mercoledì 21 settembre 2022

Soltanto la paura ci governa - Raul Vaneigem

 




Dal decadimento programmato del vivente alla sua rinascita spontanea

1. La paura colma il divario tra la realtà bugiarda e la realtà vissuta, tra l'economia fittizia e l'economia di base. Le cifre del governo aleggiano come droni sullo stato fatiscente di ospedali, scuole, trasporti e conquiste sociali.

2. La paura è diventata il baluardo più sicuro dei ricchi contro l'insurrezione sociale che minaccia di eliminarli. Questa paura, non si fermeranno davanti a nulla per rinnovarla e prolungarne la durata. Esperimentano su di noi come su dei topi da laboratorio preoccupandosi di sapere fino a che grado di rassegnazione e avvilimento sopporteremo i loro decreti senza reagire.

3. Le autorità statali e mondialiste hanno dapprima usato il pretesto di un virus, che un settore pubblico di salute e ricerca avrebbe messo sotto controllo se il principio di redditività non lo avesse rovinato. Diffuso con il nome di covid - martellato come una maledizione - il panico ha causato più morti del virus stesso. Per non parlare dei vaccini e degli pseudo-vaccini improvvisati nell'urgenza lucrativa. La fabbricazione del terrore presentava un doppio vantaggio. Nascondeva lo scandalo degli ospedali mandati alla malora e rafforzava l'autorità dello Stato, in via di costante indebolimento.

4. Avendo la protezione della sicurezza soppiantato quella della salute, ci si è proiettati su una guerra locale in cui il numero delle vittime non ha influito sui conti dei trafficanti d'armi, dei monopoli finanziari, degli Stati ridicolizzati dall'indigenza mentale dei loro leader. Il pericolo nucleare è stato frettolosamente riattivato. La strategia del capro espiatorio è stata rinnovata: filo-ucraini e filo-russi hanno rimpiazzato i pro-vaccino e gli anti-vaccino. La ridicola e sanguinosa farsa ha oscurato per un certo periodo l’instaurazione graduale di un Credito Sociale in stile cinese e la devastazione sociale causata dal tornado di denaro impazzito.

5. Ora è il turno dell'apocalisse energetico-ecologica. Mentre le mafie di Stato e globali stanno impunemente distruggendo il pianeta, s’intima al cittadino di risparmiare a favore di un sistema che, a forza di economizzare esso stesso gli esseri umani, li sta sprofondando sotto la soglia di una povertà indegna. Una polizia energetica, sponsorizzata da coloro che ne fanno un commercio vergognoso, avrà il potere di controllare la temperatura del riscaldamento delle case. Vedrete che, facendosi forti delle Commissioni Scientifiche che imputano alla flatulenza delle mucche un aumento dell'inquinamento, finiranno per tassare le scoregge. Del resto, chissà se un referendum, ampiamente sovvenzionato e ben sostenuto dai media, non sarebbe favorevole?

6. Di fronte a tante aberrazioni, la parte dell'opinione pubblica, ancora risparmiata dal lavaggio del cervello, ha ritenuto che fossimo governati da malati. Ciò significava, però, prestare un aspetto umano agli ingranaggi di un sistema che schiaccia il vivente. Ce ne siamo accorti molto presto: non sono i malati che ci governano, è la malattia. O più esattamente, la paura della malattia.

Supponendo che le famiglie volessero citare in giudizio i gestori della politica omicida di cui sono stati vittime i loro cari, si troverebbero al cospetto o di malati a responsabilità limitata, o di una Fatalità palesemente irresponsabile. Solo l'amnistia e l'amnesia possono colmare un tale vuoto giuridico. I precedenti non mancano: i crimini dei colonizzatori non sono mai stati giudicati.

7. L'enormità della menzogna al potere ha introdotto nel linguaggio dominante un'inversione di significato che Orwell chiama "neolingua". Coloro che sono convinti che “la libertà è la schiavitù” non avranno né pena né piacere nell'ammettere che ciò che profuma di salute e di felicità è il denaro, il profitto.

8. Vaghiamo in una terra di nessuno che separa una civiltà mortale che non smette di morire e una civiltà vivente che tarda ad affermarsi con coraggio. Oscuro è l'orizzonte bloccato dall'onnipotenza del denaro. La cosa più straziante è senza dubbio la facilità con cui il ticchettio degli ingranaggi che ci schiacciano diventa un ronzio. Ma le fusa del gatto non gli impediscono di svegliarsi di soprassalto.

Il peggior pericolo dell'avidità tentacolare non risiede nelle mafie delle armi, delle banche, della narco-farmacopea, del settore immobiliare, dei gestori di truffe. Sta nella corruzione delle coscienze. La povertà resiste male alle seduzioni dell'avere, acquisite a spese dell'essere. Se così tanti poveri diventano miserabili vendendosi al miglior offerente, significa che è possibile il contrario. Siamo a un punto della storia in cui si articola un movimento altalenante. La perdizione dell'avere restituisce all’essere la priorità che gli aveva tolto.

9. Grande è la tentazione di mobilitare la violenza che lentamente ma visceralmente sta crescendo nella popolazione. Il vanesio dell'Eliseo e i suoi camerieri addetti alle urine metterebbero volentieri in scena una parodia di guerra civile. Ma chi prenderà sul serio la loro follia? La retorica barricadiera brucia solo macchine e bidoni della spazzatura. Le guerriglie urbane e guevariste si sono screditate più per le loro vittorie che per le loro sconfitte. L'unica che dà ragione al potere è una sinistra che, dopo aver tradito il proletariato, si assolve dalle sue colpe muovendo guerra al fascismo in stivali di pelle, quando è ovunque in pantofole e cravatta. Se il retro nazismo rappresenta una minaccia, è perché prefigura una guerra di tutti contro tutti, in cui si libererebbe il traboccamento dei risentimenti accumulati. Le mafie globali ne trarrebbero vantaggio perché il caos favorisce gli affari.

Non bisogna sbagliarsi di lotta. L'attivismo antifascista il più delle volte si confronta con pagliacci psicopatici invece di prendersela con quelli che tirano i fili. A chi inquina, avvelena, devasta la terra e la disumanizza.

10. La rabbia scade facilmente in rimprovero. Non faremo che aggiungere la colpa individuale alla colpa collettiva stigmatizzando coloro che, lasciano entrare l’inquinamento e i pesticidi nelle loro cucine attraverso porte, finestre e rassegnazione. Nulla cambierà finché l'esaltazione ecologica si accontenterà di manifestazioni mondane invece di paralizzare le imprese responsabili dell'avvelenamento del cibo, dell’acqua, dell’aria, che uccidono più delle epidemie. Non invito qui a un attivismo aggressivo, penso piuttosto alle parole dell’umorista Gébé “Fermiamo tutto, riflettiamo e non è triste”. A questa ingenuità maliziosa e generosa, hanno inaspettatamente dato peso non indifferente i Gilet jaunes delle rotonde, delle strade e delle assemblee. La loro caparbietà ha deciso di accrescere questa importanza insospettata, stimolando la felicità degli individui e delle collettività. Ciò che sembrava chimerico, utopico, delirante conferma la sua realtà alla luce delle insurrezioni che infiammano le più diverse regioni della terra.

11. Detesto tutte le forme di militarizzazione, comprese quelle militanti, non per ragioni tattiche ma perché non si accede a una società viva con le armi di una società che uccide. Cerchiamo di essere chiari. Non ci lasceremo sgozzare, non cederemo alle forze dell'Ordine repressivo, non abbandoneremo i nostri territori liberati dal giogo del commercio se non per crearne altri.

Come dialogare con lo Stato quando il monologo è il suo unico modo di espressione? La situazione sembra bloccata. Non lo è. La storia ha più di un asso nella manica.

12. È bene che i dibattiti prioritari si allontanino dalle contese della sociologia, della critica-critica, dell'intellettualità che, per quanto emancipatrice sia stata in passato, si è raramente affrancata dal primato che la testa si arroga sul corpo pulsionale. Nella misura in cui l'autorità tradizionale crolla, abbandona sulle sponde del pensiero due funzioni disseccanti, derivanti dalla divisione del lavoro: la funzione intellettuale, prerogativa dei padroni, e la funzione manuale, riservata agli schiavi.

13. La nuova Coscienza sta gradualmente armando l'insolita guerriglia di una vita che, per molestie, verrà a capo dell'alienazione millenaria. L'emancipazione non deriverà da una moltitudine, ma da un piccolo numero d’individui autonomi e radicali. È "dall'interno" attraverso la soggettività radicale che eliminerà i piccoli uomini del calcolo egoistico e del loro individualismo gregario. L'abolizione della trasformazione in cosa il cosiddetto processo di reificazione inizia con la priorità del soggetto sull'oggetto, della vita sulla merce.

14. Nella misura in cui la speculazione borsistica s’impone come nuovo modo di predazione, l'accaparramento di beni proprio del vecchio dinamismo dei capitani d'industria è relegato in secondo piano e con esso un capitalismo che aveva abbandonato il produttivismo per un consumismo ritenuto più redditizio.

Una vuota opulenza mummifica il proprietario. Il godimento delle sue conquiste gli è rifiutato, perché l'arte del godimento è incompatibile con la gestione dell'avidità. L’avere è una perdita dell’essere. Mentre la noia “puritanizza” i poveri ricchi in seno a un edonismo di paccottiglia, l'impoverimento ci fornisce un deposito di armi: il godimento sta al mutuo aiuto come l'appropriazione alla predazione. Prenderne coscienza significa fondare società autonome e solidali su cui il capitalismo si romperà i denti.

15. La storia è a un bivio che segna un punto di rottura. Il proprietario è stanco dei suoi yacht, dei suoi jet, delle sue scopate mercenarie e altri fronzoli. L’avere rende la carne triste. I diseredati, invece, quando riescono a districarsi dalle loro difficoltà finanziarie, per respirare un po’ non hanno altro che l'aria libera dei godimenti gratuiti. Sentono con gioia che l'amore, la solidarietà, gli incontri festosi, il risveglio del pensiero contengono in germe l'annientamento della società del profitto. Sanno che la riscoperta del mutuo soccorso abolirà la predazione. Ciò non ha nulla a che vedere con una consolazione o una speranza, è ricchezza vissuta. È il più bel dono che i Gilet Gialli e gli insorti della vita quotidiana hanno offerto all'umanità.

L'abbondanza dell'essere abolisce l'avere. I morti viventi al potere regnanti e i becchini transumanisti, che li proteggono dalla luce, non avranno alcuna possibilità di capirlo finché l'alba della vita rinata non li avrà bruciati e ridotti in cenere.

16. Riapprendere a godere senza paura riconnette con la gioia di vivere. L'attrazione appassionata del vivente dà alla felicità un diritto di cittadinanza che rende caduche le obiezioni del puritanesimo, del disprezzo, dell'odio di sé e degli altri, che il Potere e il denaro nutrono abbondantemente.

A meno che non diventi un obbligo, il godimento è ciò che più sicuramente revoca la paura di godere da cui scaturiscono tutte le paure.

I bambini dovranno insegnare a vivere a chi non ha mai imparato altro che a invecchiare e morire.

17. L'emancipazione del genere umano sarà inseparabilmente sociale ed esistenziale. L'oppressione economica che ci aliena ha le sue radici nella nostra corazza caratteriale. Dalla nascita della civiltà mercantile, una corazza muscolare blocca i nostri impulsi vitali per metterli al lavoro. Inselvatichisce le nostre emozioni, le spinge a divorarsi a vicenda, alimenta i nostri intimi psicodrammi. Uno scatenamento di innumerevoli frustrazioni propulsa nel mondo i tratti più crudeli della barbarie e della disumanità. Tale è l'origine del riflesso di morte, tale è il nido dell'autodistruzione che ci perseguita e la cui assurdità ci sconcerta.

18. La macchina che ci distrugge è opera nostra. Sta a noi ridurla a niente. Attaccare i suoi meccanismi evita di guerreggiare con chi li mantiene e li lubrifica con il nostro sudore. Si rovina il profitto rendendo redditizio il suo decadimento. Rovinare la sua redditività favorisce il suo crollo.

19. L'impoverimento che ci minaccia incita a promuovere la gratuità, a recuperare la manna che la vita ci ha offerto, prima che gli ultimi dinosauri la mastichino ulteriormente. Che un popolo libero coltivi liberamente il giardino della terra! Il mutuo soccorso è una realtà poetica. Riunisce individui autonomi per affinità. Aprendosi alla libertà dei loro desideri, aprono brecce nella cittadella del potere mondiale, minato, del resto, dalle sue contraddizioni interne.

20. Non è la minore incoerenza del capitalismo imporre oggi un ascetismo che la frenetica promozione dell'edonismo di mercato insegnava ieri a ripudiare. Dopo averli persuasi ad accedere all'abbondanza mercantile, i governanti ingiungono ai poveri di essere sempre più poveri per salvare il pianeta. Come diceva un avvertimento dei rivoluzionari del 1789: “Ci prendete per fessi? Non ci riuscirete a lungo! »

21. La riflessione e la consapevolezza vanno oltre le parole d’ordine, per pertinenti che siano, come "Bruciamo le fatture!" "Non paghiamo più!" È giunto il momento di non disdegnare più i piccoli gesti che provocano un reale piacere. Aggiungono il loro peso vitale al rovesciamento di prospettiva. Aiutano a far fondere al sole della vita – che brilla giorno e notte – la glaciazione della paura, del senso di colpa, della corazza caratteriale. Il desiderio del cuore non rinuncia a nulla, non c'è nessuno che, nonostante la beffa della razionalità mercantile, non ne provi l'intima convinzione.

La potenza realistica del sogno non è estranea all'autorganizzazione del popolo al cuore dei movimenti d’insurrezione spontanea. Sogniamo che i lavoratori dell'elettricità, delle imposte, dei trasporti, della scuola, del settore sanitario, dell'agricoltura fomentino scioperi “per un mondo migliore” dove la gratuità rovina il profitto.

La creazione e la moltiplicazione di zone di alimentazione cooperative ci offrono un rimedio contro il rischio della carestia, sfuggono ai veleni dell'agricoltura industriale, rafforzano la potenza del mutuo soccorso e propagano un esempio d’insurrezione pacifica che protegge dalle rivolte della fame e dalla guerra di tutti contro tutti.

La proposizione “Lo Stato non è più niente, a noi d’essere tutto!” rivela qui, nella sua gravitazione esistenziale e sociale, la sua poesia pratica.

  

Raoul Vaneigem, 19 settembre 2022


Seule la peur nous gouverne



De la déchéance  programmée du vivant à sa renaissance spontanée

 

1. La peur comble l’écart entre la réalité mensongère et la réalité vécue, entre l’économie fictive et l’économie de base. Les chiffres gouvernementaux planent comme des drones sur le délabrement des hôpitaux, des écoles, des transports, des acquis sociaux.

 

2. La peur est devenue le plus sûr rempart des nantis contre l’insurrection sociale qui menace de les éradiquer. Cette peur, ils ne reculeront devant rien pour la renouveler et prolonger sa durée. Ils mènent sur nous comme sur des rats de laboratoire une expérience où ils s’inquiètent de savoir jusqu’à quel degré de résignation et d’avilissement nous cautionnerons leurs décrets.

 

3. Les instances étatiques et mondialistes ont d’abord pris prétexte d’un virus, dont un secteur public de santé et de recherche serait venu à bout si le principe de rentabilité ne l’avait ruiné. Propagée sous le nom de covid - martelé comme une malédiction - une panique a causé plus de morts que le virus lui-même. Sans parler des vaccins et des pseudo-vaccins improvisés dans l’urgence lucrative. La fabrication de l’effroi présentait un double avantage. Elle masquait le scandale des hôpitaux mis à mal et elle renforçait l’autorité de l’État, en voie d’affaiblissement constant.

 

4. Le sécuritaire ayant supplanté le sanitaire, on a embrayé sur une guerre locale où le nombre des victimes n’affectait pas la comptabilité des marchands d’armes, des monopoles financiers, des Etats ridiculisés par l’indigence mentale de leurs dirigeants. Le péril nucléaire fut hâtivement réactivé. On remit à neuf la stratégie du bouc émissaire : pro-ukrainiens et pro-russes remplacèrent les pro-vaccins et les anti-vaccins. La mascarade dérisoire et sanglante occulta pour un temps l’instauration progressive d’un Crédit social à la chinoise et la dévastation sociale causée par la tornade de l’argent fou.

 

5. C’est maintenant au tour de l’apocalypse énergético-écologique de prendre la relève. Alors que les mafias étatiques et mondiales détruisent impunément la planète, c’est au citoyen que l’on intime l’ordre de réaliser des économies en faveur d’un système qui, à force de l’économiser lui-même, l’enfonce sous le seuil d’une indigne pauvreté. Une police de l’énergie, commanditée par ceux qui en font un commerce éhonté, sera habilitée à contrôler la température des ménages. Vous verrez que, forts des Commissions scientifiques qui imputent à la flatulence des vaches un surcroît de pollution, ils finiront par taxer les pets. Au reste, qui sait si un referendum, amplement subventionné et bien épaulé par les médias, n’y serait pas favorable ?

 

6. Devant tant d’aberrations, la partie de l’opinion publique, encore épargnée par la machine à décerveler, a estimé que nous étions gouvernés par des malades. C’était prêter une apparence humaine aux rouages d’un système qui broie le vivant. On s’en est avisé très vite : ce ne sont pas des malades qui nous gouvernent, c’est la maladie. Ou plus exactement, la peur de la maladie.

A supposer que les familles veuillent intenter un procès aux gestionnaires de la politique meurtrière dont leurs proches furent les victimes, elles se trouveraient en présence soit de malades à responsabilité limitée, soit d’une Fatalité évidemment irresponsable. Seules l’amnistie et l’amnésie peuvent combler un tel vide juridique. Les précédents ne manquent pas : jamais les crimes des colonisateurs n’ont été jugés.

 

7. L’énormité du mensonge au pouvoir a introduit dans le langage dominant une inversion du sens qu’Orwell appelle « novlangue. » Ceux qui sont persuadés que « la liberté, c’est l’esclavage » n’auront ni peine ni plaisir à admettre que ce qui fleure bon la santé et le bonheur, c’est l’argent, c’est le profit.

 

8.  Nous errons dans un no man’s land séparant une civilisation mortifère qui n’en finit pas de mourir et une civilisation vivante qui tarde à s’affirmer audacieusement. Sombre est l’horizon qu’obture la toute puissance de l’argent. Le plus désespérant est sans doute la facilité avec laquelle le cliquetis des rouages qui nous écrasent devient un ronronnement. Mais le ronronnement du chat ne l’empêche pas de s’éveiller en sursaut.

Le pire danger de la cupidité tentaculaire ne réside pas dans les mafias de l’armement, des banques, de la narco-pharmacopée, de l’immobilier, des gestionnaires d’escroqueries. Il est dans la corruption des consciences. La pauvreté résiste mal aux séductions de l’avoir, acquis au préjudice de l’être. Si tant de miséreux deviennent des misérables en se vendant au plus offrant, cela signifie que l’inverse est possible. Nous sommes à un endroit de l’histoire où s’articule un mouvement de bascule. La déperdition de l’avoir restitue à l’être la priorité qu’il lui avait ôtée.

 

9. La tentation est grande de mobiliser la violence qui monte lentement mais viscéralement dans la population. Le paltoquet de l’Élysée et ses valets de pisse mettraient volontiers en scène une parodie de guerre civile. Mais qui prendra au sérieux leur sottise ? La rhétorique barricadière ne brûle que voitures et poubelles. Les guérillas urbaines et guevaristes se sont discréditées davantage par leurs victoires que par leurs défaites. Il n’y a pour rendre raison au pouvoir qu’une gauche qui, ayant trahi le prolétariat, s’exonère de sa culpabilité en guerroyant contre un fascisme en botte de cuir, alors qu’il est partout en pantoufle et en cravate. Si le rétro-nazisme représente une menace, c’est qu’il préfigure une guerre de tous contre tous, où se débonderait le trop-plein des ressentiments accumulés. Les mafias mondiales y trouveraient leur compte car le chaos est propice aux affaires.

Il ne faut pas se tromper de combat. Le militantisme antifasciste affronte le plus souvent des guignols psychopathes au lieu de s’en prendre à ceux qui tirent les ficelles. A ceux qui polluent, empoisonnent, dévastent la terre et la déshumanisent.

 

10. La colère s’égare aisément dans le reproche. On ne fera qu’ajouter la culpabilité individuelle à la culpabilité collective en stigmatisant ceux qui, par portes, fenêtres et résignation laissent pénétrer dans leur cuisine la pollution et les pesticides. Rien ne changera tant que l’exaltation écologique se contentera de manifestations mondaines au lieu de paralyser les entreprises responsables de l’empoisonnement des nourritures, de l’eau, de l’air, qui tuent plus que les épidémies. Je ne convie pas ici à un militantisme agressif, je songe plutôt au propos de l’humoriste Gébé « On arrête tout, on réfléchit et c’est pas triste. » A cette malicieuse et généreuse naïveté, les Gilets jaunes des ronds-points, des rues et des assemblées ont conféré inopinément un poids considérable. Cette importance insoupçonnée, leur obstination a résolu de l’accroître en stimulant le bonheur des individus et des collectivités. Ce qui paraissait chimérique, utopique, délirant conforte sa réalité à la lueur des insurrections qui embrasent les régions les plus diverses de la terre.

 

11.  Je répugne à toutes les formes de  militarisation, y compris militantes, non pour des raisons tactiques mais parce que l’on n’accède pas à une société vivante avec les armes d’une société qui tue. Soyons clairs. Nous ne nous laisserons pas égorger, nous ne céderons pas aux forces de l’Ordre répressif, nous n’abandonnerons nos territoires libérés du joug marchand que pour en créer d’autres.

Comment dialoguer avec l’État alors que le monologue est son seul mode d’expression ? La situation paraît bloquée. Elle ne l’est pas. L’histoire a plus d’un tour dans son sac.

 

12. Il est bon que les débats prioritaires s’éloignent des joutes de la sociologie, de la critique-critique, de l’intellectualité qui, si émancipatrice qu’elle fût par le passé, s’est rarement dégagée de la suprématie que la tête s’arroge sur le corps pulsionnel. A mesure que l’autorité traditionnelle s’effondre, elle abandonne sur les berges de la pensée deux fonctions dessiccatives, issues de la division du travail : la fonction intellectuelle, apanage des maîtres, et la fonction manuelle, réservée aux esclaves.

 

13. La Conscience nouvelle arme peu à peu l’insolite guérilla d’une vie qui, par harcèlement, viendra à bout de l’aliénation millénaire. L’émancipation ne procédera pas d’une multitude mais d’un petit nombre d’individus autonomes et radicaux. C’est « par le dedans » - par la subjectivité radicale - qu’elle éradiquera les petits hommes du calcul égoïste et leur l’individualisme grégaire. L’abolition de la transformation en chose – que l’on nomme réification - commence avec la priorité du sujet sur l’objet, de la vie sur la marchandise.

 

14. A mesure que la spéculation boursière s’impose comme nouveau mode de prédation, l’accaparement des biens - propre au vieux dynamisme des capitaines d’industrie - est relégué au second plan et avec lui un capitalisme qui avait délaissé le productivisme pour un consumérisme jugé plus lucratif.

Une opulence vide momifie le propriétaire. La jouissance de ses acquis lui est refusée, car l’art de jouir est incompatible avec la gestion de la cupidité. L’avoir est une déperdition de l’être. Tandis que l’ennui « puritanise » les pauvres riches au sein d’un hédonisme de pacotille, la paupérisation nous livre une cache d’armes : la jouissance est à l’entraide ce que l’appropriation est à la prédation. En prendre conscience, c’est fonder des sociétés autonomes et solidaires sur lesquelles le capitalisme se cassera les dents.

 

15. L’histoire est à un croisement qui marque un point de rupture. Le possédant s’ennuie de ses yachts, de ses jets, de ses baises boutiquières et autres fanfreluches. L’avoir rend la chair triste. Les dépossédés, en revanche, quand ils arrivent à se dépêtrer de leurs difficultés financières, n’ont pour respirer un peu que l’air libre des jouissances gratuites. Ils pressentent avec bonheur que l’amour, la solidarité, la rencontre festive, l’éveil de la pensée contiennent en germe l’anéantissement de la société de profit. Ils savent que la redécouverte de l’entraide abolira la prédation. Cela n’a rien d’une consolation ni d’un espoir, c’est une richesse vécue. Elle constitue le plus beau cadeau que les Gilets jaunes et des insurgés de la vie quotidienne ont offert à l’humanité.

L’abondance de l’être abolit l’avoir. Les morts-vivants au pouvoir et les croque-morts transhumanistes, qui les protègent de la lumière, n’auront aucune chance de le comprendre tant que l’aube de la vie renaissante ne les aura pas ardés et réduits en cendres.

 

16. Réapprendre à jouir sans peur renoue avec la joie de vivre. L’attraction passionnelle du vivant confère au bonheur un droit de cité qui rend caduques les objurgations du puritanisme, du mépris, de la haine de soi et des autres, que le Pouvoir et l’argent ravitaillent à foison.

Sauf à devenir une obligation, la jouissance est ce qui révoque le plus sûrement la peur de jouir, d’où découlent toutes les peurs.

Il faudra bien que les enfants enseignent à vivre à celles et ceux qui ne leur ont jamais appris qu’à vieillir et à mourir.

 

17. L’émancipation du genre humain sera inséparablement sociale et existentielle. L’oppression économique qui nous aliène a son ancrage dans notre cuirasse caractérielle. Depuis la naissance de la civilisation marchande, une carapace musculaire bloque nos pulsions de vie pour les mettre au travail. Elle ensauvage nos émotions, les pousse à s’entre-dévorer, alimente nos psychodrames intimes. Un déchaînement de frustrations sans nombre propulse dans le monde les traits les plus cruels de la barbarie et de l’inhumanité. Telle est l’origine du réflexe de mort, tel est le nid de l’autodestruction qui nous hante et dont l’absurdité nous sidère.

 

18. La machine qui nous détruit est notre œuvre. C’est à nous qu’il appartient de la  réduire à néant. S’en prendre à ses mécanismes, évite de guerroyer contre ceux qui les entretiennent et les lubrifient de notre sueur. Le profit se ruine en rentabilisant son délabrement. C’est aider à son effondrement que de ruiner sa rentabilité.

 

19. La paupérisation qui nous menace incite à promouvoir la gratuité, à récupérer la manne que la vie nous a offerte, avant que les derniers dinosaures la mâchouillent davantage. Qu’un peuple libre cultive librement le jardin de la terre ! L’entraide est une réalité poétique. Elle regroupe par affinité les individus autonomes. En s’ouvrant à la liberté de leurs désirs, ils ouvrent des brèches dans la citadelle du pouvoir mondial, sapée par ailleurs par ses contradictions internes.

 

20. Ce n’est pas la moindre incohérence du capitalisme que d’imposer aujourd’hui un ascétisme qu’enseignait à répudier hier la promotion frénétique d’un hédonisme de marché. Après les avoir persuadés d’accéder à une abondance mercantile les gouvernants enjoignent aux pauvres d’être de plus en plus pauvres pour sauver la planète. Comme disait une mise en garde des révolutionnaires de 1789 « Vous foutez-vous de nous ? Vous ne vous en foutrez pas longtemps ! »

 

21. La réflexion et la prise de conscience tiennent quitte des mots d’ordre si pertinents qu’ils soient – comme « Brûlons nos factures ! » « Ne payons plus ! » Le temps est venu de ne plus dédaigner les petits gestes qui font un réel plaisir. Ils ajoutent leur pesant de vie au renversement de perspective. Ils aident à faire fondre au soleil de la vie – lequel luit jour et nuit - la glaciation de la peur, de la culpabilité, de la carapace caractérielle. Le désir du cœur ne renonce à rien, il n’est personne qui, en dépit des railleries de la rationalité marchande, n’en éprouve l’intime conviction.

La puissance réaliste du rêve n’est pas étrangère à l’auto-organisation du peuple, qui est au cœur des mouvements d’insurrections spontanées. Rêvons que les travailleurs de l’électricité, des impôts, des transports, des écoles, des secteurs sanitaires, de l’agriculture fomentent « pour un monde meilleur » des  grèves où la gratuité ruine le profit.

La création et  la multiplication de zones d’alimentation coopératives nous offrent un recours contre le risque de famine, elles échappent aux poisons de l’agriculture industrielle, elles affermissent la puissance de l’entraide et propagent un exemple d’insurrection pacifique qui prémunit contre les émeutes de la faim et la guerre de tous contre tous.

La proposition « L’État n’est plus rien soyons tout ! » révèle ici, dans sa gravitation existentielle et sociale, sa poésie pratique.

 

Raoul Vaneigem, 19  septembre 2022

 

  


martedì 20 settembre 2022

Sobrietà energetica, una cosa da poveri!

 




Transalpino radicale che sono, voglio denunciare in senso contrario allo spettacolo dominante, non Giordano Bruno all'Inquisizione ma l'inquisizione ai Giordano Bruno anonimi che rifiutano ancora, in Francia, in Italia e altrove, di arrendersi all’addomesticamento economicista omicida che imperversa.

L'esagono francese dove ho fatto il nido, come lo stivale italiano dove sono nato, è una delle nazioni psicogeografiche che amo. Assolutamente nessuna è la mia patria, né l'una né l'altra. Il mio paese è il mondo. L'internazionalista antipatriarcale che sono ha scelto liberamente di vivere qui da quasi mezzo secolo, senza opportunismi né inganni, solo per amore della vita, mescolando le sue radici alverniate con quelle liguri, avendo contribuito molto modestamente modestia che è la fatalità di ogni maschio – alla nascita a Parigi di mio figlio, per la quale ringrazio particolarmente sua madre, bella compagna di avventura, e mio figlio stesso.

Le mie radici nomadi e la mia parte sedentaria sono dunque un mix transalpino che nessun nazionalismo potrà rubarmi. La vita mi ha insegnato a viverla da essere umano, senza confini di nessun genere – e sottolineo genere!

Sono quindi francese per mia scelta quotidiana e a causa di una parte della mia storia antica e recente, altrettanto che italiano per il resto del mio vissuto e delle mie origini. Non importano i passaporti e gli obblighi che la burocrazia statalista di Francia, Navarra o altrove mi richiedono. L'unico lato positivo dell'Europa reazionaria produttivista al servizio dello Stato globale in fieri, è che su questo punto preciso i burocrati di Stato ce la menano molto meno di prima con i loro papiri marcescenti. Ma ancora troppo, per i miei gusti!

Le mie due anime transalpine si preoccupano anche della sorte delle mie due nazioni principali[1], storicamente prigioniere, come tutte le altre, del patriarcato produttivista che ha inventato lo Stato per facilitare il business planetario e proteggere il Mercato dal libero e gioioso dispendio di energia vitale degli esseri umani.

L’ibrido perverso che fu la Città-Stato, è diventato Stato-nazione e sta per realizzare il suo ideale di Stato planetario. Lo Stato è nato e morirà al servizio del Mercato e dei mercanti che manipolano mandrie di servitori volontari, drappeggiando sempre la disumanità del Leviatano con le sue volgari bandiere suprematiste e i suoi inni morbosi (che la nazione diventata vassalla dello Stato sia fiera del sangue che annaffia i suoi solchi o che si proclami schiava di Roma e pronta a morire per la patria).

Mentre l'Italia si prepara tragicamente a celebrare con il voto[2] il centenario della marcia su Roma di Mussolini culminata nel "ventennio" fascista e nella seconda guerra mondiale, la Francia sonnecchia nel suo complesso di superiorità che un transalpino famoso (Coluche) aveva esemplarmente stigmatizzato ricordando la predilezione del gallo francese imperialista a cantare imperturbabile la sua grandezza napoleonica anche a Waterloo, con i piedi nella merda e nel sangue che scorre a fiotti.

Come tutti gli ignoranti diplomati che il produttivismo ingaggia nella gestione politica del suo dominio (in Italia si preferiscono i non laureati più rozzi nella loro ignoranza ma senza scrupoli nell'ignominia e nel ridicolo), il presidente Macron, eterno ragazzino bon chic bon genre, distilla regolarmente, in quel che resta della Francia (supposta eterna, in realtà arcaica quanto i nostri antenati Galli e l'Impero romano dall’altra parte delle Alpi), delle briciole di verità involontaria che macchiano la sua fedeltà all’economia politica, riccamente ricompensata, economicamente e narcisisticamente, dalla civiltà produttivista di cui è il dipendente, come tutti i politicanti. A forza di sproloquiare bugie populiste che non nascondono nemmeno una goccia del suo profondo disprezzo per il popolo, Macron lascia che alcune delle sue intime convinzioni scivolino nel quadro sub realista della sua visione del mondo, liberale e mercantile fino alla feccia.

Si è visto nel centocinquantesimo anniversario della Comune di Parigi e della sua sconfitta vittoriosa: quello stesso accanito repubblicano che periodicamente singhiozza in modo spettacolare, a corrente alternata, su Vichy e la resistenza antifascista in versione Mitterrandiana[3] ha ammesso di apprezzare piuttosto lo spirito di Versailles che la passione dei Comunardi. La sua professione d'amore per Adolphe Thiers e per i suoi omicidi repubblicani, a Lione poi a Parigi, rivendica, del resto, sottobanco, una pratica del terrore punitivo migliorata, per non dire democratizzata, dall'uso accecante di flash balls ad personam invece degli omicidi collettivi che insanguinarono Parigi durante la terribile settimana del pogrom della Comune. Altra epoca, stesso spirito borghese.

La borghesia proletarizzata di oggi, diventata una casta di servitori volontari più che una classe dominante, è politicamente molto corretta e preferisce veder affondare le barche degli immigrati nel Mediterraneo invece di massacrare gli operai – purché francesi, preferibilmente cattolici e che restino soprattutto lontano dai Ronds-points dei Gilets jaunes. Così, grazie alla peste emozionale islamista che continua a modo suo la nostra inquisizione cristiana del passato, si possono demonizzare tutti i musulmani come untermenchen e trattare d’islamo-gauchista chiunque rifiuti quest’amalgama razzista semplificatore, fosse anche qualcuno profondamente e gioiosamente ateo e radicalmente critico di ogni psicopatologia monoteistica. Inoltre, attraverso la sua filosofia da caffè del commercio, la neolingua ci insegna che radicalizzarsi è sinonimo d’islamizzazione. La radicalità dell'Illuminismo di una volta, da Diderot a Marx, è così diventata l'ultima vittima della ghigliottina oscurantista del capitalismo.

Il dominio reale del capitale sul lavoro umano è ormai un dato di fatto e quindi la società dei consumi non vede di buon occhio i campi di concentramento e lo sterminio di massa; preferisce i supermercati e una sopravvivenza da consumatori, miserabile ma produttrice di valore economico, a qualunque prezzo. Certo, non possiamo lamentarci, noi che abbiamo ancora (ma fino a quando?) l’acqua potabile al rubinetto mentre una porzione incredibile della popolazione mondiale non l'ha mai avuta.

Alla minima voce di una penuria idrica, chi non si è mai curato per un solo secondo della sorte altrui, si precipita nei supermercati per fare scorta di acqua, olio, farina e altri generi alimentari, incurante di contribuire così alla penuria prima ancora che sia reale. Intanto i prezzi ballano la rumba indiavolata della speculazione mentre i teologi dell’economia politica ci parlano d’inflazione e di recessione con un tono ispirato e scientifico che occulta la truffa.

Così i tempi cambiano affinché non cambi l'essenziale e con esso la soddisfazione delle esigenze del dominio. Fino a ieri parlare di decrescita era ridicolizzato dal minimo sociologo, politico o giornalista. Ognuno di questi specialisti di un quasi tutto che assomiglia al quasi niente, vomita le sue certezze, incerte e ammuffite ma ben pagate, sugli schermi televisivi, sui gafam e accessoriamente sulla carta stampata questo dinosauro in via di sparizione quasi altrettanto folgorante di quella degli alberi della foresta amazzonica e di altrove.

Ora, gli apostoli della crescita economica, di fronte al disastro di cui essa è la portatrice malsana, si stanno riciclando in paladini della sobrietà, dimenticando di averla derisa fino a ieri. Pandemia, clima e guerra li obbligano! Un conto, però, era l'idea di una decrescita rivendicata per salvare al meglio la qualità di vita ancora possibile, un'altra la decrescita imposta dalla catastrofe produttivista e, per di più, per continuare a produrre una stupida crescita economica alienata: la ricchezza finanziaria e l'abbondanza di cose inutili di una società termo industriale che ha prodotto il disastro ecologico e sociale facendo della decrescita una risposta obbligata alla natura dimenticata dall'hubris dell'uomo. In questo casino, il gas figlio di Putin sembra un'ironia della storia, ma una storia testarda che non scende a compromessi sull'ecologia sociale e ride di tutti gli oligarchi e delle loro mandrie di servitori volontari.

Eppure, i discorsi che preparano all’obbligo del risparmio energetico e quindi della riduzione dei consumi in genere, continuano a preservare gli stessi privilegi di sempre per alcuni e ad aggravare le corvè insopportabili per gli altri. È importante sottolinearlo, soprattutto nel paese che sembra dimenticare la data del 4 agosto 1789, legata nella sua storia all'abolizione dei privilegi.

In un mondo in cui l'immensa ricchezza prodotta e accumulata è nelle mani dell'uno per cento della popolazione mondiale, le crescenti differenze all’interno del 99 per cento dei meno ricchi e dei poveri moltiplicano dei conflitti tra dominati che proteggono le élite dominanti dalla rivoluzione sociale. Mentre si potrebbe abolire un sistema anti egualitario instaurando una società senza dei né padroni, quindi umana, si riproduce la batracomiomachia che per millenni di produttivismo ha sostituito la poesia del vivente umanizzato con una sordida battaglia per una sopravvivenza miserabile in nome del suprematismo: il chimerico “posto al sole” rivendicato da ogni imperialismo fascista.

Perché il fascismo non è un'idea che diventa azione. È, al contrario, un'azione malata, reattiva, predatoria, spinta dalla paura di mancare, dalla paura dell'altro, dalla paura del godimento, dalla paura della vita. Il fascismo diventa ideologia politica per giustificare la sua essenza: “Cerca, dunque, di dire o fare il contrario e vedrai cosa ti succede”.

Nella natura primitiva, nella giungla, il predatore non ha scelta. Deve uccidere per sopravvivere. Il darwinismo sociale (e non la teoria dell'evoluzione di Darwin che è, al contrario, un patrimonio dell'umanità che ci aiuta a capire chi siamo, i nostri limiti e le nostre potenzialità poetiche) giustifica ideologicamente il fascismo politico sragionando su un pretestuoso limite naturale primario mentre l'evoluzione della specie umana ha sempre precisamente scommesso sul possibile superamento dell'animalità primitiva senza negarla, per raffinarla dialetticamente.

Più che un'utopia, ogni Arcadia è una mappa aleatoria e imprecisa ma poetica, nel senso radicale del termine, di un territorio psicogeografico che non conosciamo ancora molto bene e che ci sfugge nonostante le nostre ripetute esplorazioni. Perché, sempre, come in un déjà-vu, la violenza della guerra cancella in un'ipnosi pavloviana il desiderio d'amore che essa violenta, uccide e umilia fino alla rimozione finale che ci protegge dalla vergogna interiorizzata al prezzo di una disgrazia teorizzata e messa in pratica.

Laddove la poesia gilanica[4] ha esplorato in più epoche, più volte e in luoghi diversi, una civiltà umana possibile, il produttivismo ha sempre trovato nel fascismo caratteriale lo spunto per farci regredire sistematicamente verso i conflitti della natura primitiva, dove spesso la tua morte permette la mia vita (mors tua vita mea).

Da millenni, la civiltà produttivista ci sciroppa la favola ideologica dei limiti al cuore della natura umana mentre è appunto il produttivismo che incarna la nostra antinatura disumana. È sempre il presunto fascismo dell'altro (l'untermensch) a giustificare il nostro. Così, ora, i neonazisti russi pretendono di liberare il mondo dai neonazisti ucraini e viceversa, mentre l'umano soffre e muore dappertutto.

Il progetto della stupida intellighenzia delle élite di ogni bordo è chiaro: il peggio del comunismo unito al peggio del capitalismo. Esplosione delle disuguaglianze e controllo sociale del popolo, esplosione dei profitti da parte di big Pharma e di big finanza. Due mondi paralleli disegnano una distopia incarnata da questo momento di nulla politico che stiamo subendo a fondo.

Ho adattato questa limpida affermazione – finita per caso davanti ai miei occhi di contro informatore volontario che osserva talvolta il virtuale, nonostante la mia diffidenza nei suoi confronti – al mio bisogno di capire e denunciare la trappola sociale che c’imprigiona sempre di più, forse, irrevocabilmente.

Abbiamo solo la scelta di liberarcene o morirne.

Scegli da che parte stare, camarade!

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 20 settembre 2022

 



[1] Da bulimico viaggiatore psicogeografico che sono, queste due nazioni soggettive, femminili e ricche di fascino, non sono le uniche che ho amato nella mia vita.

[2] È di questi giorni il voto per le elezioni legislative italiane che i sondaggi vedono ampiamente alla portata degli eredi di ciò che resta della fiamma razzista e fascista (1922/2022).

[3] Vale a dire sotto le bandiere ambigue di una socialdemocrazia erede di Noske e Scheidemann e non di Rosa Luxembourg, più vicina alla Franciska che alla rivoluzione sociale. La strategia di favorire una rinascita controllata del fascismo volgare ha reso possibile di fare ingoiare al popolo frustrato, manipolato ed emozionalmente appestato dal produttivismo, il "male minore" dello Stato totalitario nella sua versione pseudo democratica piuttosto che nazional-populista.
[4] Mi riferisco, ancora una volta, alla riflessione di Marjia Gimbutas et Riane Eisler sul significato di questo neologismo antropologico misconosciuto ma fondamentale per capire come porre la vera questione dell'opposizione conflittuale tra la civiltà umana, organica e la civiltà produttivista, disumana, artificiale. Informatevi, se lo volete, sul termine gilanico. Non voglio qui esercitare il minimo atteggiamento pedagogico perché non intendo convincere nessuno. Possa il virtuale, per una volta, aiutare voi e la vostra coscienza organica, di specie.



La sobriété énergétique, un truc de pauvres !

 

 


Transalpin radical que je suis, je veux dénoncer dans le sens opposé au spectacle dominant, non pas Giordano Bruno à l’inquisition mais l’inquisition aux Giordano Bruno anonymes qui refusent toujours, en France, en Italie et ailleurs, de se rendre à la domestication économiste déferlante et meurtrière.

L’hexagone français où je crèche, comme la botte italienne où je suis né, est une des nations psychogéographiques que j’aime. Elles ne sont surtout pas ma patrie, ni l’une ni l’autre. Mon pays est le monde. L’internationaliste anti patriarcal que je suis a librement choisi de vivre ici depuis presque un demi-siècle, sans opportunismes ni magouilles, juste par amour de la vie, mêlant ses racines auvergnates à ses racines ligures, en ayant contribué très modestement – modestie qui est le lot de tout mâle – à la naissance à Paris de mon fils dont je remercie surtout sa mère, belle compagne d’aventure, et mon fils lui-même.

Mes racines nomades et ma composante sédentaire sont donc un mélange transalpin qu’aucun nationalisme ne pourra me voler. La vie m’a appris à la vivre comme un être humain, sans limites de frontière d’aucun genre – j’ai bien dit genre !

Je suis donc français par mon choix quotidien et à cause d’une partie de mon histoire ancienne et récente, autant qu’italien par le reste de mon vécu et de mes origines. Peu importent les passeports et les obligations que la bureaucratie étatiste de France, de Navarre ou d’ailleurs exigent de moi. Le seul côté positif de la réactionnaire Europe productiviste au service de l’État global in fieri, est que sur ce point précis les bureaucrates d’État nous emmerdent beaucoup moins qu’avant avec leurs papiers pourris. Mais toujours trop, à mes goûts !

Mes deux âmes transalpines se préoccupent également du sort qu’on fait à mes deux nations principales[1], historiquement captives, comme toutes les autres, du patriarcat productiviste qui a inventé l’État pour faciliter le business planétaire et protéger le Marché de la libre et joyeuse dépense d’énergie vitale des êtres humains.

Cet hybride pervers qu’était la cité-État, est devenu l’État-nation et est sur le point d’atteindre son idéal d’État planétaire. L’État est né et mourra au service du Marché et des marchands qui manipulent des troupeaux de serviteurs volontaires, drapant toujours l’inhumanité du Léviathan de ses vulgaires drapeaux suprématistes et de ses hymnes morbides (que la nation vassalisée par l’État soit fière du sang qui abreuve ses sillons ou qu’elle se proclame esclave de Rome et prête à mourir pour la patrie).

Alors que l’Italie s’apprête tragiquement à fêter par le vote[2] le centenaire de la marche mussolinienne sur Rome aboutie au « ventennio » fasciste et à la seconde guerre mondiale, la France ronronne dans son complexe de supériorité qu’un transalpin célèbre (Coluche) avais si bien épinglé en rappelant la prédilection du coq français impérialiste à chanter imperturbablement sa grandeur napoléonienne même à Waterloo, les pieds dans la merde et dans le sang qui coule à flots.

Comme tous les ignorants diplômés que le productivisme embauche dans la gestion politique de sa domination (en Italie on préfère plutôt les ignorants non diplômés, plus rudes mais sans états d’âme dans l’ignominie et le ridicule), le président Macron, inépuisable garçon bon chic bon genre, distille régulièrement, dans ce qui reste de la France (soi-disant éternelle, en réalité archaïque autant que nos ancêtres les Gaulois et l’Empire romain de l’autre côté des Alpes), des miettes de vérité involontaire qui tachent sa fidélité à l’économie politique richement récompensée économiquement et narcissiquement par la civilisation productiviste dont il est l’employé, comme tous les politiciens. À force de débiter des mensonges populistes qui ne cachent même pas une goutte de son profond mépris du peuple, Macron laisse glisser quelques-unes de ses convictions intimes dans le tableau subréaliste de sa vision du monde, libérale et marchande jusqu’à la lie.

Ce fut le cas pendant l’anniversaire des cent cinquante années de la Commune de Paris et de sa défaite victorieuse : ce même républicain acharné qui périodiquement larmoie de façon spectaculaire, à courant alterné, sur Vichy et la résistance antifasciste dans sa version mitterrandienne[3] a avoué apprécier plutôt l’esprit versaillais que la passion communarde. Sa profession d’amour pour Adolphe Thiers et pour ses meurtres de masse républicains, à Lyon puis à Paris, revendique, d’ailleurs, en catimini, une pratique de la terreur punitive améliorée, pour ne pas dire démocratisée, par l’utilisation aveuglante des flash balls ad personam à la place des meurtres collectifs qui ont ensanglanté Paris pendant la terrible semaine du pogrom de la Commune. Autre époque, même esprit bourgeois.

La bourgeoisie prolétarisée d’aujourd’hui, devenue une caste de serviteurs volontaires plus qu’une classe dominante, est politiquement très correcte et préfère voir sombrer les bateaux d’immigrés dans la Méditerrané plutôt que massacrer les travailleurs – pourvu qu’ils soient bien français, préférablement catholiques et surtout loin des ronds-points des Gilets jaunes. Ainsi, grâce à la peste émotionnelle islamiste qui continue à sa manière notre inquisition chrétienne d’antan, on peut diaboliser tous les musulmans comme des untermenschen et traiter d’islamo-gauchiste quiconque refuse cet amalgame raciste et réducteur, fût-il quelqu’un de profondément et joyeusement athée et radicalement critique de n’importe quelle psychopathologie monothéiste. D’ailleurs, par sa philosophie de comptoir, la novlangue nous apprend que se radicaliser est synonyme d’islamisation. La radicalité des lumières d’antan, de Diderot à Marx, est ainsi devenue la dernière victime de la guillotine obscurantiste du capitalisme.

La domination réelle du capital sur le travail humain est désormais un fait et par conséquent la société de consommation n’a pas de goût pour les camps de concentration ni pour l’extermination de masse ; elle leur préfère les supermarchés et une survie de consommateurs, misérable mais productrice de valeur économique, coûte que coûte. Certes, nous sommes mal placés pour nous plaindre, nous qui avons encore (mais jusqu’à quand ?) l’eau potable au robinet alors qu’une portion inouïe de la population mondiale ne l’a jamais eue.

À la moindre rumeur de pénurie d’eau, ceux qui ne se sont jamais souciés une seule seconde du destin d’autrui se ruent dans les supermarchés pour faire provision d’eau, d’huile, de farine et autres denrées, indifférents au fait qu’ils contribuent ainsi à la pénurie avant même qu’elle soit réelle. Pendant ce temps les prix dansent la rumba endiablée de la spéculation tandis que les théologiens de l’économie politique nous parlent d’inflation et de récession avec un ton inspiré et scientifique qui dissimule l’arnaque.

Ainsi, les temps changent afin que l’essentiel ne change pas et avec eux la satisfaction des exigences de la domination. Jusqu’à hier, parler de décroissance était ridiculisé par le moindre sociologue, politicien ou journaliste. Chacun de ces spécialistes d’un presque tout qui ressemble au presque rien, vomit ses certitudes, incertaines et moisies mais bien payées, sur les plateaux de télévision, sur les gafam et accessoirement sur le papier de la presse écrite – ce dinosaure en voie de disparition presque aussi fulgurante que celle des arbres de la forêt amazonienne et d’ailleurs.

Maintenant, les apôtres de la croissance économique, face au désastre dont celle-ci est la porteuse malsaine, se reconvertissent en chantres de la sobriété, oubliant qu’ils l’ont raillée jusqu’à hier. Pandémie, climat et guerre obligent ! Or, une chose était l’idée d’une décroissance revendiquée pour sauver au mieux la qualité de la vie encore possible, une autre est la décroissance imposée par la catastrophe productiviste et, de surcroît, afin de continuer à produire une débile croissance économique aliénée : la richesse financière et l’abondance de choses inutiles d’une société thermo industrielle qui a produit le désastre écologique et social faisant de la décroissance une réponse obligée à la nature oubliée par l’hubris des humains. Dans ce bordel, le gaz fils de Putin ressemble à une ironie de l’histoire, mais une histoire têtue qui ne transige pas sur l’écologie sociale et se moque de tous les oligarques et de leurs troupeaux de serviteurs volontaires.

Et pourtant, les discours qui préparent à la tâche obligatoire d’épargner l’énergie et donc de limiter la consommation en général, continuent de préserver les privilèges des uns et d’aggraver les corvées affligeant les autres. Il est important de le souligner, surtout dans le pays qui semble oublier la date du 4 août 1789, liée dans son histoire à l’abolition des privilèges.

Dans un monde où l’immense richesse produite et accumulée est dans les mains d’un pour cent de la population mondiale, les différences s’accentuant parmi les 99 pour cent des moins riches et des pauvres multiplient des conflits entre dominés qui protègent les élites dominantes de la révolution sociale. Plutôt qu’abolir un système inégalitaire en instaurant une société sans dieux ni maîtres, donc humaine, on reproduit la batrachomyomachie qui pendant des millénaires de productivisme a remplacé la poésie du vivant humanisé par une sordide bataille pour une survie misérable au nom du suprématisme : la chimérique « place au soleil » revendiquée par tout impérialisme fasciste.

Car le fascisme n’est pas une idée qui se fait action. Il est, au contraire, une action malade, réactive, prédatrice poussée par la peur du manque, la peur de l’autre, la peur de la jouissance, la peur de la vie. Le fascisme se fait idéologie politique pour justifier son essence : « Essaie, donc, de dire ou faire le contraire et tu vas voir ce qui va t’arriver ».

Dans la nature primitive, dans la jungle, le prédateur n’a pas le choix. Il doit tuer pour survivre. Le darwinisme social (et non pas la théorie de l’évolution de Darwin qui est, au contraire, un patrimoine de l’humanité qui nous aide à comprendre qui nous sommes, nos limites et nos potentialités poétiques) justifie idéologiquement le fascisme politique déraisonnant à propos d’une prétendue limite naturelle primaire alors que l’évolution de l’espèce humaine a précisément toujours parié sur le dépassement possible de l’animalité primitive, sans la renier, pour l’affiner dialectiquement.

Plus qu’une utopie, toute Arcadie est une carte aléatoire et imprécise mais poétique, dans le sens radical du terme, d’un territoire psychogéographique qu’on ne connaît pas encore très bien et qui se dérobe à nous malgré nos explorations répétées. Car, toujours, comme dans un déjà-vu, la violence de la guerre efface dans une hypnose pavlovienne l’envie d’amour qu’elle viole, tue et humilie jusqu'au refoulement final qui nous protège de la honte intériorisée au prix d’un malheur théorisé et mis en pratique.

Alors que la poésie gylanique[4] a exploré à plusieurs époques, plusieurs reprises et dans des endroits différents, une civilisation humaine possible, le productivisme a toujours trouvé dans le fascisme caractériel le levier pour nous faire systématiquement régresser vers les conflits de la nature primitive, où souvent ta mort permet ma vie (mors tua vita mea).

Depuis des millénaires, la civilisation productiviste nous serine la fable idéologique des limites au cœur de la nature humaine, alors que le productivisme incarne justement notre antinature inhumaine. C’est toujours le fascisme présumé de l’autre (l’untermensch) qui justifie le nôtre. Ainsi, maintenant, les néonazis russes prétendent libérer le monde des néonazis ukrainiens et réciproquement, tandis que l’humain souffre et meurt partout.

Le projet de l’intelligentsia stupide des élites de tout bord est clair : le pire du communisme allié au pire du capitalisme. Explosion des inégalités et contrôle social pour le peuple, explosion des profits du côté de big Pharma et big finance. Deux mondes parallèles dessinent une dystopie incarnée dans ce moment de néant politique que nous accusons de plein fouet.

J’ai adapté cette affirmation limpide passée par hasard devant mes yeux de lanceur d’alerte volontaire dont le regard guette parfois le virtuel, malgré ma méfiance envers lui à mon besoin de comprendre et de dénoncer le piège social qui nous embastille de plus en plus, irrévocablement peut-être.

Il ne nous reste que le choix de nous en libérer ou d’en mourir.

Choisis ton camp, camarade !

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 20 septembre 2022

 



[1] En boulimique voyageur psychogeographique que je suis, ces deux nations subjectives, féminines et riches de charme, ne sont pas les seules que j’aie aimées dans ma vie.

[2] On vote ces jours-ci, en Italie, pour les élections législatives que les sondages voient décidément à la portée des héritiers de ce qui reste de la flamme raciste et fasciste.

[3] C'est-à-dire sous les drapeaux ambigus d’une social-démocratie héritière de Noske et Scheidemann et non pas de Rosa Luxembourg, plus proche de la Franciska que de la révolution sociale. La stratégie consistant à favoriser une renaissance contrôlée du fascisme vulgaire, a permis de faire ingurgiter au peuple frustré, manipulé et infecté par la peste émotionnelle productiviste, le « moindre mal » de l’État totalitaire dans sa versione pseudo démocrate plutôt que national populiste.

[4] Je renvoie, une fois de plus, à la réflexion de Marjia Gimbutas et Riane Eisler concernant le sens de ce néologisme anthropologique méconnu mais fondamental pour comprendre comment poser la vraie question de l’opposition conflictuelle entre la civilisation humaine, organique et la civilisation productiviste, inhumaine, artificielle. Renseignez-vous, si vous le voulez, sur le mot gylanique. Je ne veux exercer ici la moindre attitude pédagogique car je ne cherche à convaincre personne. Que le virtuel, pour une fois, soit avec vous et avec votre conscience organique, d’espèce.