Al pari della Rivoluzione francese conclusasi con il Termidoro e il Terrore, la Rivoluzione russa, una volta abbandonati i soviet a favore del potere personale, si è gradualmente trasformata in un regime totalitario basato sul terrore e sulla repressione. Il sogno di una società migliore fondata sulla libertà e il rispetto reciproco per il quale si erano generosamente spesi, nella pratica e nella teoria, i Marx e i Bakunin finì per tradursi nell'incubo della dittatura personale, nei gulag, nei processi farsa, nelle confessioni e autocritiche estorte con la manipolazione psicologica, nella degradazione degli operai al rango di servi-stacanovisti volontari del sistema, nella sottomissione della popolazione resa docile dalla propaganda e dal clima di paura che aleggiava, nella costituzione di una polizia segreta creata ad immagine e somiglianza di quella zarista ma ancor più raffinata e spietata, nell'industrializzazione e nel produttivismo forsennati culminati con l'adesione alla politica economica capitalista a partire dal 1928 (piano quinquennale). Questa morsa totalitaria, questa violenza senza limiti si è impressa come un marchio indelebile sulla carne del popolo russo, ne ha formato i cromosomi, il DNA delle generazioni a seguire. Putin è l'erede genetico di Stalin. Putin governa il suo Paese con il pugno di ferro e con il sostegno di un manipolo di oligarchi corrotti e sottomessi ai suoi voleri. Oligarchi che, con il tacito consenso dell'autocrate, si sono arricchiti sulle spalle del popolo russo e si godono il lusso sfrenato offerto loro dall'odiata società spettacolare-mercantile occidentale. Depositano somme che potrebbero sfamare intere popolazioni nei caveaux svizzeri e nei paradisi fiscali sparsi sul pianeta. Putin attua all'interno una politica mirata a soffocare la libertà di parola e all'esterno una politica “eroica” e di stampo zarista tesa alla riunificazione delle terre russe. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, complici gli europei, la Russia si è trovata in una posizione di isolamento e arretratezza e, al pari della Germania dopo il 1918, ha tentato di giocare di nuovo un ruolo espansionista in grado di riportarla all'antico splendore. Nel corso di questo processo di riaffermazione sono emerse le sostanziali differenze che dividono il mondo occidentale (al quale l'Ucraina vorrebbe aderire) e il mondo russo. Il mondo occidentale funziona incarnando le idee del pensatore inglese John Locke. Locke ha pensato il funzionamento dello Stato come un libero accordo tra i cittadini che sono liberi di gestire i propri affari... e fintanto che possono farlo vivono “pacificamente”. A tutela dello svolgimento pacifico dei propri affari vi sono i governi limitati dallo Stato di diritto che protegge la proprietà privata e tutela le opportunità democratiche di partecipazione. Il sistema capitalistico è il pendant di questa visione, di questo modo di essere. Nel mondo occidentale le guerre e i conflitti si risolvono in modo competitivo nelle sfere dell'economia e della finanza. L'Occidente ha abbandonato l'eroismo della guerra e i suoi cantori à la Ernst Jünger. Le armi vengono prodotte principalmente per essere esportate. I conflitti vengono fomentati altrove. La guerra reale sul proprio territorio non è più un'opzione dal 1945. In Russia le cose funzionano diversamente. La Russia ignora le libertà liberali, la guerra come possibilità non è stata messa al bando, anzi. La Russia si affida sostanzialmente al principio hobbesiano della forza sia all'interno che all'esterno.
La mattina del 24 febbraio,
quando è iniziata la “smilitarizzazione” dell'Ucraina il mondo occidentale è
stato colto alla sprovvista e il ritorno del rimosso, la guerra, è
improvvisamente apparso sulla scena. I puristi dell'ideologia rivoluzionaria
rinchiusi in una sfera sospesa tra la realtà e il sogno, in eterna attesa
messianica che il pianeta resusciti e si liberi dai mali generati dal dominio
reale del capitale grazie agli effetti della miracolistica, hanno subito preso
le distanze affermando che si tratta di un conflitto tra due nazioni e dunque
non ha nulla a che vedere con coloro che aspirano ad un mondo veramente altro.
Dal canto loro, i sostenitori della vecchia e incancrenita ideologia
lenino-stalinista, disposti a soprassedere a tutti i mali da essa generati, si
sono apertamente schierati dalla parte del maggior finanziatore dei partiti
sovranisti nostrani ed europei. Non fa niente: l'importante è mantenere saldo
il legame con la “Madre Russia” che ha partorito l'unica grande rivoluzione
proletaria della Storia. Che poi essa si sia subito trasformata in un regime
totalitario che ha sulla coscienza milioni di morti e la negazione dei principi
elementari della libertà chissenefrega. Un terzo schieramento è quello dei
pacifisti. Pace, pace, pace. Nessuno più di loro ha introiettato il modus
vivendi e la mentalità impostasi con l'affermarsi del neoliberalismo. Il
problema è che diventa difficile ergersi a paladini della pace quando uno Stato
che poggia la sua potenza quasi esclusivamente sull'armamentario bellico decide
di aggredirne un altro. In questo caso, indipendentemente da chi e come lo
governa, il pensiero si volge a tutti coloro che, trovandosi sotto i
bombardamenti, muoiono a causa dell'invasore. E tra costoro si trovano anche
tantissimi esseri umani che nulla hanno a che spartire con Zelensky e il suo
governo. E se una parte della popolazione ha deciso di resistere all'invasione
è bene darle il nostro se pur misero appoggio. Noi non desideriamo che il
popolo ucraino diventi vittima della morsa della violenza totalitaria. Il
popolo ucraino è la dimostrazione che “l'uomo non rinuncia mai volontariamente
alla propria libertà” (Vasilij Grossman), ed è disposto a combattere e morire
per essa. “E questa conclusione – scrive Grossman – è il faro della nostra
epoca, un faro acceso nel nostro futuro.”