut la réaction
spontanée à une société dénaturée où les ronds-points, prévus pour y passer
pendant une très courte unité de temps sans jamais s’y arrêter, sont devenus la
dernière agora possible d’une civilisation productiviste aux abois. Ce stop convivial
aux ronds-points et leur socialisation réinventée, furent un moment poétique
particulièrement émouvant qui a redonné vie à la désobéissance civile. C’est pour
cette raison que le pouvoir s’est tellement empressé de les combattre, de les
interdire, de les supprimer avec un acharnement jamais employé contre les
mythiques casseurs qui ont nourri sa propagande en faveur de la domestication
généralisée.
Comme tout mouvement spontané, les Gilets jaunes ont
inclus le meilleur et le pire, permettant à chacun d’y trouver ce qu’il
cherchait. Les survivants et les héritiers de l’ancien Mouvement des Occupations
de mai 68 (expression accomplie de la radicalité d’une époque) ont pu y
reconnaître une sorte de renaissance, mais qui, sans illusions ni certitudes, a
traversé et vécu de l’intérieur ce mouvement imprévu et imprévisible, a pu y
retrouver ce qu’il cherchait autant que ce qu’il ne peut pas supporter :
l’expérimentation sincère d’une autogestion généralisée de la vie quotidienne,
un désir authentique d’émancipation, des échanges chaleureux, une véritable organisation
horizontale acratique de démocratie directe, mais aussi des grenouilles de
bénitier, des mystiques paranoïaques, des insurrectionalistes du dimanche, des
staliniens, des fascistes et autres pathologies sociales. Cela est inévitable
et pas étonnant, ni trop grave non plus, même si ce mélange confusionniste
nourrit la propagande d’Etat contre la moindre volonté d’émancipation.
Maintenant que
le mouvement d’origine, sans chefs ni porte-paroles autoproclamés, s’est dilué
dans les dédales du spectacle politique, pandémique et guerrier, de rares
brebis galeuses émergent à la solde de la liturgie électorale, porte-paroles
méprisables d’un délire fascisant qui ressurgit de ses cendres moisies.
Néanmoins, la vie est toujours là, et nous aussi. L’envie d’autogestion reste
un projet concret et redoutable pour l’entière civilisation productiviste aux
abois sur toute la planète, alors qu’on se prend en pleine figure le
réchauffement climatique qui marquera d’une manière ou d’une autre la fin de la
civilisation productiviste. En prime, sans avoir rien demandé, on a droit aussi
à une belle guerre possiblement nucléaire, pendant que la pandémie est toujours
là, même si on n’en parle presque plus.
Alors, élections
piège à cons, sans doute. Mais, vu la situation, tout en refusant l’arnaque
électoraliste, on peut, peut-être, pour ne pas mourir idiot, envisager de voter
une dernière (ou première) fois pour le « monarque » le plus approprié
afin de pouvoir ensuite gagner, sans la faire, la seule guerre qui est la nôtre :
celle contre les souteneurs du vieux monde qui utilisent tout – l’économie
politique, la pandémie, la guerre – pour continuer à exercer leur pouvoir comme
si l’effondrement de la société marchande planétaire n’était qu’une crise
passagère, alors qu’il est la fin d’un monde dont il est urgent de décider à
quel dépassement le vouer.
Et si, dans
des ronds-points ou ailleurs, on décidait d’être
là pour choisir tous ensemble, en assemblées autogérées, qui faire élire comme
dernier Président de la République afin d’archiver ensuite l’Etat au nom de la démocratie
directe, des Conseils et de l’autogestion généralisée de la vie quotidienne, du
local au national et au planétaire ? Est ce que c’est fou d’envisager que
les cons de tous bords et de tous les pays qui vomissent toutes les idéologies,
puissent se mettre d’accord pour déclarer la démoAcratie populaire contre tous les despotismes idéologiques propagés
par les fascistes de tout bord, les libéraux de droite ou de gauches, les gauchistes
qui ne conçoivent pas de société humaine acratique, organisée sans Etat ?
On pourrait, alors, choisir de voter, pour une fois, avec cohérence. Non pas
pour une absurde union de la gauche mais pour son dépassement, vigilant à ce que
l’heureux élu ne trahisse pas la volonté acratique du peuple par des réflexes
rétro-bolcheviques. On choisirait, alors, non pas un énième chef de
« notre parti » inexistant, mais l’« ennemi » préférable
pour la Commune à bâtir, le meilleur non pas pour gouverner un monde en ruine,
mais pour faciliter l’abrogation de la démocratie spectaculaire et proclamer le
début de la démoAcratie
internationale par des Constitutions partageant le même esprit d’entraide, rédigées
collectivement et de façon autonome sous le contrôle des assemblées citoyennes.
Voter Mélenchon ? La question se pose sérieusement, malgré
la date !
1 avril 2022