mercoledì 2 luglio 2025

Serbia: di fronte alla repressione, blocchi stradali e barricate












In Serbia si sta delineando uno scenario imprevedibile. Da domenica, al movimento studentesco si è aggiunto il resto della popolazione, che ha bloccato l'accesso alle città e alle principali vie di comunicazione. Il regime autoritario di Aleksandar Vučić è stato colto di sorpresa.

Jean-Arnault Dérens

 

 

30 giugno 2025 alle 17:26

"Chi ha bloccato ha perso", ha dichiarato con spavalderia il presidente serbo Aleksandar Vučić sabato 28 giugno. Una manifestazione contro il suo regime aveva appena radunato 140.000 persone nel centro di Belgrado, secondo un istituto indipendente. Dopo sette mesi di proteste, centinaia di dimostrazioni, blocchi stradali e occupazioni, il capo dello Stato poteva pensare che quest'ultimo raduno avesse tutte le caratteristiche di un'ultima resistenza e che fosse giunto per lui il momento di chiudere i giochi.

Peggio per lui. La sera del giorno dopo, il ponte autostradale di Gazela, le principali arterie di Belgrado e tutte le principali vie di accesso alla capitale serba erano bloccate da barricate erette spontaneamente da una folla determinata. Nella notte tra domenica e lunedì, il movimento si è esteso a tutto il Paese, prima che la polizia iniziasse a smantellare queste barricate il mattino, senza incontrare alcuna resistenza.

A Belgrado, i manifestanti mettevano le mani in alto davanti agli agenti di polizia, spesso mascherati, spiegando che la loro azione era "non violenta", mentre sui social-media circolavano appelli per nuove barricate. "Stiamo affrontando una nuova prova di forza, che durerà a lungo", spiega Milica, un‘abitante di Belgrado che ha partecipato a ogni manifestazione dall'inizio del movimento.

In ogni caso, la Serbia è entrata in una nuova fase. Sabato sera, davanti alla folla radunata in piazza Slavija a Belgrado, gli oratori hanno annunciato la fine del movimento studentesco, iniziato dopo il tragico crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha causato la morte di sedici persone il 1° novembre 2024. Hanno così passato la fiaccola della protesta all’insieme della cittadinanza, mentre decine di università e scuole superiori erano ancora occupate negli ultimi giorni.

Gli studenti avevano fissato alle autorità un "ultimatum" alle 21:00, sommandole di indire elezioni parlamentari anticipate. Poiché questa richiesta è rimasta inascoltata, hanno aggiunto che il governo era ormai "illegittimo" ai loro occhi. Centinaia di fumogeni verdi sono stati accesi per significare il "semaforo verde" a questo passaggio di consegne. Simbolicamente, i membri dei servizi di sicurezza studenteschi, ben organizzati, hanno deposto i loro gilet gialli, ma sono comunque scoppiati scontri con la polizia.

Scontri improvvisi

Ufficialmente, quest’ultima era stata schierata per impedire qualsiasi contatto tra i manifestanti e i sostenitori del regime. Questi ultimi si erano radunati a meno di un chilometro di distanza, di fronte al Parlamento, dove da marzo è stato allestito nel Parco dei Pionieri il "campo degli studenti che vogliono studiare". Questo campo è sempre stato sotto stretta sorveglianza della polizia, ma nessun incidente degno di nota era stato ancora segnalato.

La natura improvvisa degli scontri alimenta il sospetto che dei provocatori possano aver attaccato la polizia, soprattutto perché il bilancio rimane incompleto e incerto. A tarda sera, il capo della polizia ha tenuto una conferenza stampa per annunciare che "diverse decine di rivoltosi e teppisti" erano stati arrestati, mentre sei agenti di polizia sarebbero rimasti feriti.

Gli studenti, parlando di "numerosi feriti", hanno dichiarato sui social media che "le autorità avevano tutti i mezzi e il tempo necessari per rispondere alle richieste e prevenire l'escalation. Invece, hanno optato per la violenza e la repressione contro i cittadini. Qualsiasi radicalizzazione della situazione è una loro responsabilità”.

 

Dei plenum cittadini coprono

la Serbia con una rete capillare,

attraverso la quale i vicini

s”informano e si mobilitano a vicenda.

 

Anche i sindacati dei giornalisti denunciano diversi casi di violenza e intimidazione, in particolare nei pressi dell'accampamento dei partigiani pro-regime. Domenica, gli studenti hanno segnalato diverse decine di arresti e, nel pomeriggio, si sono formati raduni per esigere il rilascio degli arrestati, prima che questi cortei si aggiungessero ai blocchi stradali che stavano iniziando a formarsi.

Alla rotonda dell'Autokomanda, centro nevralgico del traffico della capitale, l'iniziativa del blocco è venuta dagli zbor del distretto di Voždovac. Gli zborovi (plurale di zbor) sono le assemblee plenarie cittadine che hanno iniziato a formarsi a marzo nei villaggi e nei quartieri delle principali città, reinventando la democrazia diretta riprendendo il nome dalle tradizionali assemblee di villaggio serbe risalenti al periodo del dominio ottomano.

Queste assemblee, dove il tempo di parola è attentamente controllato e tutte le decisioni sono prese per alzata di mano, avevano teso a ridursi in primavera. Tuttavia la loro organizzazione ultra-locale copre la Serbia con una rete capillare, attraverso la quale i vicini s’informano e si mobilitano a vicenda.

A presidiare molti dei posti di blocco ci sono i frequentatori abituali delle manifestazioni, i volontari che hanno accolto gli studenti durante le loro numerose marce attraverso la Serbia o hanno cucinato per le mense delle facoltà occupate, ma anche dei curiosi, ancora esitanti, che scendono in piazza per la prima volta. I più determinati hanno trascorso la notte lì.

Dei dirigenti europei senza voce

Dalla mattina di lunedì 30 giugno, a Belgrado, agenti di polizia mascherati hanno iniziato a smantellare le barricate senza incontrare resistenza. Ma non appena alcune sono state disfatte, altre si riformano. "I cittadini, gli attivisti e gli zborovi ci trasmettono le informazioni tramite le nostre reti e le attività sono coordinate su questa base", spiega Đorđe Miketić dell'iniziativa cittadina Beograd ostaje.

"Consigliamo ai cittadini di mantenere i blocchi in modo permanente, di non lasciare mai poche persone isolate agli incroci, ma di rimanere in gruppi più numerosi. Se interviene la polizia, è consigliabile non disperdersi ma lasciare la zona in gruppo", aggiunge.

 

Il presidente Vučić si congratulava

di essere riuscito a sventare lo spettro

di una "rivoluzione colorata".

 

Lunedì pomeriggio, colonne di auto si sono radunate nel centro di Kragujevac, bloccando completamente questa importante città industriale. Il "passaggio del testimone" dagli studenti ai cittadini implica il passaggio a molteplici forme di disobbedienza civile, e i social-media pullulano di suggerimenti, come l'inondazione delle pubbliche amministrazioni di mail o la moltiplicazione dei prelievi di piccole somme di denaro per intasare le banche.

Nelle ultime settimane, il Presidente Vučić si congratulava di aver represso con successo la minaccia di una "rivoluzione colorata", ma ha dovuto ritrattare questa pretesa, ringraziando lunedì pomeriggio la Russia per la sua "comprensione". Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha infatti messo in guardia contro il rischio di una simile "rivoluzione colorata". Questo concetto, forgiato dopo la caduta di Milošević nel 2000 e le rivoluzioni in Georgia (2003) e Ucraina (2004), presuppone un forte impegno occidentale in uno scenario di cambio di regime. In realtà, la posizione russa contrasta con il silenzio assordante dei leader europei e delle cancellerie occidentali. Le quali si accontentano da mesi, di lanciare dei ridicoli "appelli alla calma", senza mai pronunciarsi esplicitamente sulle richieste democratiche del movimento.

Se lo scenario dei prossimi giorni resta impossibile da immaginare, il regime ha ancora una via d'uscita relativamente facile: soddisfare la rivendicazione centrale di studenti e cittadini indicendo delle elezioni anticipate. Altrimenti, la Serbia rischia di sprofondare definitivamente nell'ignoto.

 

Jean-Arnault Dérens

 

Serbie : face à la répression,

des barrages et des barricades


Illustration 1

Opposés au gouvernement, des manifestants bloquent une rue de Belgrade (Serbie),

lundi 30 juin 2025. © Photo Oliver Bunic / str / AFP

Un scénario imprévisible est en train de s’écrire en Serbie. Depuis dimanche, le mouvement étudiant a été relayé par le reste de la population, qui a bloqué l’accès aux villes et aux grands axes routiers. Le régime autoritaire d’Aleksandar Vučić est pris de court.

Jean-Arnault Dérens

30 juin 2025 à 17h26

« Les bloqueurs ont perdu », lançait samedi 28 juin, bravache, le président serbe, Aleksandar Vučić. Une manifestation contre son régime venait de rassembler 140 000 personnes dans le centre de Belgrade, selon le décompte d’un institut indépendant. Au bout de sept mois de contestation, de manifestations par centaines, de blocages et d’occupations, le chef de l’État pouvait penser que cet ultime rassemblement avait tout d’un baroud d’honneur, et que le temps était venu pour lui de siffler la fin de la partie.

Mal lui en a pris. Dans la soirée du lendemain, le pont autoroutier de Gazela, les grands axes de Belgrade et toutes les principales voies d’accès à la capitale serbe étaient bloqués par des barricades, spontanément dressées par une foule déterminée. Dans la nuit de dimanche à lundi, le mouvement s’est étendu à tout le pays, avant que la police ne commence à démanteler ces barrages au matin, sans rencontrer la moindre résistance.

À Belgrade, bloqueurs et bloqueuses se tenaient les mains en l’air devant des policier souvent masqués, en expliquant que leur action était « non violente », tandis que des appels à dresser de nouveaux barrages couraient sur les réseaux sociaux. « Nous sommes partis sur une nouvelle épreuve de force, qui va durer longtemps », explique Milica, une habitante de Belgrade, qui n’a manqué aucun rassemblement depuis le début du mouvement.La Serbie est en tout cas passée à une nouvelle étape. Samedi soir, devant la foule rassemblée place Slavija, à Belgrade, les orateurs et oratrices ont annoncé que le mouvement étudiant, entamé après la chute tragique de l’auvent de la gare de Novi Sad, qui a tué seize personnes le 1er novembre 2024, prenait fin. Ils ont ainsi passé le flambeau de la contestation à l’ensemble des citoyen·nes, alors que des dizaines de facultés et d’écoles supérieures étaient encore occupées ces derniers jours.

Les étudiant·es avaient fixé à 21 heures un « ultimatum » aux autorités, les sommant de convoquer des élections législatives anticipées. Cette revendication n’ayant pas été entendue, ils et elles ont ajouté que le gouvernement était désormais « illégitime » à leurs yeux. Des centaines de fumigènes verts se sont embrasés pour signifier le « feu vert » à ce passage de relais. Symboliquement, les membres des très organisés services d’ordre étudiants ont déposé leurs chasubles jaunes, mais des heurts ont tout de même éclaté avec la police.

Des affrontements soudains

Officiellement, cette dernière avait été déployée pour empêcher tout contact entre les manifestant·es et les partisan·es du régime. Ceux-ci étaient réunis à moins d’un kilomètre de distance, en face du Parlement, où le « camp des étudiants qui veulent étudier » se dresse depuis mars dans le parc des Pionniers. Ce camp a toujours été placé sous bonne garde policière, mais aucun incident notable n’avait encore été signalé.

Le caractère soudain des affrontements alimente le soupçon que des provocateurs ont pu s’en prendre à la police, d’autant que les bilans demeurent partiels et incertains. Tard dans la soirée, le directeur de la police a tenu une conférence de presse pour annoncer que « plusieurs dizaines d’émeutiers et de hooligans » avaient été arrêtés, tandis que six policiers auraient été blessés.

Les étudiants, parlant de « nombreux blessés », ont déclaré sur les réseaux sociaux que « les autorités disposaient de tous les moyens et de tout le temps nécessaires pour répondre aux revendications et prévenir l’escalade. Au lieu de cela, elles ont opté pour la violence et la répression contre les citoyens. Toute radicalisation de la situation relève de leur responsabilité ».

Des plénums citoyens couvrent

la Serbie d’un réseau capillaire,

grâce auquel les voisins s’informent

et se mobilisent les uns les autres.

Les unions professionnelles de journalistes dénoncent également plusieurs cas de violences et d’intimidations, notamment aux abords du camp des partisan·es du régime. Dimanche, les étudiant·es faisaient état de plusieurs dizaines d’arrestations et, dans l’après-midi, des rassemblements se sont formés pour exiger la libération des personnes interpellées, avant que ces cortèges n’aillent grossir les barrages qui commençaient à se former.

Sur le rond-point d’Autokomanda, centre névralgique du trafic routier dans la capitale, l’initiative du blocage revient au zbor de l’arrondissement de Voždovac. Les zborovi (pluriel de zbor) sont les plénums citoyens qui ont commencé à se former au mois de mars dans les villages ou les quartiers des grandes villes, réinventant la démocratie directe en reprenant le nom des assemblées villageoises traditionnelles serbes, du temps de la domination ottomane.

Ces assemblées, où le partage de la parole est soigneusement contrôlé et où toutes les décisions sont prises à main levée, avaient eu tendance à s’étioler au printemps. Mais leur organisation ultra locale couvre la Serbie d’un réseau capillaire, grâce auquel les voisin·es s’informent et se mobilisent les un·es les autres.

Sur beaucoup de barrages, on retrouve les habitué·es des manifestations, les volontaires qui ont accueilli les étudiant·es lors de leurs nombreuses marches à travers la Serbie, ou ont cuisiné pour les cantines des facultés occupées, mais aussi des curieux et curieuses encore hésitant·es qui sortent dans la rue pour la première fois. Les plus déterminé·es y ont passé la nuit.

Des dirigeants européens aphones

Dès le matin, lundi 30 juin, à Belgrade, des policiers masqués ont commencé à démanteler les barrages, sans rencontrer de résistance. Mais à peine certains sont-ils défaits que d’autres se reforment. « Les citoyens, les militants et les zborovi nous transmettent les informations sur nos réseaux, et les activités sont coordonnées sur cette base », explique Đorđe Miketić, de l’initiative citoyenne Beograd ostaje.

« Nous conseillons aux citoyens de maintenir les blocages de manière durable, de ne jamais laisser quelques personnes isolées aux intersections, mais de rester en groupes plus importants. Si la police apparaît, il est conseillé de ne pas se disperser mais de quitter les lieux en groupes », ajoute-t-il.

Le président Vučić se félicitait

d’avoir réussi à juguler le spectre

d’une « révolution de couleur ».

Lundi après-midi, des colonnes de voitures convergeaient vers le centre de Kragujevac, afin de bloquer totalement cette importante ville industrielle. Le « transfert du flambeau » des étudiant·es aux citoyen·nes suppose le passage à de multiples formes de désobéissance civile, et les réseaux sociaux fleurissent de suggestions, comme d’inonder de courriels les administrations publiques ou de multiplier les retraits de petites sommes pour engorger les banques.

Le président Vučić se félicitait ces dernières semaines d’avoir réussi à juguler le spectre d’une « révolution de couleur », mais il a dû revenir sur cette prétention, remerciant lundi après-midi la Russie de sa « compréhension ». Le ministre russe des affaires étrangères, Sergueï Lavrov, a en effet mis en garde contre le risque d’une telle « révolution colorée ».

Ce concept, forgé après la chute de Milošević en 2000 puis les révolutions de Géorgie (2003) et d’Ukraine (2004), suppose un fort engagement occidental dans un scénario de changement de régime. En réalité, la prise de position russe fait contraste avec l’assourdissant silence des responsables européens et des chancelleries occidentales. Celles-ci se contentent, depuis des mois, de lancer de dérisoires « appels au calme », sans jamais se prononcer explicitement sur les exigences démocratiques du mouvement.

Si le scénario des prochains jours demeure impossible à imaginer, le régime conserve une voie de sortie, relativement facile à emprunter : satisfaire la revendication centrale des étudiant·es et des citoyen·nes en convoquant des élections anticipées. À défaut, la Serbie risque pour de bon de basculer dans l’inconnu.

Jean-Arnault Dérens