lunedì 16 gennaio 2023

UNABOMBER

 



 

Mentre il Novecento stava per concludersi facendo presagire il peggio per il secolo successivo, Theodore Kaczynski – UNABOMBER per la società dello spettacolo – è finito in prima pagina con i suoi attentati seriali nel cuore degli Stati Uniti. Prima che l’assolutamente pacifica Greta Thunberg prendesse gentilmente la fiaccola dell'ecologia sociale in un'era spettacolare più recente, Theodore Kaczynski ha fatto esplodere il suo cocktail delirante ma lucido, chiaramente anti industriale (ma non altrettanto chiaramente anticapitalista, nonostante le sue letture di J. Ellul). In Kaczynski l'analisi del funzionamento del sistema è sorprendentemente acuta ma la sua lucidità è crudelmente (è il caso di dirlo!) carente di umanità. L’urgenza ossessiva di demolire quel che chiama il gauchismo (molte pagine del suo manifesto gli sono dedicate mescolando nel mucchio qualche elemento pertinente di critica radicale con una paura mistica, reazionaria, maccartista e repubblicana del fantasma del "comunismo") è legata alla sua tragica separazione tra corpo e spirito. Critica l'ideologia gauchista ma giustifica la propria, di cui non spiaccica parola.

A ragione. Perché quelle bombe a ripetizione se non per alleviare la sofferenza di un orgasmo impossibile? È intellettualmente lucido ma in nome della sua "rivoluzione" manda bombe anonime a degli sconosciuti! Come gli anti-abortisti uccide in difesa della vita! La sua peste emozionale si vendica della sua verginità.

Eppure, la pubblicazione del suo manifesto (che è, a mio avviso, un fattore subordinato al suo modus operandi) è un autentico grido in favore della vita organica pur se carico di un'esplosività pericolosa e omicida dovuta all'intimo nichilismo che lo consuma. La sua analisi, a differenza delle sue azioni, ci spinge a interrogarci sull'urgenza di una rivoluzione sociale contro una società industriale produttivista diventata ancora più esplosiva e mortale nella nostra vita quotidiana rispetto agli attacchi disperati e disperanti di Unabomber.

Rileggendo oggi il suo manifesto, ho sentito ancora una volta un malessere psichico che lo riguarda, ma, ancor più forte, un malessere sociale che riguarda tutti noi. Non è questione di cercare nel suo discorso, e ancor meno nella sua pratica, una soluzione alla questione sociale. Tuttavia, i suoi limiti e la sua violenza tragica non tolgono nulla alla pertinenza del suo esame della civiltà.

La civiltà produttivista corazza gli individui che traumatizza nella loro intimità, affliggendoli con un'impotenza orgastica maschilista che bisogna imparare a disertare, ogni volta che una crudele mancanza d'amore rende malati, sofferenti fino all'omicidio. La miscela di lucidità radicale e paranoia conformista di Kaczynski è dunque da superare, direi anzi da sminare. Ci costringe, però, a riflettere – ancor più oggi, forse, che all'epoca dei fatti – sulla gravità della situazione e sull’urgenza di porvi rimedio.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 16 gennaio 2023

Ecco un'antologia del cammino della sua tragica coscienza, tanto intimamente turbata quanto sorprendentemente pertinente, a proposito della civiltà dominante:

La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state un disastro per la specie umana. Ha allungato la durata della vita nei paesi "avanzati", ma ha destabilizzato la società, ha reso la vita alienante, ha sottoposto gli esseri umani a umiliazioni, ha permesso l'estensione della sofferenza mentale (e di quella fisica nei paesi del Terzo Mondo) e ha inflitto danni terribili alla biosfera. Il costante sviluppo della Tecnologia non farà che aggravare la situazione. Quello che dovranno subire gli uomini e la biosfera sarà sempre peggio; il caos sociale e la sofferenza mentale aumenteranno, ed è possibile che lo stesso varrà per le sofferenze fisiche, anche nei paesi “avanzati”. (2) [1]

I problemi del “gauchismo” sono quelli della nostra società nel suo insieme. Bassa autostima, tendenze depressive e disfattismo non sono appannaggio della sinistra. Sebbene siano particolarmente pronunciati nei ranghi della sinistra, questi sintomi sono onnipresenti nella nostra società. Inoltre, la società attuale sta cercando di socializzarci a un livello mai raggiunto dalle società precedenti. Siamo persino consigliati da esperti su come mangiare, come mantenerci in forma, come fare l'amore, come crescere i nostri figli e così via. (14)

Quando le persone non devono arrangiarsi per soddisfare i loro bisogni primari, si creano obiettivi artificiali. Nella maggior parte dei casi perseguono questi obiettivi con la stessa energia ed entusiasmo che utilizzerebbero se si trattasse di soddisfare un bisogno naturale. Così, gli aristocratici dell'Impero Romano avevano pretese letterarie; molti nobili europei di qualche secolo fa spendevano tempo ed energie folli a cacciare, sebbene non avessero alcun bisogno di carne; altri gareggiavano per il rango attraverso uno sfoggio di ricchezza; e alcuni, come Hirohito, si sono rivolti alla scienza. (17)

È vero che alcuni individui sembrano avere uno scarso bisogno di autonomia. Sia il loro bisogno di potere è debole, sia si soddisfano identificandosi con la potente organizzazione a cui appartengono. E, di conseguenza, sono senza cervello, come animali che si accontentano di una sensazione di potere puramente fisico (il buon soldato contento di sviluppare tecniche di combattimento con l'obiettivo di una cieca obbedienza ai suoi superiori). (20)

Tra le condizioni di vita anormali nella società industriale, possiamo citare l'eccessiva densità della popolazione, la separazione dell'uomo dalla natura, l'eccessiva rapidità dei cambiamenti di vita e il crollo di piccole comunità organiche come la famiglia allargata, il villaggio o la tribù . (22)

L'uomo primitivo, messo alle strette da una fiera o spinto dalla fame, può difendersi o andare in cerca di cibo. Non è certo che avrà successo, ma di certo non è senza risorse di fronte alle avversità. D'altra parte, l'uomo moderno è impotente di fronte agli incidenti nucleari, alle sostanze cancerogene negli alimenti, all'inquinamento, alla guerra, agli aumenti delle tasse, alle intrusioni nella sua vita privata, e in generale di fronte ai fenomeni sociali o economici a livello della nazione che possono distruggere il suo modo di vivere. (30)

Si consideri il caso del dottor Edward Teller che è ovviamente appassionato di promuovere le centrali nucleari. Questo entusiasmo può essere frenato dal desiderio di felicità dell’umanità? Se è così, perché il dottor Teller non si preoccupa di cause "umanitarie"? Se fosse così "umano", perché ha partecipato allo sviluppo della bomba H? Come per molti risultati scientifici, rimane la questione se le centrali nucleari siano benefiche per l'umanità. L'elettricità a costo ridotto vale il rischio d’incidenti e l'accumulo di rifiuti? Il dottor Teller vede solo un lato della questione. Naturalmente, il suo entusiasmo per le centrali nucleari non deriva dal desiderio di portare "felicità all'umanità", ma dalla soddisfazione personale che ha tratto dal suo lavoro e dalla sua applicazione pratica. […] Questo è vero per gli scienziati in generale. Salvo rare eccezioni, la loro motivazione non è né la curiosità né il bene dell'umanità, ma il bisogno di esercitare il loro processo di potere: avere un obiettivo (un problema scientifico da risolvere), fornire uno sforzo (la ricerca), e raggiungere quest’obiettivo (la soluzione del problema). La scienza è un'attività compensativa perché gli scienziati lavorano principalmente per la soddisfazione che traggono dal lavoro stesso. (39)

La scienza avanza dunque alla cieca, indifferente alla felicità umana o a qualsiasi altro criterio, obbedendo solo ai bisogni psicologici degli scienziati e ai funzionari governativi che concedono loro le sovvenzioni. (40)

Libertà significa poter controllare (da soli o all'interno di un PICCOLO gruppo) la propria vita fino alla morte; cibo, vestiario, riparo e difesa contro tutti i pericoli che possono sorgere nel proprio ambiente. La libertà è sinonimo di potere, non il potere di controllare gli altri, ma il potere di controllare tutte le circostanze della propria vita. Non c'è libertà se qualcuno (soprattutto una grande organizzazione) esercita il potere su un altro, anche se tale potere fosse esercitato con gentilezza, tolleranza e indulgenza. È importante non confondere il potere con un aumento d’indulgenza. (41)

Non si può disegnare sulla carta una nuova forma di società. Non può essere pianificata in anticipo e poi messa in atto sperando che funzioni come previsto. […] Le persone non scelgono consapevolmente e razionalmente la forma della loro società. Si sviluppano attraverso processi di evoluzione sociale che non sono sotto un controllo umano razionale. (45)

Cambiamenti abbastanza radicali da promuovere la libertà non potrebbero essere intrapresi perché rischierebbero di perturbare seriamente il sistema. Pertanto, qualsiasi sforzo di riforma sarebbe troppo timido per avere un qualche effetto. Anche se questi cambiamenti fossero realizzati, sarebbero scartati una volta diventati visibili i loro effetti di disturbo. Pertanto, dei cambiamenti radicali a favore della libertà possono essere realizzati solo da persone disposte ad accettare una modifica radicale, pericolosa e imprevedibile dell'intero sistema. In altri termini, da rivoluzionari, non da riformisti. (48)

La maggior parte delle persone non è in grado di influenzare le decisioni importanti che ne determinano la vita. Non esiste un modo concepibile per rimediare a questo in una società tecnologicamente avanzata. Il sistema cerca di "risolvere" questo problema attraverso la propaganda in modo che le persone VOGLIANO le decisioni prese per loro, ma anche se questa "soluzione" fosse completamente soddisfacente rendendo felici le persone, sarebbe degradante. (51)

Evidentemente, il sistema soddisfa un buon numero di desideri umani, ma in generale lo fa solo nella misura in cui ne trae beneficio. Sono i bisogni del sistema che sono primordiali, non quelli dell'essere umano. Ad esempio, il sistema fornisce cibo alla popolazione perché non potrebbe funzionare se tutti morissero di fame; provvede ai bisogni psicologici delle persone perché ciò gli porta BENEFICIO e non potrebbe neppure funzionare se troppe persone diventassero depresse o ribelli. Tuttavia, per ragioni suadenti, ovvie e imperative, deve esercitare una pressione costante sulle persone per modellare i loro comportamenti secondo le sue esigenze. (52)

Qualsiasi codice che riducesse l'ingegneria genetica a un ruolo secondario non durerebbe a lungo, poiché la tentazione offerta dall'immenso potere conferito dalla biotecnologia sarebbe irresistibile, soprattutto se alla maggioranza delle persone la maggior parte di queste applicazioni sembrasse naturalmente e inequivocabilmente "buona" (eliminazione delle malattie fisiche e mentali, possibilità di allungamento della vita, ...). Inevitabilmente, l'ingegneria genetica sarà intensivamente utilizzata, ma solo per scopi compatibili con le esigenze del sistema tecno-industriale. (55)

Un progresso tecnologico che a prima vista sembra non costituire una minaccia per la libertà si rivela spesso molto minaccioso dopo un certo tempo. Prendiamo per esempio i trasporti. Un uomo a piedi poteva praticamente andare dove voleva, al proprio ritmo senza preoccuparsi delle regole del codice della strada ed era indipendente dalle strutture tecnologiche. Quando sono apparsi i veicoli a motore, sembravano dare all'uomo più libertà. Non limitavano la libertà del pedone, nessuno aveva un'automobile se non la voleva, e chi sceglieva di possedere un'automobile poteva viaggiare molto più velocemente di un uomo a piedi. Tuttavia, l'introduzione di queste macchine ha rapidamente cambiato la società in modo tale da ridurre la libertà di movimento. Quando le automobili diventano troppo numerose, diventa necessario regolamentarne l'uso. In auto, soprattutto nelle zone densamente popolate, nessuno può spostarsi al proprio ritmo, il movimento è dettato da quello del flusso e dalle regole del codice della strada. Inoltre, l'utilizzo di un mezzo di trasporto motorizzato non è più semplicemente facoltativo. Dall'introduzione di queste macchine, la conformazione delle nostre città è talmente cambiata che la maggior parte delle persone non può più vivere senza dover percorrere lunghe distanze tra casa e lavoro, centri commerciali e altri, il che rende DIPENDENTI dall'automobile per il trasporto. Oppure la gente usa i mezzi pubblici, nel qual caso si perde ancora più libertà di movimento che prendendo l'auto. Anche la libertà del pedone è stata notevolmente limitata. In città egli è continuamente costretto a fermarsi agli stop e ai semafori che servono soprattutto a gestire il traffico automobilistico. In campagna il traffico rende estremamente pericoloso e sgradevole camminare lungo le grandi strade (Si noti il punto importante che abbiamo illustrato con il caso del trasporto motorizzato: quando un nuovo artefatto tecnologico è introdotto come opzione che un individuo può rifiutare o accettare, non RIMANE spesso facoltativo. Nella maggior parte dei casi, la nuova tecnologia cambia la società in modo tale che le persone sono COSTRETTE a usarla). (56/57)

Né gli accordi sociali, né le leggi, le istituzioni, i costumi o l'etica possono fornire una protezione duratura contro la tecnologia. (59)

È possibile che i nostri problemi ambientali (ad esempio) vengano un giorno risolti grazie a un piano chiaro e razionale, ma saranno risolti solo perché è nell'interesse a lungo termine del sistema risolvere questi problemi. NON è, però, nell'interesse del sistema preservare la libertà o l'autonomia dei piccoli gruppi. Al contrario, il suo interesse è controllare il comportamento umano sulla più vasta scala possibile. Pertanto, se delle considerazioni pratiche potranno eventualmente costringere il sistema ad agire per la preservazione dell'ambiente, considerazioni simili costringeranno il sistema a prendere in mano il comportamento umano in modo ancora più drastico (preferibilmente con mezzi indiretti che nasconderanno l'erosione della libertà). (63)

Le persone tendono a pensare che, poiché la rivoluzione genera dei cambiamenti maggiori rispetto alla riforma, sia più difficile da attuare rispetto a quest'ultima. In effetti, in certe condizioni, la rivoluzione è più agevole della riforma. Questo perché un movimento rivoluzionario può ispirare molto più entusiasmo di una riforma. Quest'ultima in generale offre solo una soluzione a un problema sociale particolare. La rivoluzione propone di risolvere tutti i problemi in una volta ricreando un mondo nuovo; essa procura un ideale a coloro che correranno i rischi maggiori e assumeranno i maggiori sacrifici. (64)

È probabile che la ricerca continuerà al fine di aumentare l'efficacia delle tecniche psicologiche di controllo del comportamento umano. Crediamo, però, che le tecniche psicologiche da sole non siano sufficienti per adattare gli esseri umani al tipo di società che la tecnologia genera. Saranno sicuramente utilizzati dei metodi biologici. Abbiamo già accennato alle medicine. La neurologia può fornire altre vie per modificare la mente umana. L'ingegneria genetica è già in atto sotto forma di "cura genetica", e non c'è motivo di pensare che tali metodi non saranno utilizzati per modificare il corpo in modo da influenzare il funzionamento mentale. (68/69)

La nostra società tende a considerare come una "malattia" qualsiasi modo di pensare o qualsiasi comportamento non conforme, ed è plausibile che un individuo che non si adatterà soffrirà non appena causerà problemi al sistema. In tal modo, ogni forma di manipolazione nei confronti degli individui è percepita come un "trattamento" contro una "malattia", e quindi come un bene. (71)

Il sistema è attualmente impegnato in una lotta disperata per risolvere dei problemi che lo minacciano, tra i quali quello del controllo comportamentale è il più importante. Se il sistema riesce abbastanza rapidamente nel suo tentativo di controllo del comportamento umano, potrà probabilmente sopravvivere. Pensiamo che ciò potrebbe essere fatto in qualche decennio, diciamo da 40 a 100 anni. (74)

Il sistema tecno-industriale non crollerà semplicemente a causa di una rivoluzione. Sarà vulnerabile solo se i suoi problemi di sviluppo interno lo avranno portato a gravi disfunzioni. Se il sistema crolla, quindi, lo farà spontaneamente oppure attraverso un processo parzialmente spontaneo, ma con l'aiuto di rivoluzionari. Se la caduta è improvvisa, molte persone moriranno, poiché demograficamente parlando, non possono più essere nutrite se non attraverso la tecnologia avanzata. Anche se il crollo è abbastanza graduale da far sì che la riduzione della popolazione avvenga attraverso il calo della natalità piuttosto che attraverso il tasso di mortalità, il processo di deindustrializzazione sarà certamente estremamente caotico e comporterà numerose sofferenze. È ingenuo credere che la tecnologia possa essere eliminata gradualmente in modo controllato, soprattutto perché i tecnofili lotteranno aspramente a ogni tappa. Di conseguenza, non c'è forse crudeltà nel volere la fine del sistema? Forse sì forse no. Prima di tutto, i rivoluzionari saranno in grado di far crollare il sistema solo se esso rimarrà invischiato in problemi così gravi da rendere probabile che crolli da solo. E più il sistema diventa onnipotente, più disastrose saranno le conseguenze del suo collasso. Pertanto, è possibile che, accelerandone la caduta, i rivoluzionari riducano l'entità dei danni. (77)

Se le macchine sono completamente autonome, non possiamo fare alcuna congettura riguardo ai risultati, perché è impossibile sapere come si comporteranno tali macchine. Vogliamo solo sottolineare che il destino della specie umana sarà in balia delle macchine. Si obietterà che la specie umana non sarà mai così pazza da lasciare tutto il potere alle macchine. Tuttavia, non intendiamo dire che il genere umano cederà volontariamente il proprio destino alle macchine, né che queste ultime diventeranno onnipotenti da sole. Quel che suggeriamo è che la specie umana potrebbe facilmente mettersi in una posizione di dipendenza tale che non ci sarebbe altra scelta che accettare tutte le decisioni delle macchine. Siccome la società e i problemi che deve affrontare diventano sempre più complessi e, allo stesso tempo, le macchine diventano sempre più intelligenti, le persone lasceranno che le macchine prendano le decisioni al loro posto, per la semplice ragione che i risultati forniti dalle macchine saranno migliori di quelli che un uomo avrebbe potuto fornire. (80)

Comunque sia, è certo che la tecnologia sta creando per l'uomo un ambiente fisico e sociale radicalmente diverso da tutti quelli cui la selezione naturale aveva adattato fisicamente e psicologicamente la specie umana. Se l'uomo non si adatta a questo nuovo ambiente essendo artificialmente formattato, vi si adatterà attraverso un doloroso processo di selezione naturale. Quest'ultimo caso è molto più probabile del precedente. (83)

Quando il sistema diventerà sufficientemente instabile e sottoposto a forti pressioni, una rivoluzione contro la tecnologia diventerà possibile. Le società di Russia e di Francia, decenni prima delle loro rispettive rivoluzioni, avevano mostrato segni crescenti di tensione e debolezza. Allo stesso tempo, si stavano sviluppando delle ideologie che offrivano una visione del mondo radicalmente diversa dall’antica. Nel caso russo, i rivoluzionari lavoravano attivamente per minare le fondamenta dell’ordine antico. Così, quando il sistema fu sottoposto a rudi pressioni (crisi finanziaria in Francia, sconfitte militari in Russia), è stato travolto dalla rivoluzione. (85)

La natura fornisce un perfetto contro-ideale alla tecnologia per diversi motivi. La natura (che è al di fuori del potere del sistema) è all'opposto della tecnologia (che cerca di aumentare indefinitamente il potere del sistema). La maggior parte delle persone stima che la Natura è bella; essa gode sicuramente di un fortissimo fascino popolare. Gli ecologisti radicali hanno GIÀ un'ideologia che esalta la natura e si oppone alla tecnologia. Non è necessario nell'interesse della natura dare atto a utopie chimeriche o a un qualunque nuovo ordine sociale. La natura si occupa molto bene di se stessa: è una creazione che esiste da molto prima che apparisse l'uomo, e durante millenni diversi tipi di società umane hanno convissuto con la natura senza infliggerle gravi danni. È solo con la Rivoluzione Industriale che gli effetti della società contro la natura si rivelano disastrosi. Per alleviare la pressione sulla natura non è necessario creare un nuovo tipo di relazioni sociali, è sufficiente sbarazzarsi della società tecnologica. (86)

La rivoluzione deve essere internazionale e planetaria. Non può essere circoscritta in un quadro nazionale. Se mai si suggerisce che gli Stati Uniti, ad esempio, debbano porre fine al progresso tecnologico e alla crescita economica, la gente diventerà isterica e urlerà che se noi non siamo tecnologicamente avanzati, lo saranno i giapponesi. Queste stesse persone impazziranno se succederà che i giapponesi vendano più automobili di noi (il nazionalismo promuove notevolmente la tecnologia). (90)

Fino a quando il sistema non sarà definitivamente smantellato, la distruzione di questo sistema deve essere l'UNICO obiettivo dei rivoluzionari. Tutti gli altri obiettivi disperderanno lo sforzo. Cosa più grave, se i rivoluzionari si permettono di perseguire altri obiettivi, saranno tentati di usare la tecnologia come mezzo per raggiungere i loro scopi. Imboccando questa via, ricadranno nella trappola tecnologica, perché la tecnologia moderna è un sistema unificato, con parti strettamente intrecciate, per cui volerne utilizzare SOLO UNA parte costringerà a utilizzarla nella sua QUASI TOTALITÀ, lasciandola alla fine quasi intatta. (92)

Distingueremo due tipi di tecnologia che chiameremo tecnologia di base (su piccola scala) e tecnologia sistemica (dipendente da grandi infrastrutture). La tecnologia di base è quella utilizzata da piccole comunità senza assistenza esterna. La tecnologia sistemica è quella delle grandi organizzazioni sociali. Siamo d'accordo che nel caso della tecnologia di base non si sono verificati casi significativi di regressione. Tuttavia, la tecnologia sistemica REGREDISCE quando crolla l'organizzazione sociale da cui dipende. Per esempio: quando l'impero romano si disintegrò, la tecnologia romana di base continuò perché qualsiasi abile artigiano di villaggio poteva, ad esempio, costruire una ventola, o un fabbro fabbricare dell'acciaio secondo metodi romani, e così via. Ma la tecnologia sistemica romana è REGREDITA. I loro acquedotti hanno finito per diventare inservibili e non sono mai stati riparati. Le loro tecniche di costruzione sono andate perdute. Il loro sistema sanitario urbano è stato dimenticato, ragion per cui quello delle città europee solo di recente ha raggiunto il livello di quello dell'antica Roma. (94)

 



[1] I numeri tra parentesi indicano il riferimento alla pagina del Manifesto in francese: http://www.inlibroveritas.net

 

                            UNABOMBER




Alors que le vingtième siècle allait terminer en laissant présager le pire pour le suivant, Theodore Kaczynski UNABOMBER pour la societé du spectacle a défrayé les chroniques avec ses attentats serials au cœur des Etats Unis. Avant que la très pacifique Greta Thunberg reprenne gentiment le flambeau de l’écologie sociale dans une époque spectaculaire plus récente, Theodore Kaczynski a fait exploser son cocktail délirant mais lucide, clairement anti industriel (mais pas aussi clairement anticapitaliste, malgré ses lectures de J. Ellul). Dans Kaczynski l'analyse du fonctionnement du système est étonnement pointue mais sa lucidité manque cruellement (c’est le cas de le dire !) d’humanité. Son urgence obsessionnelle à descendre le gauchisme (beaucoup de pages de son manifeste y sont dédiées en mélangeant en vrac des éléments pertinents de critique radicale avec une crainte mystique, réactionnaire, maccartiste et républicaine du phantasme du « communisme ») est liée à la tragique séparation du corps et de l’esprit. Il critique l’idéologie gauchiste mais il justifie la sienne dont il ne pipe pas un mot. Et pour cause. Pourquoi ces bombes à répétition sinon pour se soulager d’un orgasme impossible? Il est lucide intellectuellement mais au nom de sa « révolution » il envoie des bombes anonymes à des inconnus! Comme les anti-avortement il tue en défense de la vie! Sa peste émotionnelle se venge de sa virginité.

Et pourtant, la publication de son manifeste (qui est selon moi un facteur subordonné à son modus operandi) est un hurlement authentique en faveur de la vie organique chargé, toutefois, d’une explosivité dangereuse et meurtrière due au nihilisme intime qui le ronge. Son analyse, contrairement que ses actes, nous pousse à une interrogation sur l’urgence d’une révolution sociale contre une societé industrielle productiviste devenue encore plus explosive et meurtrière dans nos vies quotidiennes que les attentats désespérés et désespérants d’Unabomber.

En relisant aujourd’hui son manifeste j’ai ressenti, encore une fois, un malaise psychique le concernant, mais, plus fort encore, un malaise sociale nous concernant tous. Il n’est pas question de chercher dans son discours, et encore moins dans sa pratique, une solution à la question sociale. Néanmoins, ses limites et sa violence tragique n’enlèvent rien à la pertinence de son constat sur la civilisation.

La civilisation productiviste carapace les individus qu’elle traumatise dans leur intimité, les pestiférant d’une impuissance orgastique machiste qu’il faut apprendre à déserter, à chaque fois qu’une cruelle manque d’amour rend malades, aigris jusqu’au meurtre. Le mélange de lucidité radicale et de paranoïa conformiste de Kaczynski est donc à dépasser, je dirais plutôt à déminer. Il nous oblige, toutefois, à réfléchir encore plus aujourd’hui, peut-être, qu’à l’époque des faits sur la gravité de la situation et sur l’urgence d’y remédier.

Voici un florilège du cheminement de sa conscience tragique, autant intimement troublée qu’étonnement pertinente, concernant la civilisation dominante :

La révolution industrielle et ses conséquences ont été un désastre pour la race humaine. Elle a accru la durée de vie dans les pays « avancés », mais a déstabilisé la société, a rendu la vie aliénante, a soumis les êtres humains a des humiliations, a permis l'extension de la souffrance mentale (et de la souffrance physique dans les pays du Tiers-Monde) et a infligé des dommages terribles à la biosphère. Le développement constant de la Technologie ne fera qu'aggraver la situation. Ce qu'auront à subir les hommes et la biosphère sera de pire en pire ; le chaos social et les souffrances mentales s'accroîtront, et il est possible qu'il en aille de même pour les souffrances physiques, y compris dans les pays « avancés ». (2) [1]

Les problèmes du « gauchisme » sont ceux de notre société dans son ensemble. Faible estime de soi, tendances dépressives et défaitisme ne sont pas l'apanage de la gauche. Bien qu'ils soient particulièrement prononcés dans les rangs de la gauche, ils sont omniprésents dans notre société. Et la société actuelle essaie de nous socialiser à un degré jamais atteint par les sociétés précédentes. Nous sommes même conseillés par des experts pour manger, pour nous maintenir en forme, pour faire l'amour, pour élever nos enfants et ainsi de suite. (14)

Quand les gens n'ont pas à se débrouiller pour satisfaire leurs besoins primaires, ils se créent des buts artificiels. Dans la majorité des cas, ils poursuivent ces buts avec la même énergie et le même enthousiasme que s'il s'agissait d'assouvir un besoin naturel. Ainsi, les aristocrates de l'empire romain avaient des prétentions littéraires ; de nombreux nobles européens d'il y a quelques siècles dépensaient un temps et une énergie folle à la chasse, bien qu'ils n'aient eu nul besoin de la viande; d'autres sont entrés en compétition pour leur rang par un étalage de richesses ; et quelques uns, comme Hirohito, se sont tournés vers la science. (17)

Il est vrai que certains individus ne semblent avoir qu'un faible besoin d'autonomie. Soit leur besoin de pouvoir est faible, soit ils se satisfont en s'identifiant à la puissante organisation à laquelle ils appartiennent. Et, de ce fait, ils sont décervelés, comme des animaux qui se satisfont d'un sentiment de pouvoir purement physique (le bon soldat content de développer des techniques de combat dans le but d'une obéissance aveugle à ses supérieurs). (20)

Parmi les conditions de vie anormales dans la société industrielle, nous pouvons citer la densité excessive de la population, la coupure de l'homme avec la nature, la trop grande rapidité des changements de vie, et l'effondrement des petites communautés organiques comme la famille étendue, le village ou la tribu. (22)

L'homme primitif, acculé par un fauve ou poussé par la faim, peut se défendre ou partir à la recherche de nourriture. Il n'est pas certain de réussir, mais il n'est certainement pas sans ressource face à l'adversité. D'un autre côté, l'homme moderne est démuni face aux accidents nucléaires, aux substances cancérigènes dans la nourriture, à la pollution, la guerre, l'augmentation des impôts, les intrusions dans sa vie privée, et en général face aux phénomènes sociaux ou économiques à l'échelle de la nation qui peuvent détruire son mode de vie. (30)

Considérons le cas du Dr Edward Teller qui est de toute évidence passionné par la promotion des centrales nucléaires. Est-ce que cet enthousiasme peut être refréné par le désir du bonheur de l'humanité ? Si c'est le cas, pourquoi le Dr Teller n'est pas préoccupé par les causes "humanitaires" ? S'il était si "humain", pourquoi a-t'il participé au développement de la bombe H ? Comme pour beaucoup de réalisations scientifiques, la question reste ouverte de savoir si les centrales nucléaires sont bénéfiques pour l'humanité. Est-ce que l'électricité à moindre coût vaut les risques d'accidents et l'accumulation des déchets ? Le Dr Teller ne voit qu'un aspect de la question. Evidemment, son enthousiasme pour les centrales nucléaires ne provient pas d'un désir de faire le "bonheur de l'humanité", mais de la satisfaction personnelle qu'il a tirée de son travail et de son application pratique. […] Ceci est vrai pour les scientifiques en général. A de rares exceptions près, leur motivation n'est ni la curiosité, ni le bien de l'humanité, mais le besoin d'exercer leur processus de pouvoir : avoir un but (un problème scientifique à résoudre), fournir un effort (la recherche), et atteindre ce but (la solution du problème). La science est une activité compensatrice car les scientifiques travaillent principalement pour la satisfaction qu'ils retirent du travail lui-même. (39)

Ainsi la science avance en aveugle, indifférente au bonheur des hommes ou à tout autre critère, obéissant seulement aux besoins psychologiques des scientifiques et aux officiels du gouvernement qui leur accordent les subventions. (40)

La liberté signifie être en mesure de contrôler (soit seul, soit au sein d'un PETIT groupe) sa propre vie jusqu'à sa mort ; nourriture, habillement, gîte, et défense contre tous les dangers qui peuvent advenir dans son environnement. La liberté est synonyme de pouvoir, pas le pouvoir de contrôler les autres, mais le pouvoir de contrôler toutes les circonstances de sa propre vie. Il n'y a pas de liberté si quelqu'un (et spécialement une grande organisation) exerce le pouvoir sur un autre, quand bien même ce pouvoir serait exercé avec bonté, tolérance et permissivité. Il est important de ne pas confondre pouvoir avec un surcroît de permissivité. (41)

Une nouvelle forme de société ne peut pas être conçue sur le papier. Elle ne peut être planifiée à l'avance, puis mise en place en espérant qu'elle fonctionne comme il a été prévu. […] Les gens ne choisissent pas consciemment et rationnellement la forme de leur société. Elles se développent suivant des processus d'évolution sociale qui ne sont pas sous un contrôle humain rationnel. (45)

Des changements assez radicaux pour promouvoir la liberté ne pourraient être entrepris car il risqueraient de gravement perturber le système. Ainsi, tout effort de reforme serait trop timide pour avoir de l'effet. Même si ces changements étaient accomplis, ils seraient abandonnés une fois leurs effets perturbants devenus apparents. Ainsi, des changements radicaux en faveur de la liberté ne peuvent être accomplis uniquement que par des gens prêts à accepter une modification radicale, dangereuse et imprévisible de l'ensemble du système. En d'autres termes, par des révolutionnaires, pas des réformistes. (48)

La plupart des individus sont incapables d'exercer une influence sur les décisions importantes qui affectent leurs vies. Il n'y a aucun moyen concevable de remédier à cela dans une société technologiquement avancée. Le système essaie de « résoudre » ce problème par le biais de la propagande de façon à ce que les gens VEUILLENT ces décisions prises pour eux, mais même si cette « solution » était complètement satisfaisante en rendant les gens heureux, ce serait dégradant. (51)

Evidemment, le système satisfait bon nombre de désirs humains, mais en général, il ne le fait que dans la mesure où il retire avantage à le faire. Ce sont les besoins du système qui sont primordiaux, pas ceux de l'être humain. Par exemple, le système fournit de la nourriture à la population, car il ne pourrait fonctionner si tout le monde mourrait de faim ; il pourvoit aux besoins psychologiques des gens puisque cela lui est AVANTAGEUX, car il ne pourrait pas non plus fonctionner si trop de personnes devenaient dépressives ou rebelles. Mais, pour des raisons imparables, évidentes et impérieuses, il doit exercer une constante pression sur les gens de façon à modeler leurs comportements suivant ses besoins. (52)

Tout code qui réduirait l'ingénierie génétique à un rôle mineur ne tiendrait pas longtemps, car la tentation offerte par l'immense pouvoir que confère la biotechnologie serait irrésistible, spécialement dans le cas où pour la majorité des gens la plupart de ces applications sembleraient naturellement et univoquement "bonnes" (élimination des maladies physiques et mentales, possibilité d'accroître la durée de vie, ...). Inévitablement, l'ingénierie génétique sera intensivement utilisée, mais uniquement dans des buts compatibles avec les besoins du système techno-industriel. (55)

Une avancée technologique qui apparaît à première vue comme ne présentant pas de danger pour la liberté se révèle souvent très menaçante au bout d'un certain temps. Par exemple, considérons les transports. Un homme à pied pouvait pratiquement aller où bon lui semblait, à son rythme sans s'occuper des règles du code de la route et était indépendant des structures technologiques. Quand les véhicules à moteurs sont apparus, ils semblaient devoir donner plus de liberté à l'homme. Ils n'empiétaient pas sur la liberté du piéton, personne n'avait d'automobile s'il n'en voulait pas, et celui qui choisissait de posséder une automobile pouvait voyager beaucoup plus vite qu'un homme à pied. Mais l'introduction de ces engins a rapidement changé la société de telle façon que la liberté de se déplacer s'en est trouvée restreinte. Quand les automobiles deviennent trop nombreuses, il devient nécessaire de réglementer leur usage. Dans une voiture, tout spécialement dans les zones fortement peuplées, personne ne peut se déplacer à son rythme, le mouvement est dicté par celui du flot et par les règles du code de la route. De surcroît, l'utilisation d'un moyen de transport motorisé n'est plus simplement optionnelle. Depuis l'introduction de ces engins, la conformation de nos villes a tellement changé que la plupart des gens ne peuvent plus vivre sans avoir à se déplacer sur de longues distances entre leur domicile et leur travail, les centres commerciaux, et autres, ce qui fait qu'ils DEPENDENT de l'automobile pour le transport. Ou bien ils utilisent les transports publics, auquel cas ils ont encore plus perdu quant à leur liberté de déplacement qu'en prenant la voiture. Même la liberté du piéton a été considérablement restreinte. En ville, il est continuellement obligé de s'arrêter aux stops et aux feux qui servent principalement à gérer le trafic automobile. A la campagne le trafic rend la marche extrêmement dangereuse et déplaisante le long des grands-routes (Notez le point important que nous avons illustré avec le cas du transport motorisé : quand un nouvel artefact technologique est introduit en tant qu'option qu'un individu peut refuser ou accepter, il ne RESTE pas souvent optionnel. Dans la majorité des cas, la nouvelle technologie change la société de telle façon que les gens se trouvent CONTRAINTS de l'utiliser). (56/57)

Ni les accords sociaux, ni les lois, les institutions, les coutumes ou l'éthique ne peuvent fournir une protection durable contre la technologie. (59)

Il est possible que nos problèmes d'environnement (par exemple) soient un jour résolus grâce à un plan clair et rationnel, mais ils ne le seront que parce que cela rentre dans les intérêts à long terme du système de résoudre ces problèmes. Mais ce n'est PAS dans l'intérêt du système de préserver la liberté ou l'autonomie des petits groupes. Au contraire, son intérêt est de contrôler le comportement humain sur la plus large échelle possible. Ainsi, si des considérations pratiques pourront éventuellement forcer le système à entreprendre une action pour la préservation de l'environnement, de semblables considérations forceront le système à prendre en main de façon encore plus drastique le comportement humain (de préférence par des moyens indirects qui dissimuleront l'effritement de la liberté). (63)

Les gens ont tendance à penser que du fait que la révolution engendre de plus grands changements que la réforme, elle est plus difficile à mettre en œuvre que cette dernière. En fait dans certaines conditions, la révolution est plus aisée que la réforme. Ceci vient de ce qu'un mouvement révolutionnaire peut inspirer bien plus d'enthousiasme qu'une réforme. Cette dernière en général n'offre qu'une solution à un problème social particulier. La révolution propose de résoudre tous les problèmes en une fois et recréer un monde nouveau ; elle procure un idéal à ceux qui prendront les plus grands risques et assumeront les plus grands sacrifices. (64)

Il est probable que la recherche continuera pour augmenter l'efficience des techniques psychologiques pour contrôler le comportement humain. Mais nous pensons que les techniques psychologiques seules sont insuffisantes pour adapter les êtres humains au type de société que secrète la technologie. Des méthodes biologiques seront certainement utilisées. Nous avons déjà fait mention des médicaments. La neurologie peut fournir d'autres voies pour modifier l'esprit humain. L'ingénierie génétique est déjà en train de se mettre en place sous la forme du « soin génétique », et il n'y a pas de raison de penser que de telles méthodes ne seront pas utilisées pour modifier le corps de façon à affecter le fonctionnement mental. (68/69)

Notre société a tendance à regarder comme une « maladie » quelque mode de pensée ou quelque comportement qui n'est pas conforme, et il est plausible qu'un individu qui ne s'adaptera pas souffrira en même temps qu'il posera des problèmes au système. De cette façon, toutes les formes de manipulations à l'encontre des individus sont perçues comme un « traitement » contre une « maladie », et donc comme un bien. (71)

Le système est actuellement engagé dans un combat désespéré pour résoudre des problèmes qui le menacent, parmi lesquels celui du contrôle comportemental est le plus important. Si le système réussit assez rapidement dans son entreprise de contrôle du comportement humain, il pourra probablement survivre. Nous pensons que cela pourrait se faire d'ici quelques décades, disons 40 à 100 ans. (74)

Le système techno-industriel ne s'effondrera pas simplement du fait d'une révolution. Il n'y sera vulnérable que si ses propres problèmes de développement interne l'ont conduit à de graves dysfonctionnements. Ainsi, si le système s'écroule, il le fera soit spontanément, soit suivant un processus en partie spontané, mais avec l'aide de révolutionnaires. Si la chute est soudaine, de nombreuses personnes mourront, puisque démographiquement parlant, ils ne peuvent plus être nourris que par le biais de la technologie avancée. Même si l'effondrement est suffisamment graduel pour que la réduction de la population se fasse plutôt par le déclin du taux de natalité que par celui du taux de mortalité, le processus de désindustrialisation sera certainement extrêmement chaotique et entraînera de nombreuses souffrances. Il est naïf de croire que la technologie peut-être éliminée par phases graduelles de manière contrôlée, tout particulièrement parce que les technophiles se battront avec acharnement à chaque étape. En conséquence, n'y a t'il pas de la cruauté à vouloir la fin du système ? Peut-être que oui, peut-être que non. Tout d'abord, les révolutionnaires ne seront capables d'abattre le système que s'il se trouve empêtré dans de graves problèmes tels qu'il est probable qu'il se disloque de lui-même. Et plus le système devient omnipotent, plus désastreuses seront les conséquences de son effondrement. Ainsi, il est possible qu'en hâtant la chute, les révolutionnaires réduisent l'étendue des dégâts. (77)

Si les machines sont complètement autonomes, nous ne pouvons faire aucune conjecture quant aux résultats, car il est impossible de savoir comment de telles machines se comporteront. Nous voulons juste signaler que le destin de la race humaine sera à la merci des machines. On rétorquera que la race humaine ne sera jamais assez folle pour laisser tout le pouvoir aux machines. Mais nous ne voulons pas dire que la race humaine abandonnera volontairement sa destinée aux machines, ni que ces dernières deviendront omnipotentes de leur propre chef. Ce que nous suggérons, c'est que la race humaine pourrait facilement se mettre dans une position de dépendance telle qu'il n'y aurait pas d'autre choix que d'accepter toutes les décisions des machines. Comme la société et les problèmes auxquels elle est confrontée deviennent de plus en plus complexes, et, que dans le même temps, les machines deviennent de plus en plus intelligentes, les gens laisseront les machines prendre les décisions à leur place, pour la simple raison que les résultats fournis par les machines seront meilleurs que ceux qu'aurait pu fournir un homme. (80)

Quoi qu'il en soit, il est certain que la technologie est en train de créer pour l'homme un environnement physique et social radicalement différent de tous ceux auxquels la sélection naturelle avait adapté la race humaine physiquement et psychologiquement. Si l'homme ne s'adapte pas à ce nouvel environnement en étant artificiellement formaté, alors, il s'y adaptera au long d'un douloureux processus de sélection naturelle. Ce dernier cas est de loin plus probable que le précédent. (83)

Quand le système deviendra suffisamment instable et soumis à de rudes pressions, une révolution contre la technologie deviendra possible. Les sociétés russes et françaises, plusieurs décades avant leurs révolutions respectives, avaient montré des signes croissants de tensions et de faiblesse. Dans le même temps, des idéologies étaient développées qui offraient une vue du monde radicalement différente de l'ancienne. Dans le cas russe, les révolutionnaires travaillaient activement à saper les fondements de l'ordre ancien. Ainsi, lorsque le système fut soumis à des rudes pressions (crise financière en France, défaites militaires en Russie), il fut balayé par la révolution. (85)

La Nature fournit un contre-idéal parfait à la technologie pour plusieurs raisons. La nature (qui est en dehors du pouvoir du système) est à l'opposé de la technologie (qui cherche à accroître indéfiniment le pouvoir du système). La plupart des gens estiment que la Nature est belle ; elle bénéficie certainement d'un très fort attrait populaire. Les écologistes radicaux ont DEJA une idéologie qui exalte la nature et s'oppose à la technologie. Il n'est pas nécessaire dans l'intérêt de la nature de mettre en œuvre des utopies chimériques ou un quelconque ordre social nouveau. La nature s'occupe très bien d'elle-même : c'est une création qui a existé longtemps avant que l'homme n'apparaisse, et durant des millénaires différents types de sociétés humaines ont coexisté avec la nature sans lui infliger de sérieux dommages. Ce ne fut qu'avec la Révolution Industrielle que les effets de la société contre la nature s'avèrent désastreux. Pour lever la pression sur la nature, il n'est pas nécessaire de créer un nouveau type de rapports sociaux, il suffit de se débarrasser de la société technologique. (86)

La révolution doit être internationale et à l'échelle de la planète. Elle ne peut être circonscrite dans un cadre national. Si jamais il est suggéré que les Etats-Unis, par exemple, doivent en finir avec le progrès technologique et la croissance économique, les gens deviendront hystériques et hurleront que si nous ne sommes pas à la pointe de la technologie, les japonais le seront. Ces mêmes personnes deviendront comme folles s'il advient que les japonais vendent plus de voitures que nous (Le nationalisme promeut grandement la technologie). (90)

Jusqu'à ce que le système soit définitivement démantibulé, la destruction de ce système doit être l'UNIQUE but des révolutionnaires. Tous les autres buts disperseront l'effort. Plus grave, si les révolutionnaires se permettent de poursuivre d'autres buts, ils seront tentés d'utiliser la technologie comme moyen d'arriver à leurs fins. S'ils donnent dans ce travers, ils retomberont dans le piège technologique, car la technologie moderne est un système unifié, aux parties étroitement imbriquées, ce qui fait que vouloir n'en n'utiliser QU'UNE partie obligera à l'utiliser dans sa QUASI-TOTALITE, ce qui au bout du compte la laissera presque intacte. (92)

Nous distinguerons deux types de technologie que nous appellerons technologie de base (à petite échelle) et technologie systémique (dépendante de grosses infrastructures). La technologie de base est celle qui est utilisée par de petites communautés sans assistance extérieure. La technologie systémique est celle des grosses organisations sociales. Nous sommes d'accord que dans le cas de la technologie de base, aucun exemple de régression significatif n'a eu lieu. Mais la technologie systémique REGRESSE quand l'organisation sociale dont elle dépend s'effondre. Par exemple : quand l'empire Romain se désintégra, la technologie de base romaine perdura car n'importe quel artisan adroit de village pouvait, par exemple, construire une roue à aube, ou un forgeron faire de l'acier suivant les méthodes romaines, et ainsi de suite. Mais la technologie romaine systémique, elle, REGRESSA. Leurs aqueducs finirent par être hors d'usage et ne furent jamais réparés. Leurs techniques de construction furent perdues. Leur système sanitaire urbain fut oublié, ce qui fait que celui des villes européennes n'atteint que récemment le niveau de celui de la Rome antique. (94)

 

 

SGS, 16 janvier 2023

 

 

 

 

 

 

 



[1] Les numéros entre parenthèses indiquent la reference de la page du Manifeste. http://www.inlibroveritas.net

 

domenica 15 gennaio 2023

Cambiamento climatico: Total sapeva Di Alexandre-Reza Kokabi per Reporterre

Una petroliera di proprietà di Total al largo delle coste dell'Angola nel 2018. © Rodger Bosch / AFP

 


Da mezzo secolo Total sa che le sue attività contribuiscono al riscaldamento globale. Reazione della major petrolifera? Distogliere lo sguardo, instillare dubbi sulla veridicità dei dati scientifici e poi ritardare ogni ambiziosa politica di controllo, come dimostrano tre ricercatori in uno studio.

Mezzo secolo. Da almeno cinquant'anni Total è consapevole dell'esistenza del cambiamento climatico, delle sue cause e delle sue conseguenze. Tuttavia, la major petrolifera ha smentito a lungo questi allarmi e diffuso il dubbio sullo stato delle conoscenze scientifiche per estrarre sempre più combustibili fossili. Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da ricercatori in scienze umane sulla posizione assunta da Total – e da Elf, assorbito da Total nel 1999 – rispetto al suo contributo al cambiamento climatico negli ultimi cinquant'anni.

Pubblicato mercoledì 20 ottobre sulla rivista Global Environmental Change, lo studio è stato condotto dai ricercatori francesi Christophe Bonneuil, Pierre-Louis Choquet e dall'americano Benjamin Franta da archivi e interviste con ex dirigenti di Total ed Elf. Questo studio fornisce una nuova prospettiva sulle multinazionali francesi – una ricerca di questo tipo è stata finora condotta principalmente in ambito anglosassone. Queste ricerche sono preziose per aggiornare sugli sforzi compiuti dall'industria degli idrocarburi per produrre ignoranza sul cambiamento climatico e lottare contro il disciplinamento delle sue attività. Azioni politiche con conseguenze disastrose: l'estrazione annuale di combustibili fossili è aumentata di sette volte negli ultimi settant'anni e venti aziende nel settore dei combustibili fossili sono responsabili di oltre un terzo delle emissioni totali di gas serra nel mondo dal 1965.

Nel 1971 Total sapeva: la sua stessa rivista faceva il collegamento tra il riscaldamento globale e gli idrocarburi.

Da quando Total sapeva dell'esistenza del cambiamento climatico? Dall'inizio degli anni '50, diversi attori dell'industria petrolifera, in particolare i membri dell'American Petroleum Institute (API), avevano ricevuto delle segnalazioni. Hanno commissionato delle ricerche sull'argomento alla fine degli anni sessanta. Questi lavori già concludevano che un crescente uso di combustibili fossili avrebbe contribuito a un riscaldamento climatico con gravi conseguenze per le popolazioni del mondo. Total, membro dell'API attraverso la sua filiale nordamericana, potrebbe aver avuto accesso a questi risultati.

In maniera più certa, la ricerca di MM. Bonneuil, Choquet e Franta mostra che Total era pienamente consapevole del potenziale distruttivo dei suoi prodotti sul clima terrestre nel 1971. Quell'anno, un articolo pubblicato sulla rivista dell'azienda, Total Information, sviluppava previsioni che si sono rivelate, in seguito, premonitrici.

“Dal diciannovesimo secolo, gli esseri umani bruciano combustibili fossili, carbone e idrocarburi in quantità crescenti ogni giorno. Quest’operazione comporta il rilascio di enormi quantità di anidride carbonica, ha affermato il geografo François Durand-Dastès, autore di un articolo intitolato “L'inquinamento atmosferico e il clima”. “Se il consumo di carbone e petrolio manterrà lo stesso ritmo negli anni a venire, la concentrazione di anidride carbonica potrebbe raggiungere le 400 parti per milione [1] intorno al 2010”.



« Total information » - no 47 / 1971

L'autore, temendo un aumento della temperatura media dell'atmosfera, ha definito “piuttosto preoccupante” l'aumento della concentrazione di anidride carbonica. “La circolazione atmosferica potrebbe essere modificata, e non è impossibile, secondo alcuni, prevedere uno scioglimento almeno parziale delle calotte polari, che comporterebbe sicuramente un significativo innalzamento del livello del mare. Le sue conseguenze catastrofiche sono facili da immaginare” ha scritto.

Negli anni seguenti apparvero un numero crescente di studi e la responsabilità delle attività umane nei cambiamenti climatici divenne sempre più comprovata. Era persino nel menu della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel 1972. L'anno successivo, il candidato ambientalista alle elezioni presidenziali francesi del 1974, René Dumont, pubblicava il suo bestseller L'utopia o la morte (Le Seuil, 1973), che annunciava “cambiamenti climatici irreversibili”.

A quel tempo, c'era ancora molta incertezza sul cambiamento climatico. Tuttavia, la consapevolezza che l'atmosfera è fragile, che non è un serbatoio in cui si può gettare qualsiasi cosa, stava diventando sempre più forte”, ha detto a Reporterre lo storico della scienza Christophe Bonneuil, uno degli autori dello studio.

Di fronte agli avvisi, Total ha optato per la "cecità volontaria"

Esposto a questi allarmi persino sulla propria rivista, come ha reagito Total? Gli autori indicano che la major petrolifera, così come la sua filiale Elfo, è entrata in uno stato di "cecità volontaria". L'esame delle riviste di Total ed Elf pubblicate tra il 1965 e il 2010 mostra che non hanno affrontato neppure una volta il cambiamento climatico dal 1972 al 1988, neanche dopo la Conferenza mondiale sul clima di Ginevra del 1979 o il rapporto de l’US National Research Council Report dello stesso anno. Dopo la sua pubblicazione, la rivista Nature aveva descritto il riscaldamento globale come "il problema ambientale più significativo nel mondo di oggi".

La raffineria di Sasolburg, 100 km a sud-ovest di Johannesburg, in Sudafrica, è stata inaugurata da Total nel 1971.

 



 

Durante questo periodo, Total ha investito molto nel carbone in seguito allo shock petrolifero del 1973, in particolare unendo le forze con la società britannica BP per sfruttare le riserve di carbone della miniera di Ermelo in Sud Africa nel 1976, o aumentando la sua capacità di importazione di carbone nel porto francese di Le Havre.

Sulla difensiva, la major ha istillato il dubbio sui dati prodotti dagli scienziati

Dagli anni '80, fingere ignoranza è diventata insostenibile per le compagnie petrolifere. “Gli allarmi sono diventati troppo numerosi e, allo stesso tempo, i politici hanno iniziato a immaginare misure normative, racconta Christophe Bonneuil. Per risposta, l'industria petrolifera si è organizzata per scambiarsi linguaggi e strategie per rallentare o addirittura bloccare qualsiasi decisione politica ambiziosa. »

Nel 1984, la major Exxon, che ha condotto diverse ricerche sul cambiamento climatico, ha assunto la guida del movimento di difesa delle compagnie petrolifere. “Forse perché la questione sembrava loro diventare troppo importante e richiedeva una risposta collettiva da parte della professione, hanno deciso di condividere la loro preoccupazione con le altre compagnie”, ha dichiarato agli autori dello studio Bernard Tramier, direttore della sezione ambientale di Elf dal 1983 al 1999. All'inizio del 1986, egli stesso ha inviato un rapporto al comitato esecutivo di Elf in cui spiegava che il riscaldamento globale era inevitabile e richiedeva al settore una strategia difensiva.

Questo è stato l'inizio di una serie di ripetuti attacchi da parte delle compagnie petrolifere contro le scienze del clima. “Finora, dice Christophe Bonneuil, si pensava che le compagnie campionesse francesi fossero più virtuose e non avessero partecipato a questa fabbrica del dubbio. Il nostro lavoro dimostra il contrario”. Lo studio rivela che insieme con altre major, in particolare all'interno dell'International Petroleum Industry Environmental Conservation Association (IPIECA), Total ed Elf hanno affinato il loro lobbismo contro le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra.

“Le major francesi hanno partecipato alla fabbrica del dubbio”.

Nel 1988, durante un incontro presso la sede di Total, fu creato un "gruppo di lavoro sui cambiamenti climatici nel mondo", presieduto da Duane LeVine, incaricato dello sviluppo strategico e scientifico di Exxon e composto di rappresentanti delle principali compagnie petrolifere mondiali. L'anno successivo, il gruppo ha inviato un documento strategico ai membri dell'IPIECA in cui Duane LeVine raccomandava di evidenziare le incertezze legate alla scienza del clima e il costo economico delle misure normative, al fine di sconfiggere le politiche pubbliche suscettibili di "ricomporre... il mix energetico" con meno energie fossili.

Negli anni che seguirono, Exxon mantenne la posizione dominante sulla strategia delle compagnie petrolifere, tra cui Total ed Elf. “Ci andava bene perché non avevamo le conoscenze né i mezzi per pesare nella comunità scientifica, nel procedimento dell’IPCC [l'IPCC designa, in inglese, il Gruppo intergovernativo di esperti sull’evoluzione del clima (GIEC)] e delle Nazioni Unite, ha dichiarato Bernard Tramier agli autori. Eravamo seguaci di Exxon […]. Quello che non volevamo era che fossero prese decisioni drastiche prima che ci fosse certezza sulla realtà e la portata del riscaldamento antropogenico. »

Il signor Tramier, presidente di Ipieca tra il 1991 e il 1994, ad esempio ha approvato il finanziamento delle ricerche scientifiche per trovare i punti deboli dei modelli climatici e poter presentare il riscaldamento climatico come meno allarmante [2]. All'inizio degli anni '90, Elf ha cominciato anche a collocare giovani ingegneri appena laureati nei migliori laboratori di climatologia per monitorare gli ultimi sviluppi della climatologia.

Nella loro comunicazione e lobbying, Total ed Elf hanno diffuso il dubbio circa la realtà del cambiamento climatico, in parte per sconfiggere – con successo – la tassazione dell'energia o del carbonio nei primi anni 1990. “Non esiste alcuna certezza sull'impatto delle attività umane, inclusa la combustione di energie fossili”, dichiarava nel 1992 Jean-Philippe Caruette, direttore ambientale di Total, sulla rivista della società. Poche settimane dopo, al vertice di Rio, Total ha distribuito un dossier in cui si afferma che "i notevoli progressi compiuti in climatologia dall'inizio del secolo non hanno permesso di dissipare le incertezze sull'effetto serra". Nel marzo 1993, Francis Girault, direttore della prospettiva, dell'economia e della strategia presso Elf e stretto consigliere dell'amministratore delegato della società, ha scritto una nota per il comitato di direzione della società in cui sosteneva esplicitamente una strategia di dubbio offensivo e proponeva di identificare degli "scienziati di fama capaci d’intervenire positivamente nel dibattito”.

Una nuova strategia: ridurre al minimo l'emergenza climatica e praticare il greenwashing

Gli autori rivelano che, a poco a poco, i dirigenti delle compagnie hanno cominciato a sentirsi a disagio, la posizione di contestazione del consenso scientifico diventando controproducente di fronte ai progressi delle conoscenze e all'impegno della società civile. Dalla fine degli anni '90, Elf e Total si sono progressivamente allontanate da questa strategia, pur continuando a investire massicciamente in petrolio e gas [3]. "In Elf, ad esempio, è stato intorno al 1996 che questa linea meno aggressivamente climatonegazionista ha avuto la meglio internamente", afferma Christophe Bonneuil. “Elf non era qualcosa di omogeneo, a un certo punto c'è stata una specie di battaglia. E poco prima della COP3 di Kyoto nel 1997, il direttore generale Philippe Jaffré ha [anche] optato per quest'altra strategia”.

Nel 2030, nonostante una comunicazione concentrata sull'energia verde, l'85% dell'energia prodotta da Total sarà costituita da combustibili fossili, secondo la comunicazione ufficiale del gruppo. Screenshot del sito web di Total.

Invece di contestare sistematicamente la realtà del riscaldamento climatico, la nuova strategia è consistita nel sottostimare l'urgenza e mostrare una buona volontà ecologica. In programma: misure interne per vedere dove ridurre "con poche spese" le emissioni di gas serra, la promozione di impegni volontaristici, un sistema di scambio dei diritti di emissioni, oppure la sponsorizzazione da parte di Elf di studi sulle foreste tropicali condotti dal botanico francese Francis Hallé nel 1989, dei partenariati con parchi nazionali e regionali francesi o ancora il mecenatismo di Total per la ricerca sulla preservazione della biodiversità marina.

Nel settembre 2006, questa progressiva evoluzione di Total – che nel frattempo aveva acquisito Elf e la compagnia belga Petrofina – è culminata nell'organizzazione di un convegno sul cambiamento climatico. Di fronte a 280 personalità scientifiche, la compagnia petrolifera ha giurato fedeltà ai rapporti del Giec. "Il Giec adempie perfettamente alla sua missione federatrice e la serietà dei suoi rapporti non è messa in discussione", ha dichiarato Thierry Desmarest, direttore generale di Total, nel suo discorso inaugurale.

Questo quadro ha permesso a Total di presentarsi come un gruppo ricettivo nei confronti della comunità scientifica e di nascondere i propri investimenti nella produzione di combustibili fossili dietro una narrazione positiva sulla transizione energetica, di porsi come legittimo nel definire i propri scenari di riduzione delle emissioni”, dice l'autore Christophe Bonneuil. “Ciò consente a Total di prendere tempo, di continuare a investire massicciamente nelle energie fossili”.

Da allora, Total ha continuato a intensificare i suoi sforzi per darsi un'immagine di leader nell'azione per il clima [4]. L'acme di questo inverdimento: nel 2021, Total si è ribattezzata Total Energies e ha aumentato i suoi investimenti in fonti energetiche non fossili. “Che cosa ci dice che questo nuovo nome è più di un gadget?” si chiede Christophe Bonneuil.

Leggere anche: “In Uganda e Tanzania, i progetti Total provocano carestie e abbandono scolastico”.

Dietro questa facciata, il periodo 2015-2019 è stato segnato dalla spesa di settantasette miliardi di dollari (66 miliardi di euro) in cinque anni dedicati all'esplorazione e alla produzione di petrolio e gas. E come ha mostrato Reporterre in una recente indagine, la società prevede di rimanere bloccata sui combustibili fossili e aumentare la propria produzione del 15% entro il 2030. Il colosso vuole produrre più gas e non conta di rinunciare al petrolio. Per raggiungere quest’obiettivo, Total è coinvolta, in tutto il mondo, in una miriade di progetti tanto massicci quanto distruttivi per l'ambiente. Esempio? In Uganda, l'azienda sviluppa un progetto petrolifero titanico che include l'oleodotto riscaldato più lungo del mondo: attraverserà il paese per oltre 1.445 chilometri e porterà a massicci spostamenti di popolazione.

Raggiunto telefonicamente, un rappresentante di Total ha parlato di "una lotta agitata" all’interno. Reporterre ha poi ricevuto una lunga mail – da leggere integralmente nella versione francese – in cui l'azienda indica che è “falso sostenere che il rischio climatico sarebbe stato taciuto da Total negli anni '70 e in seguito, giacché Total ha seguito l'evoluzione delle conoscenze scientifiche pubblicamente disponibili”. “Dal 2015, la nostra azienda è impegnata in una profonda trasformazione delle proprie attività con l'ambizione di essere un attore importante della transizione energetica”, ha aggiunto la major petrolifera.

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Note

[1] La concentrazione atmosferica di CO2 è misurata in parti per milione (ppm). Nel maggio 2021 ha raggiunto un record superando i 420 ppm, un tasso che non veniva misurato da cinque milioni di anni.

[2] Esempio: ricerca su aerosol e nubi presso l'Hadley Centre nel Regno Unito e studi sull'assorbimento di carbonio da parte degli oceani presso la Columbia University negli Stati Uniti

[3] Più di 30 miliardi di dollari dal 2000 al 2005.

[4] Creando una cattedra annuale di “sviluppo sostenibile” nel 2008, annunciando la vendita di Total Coal South Africa, la sua ultima filiale nel settore del carbone, pochi mesi prima della COP21, o contribuendo alla creazione della piattaforma Oil and Gas Climate Initiative (OGCI), organizzazione con un fondo di un miliardo di dollari, cofinanziata da una decina di compagnie petrolifere per promuovere impegni volontari legati al clima nel periodo 2017-2027. Nel 2016, tre mesi dopo la firma dell'Accordo di Parigi, Patrick Pouyanné, il direttore generale, ha presentato “One Total 2035”, una roadmap per ridurre l'intensità di carbonio dei suoi prodotti.

 

REPORTERRE

Changement climatique : Total savait

Una petroliera di proprietà di Total al largo delle coste dell'Angola nel 2018. © Rodger Bosch / AFP

Par Alexandre-Reza Kokabi

Depuis un demi-siècle, Total sait que ses activités contribuent au réchauffement climatique. Réaction de la majeure pétrolière ? Détourner les yeux, instiller le doute sur la véracité des données scientifiques puis retarder toute politique de lutte ambitieuse, comme le montrent trois chercheurs dans une étude.

Un demi-siècle. Cela fait cinquante ans, au moins, que Total est au courant de l’existence du changement climatique, de ses causes et de ses conséquences. Mais la majeure pétrolière a longtemps nié ces alertes et semé le doute sur l’état des connaissances scientifiques afin d’extraire toujours plus de combustibles fossiles. Voilà les conclusions d’une étude menée par des chercheurs en sciences humaines sur le positionnement adopté par Total — et par Elf, absorbée par Total en 1999 — à l’égard de sa contribution au changement climatique ces cinq dernières décennies.

Publiée mercredi 20 octobre dans la revue Global Environmental Change, l’étude a été réalisée par les chercheurs français Christophe Bonneuil, Pierre-Louis Choquet et l’Étasunien Benjamin Franta à partir d’archives et d’entretiens avec d’anciens dirigeants de Total et d’Elf. Elle apporte un regard nouveau sur les multinationales françaises — ce type de recherches a jusqu’alors surtout été mené dans le champ anglo-saxon. Celles-ci sont précieuses pour mettre au jour les efforts déployés par l’industrie des hydrocarbures pour produire de l’ignorance autour du changement climatique et lutter contre la régulation de ses activités. Des politiques aux conséquences désastreuses : l’extraction annuelle des combustibles fossiles a septuplé au cours des soixante-dix dernières années, et vingt entreprises du secteur des énergies fossiles sont responsables de plus d’un tiers des émissions totales de gaz à effet de serre dans le monde depuis 1965.

En 1971, Total savait : son propre magazine faisait le lien entre réchauffement du climat et hydrocarbures

Depuis quand Total connait-il l’existence du changement climatique ? Dès le début des années 1950, plusieurs acteurs de l’industrie pétrolière, notamment les membres de l’organisme American Petroleum Institute (API), avaient reçu des alertes. Ils ont commandité des recherches sur le sujet vers la fin des années 1960. Ces travaux concluaient déjà qu’une utilisation accrue des combustibles fossiles contribuerait à un réchauffement climatique lourd de conséquences pour les populations du monde. Total, membre de l’API par sa filiale nord-américaine, pourrait avoir eu accès à ces résultats.

De façon plus certaine, la recherche de MM. Bonneuil, Choquet et Franta montre que Total avait pleinement conscience du potentiel destructeur de ses produits sur le climat terrestre en 1971. Cette année-là, un article publié dans le magazine de l’entreprise, Total Information, développait des prévisions qui se sont révélées, par la suite, prémonitoires.

« Depuis le XIX siècle, l’Homme brûle en quantité chaque jour croissante des combustibles fossiles, charbons et hydrocarbures. Cette opération aboutit à la libération de quantités énormes de gaz carbonique, avançait le géographe François Durand-Dastès, auteur de cet article intitulé « La pollution atmosphérique et le climat »Si la consommation de charbon et de pétrole garde le même rythme dans les années à venir, la concentration de gaz carbonique pourrait atteindre 400 parties par million [1] vers 2010. »

« Total information » - no 47 / 1971

L’auteur, craignant une augmentation de la température moyenne de l’atmosphère, qualifiait d’« assez préoccupante » la hausse de la concentration de gaz carbonique. « La circulation atmosphérique pourrait s’en trouver modifiée, et il n’est pas impossible, selon certains, d’envisager une fonte au moins partielle des calottes glaciaires des pôles, dont résulterait à coup sûr une montée sensible du niveau marin. Ses conséquences catastrophiques sont faciles à imaginer… » écrivait-il.

Dans les années qui suivirent, un nombre croissant d’études parurent et la responsabilité des activités humaines dans le changement climatique devenait de plus en plus étayée. Elle était même au menu de la Conférence des Nations unies sur l’environnement humain tenue à Stockholm en 1972. L’année suivante, le candidat écologiste à l’élection présidentielle française de 1974, René Dumont, publiait son best-seller L’Utopie ou la mort (Le Seuil, 1973), qui annonçait des « changements irréversibles du climat ».

« À ce moment-là, il y avait encore pas mal d’incertitudes autour du changement climatique. Mais la prise de conscience que l’atmosphère est fragile, que ce n’est pas un réservoir où on peut balancer n’importe quoi, devenait de plus en plus forte », dit à Reporterre l’historien des sciences Christophe Bonneuil, l’un des auteurs de l’étude.

Face aux alertes, Total a opté pour la « cécité volontaire »

Exposé à ces alertes jusque dans son propre magazine, comment a réagi Total ? Les auteurs indiquent que la majeure pétrolière, ainsi que sa comparse Elf, sont entrées dans un état de « cécité volontaire ». L’examen des magazines de Total et d’Elf parus entre 1965 et 2010 montre qu’ils n’ont pas abordé une seule fois le changement climatique de 1972 à 1988, même après la Conférence mondiale sur le climat de Genève de 1979 ou le rapport de l’US National Research Council Report de la même année. À la suite de sa parution, la revue Nature avait décrit le réchauffement de la planète comme « le problème environnemental le plus important dans le monde aujourd’hui ».

La raffineria di Sasolburg, 100 km a sud-ovest di Johannesburg, in Sudafrica, è stata inaugurata da Total nel 1971.


Pendant ce temps, Total a investi fortement dans le charbon à la suite du choc pétrolier de 1973, s’alliant notamment à la compagnie britannique BP pour exploiter les réserves de charbon de la mine Ermelo, en Afrique du Sud, en 1976, ou en augmentant sa capacité d’importation de charbon dans le port français du Havre.

Sur la défensive, la majeure a instillé le doute sur les données produites par les scientifiques

À partir des années 1980, feindre l’ignorance est devenu intenable pour les pétroliers. « Les alertes sont devenues trop nombreuses et, en parallèle, les politiques ont commencé à imaginer des mesures de régulation, relate Christophe Bonneuil. En réponse, l’industrie pétrolière s’est organisée pour échanger des éléments de langage et des stratégies pour ralentir voire bloquer toute décision politique ambitieuse. »

En 1984, la majeure Exxon, qui a mené plusieurs recherches sur le changement climatique, a pris la tête du mouvement de défense des intérêts des pétroliers. « Peut-être parce que l’enjeu leur paraissait devenir trop important et appelait une réponse collective de la profession, ils ont fait le pas de partager leur préoccupation avec les autres compagnies », a déclaré aux auteurs de l’étude Bernard Tramier, directeur de l’environnement chez Elf de 1983 à 1999. Lui-même a envoyé, début 1986, un rapport au comité exécutif d’Elf dans lequel il expliquait que le réchauffement climatique était inévitable et exigeait une stratégie défensive de la part du secteur.

Ce fut le début d’une série d’attaques répétées des pétroliers contre les sciences du climat. « Jusqu’à présent, dit Christophe Bonneuil, on pensait que les championnes françaises étaient plus vertueuses et n’avaient pas participé à cette fabrique du doute. Notre travail démontre le contraire. » L’étude révèle qu’aux côtés des autres majeures, notamment au sein de l’International Petroleum Industry Environmental Conservation Association (IPIECA), Total et Elf ont peaufiné leur lobbysme contre les politiques de réduction des émissions de gaz à effet de serre.

« Les majeures françaises ont participé à la fabrique du doute. »

En 1988, lors d’une réunion au siège social de Total, un « groupe de travail sur les dérèglements climatiques dans le monde » a vu le jour, présidé par Duane LeVine, chargé du développement stratégique et scientifique d’Exxon et composé de représentants des principales entreprises pétrolières mondiales. L’année suivante, le groupe envoyait un document stratégique aux membres de l’IPIECA dans lequel Duane LeVine recommandait de mettre en avant les incertitudes associées aux sciences du climat et le coût économique des mesures de régulation, pour mettre en échec les politiques publiques susceptibles de « recomposer… le bouquet énergétique » avec moins d’énergies fossiles.

Les années qui suivirent, Exxon conserva la position dominante sur la stratégie des majeures pétrolières, dont Total et Elf. « Ça nous arrangeait car on n’avait pas les connaissances ni les moyens pour peser dans le milieu scientifique, dans le processus IPCC [IPCC désigne, en anglais, le Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat (Giec)] et onusien, a déclaré Bernard Tramier aux auteurs. On était suivistes d’Exxon […]. Ce qu’on ne voulait pas, c’était que des décisions drastiques soient prises avant une certitude sur la réalité et l’ampleur d’un réchauffement d’origine anthropique. »

M. Tramier, président de l’Ipieca entre 1991 et 1994, a par exemple approuvé le financement de recherches scientifiques visant à trouver les faiblesses des modèles climatiques et à pouvoir présenter le réchauffement climatique comme moins alarmant [2]. Au début des années 1990, Elf a également commencé à placer de jeunes ingénieurs tout juste diplômés dans les meilleurs laboratoires des sciences du climat afin d’assurer une veille des derniers développements de la climatologie.

Dans leur propre communication et leur lobbysme, Total et Elf ont semé le doute autour de la réalité du changement climatique, en partie pour faire échouer — avec succès — la taxation de l’énergie ou du carbone au début des années 1990. « Il n’existe aucune certitude sur l’impact des activités humaines, parmi lesquelles la combustion d’énergies fossiles », déclarait ainsi en 1992, Jean-Philippe Caruette, le directeur de l’environnement de Total, dans le magazine de l’entreprise. Quelques semaines plus tard, au sommet de Rio, Total distribua un dossier affirmant que « les progrès considérables réalisés en climatologie depuis le début du siècle n’ont pas permis de dissiper les incertitudes concernant l’effet de serre ». En mars 1993, Francis Girault, directeur de la prospective, de l’économie et de la stratégie chez Elf et proche conseiller du PDG de la société, a rédigé une note pour le comité de direction de l’entreprise dans lequel il soutenait explicitement une stratégie de doute offensive et proposait d’identifier des « scientifiques de renom pouvant intervenir positivement dans le débat ».

Une nouvelle stratégie : minimiser l’urgence climatique et pratiquer l’éco blanchiment

Les auteurs révèlent que, peu à peu, des cadres des compagnies ont commencé à se sentir mal à l’aise, la position de contestation du consensus scientifique devenant contre-productive face aux avancées des savoirs et à l’engagement de la société civile. À partir de la fin des années 1990, Elf et Total se sont peu à peu distanciés de cette stratégie, tout en continuant d’investir massivement dans le pétrole et le gaz [3]« Chez Elf, par exemple, c’est vers 1996 que cette ligne moins agressivement climato négationniste l’emporta en interne, dit Christophe Bonneuil. Elf n’était pas quelque chose d’homogène, il y a eu à un moment une forme de bataille. Et juste avant la COP3 de Kyoto en 1997, le PDG Philippe Jaffré a [aussi] opté pour cette autre stratégie. »

En 2030, malgré une communication axée sur l’énergie verte, 85 % de l’énergie produite par Total sera fossile, selon la communication officielle du groupe. Capture d’écran du site de Total.

Au lieu de contester systématiquement la réalité du réchauffement climatique, la nouvelle stratégie consistait à sous-estimer l’urgence et à afficher de la bonne volonté écolo. Au programme : des mesures internes pour voir où réduire « à peu de frais » les émissions de gaz à effet de serre, la promotion des engagements volontaires, d’un système d’échange des droits d’émissions, ou encore la sponsorisation par Elf d’études des forêts tropicales menées par le botaniste français Francis Hallé en 1989, des partenariats avec les parcs français nationaux et régionaux, ou encore le mécénat de Total de recherches sur la préservation de la biodiversité marine.

En septembre 2006, cette évolution progressive de Total — qui avait entre-temps acquis Elf et la compagnie belge Petrofina — aboutit à l’organisation d’une conférence sur le changement climatique. Devant 280 personnalités scientifiques, la compagnie pétrolière fit allégeance aux rapports du Giec. « Le Giec remplit parfaitement sa mission fédératrice et le sérieux de ses rapports n’est pas contesté », déclara Thierry Desmarest, le PDG de Total, dans son discours inaugural.

 « Ce cadre a permis à Total de se présenter comme un groupe réceptif à l’égard de la communauté scientifique et de masquer ses investissements dans la production de combustibles fossiles derrière un récit positif sur la transition énergétique, de se positionner comme légitime à définir ses propres scénarios de réduction des émissions », dit l’auteur Christophe Bonneuil. « Cela permet à Total de gagner du temps, de continuer à investir massivement dans les énergies fossiles. »

Depuis lors, Total n’a cessé d’intensifier ses efforts pour se forger une image de meneur de l’action climatique [4]. L’acmé de ce verdissement : en 2021, Total s’est rebaptisé Total Energies et a augmenté ses investissements dans des sources énergétiques non fossiles. « Qu’est-ce qui nous dit que ce nouveau nom est plus qu’un gadget ? », s’interroge Christophe Bonneuil.

Lire aussi : « En Ouganda et en Tanzanie, les projets de Total engendrent famines et déscolarisations »

Derrière cette façade, la période 2015-2019 a été marquée par la dépense de 77 milliards de dollars (66 milliards d’euros) en cinq ans dédiés à l’exploration et la production de pétrole et de gaz. Et comme l’a montré Reporterre dans une récente enquête, l’entreprise prévoit de s’enferrer dans les énergies fossiles et d’en augmenter sa production de 15 % d’ici à 2030. Le géant veut produire plus de gaz et ne compte pas abandonner le pétrole. Et pour y parvenir, il s’implique, partout dans le monde, dans une kyrielle de projets aussi massifs que destructeurs de l’environnement. Exemple ? En Ouganda, la firme développe un projet pétrolier titanesque incluant l’oléoduc chauffé le plus long du monde : celui-ci traversera le pays sur 1 445 kilomètres et entraîne des déplacements massifs de population.

Joint par téléphone, un représentant de Total a évoqué un « branle-bas de combat » en interne. Reporterre a ensuite reçu un long courriel — à lire en intégralité ici —, dans lequel la firme indique qu’il est « faux de soutenir que le risque climatique aurait été tu par Total dans les années 1970 et ensuite, dès lors que Total suivait l’évolution des connaissances scientifiques disponibles publiquement »« Depuis 2015, notre compagnie est engagée dans une profonde transformation de ses activités avec l’ambition d’être un acteur majeur de la transition énergétique », a ajouté la majeure pétrolière.

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Notes

[1La concentration atmosphérique en CO2 se mesure en parties par millions (ppm). En mai 2021, celle-ci a atteint un record en dépassant les 420 ppm, un taux qui n’avait pas été mesuré depuis cinq millions d’années.

[2Exemple : des recherches sur les aérosols et les nuages au Centre Hadley au Royaume-Uni et les études sur l’absorption du carbone par les océans à l’université Columbia aux États-Unis

[3Plus de 30 milliards de dollars de 2000 à 2005

[4En créant une chaire annuelle « développement durable » en 2008, en annonçant la vente de Total Coal South Africa, sa dernière filiale dans le secteur charbon, à quelques mois de la COP21, ou encore en contribuant à la création de la plateforme Oil and Gas Climate Initiative (OGCI), une organisation dotée d’un fonds d’un milliard de dollars, cofinancée par une dizaine de compagnies pétrolières pour promouvoir des engagements volontaires liés au climat pendant la période de 2017-2027. En 2016, trois mois après la signature de l’Accord de Paris, Patrick Pouyanné, le PDG, présentait « One Total 2035 », une feuille de route en vue de diminuer l’intensité carbone de ses produits.