Grillo, le elezioni e l’inverno della politica
Articolo di Lidia Ravera sul Fatto del 24 febbraio 2013
Non ricordo altre elezioni
d’inverno. Dove va Ponzio Pilato a lavarsene le mani in febbraio? In Settimana
bianca? No, non ce n’è bisogno, stavolta il qualunquista, l’indifferente
cronico e l’indignato generico, hanno un posto nel teatro più gremito: la
piazza di Beppe Grillo. Li ho visti, a San Giovanni,
fra i fiduciosi principianti e gli smagati cultori del tanto peggio/tanto
meglio: avevano finalmente un leader.
Grillo, rauco e ipercinetico, su
quel palco pieno di ragazzini con la faccia da buoni, ha celebrato il suo
trionfo. Con due terzi delle ovvietà che diceva qualsiasi persona di buon senso
non poteva che essere d’accordo.
Come negare che la politica è
arrivata a un punto di non ritorno? Che i politici hanno perso il contatto con
la concretezza del vivere? La malattia, Grillo, l’ha saputa raccontare, la cura
no. Non basta ridursi lo stipendio per candidarsi a governare. Né rivendicare
la propria appartenenza alla “medietà” (uno di noi). Il movimento avrà un
risultato superiore ai già inquietanti sondaggi.
Con buona pace dei Maya, sarà
questa la fine del mondo. Di “un” mondo. E speriamo che ce ne
offrano un altro.
Commento di Sergio Ghirardi:
Ormai
sono abituato all’ignobile censura sistematica del Fatto Quotidiano di ogni analisi
che rifiuti di ridursi a spot pubblicitario. Dunque ci gioco e vi faccio parte
- a futura memoria di una democrazia reale a venire - del senso del commentuccio
che i liberi pensatori del Fatto hanno trovano reprensibile:
L'uso
del termine "ragazzini" è in questo articolo equivalente a quello di
"femminucce" tipico del patrarcato più becero quando si riferisce
alle donne.
In
un’ipotetica risposta, la
Ravera mi avrebbe magari fatto passare, come il suo degno compare
Saletti, per un adepto grillinico, per uno di destra o comunque per un idiota
alternativo di cui il loro superio di servitori volontari diffida come della
libertà. Sappia che si può votare (o no, qualche volta, in occasioni
particolari) per uscire dal peggio che pretende di rappresentarci, sapendo che
il meglio dobbiamo farcelo in prima persona e non dipende dai governanti di nessuna
parrocchia. Non ho ni dieu ni maitre
e se non frequento più i bar noiosi non ho mai messo piede nei salotti degli
intellettuali à deux balles e degli
ignoranti diplomati. Io non parlo al popolo, ma con i soggetti ancora vivi, con
i sopravvissuti di entrambi i generi.
Apparentemente,
la Ravera
imborghesita e stanca predilige il buon senso tradizionale, progressista,
femminista e cristianamente filo proletario che le garantisce il ruolo di
esibizionista mediatica prezzolata, anche se forse continua a sognare in
segreto che i maiali di Orwell abbiano le ali.
In
realtà la cultura borghese, fittiziamente alternativa a una borghesia realmente
decomposta, è incrostata nella lumpenborghesia del PD e altre varietà
ideologiche sinistre dello spettacolo dominante. Tutti ‘sti penitenti laici e
satolli hanno come unica utopia un capitalismo dal volto umano che hanno
riciclato nella spazzatura della storia dopo essersi rapidamente vergognati del
socialismo burocratico abbandonato frettolosamente sotto le macerie del muro di
Berlino.
I
proletari non hanno bisogno di un'intellighentia di sinistra che si nutre
quanto il Priapo di Arcore (più triste e leggermente meno grottesca del putrido
cavaliere ma altrettanto odiosa e mafiodipendente) della perpetuazione della
classe dei dominati da sfruttare (femmine e/o maschi che siano).
La
sinistra è il peggior prodotto della manipolazione controrivoluzionaria della
teoria del proletariato. Essa ha ridotto quelli che non hanno da perdere che le
loro catene a pecore che votano dei pastori pagati per rassicurarli sulla
persistenza dell'ovile concentrazionario.
La
sinistra inginocchiata di fronte al principio di realtà e servile del
capitalismo è il peggior prodotto della cultura fascista che inquina ancora
abbondantemente il bel paese di cemento democratico e autostrade a pedaggio low
cost (sti cazzi!).
Il
superamento di questo spettacolo di perbenismo sadomaso iscritto come una
commedia dell’arte rincoglionita nello spettacolo planetario, la Ravera lo teme come la fine
di un mondo che è anche il suo. La fine di quest’incubo, però, non sarà offerto
da nessuno se non da noi stessi e sarà l’inizio di un nuovo mondo
psicogeografico che fa altrettanta paura ai sinistri pupazzi di sinistra che
alle maldestre cariatidi di destra. E al centro scorre il fiume del
capitalismo…