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sabato 21 maggio 2022

Lapsus in fabula di Marco Minoletti

 





In Europa sono improvvisamente spuntati come funghi fuori stagione nazisti da ogni angolo – e dire che a parte qualche gruppetto underground di Casa Pound non è che ci fosse un gran fermento di nostalgici del totalitarismo tedesco o di matrice nostrana, ma tant'è son tutti lì a parlarne. Inoltre, non bastassero i nazisti, ora i cittadini degli stati europei, le folle, come avrebbe detto Le Bon, si percepiscono ovunque sull'orlo di un attacco nucleare. Attacco che non solo darebbe il la alla terza Guerra Mondiale ma che pone la percezione delle coscienze collettive in stato di allerta assoluta e in una condizione mentale pre-catastrofica, da prima delle cose ultime. E così, mentre la vera catastrofe planetaria, quella ecologico-climatica, passa in secondo piano, ognuno predispone le riserve per il proprio rifugio antiatomico mentale. Complici di questa deriva i mandarini della politica e i media occidentali.

Ma le cose stanno veramente così? – Dal tempo della morte del dio giudeo-cristiano, il dio incarnatosi e fattosi uomo, annunciata sul finire del secolo scorso da Nietzsche, l'Occidente ha vieppiù abbracciato la fede del suo sostituto terreno, il capitalismo. E con esso ne ha sussunto tutto il pacchetto di optionals: la promessa di felicità, di pace perpetua, di progresso illimitato. Ovviamente un popolo rimasto senza dio non è più disposto a fare sacrifici, non è più disposto a lavare l'onta del peccato originale espiando in questa valle di lacrime in attesa della resurrezione. Il paradiso è qui e ora ed è conseguentemente offerto dalla società spettacolare-mercantile. L'uomo occidentale ha finito per appiattirsi sul benessere materiale. “Il consumatore reale – osserva Debord ne 'La società dello spettacolo' – diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale.” L'incantesimo della pace perpetua si è improvvisamente sciolto e lo spettro della guerra serpeggia tra gli scranni dei parlamenti europei e tra i media. La leadership russa, maestra nell'arte della manipolazione, con tutta probabilità non avrà letto il libro di Le Bon, 'Psicologia delle masse' ma ciononostante dimostra di sapere esattamente cosa è necessario alle folle: un dio purificatore (Putin come denazificatore) e una vittima (gli ebrei). Già, gli ebrei. Quando il ministro degli Esteri Lavrov afferma che ci sono "neonazisti nel governo ucraino" e che "gli ebrei sono i più grandi antisemiti", questa non è una svista, ma una provocazione deliberata con un obiettivo chiaro: queste dichiarazioni antisemite del ministro degli Esteri russo servono a lanciare l'accusa di nazismo contro la leadership ucraina e anche a trovare uno spazio di risonanza a livello mondiale. Allo stesso tempo, distraggono da altre questioni riguardanti la guerra e il ruolo della Russia in essa. Come possiamo constatare giorno dopo giorno il Cremlino sa esattamente come manipolare i dibattiti in Occidente. Grazie alla propaganda e alla disinformazione, la leadership russa sta cercando, e sinora con ottimi risultati, di ottenere la sovranità del discorso sulla guerra in Ucraina. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov parla del “pericolo di una terza guerra mondiale”. Parallelamente il presidente Putin minaccia “conseguenze che non sono ancora state viste” o parla di “nazisti in Ucraina”. Le loro parole vengono citate nei media occidentali e come un riflesso pavloviano provocano tra la folla timori di una guerra nucleare. Si avviano discussioni a non finire sul fatto che ci siano effettivamente nazisti in ogni angolo dell'Ucraina, che la Russia abbia invaso l'Ucraina perché provocata dalla NATO. E poi – dulcis in fundo – ecco i soliti gauchisti far spuntare l'asso dalla manica, il vero colpevole di tutta questa storia, i soliti imperialisti americani.

Colgo l'occasione per ricordare a coloro che dicono di far riferimento alla inesistente corrente radicale che il termine Imperialismo è di chiara matrice leninista ed esso viene tutt'ora utilizzato solo dai cascami del gauchismo. Ai più smemorati ricordo inoltre che esso fu respinto d'emblée già più di mezzo secolo fa dai situazionisti, da tutte le correnti italiane che facevano riferimento all'area cosiddetta radicale, da certe frange del bordighismo e persino da Camatte, ma tant'è...

Queste inutili e fuorvianti discussioni sono il risultato della disinformazione deliberatamente diffusa dall'autocrate e dai suoi sgherri. Da buon ex-agente del KGB e senza aver frequentato i corsi di Derrida Putin sa benissimo quali siano gli effetti della decostruzione e della propaganda: si crea instabilità nell'avversario, lo si distrae dalle questioni veramente importanti e alla fine spuntano dibattiti creati artificialmente a tavolino. Le dichiarazioni fatte dal duetto non sono lapsus freudiani o parole uscite per sbaglio dalle loro bocche, ma fanno parte di una strategia globale di manipolazione che si viene ad incuneare nello spazio dell'informazione europea ed internazionale. Il risultato di queste paure deliberatamente ideate e alimentate è il risentimento che da sempre cova sotto le ceneri nei confronti degli Stati Uniti e che ora è rispuntato come l'Araba fenice.

E mentre in Occidente ci si parla addosso o ci si perde in accuse reciproche, mutando le scelte essenziali ancora da fare in tediosi dibattiti da tivù locale, in paesi come la Russia o la Cina le dichiarazioni pubbliche non sono mai improvvisate. In Occidente l'ex presidente Bush jr. colto evidentemente da demenza – dichiara pubblicamente di condannare la “brutale invasione dell'Iraq” - lapsus che più lapsus non si può (intendeva l'Ucraina, n.d.r.). Invece in Oriente (ché la Russia è sempre più un potentato da Mille e una Notte, dove il sovrano può decapitare chi non gli racconta la storia che vuole sentire) la dittatura non consente né la libera espressione né la libertà della papera. Chi ha il coltello alla schiena, infatti, bada bene a quello che dice. Ebrei, nazisti, purificazione? Di sicuro si gioca ancora su termini vincenti, quelli della guerra patriotica, che tanto piacciono all'elettorato contadino che rimane lo zoccolo duro dell'elettorato. Lapsus, dunque, quello di Lavrov? - In un mondo di chiacchieroni ciechi, lo Zar ci vede benissimo.

domenica 8 maggio 2022

La Madre Russia è sempre incinta di Marco Minoletti

 

 



Al pari della Rivoluzione francese conclusasi con il Termidoro e il Terrore, la Rivoluzione russa, una volta abbandonati i soviet a favore del potere personale, si è gradualmente trasformata in un regime totalitario basato sul terrore e sulla repressione. Il sogno di una società migliore fondata sulla libertà e il rispetto reciproco per il quale si erano generosamente spesi, nella pratica e nella teoria, i Marx e i Bakunin finì per tradursi nell'incubo della dittatura personale, nei gulag, nei processi farsa, nelle confessioni e autocritiche estorte con la manipolazione psicologica, nella degradazione degli operai al rango di servi-stacanovisti volontari del sistema, nella sottomissione della popolazione resa docile dalla propaganda e dal clima di paura che aleggiava, nella costituzione di una polizia segreta creata ad immagine e somiglianza di quella zarista ma ancor più raffinata e spietata, nell'industrializzazione e nel produttivismo forsennati culminati con l'adesione alla politica economica capitalista a partire dal 1928 (piano quinquennale). Questa morsa totalitaria, questa violenza senza limiti si è impressa come un marchio indelebile sulla carne del popolo russo, ne ha formato i cromosomi, il DNA delle generazioni a seguire. Putin è l'erede genetico di Stalin. Putin governa il suo Paese con il pugno di ferro e con il sostegno di un manipolo di oligarchi corrotti e sottomessi ai suoi voleri. Oligarchi che, con il tacito consenso dell'autocrate, si sono arricchiti sulle spalle del popolo russo e si godono il lusso sfrenato offerto loro dall'odiata società spettacolare-mercantile occidentale. Depositano somme che potrebbero sfamare intere popolazioni nei caveaux svizzeri e nei paradisi fiscali sparsi sul pianeta. Putin attua all'interno una politica mirata a soffocare la libertà di parola e all'esterno una politica “eroica” e di stampo zarista tesa alla riunificazione delle terre russe. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, complici gli europei, la Russia si è trovata in una posizione di isolamento e arretratezza e, al pari della Germania dopo il 1918, ha tentato di giocare di nuovo un ruolo espansionista in grado di riportarla all'antico splendore. Nel corso di questo processo di riaffermazione sono emerse le sostanziali differenze che dividono il mondo occidentale (al quale l'Ucraina vorrebbe aderire) e il mondo russo. Il mondo occidentale funziona incarnando le idee del pensatore inglese John Locke. Locke ha pensato il funzionamento dello Stato come un libero accordo tra i cittadini che sono liberi di gestire i propri affari... e fintanto che possono farlo vivono “pacificamente”. A tutela dello svolgimento pacifico dei propri affari vi sono i governi limitati dallo Stato di diritto che protegge la proprietà privata e tutela le opportunità democratiche di partecipazione. Il sistema capitalistico è il pendant di questa visione, di questo modo di essere. Nel mondo occidentale le guerre e i conflitti si risolvono in modo competitivo nelle sfere dell'economia e della finanza. L'Occidente ha abbandonato l'eroismo della guerra e i suoi cantori à la Ernst Jünger. Le armi vengono prodotte principalmente per essere esportate. I conflitti vengono fomentati altrove. La guerra reale sul proprio territorio non è più un'opzione dal 1945. In Russia le cose funzionano diversamente. La Russia ignora le libertà liberali, la guerra come possibilità non è stata messa al bando, anzi. La Russia si affida sostanzialmente al principio hobbesiano della forza sia all'interno che all'esterno.

La mattina del 24 febbraio, quando è iniziata la “smilitarizzazione” dell'Ucraina il mondo occidentale è stato colto alla sprovvista e il ritorno del rimosso, la guerra, è improvvisamente apparso sulla scena. I puristi dell'ideologia rivoluzionaria rinchiusi in una sfera sospesa tra la realtà e il sogno, in eterna attesa messianica che il pianeta resusciti e si liberi dai mali generati dal dominio reale del capitale grazie agli effetti della miracolistica, hanno subito preso le distanze affermando che si tratta di un conflitto tra due nazioni e dunque non ha nulla a che vedere con coloro che aspirano ad un mondo veramente altro. Dal canto loro, i sostenitori della vecchia e incancrenita ideologia lenino-stalinista, disposti a soprassedere a tutti i mali da essa generati, si sono apertamente schierati dalla parte del maggior finanziatore dei partiti sovranisti nostrani ed europei. Non fa niente: l'importante è mantenere saldo il legame con la “Madre Russia” che ha partorito l'unica grande rivoluzione proletaria della Storia. Che poi essa si sia subito trasformata in un regime totalitario che ha sulla coscienza milioni di morti e la negazione dei principi elementari della libertà chissenefrega. Un terzo schieramento è quello dei pacifisti. Pace, pace, pace. Nessuno più di loro ha introiettato il modus vivendi e la mentalità impostasi con l'affermarsi del neoliberalismo. Il problema è che diventa difficile ergersi a paladini della pace quando uno Stato che poggia la sua potenza quasi esclusivamente sull'armamentario bellico decide di aggredirne un altro. In questo caso, indipendentemente da chi e come lo governa, il pensiero si volge a tutti coloro che, trovandosi sotto i bombardamenti, muoiono a causa dell'invasore. E tra costoro si trovano anche tantissimi esseri umani che nulla hanno a che spartire con Zelensky e il suo governo. E se una parte della popolazione ha deciso di resistere all'invasione è bene darle il nostro se pur misero appoggio. Noi non desideriamo che il popolo ucraino diventi vittima della morsa della violenza totalitaria. Il popolo ucraino è la dimostrazione che “l'uomo non rinuncia mai volontariamente alla propria libertà” (Vasilij Grossman), ed è disposto a combattere e morire per essa. “E questa conclusione – scrive Grossman – è il faro della nostra epoca, un faro acceso nel nostro futuro.”



lunedì 2 maggio 2022

Gog e Demagog (di Marco Minoletti)

 





Le porte di ferro del Caucaso, dette anche Porte di Alessandro (o Porte del Caspio) erano una leggendaria barriera costruita da Alessandro Magno per separare il mondo civile dalle orde di Gog e Magog, che avrebbero barbaramente invaso, un giorno, le terre civilizzate. Oggi scopriamo che anche dall'altra parte ci si organizza per non farsi invadere dai deprecabili (barbari?) valori consumistici americani ed europei il sacro Rus'. Non solo niente più Macdonald o Coca-cola, ma neanche libertà di pensiero e di manifestazione pubblica dello stesso. Putin durante uno dei suoi monologhi televisivi ha dichiarato che in Russia ci sono traditori che pensano alla maniera occidentale e sono “guidati da valori occidentali”. Inoltre, onde evitare equivoci, ha aggiunto che il popolo russo sputerà fuori questi traditori “come una mosca accidentalmente volata nella sua bocca” (sic!). In altre parole il sultano ha puntato il dito contro pacifisti e oppositori della guerra, il nemico interno. Queste parole segnano una cesura. Se prima si poteva pensare che l'invasione dell'Ucraina fosse una questione geopolitica tra Russia e Stati Uniti che prima o poi si sarebbe risolta e tutto sarebbe tornato come prima, ora appare evidente che Putin ha in mente di sollevare una cortina di ferro e tagliare fuori la popolazione russa dal resto del mondo. Stando alle notizie che circolano in rete (da prendere sempre cum grano salis) Georgia, Armenia, Turchia, Uzbekistan e Kirghizistan hanno già accolto circa 200.000 persone emigrate dalla Russia. 


Solo negli ultimi giorni il Ministero dell'Economia georgiano stima il numero di nuovi arrivi dalla Russia in almeno 25.000 persone. Fintanto che ciò sarà possibile i paesaggi urbani si assottiglieranno e molti faranno le valige. Con il trascorrere del tempo le ricadute economiche della guerra e le sanzioni aggraveranno la situazione. Molti prodotti provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti non possono essere acquistati, il rublo è in caduta libera, i prezzi dei generi di prima necessità lievitano drammaticamente di giorno in giorno. La maggioranza dei giovani, il vero potenziale anti-Putin, è decisamente contraria alla guerra contro l'Ucraina. Le illusioni di normalità prebellica si stanno sciogliendo come neve colpita dai primi raggi del sole di aprile. Nulla sarà più come prima! Un clima di paura si sta diffondendo come polline primaverile tra la popolazione. E la memoria dei più anziani avrà sicuramente pilotato i loro pensieri ad evocare dal pozzo dei ricordi giovanili i racconti dei padri che quel clima di terrore l'avevano vissuto sulla loro pelle e poi descritto e tramandato ai propri figli. A confermare che il clima di terrore non si limita alla volatilità dei ricordi senili legati al passato staliniano, ma è diventato reale, vi è la brutale repressione poliziesca in corso contro le proteste degli oppositori della guerra e del dittatore. Oppositori che – a differenza dei contestatori occidentali che invadono le piazze delle principali città europee con delle ridicole bandierine colorate gridando “pace, pace” protetti da un clima liberal-democratico di ben altra natura – osano sfidare un regime la cui brutalità, essendo di ben altra pasta di quelli occidentali, è loro ben nota. Le ultime dichiarazioni del Cremlino hanno alzato il tiro e paiono orientate ad estendere il raggio d'azione della guerra interna, prima limitato a coloro che si opponevano all'invasione dell'Ucraina anche ai traditori che hanno fatto propri alcuni valori occidentali e cioè “coloro che vivono mentalmente in Occidente, che preferiscono degustare ostriche e godere della libertà di genere. Ecco identificato, con tanto di benedizione da parte del Patriarca della Chiesa ortodossa, il nemico interno da sradicare: una sorta di “quinta colonna” che decompone e destabilizza il paese dall'interno. Propaganda? Non sembra! Putin con questo discorso ha serrato le fila secondo l'adagio “chi non è con noi è contro di noi”. La caccia al nemico interno è aperta. Ora tutti possono finire nelle maglie della repressione: gli oppositori alla guerra, i resti dell'opposizione, i semplici cittadini i cui costumi sembrano troppo occidentali. E mentre in Europa c'è ancora chi, intrappolato in una visione ottocentesca dei movimenti di rivolta, pensa di “tenere dritta la barra del timone internazionalista” giungendo al punto di negare la realtà dei fatti (“non ci sono né aggressori né aggrediti”), le rivolte degli ultimi anni a partire dai giubbotti gialli in Francia fino agli oppositori del tiranno Putin ci insegnano che esse sono spontanee, trasversali e innescate da fatti concreti che possono andare dall'aumento del prezzo della benzina al rifiuto di aderire ad una guerra insensata. Ma soprattutto esse ci insegnano che i rivoltosi non hanno più bisogno di timonieri. E che nessuna Porta di Ferro, di qua o di là del Caucaso georgiano può essere costruita per bloccare il pensiero. Hitler guadagnava consensi nelle birrerie di Monaco tuonando contro Berlino-Babilonia, ricettacolo di vizi e perdizione. Ora negli stadi locali, anche se con scarso segnale televisivo, Putin tuona contro l'Occidente in toto, e finirà probabilmente anche lui in qualche congiura dei medici, o in qualche bunker dove fuori scriverà дети, sperando che i missili intelligenti e ipersonici sappiano leggere.

 

lunedì 28 febbraio 2022

Dio, Patria, Nazione (di Marco Minoletti)

  



Vi fu un tempo in cui a governare in Europa vi erano, per diritto divino, i monarchi. Una semplice offesa al monarca poteva culminare - dopo ore di supplizi carnali - con lo squartamento del malcapitato sulla pubblica piazza. Come noto, il concetto moderno di nazione trova le sue origini nelle tre rivoluzioni in Inghilterra, Nordamerica e Francia, tra XVII e XVIII secolo.

E così, le monarchie precedenti e i sovrani per diritto divino che governavano attraverso la macchina statale sulla moltitudine dei sudditi, lasciano il posto ad un soggetto metaindividuale costituito idealmente da tutti i cittadini che compongono la nazione.

La rivoluzione francese, accorciando il corpo dei sovrani pose fine, un po' a singhiozzo, sia alla lungaggine dei supplizi corporali sia al legame pseudogiuridico che univa il governante terreno a quello celeste. In Francia la rivoluzione ebbe il carattere della radicalità. Già quando il Terzo Stato si proclamò Assemblea Nazionale Costituente avvenne un passaggio fondamentale: da quel momento la nazione è riconosciuta come un tutto da cui non si può prescindere. Il re è tale perché la nazione lo riconosce. Il seguito dispotico e sanguinario e il successivo impero napoleonico non cancelleranno l’idea della sovranità del popolo, che verrà ripresa in varie forme in tanti paesi d’Europa e del mondo intero. A partire dall’Assemblea nazionale francese del 1789, la nazione diveniva il corpo politico individuato che stava di fronte al sovrano: “sovranità nazionale” era l’espressione rivoluzionaria opposta alla tradizione dell’assolutismo dinastico.

Gli illuministi francesi si misero in testa di far ragionare gli uomini illuminandone le menti. L'analfabetismo a quell'epoca dilagante cominciò lentamente a regredire. I testi scritti, che fino a quel momento venivano percepiti dal popolo analfabeta come Testi Sacri, vergati da qualche mano in contatto con il mondo sovrasensibile, cominciarono ad essere interpretati anche dal popolo. A dirla tutta, la Chiesa, abituata da secoli a gestire il gregge, li aveva preceduti di qualche secolo per mano degli odiati confratelli protestanti, traducendo la Bibbia in tedesco.

 

I pensatori tedeschi amano andare in profondità, sono i matematici e gli analitici del pensiero. Hanno, però, grosse difficoltà a voltare la teoria in pratica e quindi risultano sostanzialmente innocui agli occhi dei loro governanti. Lo stesso non avviene per i loro confinanti. Le idee circolano e poi qualcuno finisce per metterle in pratica. Sia come sia, l'Ottocento tedesco è tutto un fermentare di strane idee sull'uomo, la natura e le cose di questo mondo. A qualcuno, cresciuto alla scuola dei Feuerbach, dei Fichte e degli Hegel viene in mente di affermare che Dio è “l'oppio dei popoli” e che è ora di smetterla di espiare in terra per mano dei dominanti e degli sfruttatori, consolandosi, pensando alla favoletta salvifica e riscattatrice del Regno dei Cieli. Regno che ci affrancherà il giorno in cui le trombe divine suoneranno e risvegliranno i morti che finalmente risorgeranno dalle loro tombe e potranno contemplare Dio, Uno e Trino, per tutta l'eternità. Sempre che se lo siano meritati espiando l'onta di essere nati marchiati dal peccato originale in quella valle di lacrime e noia che è il regno terreno.

 

Nel contempo, però, le nazioni andavano consolidandosi sciogliendo i legami con i monarchi e con le alterne vicende della storia dinastica, militare ed ecclesiastica. Le nazioni europee, affermando il principio della sovranità popolare, cominciavano a percepirsi come un corpus, appellandosi alle specifiche identità nazionali, smussando le inevitabili differenze e presentando ognuna il proprio pedigree. Fioriscono le leggende e i racconti atti a dimostrare la propria continuità storica, la lingua diventa il veicolo identitario e nello stesso tempo il mezzo per identificare il pericolo rappresentato dall'altro e diffidare dello straniero (il potenziale nemico). Si passano al setaccio i luoghi della memoria, si erigono statue in onore degli eroi nazionali, si sottolinea la fondamentale importanza del folklore, dei costumi locali e dell'arte culinaria locale. La prima fase che potremmo definire di costituzione identitaria e di lotta contro l'assolutismo si protrae fin dopo il 1848. La sovranità degli Stati era divenuta, dunque, l’asse della storia, l’elemento che la orienta; il nomos della Terra nello jus publicum europaeum.

 

La sovranità moderna, nata dalla crisi dell’idea medievale della pace come ristabilimento della giustizia che non è più in grado di far fronte al grande dinamismo impresso alla società europea, ha come obiettivo quello di produrre l’ordine, non di reintegrare una giustizia naturale.

In seguito prende avvio la fase burocratica: come stabilire i confini della nazione? La teoria moderna della sovranità, come noto, ha posto al centro della politica lo spazio. E il principio spaziale apre ad una concezione territoriale della politica. Come dimenticare Hobbes e il contrattualismo, che trasforma lo spazio in un'area di stati sovrani che utilizzano il confine come simbolo di tale configurazione spaziale e della differenziazione di due popoli? Da allora, l'Atlantico ricoprirà un ruolo fondamentale nel Leviatano, perché rappresenta lo spazio dello stato: l’Atlantico simboleggia la logica europea dello Stato.

Per confermare, allora, il possesso di quel dato territorio, si evocano le ombre dei trapassati che vengono ridestati dal sonno eterno, ma al contempo nascono i primi contenziosi tra gli stati che si contendono porzioni di un determinato territorio.

Il sorgere delle nazioni nell'Ottocento segnò la sconfitta politica delle idee universalizzanti dell'illuminismo che, come è noto, si era sforzato di trovare delle regole valide per ogni governo. Secondo questa visione del mondo, lo Stato-nazione dovrebbe garantire, meglio di quanto non avessero fatto le precedenti formazioni monarchiche, tranquillità sociale e sviluppo economico. Naturalmente l’unificazione territoriale e un vago sentimento unitario non sono sufficienti a costituire una nazione coesa, bisogna lavorare sul materiale umano e plasmarlo in funzione nazionale. 

In questa prospettiva, soprattutto gli italiani e i tedeschi si ersero a veri e propri paladini dell'individuale, della singola nazione... in sostanza: dello Stato nazionale. Questa volta però non fu sufficiente tirare in ballo le ombre dei morti per confermare il possesso di un territorio, ma si fece un balzo all'indietro di migliaia di anni e si rispolverò l'animismo. I tedeschi, grazie ai Romantici, fanno parlare i fiumi, i prati, gli alberi e la Luna. Tutto si anima. Fichte, nel suo pur lodevole tentativo di porre un argine alle velleità di conquista napoleoniche, serra le fila con i suoi Discorsi alla nazione tedesca e, senza volerlo, finisce per porre le basi per un ideale nazionalistico e pangermanistico. L'io tedesco non deriva dall'universalità, ma al contrario è questo stesso io che genera l'universalità. Gli italiani dal canto loro sottolineano che l'dentità non è solo linguistica ed etnica, ma di tradizione e di pensiero. Insomma: l'Italia ha un'anima tutta sua che si distingue da quella degli altri Paesi. La passione per la nazione era tale che presto finì per coincidere con la Patria. Con l'aggiunta di un pizzico di condimento divino il brodino era pronto per essere servito: Dio, Patria, Nazione.

La nazionalizzazione delle masse avviene più agevolmente quando nello Stato-nazione prevale un certo autoritarismo, quando la storia – nella cui narrazione compaiono elementi fantasiosi e irrazionali – viene investita della missione di forgiare cittadini orgogliosi della propria origine, fieri dell’avvenire che li attende e pronti alla difesa della patria. Visto che i confini fra gli stati europei sono abbastanza definiti e in ogni caso non è così semplice modificarli, la grandezza della patria si accresce gareggiando nelle conquiste coloniali e ritrovando Dio.

Nei fatti, una popolazione nazionale omogenea non coincide quasi mai con il rispettivo stato nel quale è inquadrata, e ciò può servire a chi detiene il potere per alimentare lo spirito nazionalistico. Le controversie sociali interne vengono sopite dallo spirito unitario e la propaganda del potere ha buon gioco nell’attribuire le cause del malessere sociale agli altri, agli stati vicini che con le loro politiche danneggiano l’economia nazionale. Le alleanze tra paesi nazionalistici non hanno idealità profonde, ma sono solo funzionali ad una Realpolitik finalizzata a mettere in difficoltà l’avversario per dividersi le sue eventuali spoglie.

 

Con il trascorrere del tempo il progressivo sviluppo del sistema capitalistico, sistema che ha assunto i caratteri di un vero e proprio deus ex machina, ha corroso, relegandoli al ruolo di comparse, i princìpi cardine dello Stato-nazione.

Ciò che è rimasto invariato è soltanto il principio fondante del sistema capitalistico che, oggi come ieri, si basa sulla produzione, la circolazione e il consumo di merci.

 

Ciò che invece è radicalmente mutato è il modo in cui i mondi industriale, commerciale e finanziario si rapportano tra loro, con gli Stati, con le conseguenze che ne derivano.

 

Nell'attuale fase di dominio del capitale, ai processi di globalizzazione dell'economia transnazionale non corrispondono adeguate istituzioni democratiche transnazionali.

La globalizzazione dei mercati, che non conosce confini territoriali, ha progressivamente eroso il potere di intervento degli stati sovrani, relegandoli al ruolo di attori comprimari. A prendere decisioni di vitale importanza per il destino di milioni di esseri umani e dell'economia non sono più gli stati, ma gruppi di esperti che agiscono esclusivamente in base al principio della massimizzazione dei profitti. E la massimalizzazione dei profitti non contempla i principi elementari della democrazia e del senso di responsabilità per la comunità.

Paradossalmente, mentre da un lato il processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati non conosce limiti, dall'altro proprio le istituzioni politiche globali che, a partire dalla seconda Guerra Mondiale ne avrebbero dovuto controllare il funzionamento, sono state imbavagliate e marginalizzate.

La globalizzazione, imposta al mondo come promessa di felicità in terra, si è rivelata una falsa promessa di crescita economica, stabilità, sicurezza e pace.

La crescita economica infatti si sta trasformando in progressivo declino delle economie forti (Usa, Giappone).

La stabilità è minacciata dalla crisi dei mercati finanziari, dalla crescente disoccupazione e dalle incertezze che serpeggiano tra i piccoli risparmiatori.

La sicurezza è messa a dura prova non tanto dalle immense ondate migratorie provenienti dai cosiddetti paesi del Terzo Mondo, quanto dall'incapacità degli stati nazionali di dare una risposta positiva a questa situazione d'emergenza. Alle promesse di pace si sono rapidamente sostituiti i proclami di guerra dei vari fondamentalismi religiosi e ultranazionalisti. La nuova ondata migratoria prevista dall'Ucraina non farà altro che aggravare la già precaria situazione. In Gemania l'AFD e i cascami dell'ultranazionalismo stanno già affilando i coltelli.

 

Putin, ignorando il fatto di trovarsi nell'era della globalizzazione, ha commesso il fatale errore di dar corso, in Occidente, ad una guerra convenzionale fuori tempo massimo. Il suo maldestro tentativo di condurre un Blitzkrieg si rivelerà un disastro sia dal punto di vista strategico che militare. I primi ad accorgersi di questo suo fatale modus operandi sono stati proprio quelli che lui riteneva essere i suoi alleati, i cinesi. La Cina non ha alcun interesse a muoversi in questo pantano guerrafondaio. Essa si è magnificamente adeguata - e con che risultati! - alle nuove dinamiche del capitale e quindi è ben consapevole che nell'era della globalizzazione le guerre si conducono con altri mezzi, sul terreno della finanza e dell'economia. Putin è probabilmente destinato a far la fine del Prete Gianni che, stando alle cronache riportate nel Milione di Marco Polo, “oltre a tutti i territori conquistati perse anche la vita”. Non se ne abbiano a male gli interventisti rossobruni o di altra matrice!