lunedì 28 febbraio 2022

Dio, Patria, Nazione (di Marco Minoletti)

  



Vi fu un tempo in cui a governare in Europa vi erano, per diritto divino, i monarchi. Una semplice offesa al monarca poteva culminare - dopo ore di supplizi carnali - con lo squartamento del malcapitato sulla pubblica piazza. Come noto, il concetto moderno di nazione trova le sue origini nelle tre rivoluzioni in Inghilterra, Nordamerica e Francia, tra XVII e XVIII secolo.

E così, le monarchie precedenti e i sovrani per diritto divino che governavano attraverso la macchina statale sulla moltitudine dei sudditi, lasciano il posto ad un soggetto metaindividuale costituito idealmente da tutti i cittadini che compongono la nazione.

La rivoluzione francese, accorciando il corpo dei sovrani pose fine, un po' a singhiozzo, sia alla lungaggine dei supplizi corporali sia al legame pseudogiuridico che univa il governante terreno a quello celeste. In Francia la rivoluzione ebbe il carattere della radicalità. Già quando il Terzo Stato si proclamò Assemblea Nazionale Costituente avvenne un passaggio fondamentale: da quel momento la nazione è riconosciuta come un tutto da cui non si può prescindere. Il re è tale perché la nazione lo riconosce. Il seguito dispotico e sanguinario e il successivo impero napoleonico non cancelleranno l’idea della sovranità del popolo, che verrà ripresa in varie forme in tanti paesi d’Europa e del mondo intero. A partire dall’Assemblea nazionale francese del 1789, la nazione diveniva il corpo politico individuato che stava di fronte al sovrano: “sovranità nazionale” era l’espressione rivoluzionaria opposta alla tradizione dell’assolutismo dinastico.

Gli illuministi francesi si misero in testa di far ragionare gli uomini illuminandone le menti. L'analfabetismo a quell'epoca dilagante cominciò lentamente a regredire. I testi scritti, che fino a quel momento venivano percepiti dal popolo analfabeta come Testi Sacri, vergati da qualche mano in contatto con il mondo sovrasensibile, cominciarono ad essere interpretati anche dal popolo. A dirla tutta, la Chiesa, abituata da secoli a gestire il gregge, li aveva preceduti di qualche secolo per mano degli odiati confratelli protestanti, traducendo la Bibbia in tedesco.

 

I pensatori tedeschi amano andare in profondità, sono i matematici e gli analitici del pensiero. Hanno, però, grosse difficoltà a voltare la teoria in pratica e quindi risultano sostanzialmente innocui agli occhi dei loro governanti. Lo stesso non avviene per i loro confinanti. Le idee circolano e poi qualcuno finisce per metterle in pratica. Sia come sia, l'Ottocento tedesco è tutto un fermentare di strane idee sull'uomo, la natura e le cose di questo mondo. A qualcuno, cresciuto alla scuola dei Feuerbach, dei Fichte e degli Hegel viene in mente di affermare che Dio è “l'oppio dei popoli” e che è ora di smetterla di espiare in terra per mano dei dominanti e degli sfruttatori, consolandosi, pensando alla favoletta salvifica e riscattatrice del Regno dei Cieli. Regno che ci affrancherà il giorno in cui le trombe divine suoneranno e risvegliranno i morti che finalmente risorgeranno dalle loro tombe e potranno contemplare Dio, Uno e Trino, per tutta l'eternità. Sempre che se lo siano meritati espiando l'onta di essere nati marchiati dal peccato originale in quella valle di lacrime e noia che è il regno terreno.

 

Nel contempo, però, le nazioni andavano consolidandosi sciogliendo i legami con i monarchi e con le alterne vicende della storia dinastica, militare ed ecclesiastica. Le nazioni europee, affermando il principio della sovranità popolare, cominciavano a percepirsi come un corpus, appellandosi alle specifiche identità nazionali, smussando le inevitabili differenze e presentando ognuna il proprio pedigree. Fioriscono le leggende e i racconti atti a dimostrare la propria continuità storica, la lingua diventa il veicolo identitario e nello stesso tempo il mezzo per identificare il pericolo rappresentato dall'altro e diffidare dello straniero (il potenziale nemico). Si passano al setaccio i luoghi della memoria, si erigono statue in onore degli eroi nazionali, si sottolinea la fondamentale importanza del folklore, dei costumi locali e dell'arte culinaria locale. La prima fase che potremmo definire di costituzione identitaria e di lotta contro l'assolutismo si protrae fin dopo il 1848. La sovranità degli Stati era divenuta, dunque, l’asse della storia, l’elemento che la orienta; il nomos della Terra nello jus publicum europaeum.

 

La sovranità moderna, nata dalla crisi dell’idea medievale della pace come ristabilimento della giustizia che non è più in grado di far fronte al grande dinamismo impresso alla società europea, ha come obiettivo quello di produrre l’ordine, non di reintegrare una giustizia naturale.

In seguito prende avvio la fase burocratica: come stabilire i confini della nazione? La teoria moderna della sovranità, come noto, ha posto al centro della politica lo spazio. E il principio spaziale apre ad una concezione territoriale della politica. Come dimenticare Hobbes e il contrattualismo, che trasforma lo spazio in un'area di stati sovrani che utilizzano il confine come simbolo di tale configurazione spaziale e della differenziazione di due popoli? Da allora, l'Atlantico ricoprirà un ruolo fondamentale nel Leviatano, perché rappresenta lo spazio dello stato: l’Atlantico simboleggia la logica europea dello Stato.

Per confermare, allora, il possesso di quel dato territorio, si evocano le ombre dei trapassati che vengono ridestati dal sonno eterno, ma al contempo nascono i primi contenziosi tra gli stati che si contendono porzioni di un determinato territorio.

Il sorgere delle nazioni nell'Ottocento segnò la sconfitta politica delle idee universalizzanti dell'illuminismo che, come è noto, si era sforzato di trovare delle regole valide per ogni governo. Secondo questa visione del mondo, lo Stato-nazione dovrebbe garantire, meglio di quanto non avessero fatto le precedenti formazioni monarchiche, tranquillità sociale e sviluppo economico. Naturalmente l’unificazione territoriale e un vago sentimento unitario non sono sufficienti a costituire una nazione coesa, bisogna lavorare sul materiale umano e plasmarlo in funzione nazionale. 

In questa prospettiva, soprattutto gli italiani e i tedeschi si ersero a veri e propri paladini dell'individuale, della singola nazione... in sostanza: dello Stato nazionale. Questa volta però non fu sufficiente tirare in ballo le ombre dei morti per confermare il possesso di un territorio, ma si fece un balzo all'indietro di migliaia di anni e si rispolverò l'animismo. I tedeschi, grazie ai Romantici, fanno parlare i fiumi, i prati, gli alberi e la Luna. Tutto si anima. Fichte, nel suo pur lodevole tentativo di porre un argine alle velleità di conquista napoleoniche, serra le fila con i suoi Discorsi alla nazione tedesca e, senza volerlo, finisce per porre le basi per un ideale nazionalistico e pangermanistico. L'io tedesco non deriva dall'universalità, ma al contrario è questo stesso io che genera l'universalità. Gli italiani dal canto loro sottolineano che l'dentità non è solo linguistica ed etnica, ma di tradizione e di pensiero. Insomma: l'Italia ha un'anima tutta sua che si distingue da quella degli altri Paesi. La passione per la nazione era tale che presto finì per coincidere con la Patria. Con l'aggiunta di un pizzico di condimento divino il brodino era pronto per essere servito: Dio, Patria, Nazione.

La nazionalizzazione delle masse avviene più agevolmente quando nello Stato-nazione prevale un certo autoritarismo, quando la storia – nella cui narrazione compaiono elementi fantasiosi e irrazionali – viene investita della missione di forgiare cittadini orgogliosi della propria origine, fieri dell’avvenire che li attende e pronti alla difesa della patria. Visto che i confini fra gli stati europei sono abbastanza definiti e in ogni caso non è così semplice modificarli, la grandezza della patria si accresce gareggiando nelle conquiste coloniali e ritrovando Dio.

Nei fatti, una popolazione nazionale omogenea non coincide quasi mai con il rispettivo stato nel quale è inquadrata, e ciò può servire a chi detiene il potere per alimentare lo spirito nazionalistico. Le controversie sociali interne vengono sopite dallo spirito unitario e la propaganda del potere ha buon gioco nell’attribuire le cause del malessere sociale agli altri, agli stati vicini che con le loro politiche danneggiano l’economia nazionale. Le alleanze tra paesi nazionalistici non hanno idealità profonde, ma sono solo funzionali ad una Realpolitik finalizzata a mettere in difficoltà l’avversario per dividersi le sue eventuali spoglie.

 

Con il trascorrere del tempo il progressivo sviluppo del sistema capitalistico, sistema che ha assunto i caratteri di un vero e proprio deus ex machina, ha corroso, relegandoli al ruolo di comparse, i princìpi cardine dello Stato-nazione.

Ciò che è rimasto invariato è soltanto il principio fondante del sistema capitalistico che, oggi come ieri, si basa sulla produzione, la circolazione e il consumo di merci.

 

Ciò che invece è radicalmente mutato è il modo in cui i mondi industriale, commerciale e finanziario si rapportano tra loro, con gli Stati, con le conseguenze che ne derivano.

 

Nell'attuale fase di dominio del capitale, ai processi di globalizzazione dell'economia transnazionale non corrispondono adeguate istituzioni democratiche transnazionali.

La globalizzazione dei mercati, che non conosce confini territoriali, ha progressivamente eroso il potere di intervento degli stati sovrani, relegandoli al ruolo di attori comprimari. A prendere decisioni di vitale importanza per il destino di milioni di esseri umani e dell'economia non sono più gli stati, ma gruppi di esperti che agiscono esclusivamente in base al principio della massimizzazione dei profitti. E la massimalizzazione dei profitti non contempla i principi elementari della democrazia e del senso di responsabilità per la comunità.

Paradossalmente, mentre da un lato il processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati non conosce limiti, dall'altro proprio le istituzioni politiche globali che, a partire dalla seconda Guerra Mondiale ne avrebbero dovuto controllare il funzionamento, sono state imbavagliate e marginalizzate.

La globalizzazione, imposta al mondo come promessa di felicità in terra, si è rivelata una falsa promessa di crescita economica, stabilità, sicurezza e pace.

La crescita economica infatti si sta trasformando in progressivo declino delle economie forti (Usa, Giappone).

La stabilità è minacciata dalla crisi dei mercati finanziari, dalla crescente disoccupazione e dalle incertezze che serpeggiano tra i piccoli risparmiatori.

La sicurezza è messa a dura prova non tanto dalle immense ondate migratorie provenienti dai cosiddetti paesi del Terzo Mondo, quanto dall'incapacità degli stati nazionali di dare una risposta positiva a questa situazione d'emergenza. Alle promesse di pace si sono rapidamente sostituiti i proclami di guerra dei vari fondamentalismi religiosi e ultranazionalisti. La nuova ondata migratoria prevista dall'Ucraina non farà altro che aggravare la già precaria situazione. In Gemania l'AFD e i cascami dell'ultranazionalismo stanno già affilando i coltelli.

 

Putin, ignorando il fatto di trovarsi nell'era della globalizzazione, ha commesso il fatale errore di dar corso, in Occidente, ad una guerra convenzionale fuori tempo massimo. Il suo maldestro tentativo di condurre un Blitzkrieg si rivelerà un disastro sia dal punto di vista strategico che militare. I primi ad accorgersi di questo suo fatale modus operandi sono stati proprio quelli che lui riteneva essere i suoi alleati, i cinesi. La Cina non ha alcun interesse a muoversi in questo pantano guerrafondaio. Essa si è magnificamente adeguata - e con che risultati! - alle nuove dinamiche del capitale e quindi è ben consapevole che nell'era della globalizzazione le guerre si conducono con altri mezzi, sul terreno della finanza e dell'economia. Putin è probabilmente destinato a far la fine del Prete Gianni che, stando alle cronache riportate nel Milione di Marco Polo, “oltre a tutti i territori conquistati perse anche la vita”. Non se ne abbiano a male gli interventisti rossobruni o di altra matrice!

 


sabato 26 febbraio 2022

Dalla parte della Machnovcina (contre les rouges et contre les blancs)


Dalla parte della Machnovcina

Dopo aver ascoltato attentamente questo documento diffuso su YouTube

 Les médias vous mentent sur l'Ukraine - YouTube

ho trovato interessante e utile la loro iniziativa di sottolineare gli inghippi strategici del capitalismo liberale (USA ed Europa) e la loro coerenza pestifera. La responsabilità imperialista USA and Co. è flagrante, ma per gli spiriti liberi è un’evidenza antica presa in conto nelle loro analisi. Quel che mi sconcerta in questa contropropaganda è la neutralità espressa nei confronti di Putin.

Ebbene, se questi youtubisti di France 24 non sono stupidi al punto di definire Putin “l’ultimo bastione contro il capitalismo” come certi gauchisti mistici di mia conoscenza, non sembrano, però, lontani dal giustificarlo: si direbbe che sia una povera vittima del cattivo orco americano, un nuovo piccolo padre dei popoli come l’antico idolo del fascismo rosso. Senza dubbio dei neonazisti di ogni tipo diffondono dappertutto l’inquinamento nazionalista e i reazionari di ogni bordo e di ogni genere sono sempre dalla parte della violenza patriarcale e produttivista a Kiev, a Mosca o a Parigi. Zemmour continua a dire di Putin che è un patriota!

Più che mai anticapitalista e antiproduttivista, denuncio la propaganda putinista insieme a tutto il resto del merdaio spettacolare e mi pongo dalla parte dei popoli -russo, ucraino e del mondo intero- che condannano la violenza che subiscono e che vanno a pagare i danni di questa guerra tra oligarchi dei due lati della cortina di plastica che attraversa la società dello spettacolo integrato. Più che mai mi situo dalla parte della Machnovcina che purtroppo non esiste più o non ancora, questo “esercito di operai e contadini che combatteva in Ucraina (nazione con una sua lingua e una sua storia che non può essere ridotta a un semplice pezzo dell’impero russo!) contro i rossi e contro i bianchi”.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 26 febbraio 2022


Du côté de la Makhnovcina

Après avoir écouté attentivement ce document diffusé sur YouTube

Les médias vous mentent sur l'Ukraine - YouTube

j’ai trouvé intéressante et fort utile leur initiative d’étaler les manigances stratégiques du capitalisme libéral (USA et Europe) et leur cohérence pestifère. La responsabilité impérialiste USA and co. est flagrante, mais pour les esprits libres c'est une évidence ancienne prise en compte dans leurs analyses. Ce qui me frappe, dans cette contrepropagande, c'est la neutralité affichée à propos de Poutine.

Or si ces youtubistes de France 24 ne sont pas bêtes au point de qualifier Poutine de « dernier rempart contre le capitalisme » comme certains gauchistes mystiques de ma connaissance, ils ne sont pas loin de le justifier : on dirait qu’il est une pauvre victime du méchant ogre américain, un nouveau petit père des peuples comme l’ancienne idole du fascisme rouge. Sans doute des néonazis en tout genre répandent toujours partout la pollution nationaliste et les réactionnaires de tout bord et de tout genre sont toujours prêts à fomenter la violence patriarcale et productiviste à Kiev, à Moscou ou à Paris. Zemmour continue à dire de Putin qu’il est un patriote !

Plus que jamais anticapitaliste et antiproductiviste, je dénonce la propagande poutiniste autant que tout le reste du merdier spectaculaire et je me place du côté des peuples -russe, ukrainien et du monde entier- refusant la violence qu’ils subissent et qui vont payer les frais de cette guerre entre oligarques des deux côtés du rideau de plastique qui traverse la société du spectacle intégré. Plus que jamais je me situe du côté de la Makhnovcina qui, hélas, n'existe plus ou pas encore, cette « armée d’ouvriers et paysans qui combattait en Ukraine (nation avec sa langue et son histoire qu’on ne peut pas réduire à un simple morceau de l’empire russe !) contre les rouges et contre les blancs ».


martedì 22 febbraio 2022

Note su un’ecologia della vita quotidiana

 



 

Chaia Heller 2011

Se nella vostra rivoluzione non si può ballare, io non vengo. Emma Goldman

Abbiamo bisogno di ripensare il desiderio in termini sociali, piuttosto che romantici o individualisti. Questo è fondamentale perché, mentre la nostra società ci offre una varietà di modi per descrivere le molte dimensioni del desiderio romantico e individualistico, c’è offerto un vocabolario irrisorio con cui descrivere una comprensione sociale del desiderio.

Siamo saturati dalla retorica consumistica della "soddisfazione personale", ma raramente sentiamo discussioni eloquenti sul desiderio di una società libera e non gerarchica. La nostra società venera la fonte del capitalismo, le cui acque insaziabili di avidità materiale e dominio sessuale eliminano l'opportunità di coltivare il desiderio di rigenerare piuttosto che esaurire le relazioni sociali ed ecologiche cooperative.

L'ecologia riguarda tanto il desiderio quanto il bisogno. Mentre gli attivisti scendono in piazza per combattere gli organismi geneticamente modificati che minacciano la sicurezza ambientale e sanitaria, prendono anche il controllo delle strade, creando una richiesta carnevalesca di comunità, piacere e significato. L'ecologia risponde a due esigenze, quindi: una quantitativa, l'altra qualitativa. Nata dalla richiesta di abbastanza acqua, aria e terra per sopravvivere, l'ecologia è anche la richiesta di una particolare qualità della vita degna di essere vissuta.

Il desiderio di uno stile di vita ecologico porta in sé la nascente richiesta di una società ecologica, una richiesta che ha implicazioni potenzialmente rivoluzionarie. Perché una volta che traduciamo collettivamente questo desiderio in termini politici, siamo in grado di sfidare un sistema globale che immiserisce la maggior parte degli abitanti del mondo, costringendoli a rinunciare ai loro desideri, abbassando le loro attese ecologiche al livello di mero sostentamento o sopravvivenza. Mantenere un focus sul desiderio all'interno del movimento ecologico mantiene viva la nostra richiesta di soddisfazione, vitalità e significato, rafforzando la nostra capacità di immaginare una società socialmente ed ecologicamente desiderabile.

Tuttavia, la domanda è che tipo di desiderio prenderà forma nei movimenti ecologici e che tipo di "natura" sarà l'oggetto del desiderio ecologico? Sarà un desiderio individualistico per una pura "natura" concepita come esterna alla società? O sarà un desiderio sociale, una voglia di far parte di una più grande collettività che sfida la struttura della società per creare un mondo cooperativo ed ecologico?

Tuttavia, mentre dobbiamo ripensare la nostra comprensione del desiderio, dobbiamo anche ripensare la nostra comprensione della natura. La "natura" non può essere la "casa di campagna" dei nostri desideri, il luogo in cui corriamo nei nostri sogni, desiderosi di sfuggire alla sofferenza e alla confusione della vita all'inizio di un nuovo secolo. Collocando l'idea di natura all'interno della società stessa, possiamo trasformare la società in un terreno in cui possiamo costruire, collettivamente, una nuova pratica sia della natura che della comunità. Un'ecologia della vita quotidiana traduce il desiderio di "natura" in un desiderio sociale di creare una società che sia un tutto, umana e piena di senso.

La natura non è una cosa pura e astratta rimossa dalla vita quotidiana delle persone che vivono nei centri urbani, nelle periferie e nelle città. Portando l'idea di "natura" sulla terra, l'ecologia diventa la materia stessa delle nostre vite quotidiane: la strada affollata del nostro quartiere, l'acqua con cui laviamo i nostri vestiti, sia il grattacielo sia la ciminiera, così come le piante, gli animali e le altre creature con cui condividiamo questo pianeta.

Un'ecologia della vita quotidiana trasforma l'ecologia da una nobile avventura romantica in un continuo lavoro quotidiano d'amore. L'ecologia riguarda tanto la fornitura di asili nido ai genitori che partecipano all'organizzazione di riunioni e alla lotta per salvare i quartieri urbani dalla costruzione di strade e dalla gentrificazione quanto la protezione delle foreste e degli spazi verdi.

Rimuovendo l'idea di natura dalla sua vetrina incontaminata e statica, possiamo vedere la natura per quello che è: un processo evolutivo abbagliante e dinamico che continua a dispiegarsi intorno a noi e dentro di noi. E a sua volta, possiamo vedere anche il capitalismo per quello che è: un fuoco vorace che brucia attraverso la società e la natura, riducendo in cenere tutto ciò che è vivente. Riconoscendo le nostre menti, le nostre mani, le nostre ossa e i nostri cuori come parte di una storia naturale collettiva – come eredità evolutiva – siamo indignati da questo fuoco che respiriamo nei nostri polmoni e che trasformiamo in un oltraggio morale che diventa carburante per l’azione rivoluzionaria.

Una volta che siamo in grado di collocarci all'interno di questa evoluzione, possiamo cominciare a misurare le nostre vite quotidiane per come sono rispetto a ciò che potrebbero essere se solo fossimo liberi di utilizzare il nostro potenziale per azioni evolutive come cooperazione, creatività, comunità e auto sviluppo. Improvvisamente, il noioso lavoro d'ufficio, il quartiere solitario, la povertà o anche il privilegio deludente, tutto assume un nuovo significato.

L'ecologia fornisce una lente attraverso la quale si può dare uno sguardo prolungato e spesso straziante alle nostre vite, un'opportunità per valutare la qualità delle nostre relazioni, sia locali sia globali. E se non siamo rincuorati da ciò che vediamo, ci rendiamo conto che abbiamo una sfida enorme davanti a noi. Perché una volta che apprezziamo le interconnessioni della vita, capiamo che non possiamo semplicemente lavorare per salvare una certa specie di piante o animali, ci rendiamo conto che dobbiamo anche trasformare la società stessa.

A sua volta, la richiesta di una società ecologica non può essere ridotta alla ricerca individuale o personale di una migliore qualità di vita. Deve essere un desiderio sociale di lottare per la qualità della vita di tutti, un desiderio che richiede in definitiva una drammatica ristrutturazione delle istituzioni politiche, sociali ed economiche. Chiede di trasformare il nostro amore per la natura in una politica attivista rivoluzionaria che si sforza di portare alla società il meglio di ciò che auspichiamo quando parliamo di "natura".

Abbiamo bisogno di ripensare i nostri desideri di "semplificare" le nostre vite, o i nostri desideri di creare zone autonome in cui possiamo trovare asilo dalla società assordante che il capitalismo crea a sua immagine. Inoltre, dobbiamo cominciare a confrontarci con quella che io chiamo “la complessità della complicità”: saper riconoscere che, nonostante i tentativi di districarci dai sistemi d’ingiustizia attraverso scelti personali su come vivremo, a causa della pervasività dei sistemi di potere sovrapposti, rimarremo sempre coinvolti, e quindi complici, all'interno di istituzioni come il capitalismo globale, lo Stato, il razzismo e il sessismo.

Tuttavia, invece di disprezzare noi stessi per i privilegi che potremmo avere, si potrebbe iniziare a ridefinire tale senso di colpa come "privilegio inefficace". Identificando privilegi basati su fattori quali genere, orientamento sessuale, capacità fisiche, istruzione, classe, etnia o nazionalità, si possono trasformare dei privilegi particolari in una potente sostanza da usare per una ricostruzione sociale e politica. Si può trasformare, ad esempio, la colpa associata al privilegio di classe, razziale o educativo in tempo, risorse economiche e informazioni utili alle lotte politiche. Il privilegio all'interno di complessi sistemi gerarchici può essere trasformato da senso di colpa paralizzante in un processo attivo di pensiero razionale e compassionevole su come utilizzare risorse particolari per smantellare i sistemi di potere e ricostruire una nuova società al suo posto.

Questo desiderio di ricostruire rappresenta una sorta di "libertà visionaria" che va oltre la "libertà di protesta" che è diventata prominente all'interno dei movimenti sociali. Mentre dobbiamo esprimere la nostra libertà di protestare contro la disumanità dei nostri tempi, è anche vitale che realizziamo il nostro potenziale per diventare pienamente umani, il nostro potenziale per creare un mondo compassionevole, bello e razionale.

Se vogliamo esprimere la libertà visionaria, allora dobbiamo cominciare a chiederci che tipo di società dovremmo cominciare a immaginare? Per immaginare un nuovo tipo di società ecologica, abbiamo bisogno di un nuovo tipo di politica appassionata, una nuova idea di cosa significhi essere politicamente impegnati. Dobbiamo esigere una democrazia rivoluzionaria in cui i cittadini non siano più dominati dallo Stato-nazione. Potremmo ricrearci come cittadini apolidi autorizzati a gestire direttamente le nostre vite quotidiane.

Dobbiamo sviluppare una nuova comprensione della cittadinanza che non sia definita in relazione al capitale o allo Stato-nazione, ma sia invece definita in opposizione al capitale e allo Stato-nazione. Potremmo diventare cittadini rivoluzionari definiti in relazione alle comunità locali che fanno parte di una più ampia confederazione di organi di autogoverno. Potremmo diventare “una comunità di comunità”. Questo nuovo modo di pensare alla rigenerazione politica si chiama municipalismo libertario. Sviluppato dall'ecologista sociale Murray Bookchin, il municipalismo libertario propone per i membri delle comunità un modo di rivendicare l’esistenza d’incontri politici locali o di creare forum cittadini extra-legali da trasformare gradualmente in assemblee di cittadini. Tali assemblee costituiscono la sfera pubblica in cui possiamo riunirci come membri di comunità per gestire direttamente le nostre vite quotidiane.

Il municipalismo libertario è un modo per prendere pubblicamente il nostro potere di attori politici, riprendendo il potere decisionale a politici professionisti, a Stati, a corporazioni e apparati transnazionali come l'OMC. Come membri di municipalità che formano dei gruppi locali impegnati nel processo di trasformazione politica, potremmo allearci con altri gruppi di altre municipalità per creare un vero rapporto di forza, un coordinato e unito contropotere rispetto allo Stato e al capitale. Se non riteniamo desiderabile questo mondo assordante, dobbiamo fare di più che protestare: dobbiamo creare il mondo che desideriamo.

Per realizzare il suo potenziale rivoluzionario, l'ecologia deve diventare il desiderio di infondere negli oggetti, nelle relazioni e nelle pratiche della vita quotidiana la stessa qualità d’integrità, bellezza e significato che nei contesti capitalisti industriali le persone riservano comunemente alla "natura". Significa riformulare molti dei valori spesso associati alla natura in termini sociali, impossessarsi del potere di creare nuove istituzioni politiche che incoraggino, piuttosto che ostacolare, l'espressione del desiderio sociale di una società cooperativa, piacevole ed ecologica.

Un'ecologia della vita quotidiana consiste nel giungere a questa società desiderabile, reclamando la nostra umanità come reclamiamo le nostre capacità di ragionare, di sognare e di prendere decisioni sulle nostre comunità. Si tratta di esaminare il "deserto" inesplorato della stessa democrazia diretta, questo processo delizioso, fortificante e profondamente sociale attraverso il quale diventiamo un'espressione veramente umana di quella "natura" per la quale abbiamo sempre imparato.

 


Notes on an Ecology of Everyday Life

 

By Chaia Heller, 06.04.2011

 


 

If I can’t dance in your revolution, I’m not coming. – Emma Goldman

We need to rethink desire in social, rather than romantic or individualistic terms. This is crucial because, while our society offers us a variety of ways to describe the many dimensions of romantic and individualistic desire, we are offered a paltry vocabulary with which to describe a social understanding of desire.

We are saturated by consumerist rhetoric of ‘personal satisfaction’ yet rarely do we hear eloquent discussion regarding the craving for a free and non-hierarchical society. Our society worships at the fountain of capitalism whose insatiable waters of material greed and sexual domination crowd out the opportunity to cultivate a desire to regenerate rather than deplete cooperative social and ecological relationships.

Ecology is as much about desire as it is about need. While activists take to the streets to fight genetically manipulated organisms that threaten environmental and health safety, they also take over the streets, creating a carnivalesque demand for community, pleasure, and meaning. Ecology speaks to two demands, then –one quantitative, the other qualitative. Born out of the call for enough clean water, air, and land to survive, ecology is also the demand for a particular quality of life worth living.

The desire for an ecological way of life carries within it the nascent demand for an ecological society, a demand that has potentially revolutionary implications. For once we collectively translate this desire into political terms, we are able to challenge a global system that immiserates most of the world’s inhabitants, forcing them to forgo their desires, lowering their ecological expectations to the level of mere sustenance or survival. Keeping a desire-focus within the ecology movement keeps our demand for satisfaction, vitality, and meaning alive, invigorating our ability to envision a socially and ecologically desirable society.

Yet the question is what kind of desire will inform ecological movements and what kind of ‘nature’ will be the object of ecological desire? Will it be an individualistic desire for a pure ‘nature’ that is understood to be outside of society? Or will it be a social desire, a yearning to be part of a greater collectivity that challenges the structure of society to create a cooperative and ecological world?

Yet while we need to rethink our understanding of desire, we also have to rethink our understanding of nature. ‘Nature’ cannot be the ‘country home’ of our desires—-that place we run to in our dreams, longing to escape the pain and confusion of life at the beginning of a new century. By placing the idea of nature within society itself, we may transform society into a ground in which we may build, collectively, a new practice of both nature and community. An ecology of everyday life translates the desire for ‘nature’ into a social desire to create a society that is whole, humane, and meaningful.

Nature is not a pure and abstract thing removed from the everyday lives of people living in cities, suburbs, and towns. By bringing the idea of ‘nature’ down to earth, ecology becomes the very stuff of our everyday lives: the crowded street in our neighborhood, the water with which we wash our clothes, both sky scraper and smoke-stack, as well as the plants, animals, and other creatures with whom we share this planet.

An ecology of everyday life transforms ecology from a lofty romantic venture into an ongoing everyday labor of love. Ecology is just as much about providing day-care for parents attending organizing meetings and fighting to save urban neighborhoods from road building and gentrification as it is about protecting forests and green spaces.

Removing the idea of nature from its pristine and static display case, we may see nature for what it is: a dazzling and dynamic evolutionary process that continues to unfurl about us and within us. And in turn, we may see capitalism for what it is as well: a voracious fire burning through society and nature, reducing all that is living to ash. By recognizing our minds, our hands, our bones, and our hearts as part of a collective natural history –as an evolutionary inheritance– we become outraged by this fire, breathing it into our lungs, transforming it into a moral outrage that is fuel for revolutionary action.

Once we are able to locate ourselves within this evolution, we can begin to measure our everyday lives as they are against what they could be if only we were free to actualize our potential for such evolutionary coups as cooperation, creativity, and community and self-development. Suddenly, the dull office job, the lonely neighborhood, the poverty, or even the unsatisfying privilege –all take on new meaning.

Ecology provides a lens through which we may take a long and often excruciating look at our own lives, a chance to evaluate the quality of our relationships, both local and global. And if we are not heartened by what we see, we realize that we have an enormous challenge before us. For once we appreciate the interconnectedness of life, we understand that we cannot simply work to save a certain species of plant or animal -we realize that we must also transform society itself.

In turn, the demand for an ecological society cannot be reduced to an individual or personal quest for a better quality of life. It must be a social desire to fight for the quality of life for all, a desire that ultimately requires a dramatic restructuring of political, social, and economic institutions. It asks that we transform our love for nature into a revolutionary activist politics that strives to bring to society the best of what we long for when we talk about “nature.”

We need to rethink our desires to ‘simplify’ our lives, or our desires to create autonomous zones in which we can find asylum from the deadening society that capitalism creates in its own image. In addition, we must begin to grapple with what I call “the complexity of complicity”: a recognition that, despite attempts to extricate ourselves from systems of injustice through personal choices about how we will live, because of the pervasiveness of overlapping systems of power, we will always remain embedded, and thus complicit within, such institutions as global capitalism, the State, racism, and sexism.

Yet instead of despising ourselves for privileges we may have, we may begin to redefine such guilt as “ineffective privilege.” By identifying privileges based on such factors as gender, sexual orientation, physical ability, education, class, ethnicity, or nationality –we may transform particular privileges into a potent substance to be used for social and political reconstruction. We can transform, for example, guilt associated with class, racial, or educational privilege into time, economic resources, and information useful to political struggles. Privilege within complex systems of hierarchy can be morphed from paralyzing guilt into an active process of thinking rationally and compassionately about how to utilize particular resources to dismantle systems of power and to rebuild a new society in its place.

This desire to rebuild represents a kind of ‘visionary freedom’ that goes beyond the ‘protest freedom’ that has become prominent within social movements. While we must express our freedom to protest against the inhumanity of our times, it is also vital that we actualize our potential to become fully human, our potential to create a compassionate, beautiful, and rational world.

If we are to express visionary freedom, then we have to begin to ask ourselves what kind of society should we begin to envision? To envision a new kind of ecological society, we need a new kind of passionate politics, a new idea of what it means to be politically engaged. We must demand a revolutionary democracy in which citizens are no longer dominated by the nation-State. We may re-create ourselves as state-less citizens empowered to directly manage our everyday lives.

We must develop a new understanding of citizenship that is not defined in relation to capital or to the nation-state but is instead, defined in opposition to capital and the nation-state. We may become revolutionary citizens defined in relation to local communities that are part of a larger confederation of self-governing bodies. We may become “a community of communities.” This new way of thinking about political regeneration is called libertarian municipalism. Developed by social ecologist Murray Bookchin, libertarian municipalism proposes a way for members of communities to reclaim existing local political forums, or to create extra-legal citizen forums, gradually transforming them into citizens assemblies. Such assemblies constitute the public sphere in which we may gather together as members of communities to directly manage our own everyday lives.

Libertarian municipalism is a way in which we may publicly seize our power as political actors, taking back decision-making power from professional politicians, states, corporations, and transnational apparatuses such as the WTO. As members of municipalities form local groups engaged in the process of political transformation, we may confederate with other groups from other municipalities to create a true rapport de force, a coordinated and united counter-power to the State and capital. If we do not find this deadening world desirable, then we must do more than protest: we must create the world we desire.

To fulfill its revolutionary potential, ecology must become the desire to infuse the objects, relationships, and practices of everyday life with the same quality of integrity, beauty, and meaning that people in industrial capitalist contexts commonly reserve for “nature.” It means recasting many of the values often associated with nature within social terms, seizing the power to create new political institutions that encourage, rather than obstruct, the expression of a social desire for a cooperative, pleasurable, and ecological society.

An ecology of everyday life is about reaching for this desirable society, reclaiming our humanity as we reclaim our abilities to reason, dream, and to make decisions about our own communities. It is about looking into the uncharted ‘wilderness’ of direct-democracy itself, that delicious, empowering, and deeply social process through which we become a truly humane expression of that ‘nature’ for which we have learned all along.

 


domenica 20 febbraio 2022

Per un’internazionale del genere umano - COME ORGANIZZAZIONI CONDANNIAMO I COMPORTAMENTI DEL GOVERNO MESSICANO

 



Espulsione da parte della polizia militare della Casa del popolo di Altepelmecalli, Puebla 15 febbraio 2022, Juan C. Bonilla, Puebla, Messico

Nelle prime ore del mattino, al fine di nascondere gli abusi e i furti d'acqua commessi dalla transnazionale Danone-Bonafont, il governo messicano ha effettuato lo sgombero e l'invasione dell'Altepelmecalli, la Casa dei Popoli, uno spazio da cui le comunità indigene hanno sfrattato l'azienda che da più di 29 anni sfrutta le falde acquifere della regione, rubando più di 590 milioni di litri d'acqua all'anno, provocando l'esaurimento della risorsa e gravi danni. Le strutture sono state trasformate in uno spazio d’incontro e condivisione di conoscenze, dove si realizzano progetti comunitari e autonomi. Il governo messicano, invitato a recarsi sul posto dalle comunità, dimostra ancora una volta di favorire la violenza e di disprezzare il dialogo sottomettendosi alle richieste del capitale internazionale di Danone-Bonafont. Al popolo messicano, Alla comunità internazionale, Ai rappresentanti e alle istituzioni dei tre livelli di governo, Ai media liberi e solidali con i popoli, Le sottoscritte organizzazioni e individui esprimono la loro indignazione e preoccupazione per l'espulsione dell'Altepelmecalli, La Casa dei Popoli, nelle prime ore del giorno, a cui hanno preso parte elementi della Polizia di Stato, della Guardia Nazionale e della Polizia antisommossa. Denunciamo l'inutile espressione di violenza e il rifiuto del governo di impegnarsi nel dialogo richiesto dai Villaggi uniti della regione di Choluteca e dei vulcani che, in maniera organizzata e pacifica, hanno occupato lo stabilimento Bonafont per fermare la spoliazione dell'acqua delle loro comunità. Chiediamo la fine delle pratiche di cattivo governo e del legalismo che negano i diritti dei popoli, fanno merce dell'acqua e la cedono a imprese straniere. Esigiamo la chiusura della fabbrica Bonafont a Juan C. Bonilla e il rilascio dell’acqua per i villaggi. Ci uniamo alla petizione dei Villaggi uniti per la restituzione dello spazio per la formazione, l'assistenza sanitaria, la comunicazione, l'agricoltura, l'agroecologia e l'istruzione che hanno costruito sulle rovine della fabbrica di Bonafont. Chiediamo che cessino gli atti di vessazione nei confronti di coloro che difendono l'acqua e la vita e che cessi anche la criminalizzazione nei loro confronti. Invitiamo la popolazione a non sostenere queste aziende e a smettere di consumare i prodotti della transnazionale francese Danone: Bonafont, Activia, Danonino, Vitalinea, dnp, Danette, Dany, Oikos e altri prodotti della gamma del cibo spazzatura.

 

MAI PIÙ MESSICO SENZA DI NOI! TERRA, ACQUA E LIBERTÀ! L'ACQUA NON È IN VENDITA, L’ADORIAMO E LA DIFENDIAMO!

Verso un'espropriazione legale appena due giorni prima che la Guardia Nazionale facesse irruzione nella Casa de los Pueblos Altepelmecalli, dei membri dei villaggi di Choluteca avevano preparato un programma televisivo comunitario. Questo faceva parte di ciò che la polizia e la Guardia Nazionale hanno distrutto quel giorno.

Al seguente link è possibile trovare il materiale video di Altepelmecalli TV Programa 01:

https://www.youtube.com/watch?v=5YJLLchhlaI&ab_channel=TejeMedixs

Per aderire alle organizzazioni e ai singoli firmatari, utilizzare questo collegamento:

https://docs.google.com/document/d/1UA-8_zORDBofHZLfxc8vpj38wUCwntgEYn5uytQudcg/edit

 


 

EN TANT QU'ORGANISATIONS, NOUS CONDAMNONS LES AGISSEMENTS DU GOUVERNEMENT MEXICAIN

Expulsion par la police militarisée de la Maison des peuples Altepelmecalli, Puebla 15 février 2022, Juan C. Bonilla, Puebla, Mexique

Au petit matin, afin de cacher les abus et les vols d'eau commis par la transnationale Danone-Bonafont, le gouvernement mexicain a procédé à l'expulsion et à l'invasion de l'Altepelmecalli, la Maison des peuples, un espace d'où les communautés indigènes ont expulsé l'entreprise qui a exploité les aquifères de la région pendant plus de 29 ans, dérobant plus de 590 millions de litres d'eau par an, provoquant la raréfaction de la ressource et de graves préjudices. Les installations ont été transformées en un espace de rencontre et de partage des connaissances, où sont mis en œuvre les projets communautaires et autonomes. Le gouvernement mexicain, qui a été invité à se rendre sur place par les communautés, montre une fois de plus qu'il privilégie la violence et méprise le dialogue en se soumettant aux exigences du capital international de Danone-Bonafont. Au peuple mexicain, À la communauté internationale, Aux représentants et aux institutions des trois niveaux de gouvernement, Aux médias libres et solidaires avec les peuples, Les organisations et personnes soussignées expriment leur indignation et leur inquiétude face à l'expulsion de l'Altepelmecalli, La Casa de los Pueblos, aux premières heures de ce jour, à laquelle ont participé des éléments de la police d'État, de la Garde nationale et de la police antiémeute. Nous dénonçons l'expression inutile de la violence et le refus du gouvernement d'engager le dialogue demandé par les Villages unis de la région de Choluteca et des volcans qui, de manière organisée et pacifique, ont occupé l'usine de Bonafont pour stopper la spoliation de l'eau de leurs communautés. Nous exigeons que cessent les pratiques et le légalisme du mauvais gouvernement qui nient les droits des peuples, font de l'eau une marchandise et la cèdent à des entreprises étrangères. Nous exigeons la fermeture de l'usine Bonafont à Juan C. Bonilla et la libération de l'eau pour les villages. Nous nous joignons à la pétition des Villages unis pour la restitution de l'espace de formation, de soins de santé, de communication, d'agriculture, d'agroécologie et d'éducation qu'ils ont construit sur les ruines de l'usine de Bonafont. Nous demandons que cessent les actes de harcèlement contre celleux qui défendent l'eau et la vie et que cesse aussi la criminalisation à leur encontre. Nous invitons la population à ne pas soutenir ces entreprises et à cesser de consommer les produits de la transnationale française Danone : Bonafont, Activia, Danonino, Vitalinea, dnp, Danette, Dany, Oikos et autres produits de la gamme de malbouffe.

JAMAIS PLUS UN MEXIQUE SANS NOUS ! TERRE, EAU ET LIBERTÉ ! L'EAU N'EST PAS À VENDRE, ON L'AIME ET ON LA DÉFEND !

Vers une expropriation légale Deux jours seulement avant que la Garde nationale ne fasse irruption dans la Casa de los Pueblos Altepelmecalli, des membres des villages de Choluteca avaient préparé un programme de télévision communautaire. Cela faisait partie de ce que la police et la Garde nationale ont détruit ce jour.

Via le lien suivant, vous pourrez trouver le matériel vidéo Altepelmecalli TV Programa 01 : https://www.youtube.com/watch?v=5YJLLchhlaI&ab_channel=TejeMedixs

Pour rejoindre les organisations et personnes signataires, utiliser ce lien-ci :

https://docs.google.com/document/d/1UA-8_zORDBofHZLfxc8vpj38wUCwntgEYn5uytQudcg/edit

 

sabato 19 febbraio 2022

Note autobiografiche di un animale al circo - Oltre Marx e Proudhon, la coppia dei campioni




Riuscito o mancato, l’obiettivo di ogni movimento vitale, quindi anche del mio, è il superamento. Non si tratta di opporre la verità alla menzogna, il vero al falso, ma di scoprire, oltre le contraddizioni, una verità in costante divenire che affini la teoria comune in fieri spogliandola dalle ideologie parassite. Che ci crediate o no, che quel che resta del disprezzo di classe reciproco vada contro il popolo bue e ignorante o attacchi l’intellettuale forbito che parla bene e razzola male, l’ombrello della mia sincera voglia di vivere mi protegge dalla pioggia acida dei pregiudizi e dagli sputi impotenti di qualunque morale.

La mia giovinezza é stata marcata intellettualmente dall’incontro con Marx, Reich e i situazionisti. Soprattutto ma non solo, ovviamente, per qualcuno che ha finito per essere dichiarato professore di filosofia dalle Istituzioni e che ha quindi avuto accesso a tutti i libri che voleva (anche a quelli aborriti)[1]. Sono stato dunque dichiarato filosofo quasi senza accorgermene, senza che mi sfiorasse l’idea di proclamarlo ai quattro venti se non per gioco sulla mia carta d’identità dove avrei preferito, però, scrivere psicogeografo ma non è stato possibile. In realtà, sia prima sia dopo la Laurea in scienze umane e storia[2], la mia priorità radicale è sempre stata l’esplorazione di una vita senza tempi morti, il godimento concreto, corporale, della vita che la sessualità e lo sport mi avevano indicato con prepotenza fin da giovane, tra voglia di vivere e alienazione.

Amor che a nullo amato amar perdona. Fare cultura mescolando la mia vita con quelle di compagne e compagni di varie umanità che a loro volta incrociavano la mia esistenza è stata la mia tendenza prioritaria in nome di un godimento pratico dell’essere al mondo onorato in tutte le sue forme sensuali e sensibili, dalla sessualità alla musica, passando per la gastronomia e i viaggi, il più possibile psicogeografici.

Ho sempre diffidato di tutte le Istituzioni come organi di un potere che ho tenuto lontano come meglio potevo sia nei rapporti individuali che sociali. Per fortuna non ero e non sono, nonostante le apparenze, un intellettuale. Non coltivo, cioè, alcuna supremazia ideologica imposta a parole e consumata nei fatti, tra narcisismo e lucro, su quanti non condividono le mie idee meravigliose o le condividono religiosamente, vale a dire senza l’autonomia necessaria per essere liberi.

Ho scoperto tardivamente il termine di ACRAZIA, ma mi ha sempre guidato senza saperlo anche prima di scoprirlo. Ne conoscevo i contenuti grazie al mio buon padre autoritario contro il quale ho imparato a battermi fin dall’infanzia. Una brava persona con alcune qualità umane certamente apprezzabili ma sofferente nella sua energia vitale, dunque pesante da sopportare, cosicché ho dovuto difendermi e imparare a farlo senza riprendere a mia volta la facilità autoritaria con il rischio di diventare altrettanto pesante del mio genitore. Non è stato facile e conosco chi dirà che non ci sono riuscito. Secondo me, invece, almeno in parte ma mai abbastanza, credo di avere raggiunto lo scopo grazie alla sensibilità femminile che m’ispira e mi dona piacere da decenni mostrandomi la sua capacità di marcare i rapporti sociali dei mammiferi che siamo ineluttabilmente, con la sua spontanea centralità acratica. Il che non garantisce che tutte le donne ne siano portatrici, perché nessun genere è al riparo dal rischio di addomesticamento che la civiltà produttivista fa pesare senza distinzioni da millenni sugli esseri umani; tuttavia, quelle che non sono salite, volenti o nolenti, sul carro del fascismo patriarcale o della sua versione al femminile (il matriarcato), hanno preservato le doti innate di genitalità acratica che noi maschietti abbiamo abbondantemente dissipato sull’altare fallico della virilità.

Nella mia riflessione, Proudhon è passato come una meteora. L’ho guardato di riflesso in quanto antagonista di Marx. Poi, una volta acquisita una sensibilità radicale al conflitto di genere, l’ho percepito come qualcuno la cui pur indubbia intelligenza sensibile si era bloccata di fronte allo spauracchio che il femminile evoca per il maschio patriarcale di qualunque cappella ideologica. Lettura plausibile la mia, ma semplicistica. C’è voluta dunque la passione per Proudhon di un caro amico che stimo per spingermi tardivamente, già con lo zaino della vecchiaia sul dorso, a un incontro meno superficiale con quest’altro cantore della cosmogonia libertaria nella quale mi sono mosso se non come un pesce nell’acqua almeno come un cuoco in cucina. A chi ne abbia voglia, stabilire la commestibilità dei miei piatti.

Il nodo triangolare delle mie Bermude teoriche originarie (Marx, Reich, situazionisti) è cominciato con l’incontro con il Marx giovanile che ha aperto la finestra della mia coscienza sociale al mio arrivo nelle marmoree stanze dell’università genovese, nella famosa via Balbi. Il giovanotto che ero dalla cultura liceale e familiare aperta ma limitata, amava con il suo corpo vivo la libertà ma non conosceva le parole giuste per dirla e sostenerla se non attraverso una risposta istintiva all’autoritarismo altrui.

Non solo per me ma per molti in quegli anni storici, l’identità proletaria e la lotta di classe sono state sottoposte a un’agopuntura sociale che ha segnato la fine di un’epoca, un tornante incompiuto della storia ancora oggi. Infatti, i due concetti succitati sono archiviati nell’attesa di un superamento urgente e necessario perché la lotta è stata integrata allo spettacolo sociale e le classi si sono sciolte in caste di una società artificiale planetaria, digitalizzata e unica per tutti i perdenti, ricchi o poveri, sfruttatori o sfruttati, disperati o opportunisti, ben nutriti o morti di fame, tutti mascherati da democratici fittizi con il telefono in mano e, almeno psicologicamente, moribondi di fronte al decadimento radicale delle condizioni di vita sul pianeta.

Lo sport è come l’intellettualismo: nei due casi, se non colleghi lo spirito al corpo, puoi solo scegliere una forma di fascismo suprematista per cercare d’importi agli altri, dominarli, umiliarli e offenderli con un potere indecente che soffoca la potenza orgastica fondata sull’aiuto reciproco e la solidarietà. In un mondo frustrato e frustrante il gioco è un esercizio di respirazione. In particolare nell’italietta cattolica del dopoguerra di cui ero un enfant sauvage senza saperlo, quello del calcio è stato uno straccio di paradiso nel ghetto; un attimo di potenza vitale nell’ordinario triste della sopravvivenza, prima che lo tsunami del denaro finanziarizzato corrompesse il gioco riducendo lo sport, e il calcio in particolare, a un lavoro privilegiato per poveri stupidi arricchiti e il dispendio d’energia che lo rende attraente alla sua misera dimensione mercantile, becera, umiliante e soprattutto immensamente noiosa a praticare e ancora di più a guardare. Per il ragazzo che ero, lo sport è stato una palestra di vita, dove sapevo dribblare chi voleva impedirmi di avanzare liberamente e dove sapevo danzare col corpo assai bene per dare al pallone una traiettoria magica e farlo entrare in porta dove volevo io, portiere o no. Come negare che ne ho goduto in modo neppure lontanamente comparabile con il tiepido piacere intellettuale di leggere La Nausea di Sartre?

Nel gioco, come in amore, il corpo si esprime liberamente a patto di non essere sempre e soltanto voyeur. E nel gioco, più che in amore, nessuno lo è mai intimamente e definitivamente se lo vuole, a differenza della vita quotidiana, dove con lo sfruttamento non c’è niente da fare. Nulla se non la rivoluzione, certo, ma non quella delle parole come armi e delle armi come parole che uccidono in cerca di potere. Ed ecco che invece di parlare di Marx ho parlato di me e, a mio avviso, anche di voi, dovunque sia situata la vostra tana, il vostro campo di gioco. Eppure Marx c’entra. Provate a leggerlo. È un poeta sublime prima ancora che una delle teste più lucide dell’era moderna. Il che non mi rende marxista perché Marx ha contribuito a quell’ideologia comunista che è stata il peggior nemico di una società a venire in cui ciascuno possa avere secondo i suoi bisogni per poter essere quello che vuole diventare, che lo sappia già o stia ancora cercando.

Sublime Marx che ci dice che il comunismo è la realizzazione dell’individuo, ma è difficile cogliere nel socialismo che doveva preparare queste nobili condizioni nient’altro che un totalitarismo capace di ucciderti perché porti gli occhiali, perché vuoi i soviet acratici e non un Soviet supremo. La mostruosità del potere di ogni risma è tale che verrebbe da ridere se non fosse insopportabile. Il potere è un tergicristallo che percorre lo specchio sociale da destra a sinistra e reciprocamente, il cui vai e vieni non fa che accentuarsi quando dei gentili imprenditori democratici intravvedono nella massa dei più vecchi sopravvissuti alla sopravvivenza una fonte di redditività che ne fa gli scampati di un ghetto da avviare alla morte con razionalità nazista e spirito commerciale a tracolla, anziché sostenerli e aiutarli, loro arrivati al rispettabile e commovente tramonto della vita.

La banalità del male di questi mercanti di morte che denunciano ipocritamente il totalitarismo comunista mentre organizzano dei campi di concentramento redditizi per immigrati, per vecchi, per giovani, per donne, per sognatori e per chiunque non si sottometta alla norma della merce sovrana, si aggiunge a quella denunciata da Hannah Arendt, banalità il cui spot pubblicitario circola sempre: il lavoro rende liberi. Tutti i mercanti democratici sono, infatti, d’accordo su questo mantra morboso.

Ecco quindi, per finire questo mio dribbling verso la porta avversaria, quel che non è che un inizio fra i tanti debutti necessari e auspicabili, diversi e contradditori. Un po’ di Proudhon come antidoto intelligente a tutti i cospirazionismi poiché dei situazionisti e del mio amico Wilhelm Reich ho già parlato abbastanza: Essere governati è essere tenuti d'occhio, ispezionati, spiati, diretti, legiferati, regolamentati, parcheggiati, indottrinati, predicati, controllati, stimati, apprezzati, censurati, comandati da individui che non hanno né il titolo né la scienza, né la virtù... Essere governati significa essere, a ogni operazione, a ogni transazione, a ogni movimento, annotati, registrati, recensiti, prezzolati, timbrati, tosati, quotati, patentati, licenziati, autorizzati, annotati, ammoniti, impediti, riformati, rettificati, corretti. Con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell'interesse generale, significa essere obbligati a contributi ed esercitazioni, essere ricattati, sfruttati, monopolizzati, estorti, pressati, disorientati, derubati; poi alla minima resistenza, alla prima parola di lamentela, repressi, multati, diffamati, vessati, braccati, molestati, storditi, disarmati, garrottati, imprigionati, fucilati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, sacrificati, venduti, traditi, e come colmo, giocati, ingannati, oltraggiati, disonorati”.

Oggi siamo ben piazzati per vedere che la storia non si ferma mai e che non ci libereremo con nessuna piroetta ideologica della crisi sanitaria che imperversa aggiungendosi al degrado climatico, sociale e vitale. Tutti i disastri annunciati e altri che il produttivismo ci sta preparando esortano la nostra residua umanità a superare tutte le ideologie. Nessuna morale reazionaria o rivoluzionaria, nessuno Stato o Mercato, nessuna avanguardia o oscurantismo ci porteranno magicamente oltre il mondo morboso che ci travolge con le sue malattie. Sarà ed è già necessario prendersi cura di sé con uno slancio di reciproca solidarietà, diffidando di tutti i mercanti di sciroppi che spiano e manipolano gli indiani che siamo. Indiani che vogliono essere e non accontentarsi di un avere miserabile e mistico che dei ricchi oligarchi gestiscono a loro vantaggio.

La batracomiomachia dei vaccinati e dei non vaccinati ha esteso a tutto il popolo e alla vita quotidiana l'opposizione intellettuale tra la filosofia della miseria e la miseria della filosofia. Andare oltre questa lite che lo spettacolo ci infligge a grandezza naturale è un omaggio, senza dio né padrone, tanto a Proudhon quanto a Marx, ma è soprattutto la conditio sine qua non della sopravvivenza della nostra umanità.

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 14 febbraio 2022



[1] Soprattutto in un’epoca in cui persino per chi mancasse di mezzi non era davvero difficile accedere a qualunque lettura desiderata, surrettiziamente o no, per semplice pratica dell’abolizione dell’appropriazione privativa.

[2] Titolo conseguito quattro anni dopo il mitico maggio 68 con tutti i ridicoli onori cattedratici che mi hanno sfiorato come il lavaggio automatico accarezza un’automobile, meccanicamente, senza emozioni, senza illusioni né benefici se non qualche periodo d’insegnamento a dosi omeopatiche in Italia, Inghilterra e Francia.



Notes autobiographiques d’un animal au cirque

Au-delà de Marx et Proudhon, le couple des champions

Réussi ou non, le dépassement est le but de tout mouvement vital, donc du mien aussi. Il ne s'agit pas d'opposer vérité et mensonge, le vrai au faux, mais de découvrir, au-delà des contradictions, une vérité en devenir constant qui polisse la théorie commune in fieri en la dépouillant des idéologies parasitaires. Croyez-le ou non, que ce qui reste du mépris de classe réciproque attaque la populace bête et ignorante ou l'intellectuel poli qui ne pratique pas ce qu’il prêche, le parapluie de ma sincère volonté de vivre me protège des pluies acides des préjugés et des crachats impuissants de toute morale.

Ma jeunesse a été marquée intellectuellement par la rencontre avec Marx, Reich et les situationnistes. Surtout mais pas seulement, bien sûr, car quelqu'un qui a fini par être déclaré professeur de philosophie par les Institutions a forcément eu accès à tous les livres qu'il voulait (et même à ceux qu’il ne voulait pas)[1]. Je fus donc promu philosophe presque sans m'en rendre compte, sans que jamais ne me traverse l’idée de le proclamer aux quatre coins de la terre, sauf, par plaisanterie, sur ma carte d'identité où j'aurais pourtant préféré écrire psychogéographe mais ce ne fut pas possible. En fait, avant comme après ma Maîtrise de sciences humaines et histoire[2], ma priorité radicale a toujours été la poursuite d’une vie sans temps morts, la jouissance concrète et corporelle de la vie dont la sexualité et le sport m'avaient, tout jeune, signalé puissamment l’existence, entre envie de vivre et aliénation.

Amor che a nullo amato amar perdona. Faire culture en mêlant ma vie à celles de compagnes et compagnons aux penchants differents qui à leur tour croisaient mon existence, a été ma tendance prioritaire au nom d’une jouissance pratique d’être au monde honorée sous toutes ses formes sensuelles et sensibles, de la sexualité à la musique, en passant par la gastronomie et les voyages, psychogéographiques autant que possible.

Je me suis toujours méfié de toutes les Institutions en tant qu'organes d'un pouvoir que j'ai tenu à l'écart du mieux que j'ai pu tant dans les relations individuelles que sociales. Heureusement, je n'étais pas et je ne suis pas, malgré les apparences, un intellectuel. C'est-à-dire que je ne cultive aucune suprématie idéologique imposée en paroles et consommée en actes, entre narcissisme et profit, sur ceux qui ne partagent pas mes idées merveilleuses ou les partagent religieusement, c'est-à-dire sans l'autonomie nécessaire pour être libres.

J'ai découvert le terme ACRATIE tardivement mais, avant même que je ne le découvre il m'a toujours guidé sans que je le sache. J'en connaissais les significations grâce à mon bon père autoritaire contre qui j'ai appris à me battre depuis l'enfance. Une très bonne personne avec quelques qualités humaines certes appréciables mais souffrant dans son énergie vitale, donc lourd à supporter, si bien que j'ai dû me défendre et apprendre à le faire sans utiliser à mon tour la facilité autoritaire au risque de devenir moi-même tout aussi lourd que mon père. Ce n'était pas facile, et je connais qui dira que je n'ai pas si bien réussi. A mon sens, cependant, au moins en partie mais jamais assez, je crois avoir atteint le but grâce à la sensibilité féminine qui m'inspire et me donne du plaisir depuis des décennies en me montrant sa capacité à marquer de sa centralité acratique spontanée les rapports sociaux des mammifères que nous sommes. Ce qui ne garantit pas que toutes les femmes en soient porteuses, car aucun genre n'est à l'abri du risque de domestication que la civilisation productiviste fait peser depuis des millénaires sur tous les humains sans distinction ; néanmoins, celles qui n'ont pas grimpé, bon gré mal gré, dans le wagon du fascisme patriarcal ou dans sa version féminine (le matriarcat), ont conservé les qualités innées de génitalité acratique que nous, les garçons, avons dissipées sur l'autel phallique de la virilité.

Dans ma réflexion, Proudhon est passé comme un météore. Je le regardais par réflexe comme un antagoniste de Marx. Puis, une fois acquise une sensibilité radicale au conflit de genre, je l’ai perçu comme quelqu'un dont l'indiscutable intelligence sensible avait été saisie par l’épouvantail que le féminin évoque au mâle patriarcal de toute chapelle idéologique. Lecture plausible la mienne, mais simpliste. Il a donc fallu la passion pour Proudhon d'un ami cher que j'estime pour m’inciter tardivement, déjà chargé du sac à dos de la vieillesse, à une rencontre moins superficielle avec cet autre chantre de la cosmogonie libertaire dans laquelle j'ai évolué sinon comme un poisson dans l'eau au moins comme un cuisinier dans la cuisine. A ceux qui en ont envie, la tâche d’établir la comestibilité de mes plats.

Le nœud triangulaire de mes Bermudes théoriques originaires (Marx, Reich, situationnistes) a commencé par la rencontre avec le jeune Marx qui a ouvert la fenêtre de ma conscience sociale dès mon arrivée dans les salles de marbre de l'université génoise, dans la bien connue via Balbi. Le jeune homme que j'étais, à la culture lycéenne et familiale ouverte mais limitée, aimait la liberté avec son corps vivant, mais ne connaissait pas les mots justes pour la dire et la soutenir sinon par une opposition instinctive à l'autoritarisme d’autrui.

Non seulement pour moi mais pour beaucoup dans ces années historiques, l'identité prolétarienne et la lutte des classes ont été touchées par une acupuncture sociale qui a marqué la fin d’une époque, un tournant, encore maintenant, inachevé de l’histoire. Car, aujourd'hui, les deux concepts mentionnés ci-dessus sont archivées dans l’attente d’un dépassement urgent et nécessaire parce que la lutte a été intégrée au spectacle social et les classes se sont dissoutes en castes d'une artificielle société planétaire, numérique et unique pour tous les perdants, riches ou pauvres, exploiteurs ou exploités, désespérés ou opportunistes, bien nourris ou affamés, tous déguisés en démocrates fictifs avec le portable à la main et, du moins psychologiquement, moribonds face à la dégradation radicale des conditions de vie sur la planète.

Le sport, c'est comme l'intellectualisme : dans les deux cas, si vous ne reliez pas l'esprit et le corps, vous faites que choisir une forme du fascisme suprématiste pour essayer de vous imposer aux autres, de les dominer, de les humilier et les offenser par un pouvoir indécent qui étouffe la puissance orgastique fondée sur l'entraide et la solidarité. Dans un monde frustré et frustrant, jouer est un exercice de respiration. En particulier dans l'Italie catholique d'après-guerre dont j’ai été un enfant sauvage sans le savoir, le football était un coin de paradis dans le ghetto ; il était un moment de puissance vitale dans le triste ordinaire de la survie, avant que le tsunami de l'argent financiarisé ne corrompe le jeu en réduisant le sport, et le football en particulier, à un boulot privilégié pour pauvres nantis débiles et la dépense d’énergie qui le rend attractif à sa misérable dimension marchande, rustre, humiliante et surtout immensément ennuyeuse à pratiquer et encore plus à regarder. Pour le garçon que j’étais, le sport était un terrain d'entraînement pour la vie où je savais dribbler ceux qui voulaient m'empêcher d'avancer librement et où je savais assez bien danser avec mon corps pour donner au ballon une trajectoire magique et le faire entrer dans le but là où je voulais, gardien ou pas. Comment nier que ce fut, de très loin, beaucoup plus jouissif que le tiède plaisir intellectuel de la lecture de La Nausée de Sartre ?

Dans le jeu, comme en amour, le corps s'exprime librement tant qu'on n'est pas toujours et uniquement des voyeurs. Et dans le jeu, plus qu’en amour, personne ne l'est jamais intimement et définitivement s'il le veut, contrairement à ce qui se passe dans le quotidien où il n'y a aucune chance contre l'exploitation. Rien à faire sinon la révolution, bien sûr, mais pas celle des mots comme des armes et des armes comme des mots qui tuent en quête de pouvoir.

Ainsi, voilà que plutôt que parler de Marx j'ai parlé de moi et, à mon avis, aussi de vous, où que se trouve votre refuge, votre terrain de jeu. Pourtant Marx y est pour quelque chose. Essayez de le lire. C'est un poète sublime avant même d'être l'une des têtes les plus claires de l'ère moderne. Ce qui ne fait pas de moi un marxiste car je n’oublie pas que Marx a contribué à cette idéologie communiste qui fut le pire ennemi d'une société à venir dans laquelle chacun peut avoir selon ses besoins, afin de pouvoir être ce qu'il veut devenir, qu'il le sache déjà ou qu'il soit encore en train de chercher.

Sublime Marx qui nous dit que le communisme est la réalisation de l'individu. Mais dans le socialisme qui devait préparer ces nobles conditions il est difficile de saisir rien d'autre qu'un totalitarisme capable de vous tuer parce que vous portez des lunettes, parce que vous voulez des soviets acratiques et non un Soviet suprême. La monstruosité du pouvoir de tout acabit est telle qu'elle serait risible si elle n'était pas insupportable. Le pouvoir est un essuie-glace qui balaie le miroir social de droite à gauche et réciproquement, dont le va-et-vient s'accentue encore lorsque des gentils entrepreneurs démocrates aperçoivent dans la masse des plus vieux survivants à la survie une source de rentabilité qui en fait les rescapés d’un ghetto à envoyer à la mort avec une rationalité nazie et l'esprit commercial en bandoulière, plutôt que les soutenir et les aider, eux qui sont au respectable et émouvant coucher de soleil de la vie.

La banalité du mal de ces marchands de mort qui dénoncent hypocritement le totalitarisme communiste mais organisent de camps de concentration rentables pour immigrés, pour vieux, pour jeunes, pour femmes, pour rêveurs et pour tous ceux qui ne se soumettent pas à la règle de la marchandise souveraine, s'ajoute à celle dénoncée par Hannah Arendt, banalité dont le spot publicitaire circule toujours : le travail rend libre. Car tous les marchands démocrates sont d’accord sur ce mantra morbide.

Voilà donc, pour finir mon dribble vers le but adverse, ce qui n'est qu'un début parmi tant d'autres commencements nécessaires et souhaitables, différents et contradictoires. Un peu de Proudhon comme antidote intelligent à toutes les conspirations puisque j'ai déjà souvent rappelé les situationnistes et mon ami Wilhelm Reich : « Etre gouverné, c’est être gardé à vue, inspecté, espionné, dirigé, légiféré, réglementé, parqué, endoctriné, prêché, contrôlé, estimé, apprécié, censuré, commandé, par des êtres qui n’ont ni le titre ni la science, ni la vertu... Etre gouverné, c’est être, à chaque opération, à chaque transaction, à chaque mouvement, noté, enregistré, recensé, tarifé, timbré, toisé, coté, cotisé, patenté, licencié, autorisé, apostillé, admonesté, empêché, réformé, redressé, corrigé. C’est sous prétexte d’utilité publique et au nom de l’intérêt général, être mis à contribution, exercé, rançonné, exploité, monopolisé, concussionné, pressuré, mystifié, volé ; puis à la moindre résistance, au premier mot de plainte, réprimé, amendé, vilipendé, vexé, traqué, houspillé, assommé, désarmé, garrotté, emprisonné, fusillé, mitraillé, jugé, condamné, déporté, sacrifié, vendu, trahi, et pour comble, joué, berné, outragé, déshonoré. »

Nous sommes bien placés aujourd’hui pour constater que l’histoire ne s’arrête jamais et qu’on ne se libérera pas par une quelconque pirouette idéologique de la crise sanitaire qui déferle s’ajoutant au délabrement climatique, social et vital. L’ensemble des catastrophes annoncées et des autres que le productivisme nous prépare, exhorte notre humanité résiduelle à dépasser toutes les idéologies. Aucune morale réactionnaire ou révolutionnaire, aucun Etat ni aucun Marché, aucune avant-garde ni aucun obscurantisme ne nous transporteront magiquement par-delà ce monde morbide qui nous accable de ses maladies. Il faudra et il faut déjà se soigner soi-même par un élan de solidarité réciproque, en se méfiant de tous les marchands de sirop qui guettent et manipulent les Indiens que nous sommes. Des Indiens qui veulent être ne se contentant pas d’un avoir misérable et mystique que des oligarques nantis gèrent à leur avantage.

La batrachomyomachie des vaccinés et de non vaccinés a étendu au peuple entier et à la vie quotidienne l’opposition intellectuelle entre la philosophie de la misère et la misère de la philosophie. Dépasser cette querelle que le spectacle nous inflige à grandeur nature est un hommage, sans dieu ni maître, autant à Proudhon qu’à Marx, mais c’est surtout la conditio sine qua non de la survie de notre humanité.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 14 février 2022



[1] Surtout à une époque où il n'était vraiment pas difficile, même pour ceux qui manquaient de moyens, d'accéder à toute lecture désirée, subrepticement ou non, par la simple pratique de l’abolition de l’appropriation privative.

[2] Titre obtenu quatre ans après le mythique Mai 68 avec tous les honneurs académiques dérisoires qui m'ont touché comme le lavage automatique caresse une voiture, mécaniquement, sans émotions, sans illusions et sans bénéfice, exception faite de charges d’enseignement à doses homéopathiques exercées en Italie, en Angleterre et en France.