In Serbia si sta
delineando uno scenario imprevedibile. Da domenica, al movimento studentesco si
è aggiunto il resto della popolazione, che ha bloccato l'accesso alle città e
alle principali vie di comunicazione. Il regime autoritario di Aleksandar Vučić
è stato colto di sorpresa.
Jean-Arnault
Dérens
30 giugno 2025
alle 17:26
"Chi ha
bloccato ha perso", ha dichiarato con spavalderia il presidente serbo
Aleksandar Vučić sabato 28 giugno. Una manifestazione contro il suo regime
aveva appena radunato 140.000 persone nel centro di Belgrado, secondo un
istituto indipendente. Dopo sette mesi di proteste, centinaia di dimostrazioni,
blocchi stradali e occupazioni, il capo dello Stato poteva pensare che
quest'ultimo raduno avesse tutte le caratteristiche di un'ultima resistenza e
che fosse giunto per lui il momento di chiudere i giochi.
Peggio
per lui. La sera del giorno dopo, il ponte autostradale di Gazela, le
principali arterie di Belgrado e tutte le principali vie di accesso alla
capitale serba erano bloccate da barricate erette spontaneamente da una folla
determinata. Nella notte tra domenica e lunedì, il movimento si è esteso a
tutto il Paese, prima che la polizia iniziasse a smantellare queste barricate il
mattino, senza incontrare alcuna resistenza.
A
Belgrado, i manifestanti mettevano le mani in alto davanti agli agenti di
polizia, spesso mascherati, spiegando che la loro azione era "non
violenta", mentre sui social-media circolavano appelli per nuove
barricate. "Stiamo affrontando una
nuova prova di forza, che durerà a lungo", spiega Milica, un‘abitante di
Belgrado che ha partecipato a ogni manifestazione dall'inizio del movimento.
In
ogni caso, la Serbia è entrata in una nuova fase. Sabato sera, davanti alla
folla radunata in piazza Slavija a Belgrado, gli oratori hanno annunciato la
fine del movimento studentesco, iniziato dopo il tragico crollo della pensilina
della stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha causato la morte di sedici
persone il 1° novembre 2024. Hanno così passato la fiaccola della protesta all’insieme
della cittadinanza, mentre decine di università e scuole superiori erano ancora
occupate negli ultimi giorni.
Gli
studenti avevano fissato alle autorità un "ultimatum" alle 21:00, sommandole di indire elezioni
parlamentari anticipate. Poiché questa richiesta è rimasta inascoltata, hanno
aggiunto che il governo era ormai "illegittimo"
ai loro occhi. Centinaia di fumogeni verdi sono stati accesi per significare il
"semaforo verde" a questo
passaggio di consegne. Simbolicamente, i membri dei servizi di sicurezza
studenteschi, ben organizzati, hanno deposto i loro gilet gialli, ma sono
comunque scoppiati scontri con la polizia.
Scontri improvvisi
Ufficialmente,
quest’ultima era stata schierata per impedire qualsiasi contatto tra i
manifestanti e i sostenitori del regime. Questi ultimi si erano radunati a meno
di un chilometro di distanza, di fronte al Parlamento, dove da marzo è stato
allestito nel Parco dei Pionieri il
"campo degli studenti che vogliono
studiare". Questo campo è sempre stato sotto stretta sorveglianza
della polizia, ma nessun incidente degno di nota era stato ancora segnalato.
La
natura improvvisa degli scontri alimenta il sospetto che dei provocatori
possano aver attaccato la polizia, soprattutto perché il bilancio rimane
incompleto e incerto. A tarda sera, il capo della polizia ha tenuto una
conferenza stampa per annunciare che "diverse
decine di rivoltosi e teppisti" erano stati arrestati, mentre sei
agenti di polizia sarebbero rimasti feriti.
Gli
studenti, parlando di "numerosi
feriti", hanno dichiarato sui social media che "le autorità avevano tutti i mezzi e il tempo
necessari per rispondere alle richieste e prevenire l'escalation. Invece, hanno
optato per la violenza e la repressione contro i cittadini. Qualsiasi
radicalizzazione della situazione è una loro responsabilità”.
Dei
plenum cittadini coprono
la
Serbia con una rete capillare,
attraverso
la quale i vicini
s”informano
e si mobilitano a vicenda.
Anche
i sindacati dei giornalisti denunciano diversi casi di violenza e
intimidazione, in particolare nei pressi dell'accampamento dei partigiani pro-regime.
Domenica, gli studenti hanno segnalato diverse decine di arresti e, nel
pomeriggio, si sono formati raduni per esigere il rilascio degli arrestati,
prima che questi cortei si aggiungessero ai blocchi stradali che stavano
iniziando a formarsi.
Alla
rotonda dell'Autokomanda, centro nevralgico del traffico della capitale,
l'iniziativa del blocco è venuta dagli zbor del distretto di Voždovac. Gli
zborovi (plurale di zbor) sono le assemblee plenarie cittadine che hanno
iniziato a formarsi a marzo nei villaggi e nei quartieri delle principali
città, reinventando la democrazia diretta riprendendo il nome dalle
tradizionali assemblee di villaggio serbe risalenti al periodo del dominio
ottomano.
Queste
assemblee, dove il tempo di parola è attentamente controllato e tutte le
decisioni sono prese per alzata di mano, avevano teso a ridursi in primavera. Tuttavia
la loro organizzazione ultra-locale copre la Serbia con una rete capillare,
attraverso la quale i vicini s’informano e si mobilitano a vicenda.
A
presidiare molti dei posti di blocco ci sono i frequentatori abituali delle
manifestazioni, i volontari che hanno accolto gli studenti durante le loro
numerose marce attraverso la Serbia o hanno cucinato per le mense delle facoltà
occupate, ma anche dei curiosi, ancora esitanti, che scendono in piazza per la
prima volta. I più determinati hanno trascorso la notte lì.
Dei dirigenti europei senza voce
Dalla
mattina di lunedì 30 giugno, a Belgrado, agenti di polizia mascherati hanno
iniziato a smantellare le barricate senza incontrare resistenza. Ma non appena
alcune sono state disfatte, altre si riformano. "I cittadini, gli attivisti e gli zborovi ci trasmettono le informazioni
tramite le nostre reti e le attività sono coordinate su questa base",
spiega Đorđe Miketić dell'iniziativa cittadina Beograd ostaje.
"Consigliamo ai cittadini di mantenere i
blocchi in modo permanente, di non lasciare mai poche persone isolate agli
incroci, ma di rimanere in gruppi più numerosi. Se interviene la polizia, è
consigliabile non disperdersi ma lasciare la zona in gruppo",
aggiunge.
Il
presidente Vučić si congratulava
di
essere riuscito a sventare lo spettro
di
una "rivoluzione colorata".
Lunedì
pomeriggio, colonne di auto si sono radunate nel centro di Kragujevac,
bloccando completamente questa importante città industriale. Il "passaggio
del testimone" dagli studenti ai cittadini implica il passaggio a molteplici
forme di disobbedienza civile, e i social-media pullulano di suggerimenti, come
l'inondazione delle pubbliche amministrazioni di mail o la moltiplicazione dei
prelievi di piccole somme di denaro per intasare le banche.
Nelle
ultime settimane, il Presidente Vučić si congratulava di aver represso con
successo la minaccia di una "rivoluzione
colorata", ma ha dovuto ritrattare questa pretesa, ringraziando lunedì
pomeriggio la Russia per la sua "comprensione".
Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha infatti messo in guardia contro
il rischio di una simile "rivoluzione
colorata". Questo concetto, forgiato dopo la caduta di Milošević nel
2000 e le rivoluzioni in Georgia (2003) e Ucraina (2004), presuppone un forte
impegno occidentale in uno scenario di cambio di regime. In realtà, la
posizione russa contrasta con il silenzio assordante dei leader europei e delle
cancellerie occidentali. Le quali si accontentano da mesi, di lanciare dei
ridicoli "appelli alla calma",
senza mai pronunciarsi esplicitamente sulle richieste democratiche del
movimento.
Se
lo scenario dei prossimi giorni resta impossibile da immaginare, il regime ha
ancora una via d'uscita relativamente facile: soddisfare la rivendicazione
centrale di studenti e cittadini indicendo delle elezioni anticipate.
Altrimenti, la Serbia rischia di sprofondare definitivamente nell'ignoto.
Jean-Arnault
Dérens
Serbie :
face à la répression,
des
barrages et des barricades
Opposés au
gouvernement, des manifestants bloquent une rue de Belgrade (Serbie),
lundi 30 juin
2025. © Photo Oliver Bunic / str / AFP
Un scénario imprévisible est en train de s’écrire en Serbie. Depuis dimanche, le mouvement étudiant a été relayé par le reste de la population, qui a bloqué l’accès aux villes et aux grands axes routiers. Le régime autoritaire d’Aleksandar Vučić est pris de court.
30 juin 2025 à 17h26
« Les bloqueurs ont perdu », lançait samedi 28 juin, bravache, le président serbe, Aleksandar Vučić. Une manifestation contre son régime venait de rassembler 140 000 personnes dans le centre de Belgrade, selon le décompte d’un institut indépendant. Au bout de sept mois de contestation, de manifestations par centaines, de blocages et d’occupations, le chef de l’État pouvait penser que cet ultime rassemblement avait tout d’un baroud d’honneur, et que le temps était venu pour lui de siffler la fin de la partie.
Mal lui en a pris. Dans la soirée du lendemain, le pont autoroutier de Gazela, les grands axes de Belgrade et toutes les principales voies d’accès à la capitale serbe étaient bloqués par des barricades, spontanément dressées par une foule déterminée. Dans la nuit de dimanche à lundi, le mouvement s’est étendu à tout le pays, avant que la police ne commence à démanteler ces barrages au matin, sans rencontrer la moindre résistance.
À Belgrade, bloqueurs et bloqueuses se tenaient les mains en l’air devant des policier souvent masqués, en expliquant que leur action était « non violente », tandis que des appels à dresser de nouveaux barrages couraient sur les réseaux sociaux. « Nous sommes partis sur une nouvelle épreuve de force, qui va durer longtemps », explique Milica, une habitante de Belgrade, qui n’a manqué aucun rassemblement depuis le début du mouvement.La Serbie
est en tout cas passée à une nouvelle étape. Samedi soir, devant la foule
rassemblée place Slavija, à Belgrade, les orateurs et oratrices ont annoncé que
le mouvement étudiant, entamé après la chute tragique de l’auvent de la gare de
Novi Sad, qui a tué seize personnes le 1er novembre 2024,
prenait fin. Ils ont ainsi passé le flambeau de la contestation à l’ensemble
des citoyen·nes, alors que des dizaines de facultés et d’écoles supérieures
étaient encore occupées ces derniers jours.
Les
étudiant·es avaient fixé à 21 heures un « ultimatum » aux
autorités, les sommant de convoquer des élections législatives anticipées.
Cette revendication n’ayant pas été entendue, ils et elles ont ajouté que le
gouvernement était désormais « illégitime » à leurs
yeux. Des centaines de fumigènes verts se sont embrasés pour signifier le « feu
vert » à ce passage de relais. Symboliquement, les membres des
très organisés services d’ordre étudiants ont déposé leurs chasubles jaunes,
mais des heurts ont tout de même éclaté avec la police.
Des affrontements soudains
Officiellement,
cette dernière avait été déployée pour empêcher tout contact entre les
manifestant·es et les partisan·es du régime. Ceux-ci étaient réunis à moins
d’un kilomètre de distance, en face du Parlement, où le « camp des
étudiants qui veulent étudier » se dresse depuis mars dans le
parc des Pionniers. Ce camp a toujours été placé sous bonne garde policière,
mais aucun incident notable n’avait encore été signalé.
Le
caractère soudain des affrontements alimente le soupçon que des provocateurs
ont pu s’en prendre à la police, d’autant que les bilans demeurent partiels et
incertains. Tard dans la soirée, le directeur de la police a tenu une
conférence de presse pour annoncer que « plusieurs dizaines
d’émeutiers et de hooligans » avaient été arrêtés, tandis que six
policiers auraient été blessés.
Les
étudiants, parlant de « nombreux blessés », ont déclaré
sur les réseaux sociaux que « les autorités disposaient de tous
les moyens et de tout le temps nécessaires pour répondre aux revendications et
prévenir l’escalade. Au lieu de cela, elles ont opté pour la violence et la
répression contre les citoyens. Toute radicalisation de la situation relève de
leur responsabilité ».
Des plénums citoyens couvrent
la Serbie d’un réseau capillaire,
grâce auquel les voisins s’informent
et se mobilisent les uns les autres.
Les unions professionnelles de journalistes
dénoncent également plusieurs cas de violences et d’intimidations, notamment
aux abords du camp des partisan·es du régime. Dimanche, les étudiant·es
faisaient état de plusieurs dizaines d’arrestations et, dans l’après-midi, des
rassemblements se sont formés pour exiger la libération des personnes
interpellées, avant que ces cortèges n’aillent grossir les barrages qui
commençaient à se former.
Sur le
rond-point d’Autokomanda, centre névralgique du trafic routier dans la
capitale, l’initiative du blocage revient au zbor de
l’arrondissement de Voždovac. Les zborovi (pluriel de zbor)
sont les plénums citoyens qui ont commencé à se former au mois de mars dans les
villages ou les quartiers des grandes villes, réinventant la démocratie directe
en reprenant le nom des assemblées villageoises traditionnelles serbes, du
temps de la domination ottomane.
Ces assemblées, où le partage de la parole est
soigneusement contrôlé et où toutes les décisions sont prises à main levée,
avaient eu tendance à s’étioler au printemps. Mais leur organisation ultra
locale couvre la Serbie d’un réseau capillaire, grâce auquel les voisin·es
s’informent et se mobilisent les un·es les autres.
Sur beaucoup de barrages, on retrouve les
habitué·es des manifestations, les volontaires qui ont accueilli les
étudiant·es lors de leurs nombreuses marches à travers la Serbie, ou ont
cuisiné pour les cantines des facultés occupées, mais aussi des curieux et
curieuses encore hésitant·es qui sortent dans la rue pour la première fois. Les
plus déterminé·es y ont passé la nuit.
Des dirigeants européens aphones
Dès le
matin, lundi 30 juin, à Belgrade, des policiers masqués ont commencé à
démanteler les barrages, sans rencontrer de résistance. Mais à peine certains
sont-ils défaits que d’autres se reforment. « Les citoyens, les
militants et les zborovi nous transmettent les informations
sur nos réseaux, et les activités sont coordonnées sur cette base »,
explique Đorđe Miketić, de l’initiative citoyenne Beograd ostaje.
« Nous
conseillons aux citoyens de maintenir les blocages de manière durable, de ne
jamais laisser quelques personnes isolées aux intersections, mais de rester en
groupes plus importants. Si la police apparaît, il est conseillé de ne pas se
disperser mais de quitter les lieux en groupes », ajoute-t-il.
Le président Vučić se félicitait
d’avoir réussi à juguler le spectre
d’une « révolution de couleur ».
Lundi après-midi, des colonnes de voitures
convergeaient vers le centre de Kragujevac, afin de bloquer totalement cette
importante ville industrielle. Le « transfert du flambeau » des
étudiant·es aux citoyen·nes suppose le passage à de multiples formes de
désobéissance civile, et les réseaux sociaux fleurissent de suggestions, comme
d’inonder de courriels les administrations publiques ou de multiplier les
retraits de petites sommes pour engorger les banques.
Le
président Vučić se félicitait ces dernières semaines d’avoir réussi à juguler
le spectre d’une « révolution de couleur », mais il a dû
revenir sur cette prétention, remerciant lundi après-midi la Russie de sa « compréhension ». Le
ministre russe des affaires étrangères, Sergueï Lavrov, a en effet mis en garde
contre le risque d’une telle « révolution colorée ».
Ce concept,
forgé après la chute de Milošević en 2000 puis les révolutions de Géorgie
(2003) et d’Ukraine (2004), suppose un fort engagement occidental dans un
scénario de changement de régime. En réalité, la prise de position russe fait
contraste avec l’assourdissant silence des responsables européens et des
chancelleries occidentales. Celles-ci se contentent, depuis des mois, de lancer
de dérisoires « appels au calme », sans jamais se
prononcer explicitement sur les exigences démocratiques du mouvement.
Si le scénario des prochains jours demeure
impossible à imaginer, le régime conserve une voie de sortie, relativement
facile à emprunter : satisfaire la revendication centrale des étudiant·es
et des citoyen·nes en convoquant des élections anticipées. À défaut, la Serbie
risque pour de bon de basculer dans l’inconnu.
Jean-Arnault Dérens