giovedì 15 giugno 2023

Il mostro avanza e noi stiamo a guardare

 





Pur dubitando fortemente che le petizioni servano a qualcosa, ho tradotto questo documento di Avaaz che denuncia un’ennesima tragica situazione di dominio e sfruttamento produttivista.

Nell’attesa di far meglio lanciamo l’allarme.  SGS

Il Perù sta per approvare una legge che potrebbe scatenare un genocidio in Amazzonia.

Questo testo prende di mira direttamente le terre sacre dei popoli fuori contatto, ignari del pericolo che li minaccia.

 

Dettata dalle lobby minerarie, forestali e petrolifere, questa legge esproprierà i popoli più isolati della loro terra. Scatenerà una nuova ondata di invasioni, distruzione, violenza e virus mortali.

 

Dobbiamo agire. E velocemente!

 

Personaggi indigeni venuti da tutto il paese si rivolgono alla stampa, organizzano proteste e parlano con i parlamentari per difendere i loro diritti e quelli dei popoli fuori contatto dalla civiltà dominante. Tuttavia, temono che questo oggi non basti, ci chiedono di sostenerli e di fare nascere un'ondata di voci da tutto il pianeta per far pendere la bilancia in loro favore.

 

Rispondiamo presente. Firma ora per proteggere i nativi dell'Amazzonia peruviana da questa offensiva: Je suis solidaire des peuples autochtones du Pérou

(Sono solidale con le popolazioni indigene del Perù).

 

I popoli indigeni proteggono un terzo della foresta pluviale amazzonica. Grazie a loro, questa parte è rimasta intatta. Oggi, pero, potenti gruppi privati ​​vogliono approfittare dell'instabilità politica del Perù per smantellare la legge che protegge i popoli non in contatto con  il dominio produttivista. Tutto questo per placare la loro sete di petrolio e sfruttare sempre di più la terra.

 

È una questione di vita o di morte e un rapporto di forza squilibrato: 25 comunità isolate, ignare del pericolo che le minaccia, contro enormi gruppi di pressione determinati a smantellare le misure legali che garantiscono la loro sopravvivenza.

 

Non possiamo permetterglielo.

 

I responsabili indigeni stanno facendo sul posto tutto il possibile per fermare questa "legge genocida". Con un milione di voci arrivate da tutto il pianeta, i membri eletti del Congresso peruviano capiranno che tutti gli occhi sono puntati su di loro.

 

Firma subito e dillo a tutti intorno a te. Siamo centinaia di migliaia e lavoreremo con dei leader indigeni per portare le vostre voci al Congresso prima del voto.

Je suis solidaire des peuples autochtones du Pérou

(Sono solidale con le popolazioni indigene del Perù)

 

I responsabili indigeni del Perù svolgono un ruolo centrale nella protezione dell'Amazzonia e del nostro pianeta. Oggi chiedono al nostro movimento di unirsi a loro per proteggere le terre e la vita dei popoli isolati. Rispondiamo presente.

Con speranza e determinazione, Diego, Mo, Luis, Raul, Ana Paula, Laura, Oscar e l'intero team di Avaaz

Per saperne di più:

En Amazonie péruvienne, un projet de loi met en péril des Autochtones isolés (Radio-Canada.ca)

Peuples non-contactés : en marge du monde (National Geographic)


Le Pérou est sur le point d’adopter une loi qui pourrait déclencher un génocide en Amazonie.





Ce texte cible directement les terres sacrées des peuples non contactés, qui ne sont pas au courant du danger qui les menace.

Dictée par les lobbys de l'exploitation minière, forestière et pétrolière, cette loi dépossèdera de leurs terres les peuples les plus isolés. Elle déclenchera une nouvelle vague d’invasions, de destructions, de violences et de virus mortels.

Nous devons agir. Et vite!

Des personnalités autochtones venues de tout le pays s’adressent à la presse, organisent des manifestations et se font entendre auprès des députés pour défendre leurs droits et ceux des peuples non contactés. Mais elles craignent que cela ne suffise pas aujourd’hui, elles nous demandent de les soutenir et de lancer une déferlante de voix venues de toute la planète pour faire pencher la balance.

Répondons présents. Signez maintenant pour protéger les autochtones d’Amazonie péruvienne contre cette offensive:

 

Je suis solidaire des peuples autochtones du Pérou

Les peuples autochtones protègent un tiers de la forêt amazonienne. Grâce à eux, cette partie est restée intacte. Mais aujourd’hui, de puissants groupes privés veulent profiter de l’instabilité politique du Pérou pour démanteler la loi qui protège les peuples non contactés. Tout cela pour étancher leur soif de pétrole et exploiter toujours plus la terre.

C’est une question de vie ou de mort et un rapport de force déséquilibré: 25 communautés isolées, qui ne sont pas au courant du danger qui les menacent, contre d’immenses groupes de lobbying déterminés à démanteler les mesures juridiques qui garantissent leur survie.

Nous ne pouvons pas les laisser faire.

Les responsables autochtones sur place font tout ce qu’ils peuvent pour arrêter cette "loi génocidaire". Avec un million de voix venues de toute la planète les élus du Congrès péruvien comprendront que les regards sont braqués sur eux.

Signez tout de suite et parlez-en à tous ceux qui vous entourent. Soyons des centaines de milliers, et nous travaillerons avec des dirigeants autochtones pour remettre vos voix au Congrès avant le vote.

Je suis solidaire des peuples autochtones du Pérou

Les responsables autochtones du Pérou jouent un rôle central dans la protection de l’Amazonie et de notre planète. Aujourd’hui, ils demandent à notre mouvement de les rejoindre pour protéger les terres et la vie des peuples isolés. Répondons présents.

Avec espoir et détermination, Diego, Mo, Luis, Raul, Ana Paula, Laura, Oscar et toute l’équipe d’Avaaz

Pour en savoir plus:

 


DOMINIO & DEMOCRAZIA



Quando, da bravi predatori, si ama il potere, si deve prima prenderlo, poi conservarlo cercando, se possibile, di amplificarlo. Per giustificare questa sete che tortura il carattere perverso narcisista prodotto più che mai in abbondanza dalla società attuale, tutte le ideologie, tutti i metodi sono buoni finché funzionano: monarchia, oligarchia, autocrazia, dittatura, repubblica, democrazia, poco importa purché il dominio sia confermato e sacralizzato da un buon numero di servitori volontari. Oppure, sensibili all'attrazione passionale che fa vivere gli esseri, si lotta in cerca di felicità e di libertà, affascinati dalla dimensione orgastica del vivente, per creare situazioni di potere per il popolo e da parte del popolo, funzionando secondo i metodi dell'autogestione della vita quotidiana (la vita vera, vissuta soggettivamente e non quella declamata dagli scoliasti) che i seguaci del mutuo soccorso e della solidarietà condividono e gestiscono collettivamente.

Iscrivendo la democrazia nella continuità della civiltà produttivista, la si riduce a un alibi che le classi dominanti hanno sempre aggiornato attribuendogli nomi diversi che mutano come un virus per meglio continuare a nascondere il soggetto al centro di questa truffa storica: il Leviatano. A partire dalla divisione in classi e generi gerarchici, la società umana ha esplorato varie forme di funzionamento più o meno autoritario ma sempre improntato al rispetto delle gerarchie dominanti.

Da quando il produttivismo domina il mondo, lo Stato di diritto è sempre stato il diritto dello Stato. In quanto modo moderno di produzione produttivista, il capitalismo ha basato il suo funzionamento sociale e la sua distribuzione della ricchezza sullo Stato complice del Mercato e dellappropriazione privativa. Non ci libereremo dal capitalismo senza liberarci dal produttivismo che lo ha generato e dallo Stato, che è incompatibile con una società di individui liberi e uguali.

Non è quindi una “democrazia” che conforta questa tesi obiettivamente rivoluzionaria, ma una demoAcrazia che denuncia il kratos apprezzando piuttosto larkè. Non cè dubbio che questa sensibilità chiaramente rivendicata deve andare ben oltre le parole prigioniere che ci rimandano a un'antica Grecia dalla democrazia molto relativa, ma particolarmente interessante nelle sue contraddizioni soprattutto quando le nostre si mostrano oggi molto più difficili da superare.

La realtà attuale di tale opzione poetica espressa attraverso luso linguistico dell'alfa privativa passa per una gestione mutualmente controllata senza dèi né padroni della pratica dell'autogestione generalizzata della vita quotidiana e dei rapporti sociali. L'unico controllo non repressivo né gerarchico è quello di un'organizzazione sociale basata sulla permanente e verificata uguaglianza di opportunità, di ruoli e di scelte tra i suoi membri. Sia ben chiaro, però, che il concetto stesso di uguaglianza merita spiegazioni e sviluppi, perché riguarda diritti alla felicità e alla soddisfazione uguali per ogni individuo dal momento che tutti sono naturalmente autonomi e hanno desideri, tendenze, intelligenze e sensibilità differenti. Il che è il loro diritto assoluto e indiscutibile dato importante da sottolineare soprattutto quando questo diritto è violentemente negato dai suprematismi diversi dei fascismi neri, bruni, bianchi, rossi o tricolori, onnipresenti a destra, a sinistra e al centro delle natiche dolenti e ipocrite del parlamentarismo.

Questa modesta riflessione di base che propongo, trova radici nella preistoria e nella storia di un'umanità allo sbando completo di fronte a una natura che se la ride dell'Antropocene ridicolizzandolo senza pietà. L'uomo patriarcale e la donna patriarcalizzata hanno sempre espresso a singhiozzo, tanto individualmente quanto collettivamente, qui il riflesso predatorio, là la tendenza al mutuo soccorso, a volte amore, altre volte odio. L'essere umano predilige la predazione e lo sfruttamento o la solidarietà e l'uguaglianza secondo il contesto personale, le situazioni sociali e la psicogeografia del momento. Ce lo mostra ampiamente la storia tragica e talvolta risibile della nostra particolare specie di scimmie.

Per uscire dalla logica binaria tanto cara a tutti i misticismi celesti o terrestri (dalle divinità di ogni tipo all'economia politica che le ha divorate) è necessario registrare, una volta per tutte, che gli ominidi che siamo sono capaci di rubare il fuoco a una divinità immaginaria come di bruciare sul rogo coloro che detestano questa stessa divinità fantasticata e ingannevole. Fin dalla preistoria, gli umani (o presunti tali) hanno contrapposto due civiltà incompatibili: la civiltà gilanica dei mammiferi umani in via di umanizzazione (vedi, in particolare, i lavori di Gimbutas ed Eisler che ci raccontano come questa civiltà, matricentrica e non matriarcale, sia stata cancellata dappertutto e poi rimossa fino all'oblio) e la civiltà dominante, patriarcale e produttivista, il cui progresso, sempre più artificiale, si è evoluto dalle prime Città Stato agli Stati Nazione dell'Ancien Régime, poi agli Stati sempre più continentali dell'attuale globalizzazione in cui il capitalismo finanziario gestisce lalienazione e la reificazione su un pianeta devastato dallUomo civilizzato. Questo mi pare un buon punto di partenza per la riflessione necessaria, evitando radicalmente i confusionismi intellettuali di ogni tipo.

(Continua, chi vuole)

 

 Sergio Ghirardi Sauvageon, 13 giugno 2023


Domination & démocratie



Quand, en bons prédateurs, on aime le pouvoir il faut avant tout le prendre, puis le conserver tout en cherchant, si possible, de l’amplifier. Pour justifier cette soif qui ronge les caractères pervers narcissiques que la société actuelle produit plus que jamais à foison, toutes les idéologies, toutes les méthodes sont bonnes pourvu qu’elles fonctionnent : monarchie, oligarchie, autocratie, dictature, république, démocratie, peu importe pourvu que la domination soit confirmée et sacralisée par un bon nombre de serviteurs volontaires. Ou alors, sensibles à l’attraction passionnée qui fait vivre les êtres, on lutte en quête de bonheur et de liberté, séduits par la dimension orgastique du vivant, afin de créer les situations d’un pouvoir pour le peuple et par le peuple, fonctionnant selon les méthodes de l’autogestion de la vie quotidienne (la vie réelle, subjectivement vécue et non pas celle déclamée par des scholiastes) partagée et gérée collectivement par les adeptes de l’entraide et de la solidarité.

En inscrivant la démocratie dans la continuité de la civilisation productiviste, on la réduit à un alibi que les classes dominantes actualisent depuis toujours en lui donnant des noms differents qui mutent comme un virus pour mieux continuer à cacher le sujet au cœur de cette arnaque historique : le Léviathan. Depuis la division en classes et en genres hiérarchisés, la société humaine a exploré diverses formes de fonctionnement plus ou moins autoritaires, mais toujours marquées par le respect des hiérarchies dominantes.

Depuis que le productivisme domine le monde, l’État de droit a toujours été le droit de l’État. En tant que mode de production productiviste moderne, le capitalisme a fondé sur l’État, complice du Marché et de l’appropriation privative, son fonctionnement social et sa distribution des richesses. On ne se libérera pas du capitalisme sans se libérer du productivisme qui l’a généré et de l’État, incompatible avec une société d’individus libres et égaux.

Ce n’est donc pas une « démocratie » qui conforte cette thèse objectivement révolutionnaire, mais une démoAcratie qui dénonce le kratos appréciant plutôt l’arkè. Nul doute que cette sensibilité clairement affichée doit aller bien au-delà des mots captifs qui nous renvoient à une Grece ancienne à la démocratie très relative mais particulièrement intéressante dans ses contradictions, surtout quand les nôtres s’avèrent aujourd’hui bien plus difficiles à dépasser.

La réalité actuelle de cette option poétique exprimée à travers l’usage linguistique de l’alpha exclusif passe par une gestion mutuellement maîtrisée sans dieux ni maîtres de la pratique de l’autogestion généralisée de la vie quotidienne et des relations sociales. Or le seul contrôle qui ne soit pas répressif ni hiérarchisant est celui d’une organisation sociale fondée sur l’egalité permanente et vérifiée des chances, des rôles et des choix entre ses membres. Précisons cependant, que le concept d’egalité lui-même mérite d’être expliqué et développé, car il concerne des droits au bonheur et à la satisfaction égales pour chaque individu alors que tous sont naturellement autonomes et ils ont des désirs, des tendances, des intelligences et des sensibilités différentes. Ce qui est leur droit absolu et indiscutable – donnée importante à souligner surtout quand ce droit est nié par les suprématismes divers des fascismes noirs, bruns, blancs, rouges ou tricolores, omniprésents à droite, à gauche et au centre des fesses douloureuses et hypocrites du parlementarisme.

Cette modeste réflexion de base que je propose, trouve ses racines dans la préhistoire et l’histoire d’une humanité en plein désarroi face à une nature qui se moque de l’Anthropocène le ridiculisant sans pitié. L’homme patriarcal et la femme patriarcalisée ont toujours exprimé par à-coups, tant individuellement que collectivement, ici le reflexe prédateur, là la tendance à l’entraide, parfois l’amour de l’autre, d’autres fois la haine. L’être humain chérit la prédation et l’exploitation ou la solidarité et l’egalité selon le contexte personnel, les situations sociales et la psychogéographie du moment. L’histoire tragique et parfois dérisoire de notre espèce particulière de singes le montre amplement.

Pour quitter la logique binaire si chère à tous les mysticismes célestes ou terrestres (des divinités en tout genre à l’économie politique qui les a dévorées) il faut enregistrer, une fois pour toutes, que les hominidés que nous sommes sont capables autant de voler le feu à une divinité imaginaire, que de faire bruler sur le bûcher ceux qui exècrent cette même divinité affabulée et trompeuse. Depuis la préhistoire, les humains (ou présumés tels) ont opposé deux civilisation incompatibles : la civilisation gylanique des mammifères humains en voie d’humanisation (voir les travaux de Gimbutas et Eisler qui nous racontent comment cette civilisation, matricentrique et non pas matriarcale, est passée à la trappe partout, puis refoulée jusqu’à l’oubli) et la civilisation dominante, patriarcale et productiviste, dont le progrès, de plus en plus artificiel, a évolué des premières Cités États aux Etats-nations de l’Ancien Régime, puis aux Etats-continents de la mondialisation actuelle dont le capitalisme financier gère l’aliénation et la réification sur une planete dévastée par l’Homme civilisé. Cela me semble un bon point de départ de la réflexion nécessaire, en évitant radicalement tout confusionnisme intellectuel.

(A suivre, qui veut)                                       

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 13 juin 2023

 


sabato 3 giugno 2023

Miquel Amorós Peidro, storico e teorico libertario "Gli anarchici hanno ignorato il passato"

 

 


Miquel Amorós Peidro (Alcoi, 1949) ha partecipato alle mobilitazioni studentesche e operaie degli anni Settanta; ha scritto numerosi libri e articoli su temi come la Rivoluzione del 1936, il movimento autonomo o le tesi contro lo sviluppo; ha appena pubblicato El proletariado salvaje. Movimiento asambleario y autonomía obrera (Editoriale Milvus). Abbiamo parlato con lui a Casal de Barri de Prosperitat, vicino alla piazza – ribattezzata dal quartiere – dei lavoratori della ditta Harry Walker, che nel 1971 fecero il primo grande sciopero autonomo a Barcellona.

 

Non sono stati scritti molti libri sull'autonomia operaia e sul movimento assembleare...

Non molti, perché l'autonomia operaia disturba. Migliaia di libri sono stati scritti sulla guerra civile, perché è così lontana che tutti possono rivendicarne una parte e trovare una certa legittimità, ma questo è recente. Un movimento operaio abbastanza indipendente ha guidato le proteste più importanti dell'epoca destabilizzando il franchismo. Di fatto, la legalizzazione dei sindacati è stata rapida per porre fine alle assemblee. L'ho vissuto intensamente, sono stato esiliato in Francia, ho incontrato il popolo del maggio 1968 e poi è avvenuta la rivoluzione in Portogallo, con occupazioni di fabbriche e quartieri militari. Pensavamo che fosse possibile un'azione autonoma del proletariato; e tanto più sapendo che se avessimo lasciato agire l'opposizione ufficiale, sarebbe stata d'accordo con la parte del regime che voleva rinnovarsi e questo avrebbe dato vita a un sistema politico ibrido, con aspetti parlamentari, ma fondamentalmente autoritario, perché totalmente erede della dittatura: legislazione, polizia, giudici, militari, curati, tutto intatto. Il movimento operaio fu gravato dai Patti di Moncloa, dove si è patteggiato di non scioperare; e con lo Statuto dei lavoratori, che praticamente vietava le assemblee, si legiferava in modo che fossero impossibili. Quelle erano assemblee dove andava gente di altre fabbriche, anche gente del quartiere, chiunque poteva parlare, si andava alla pratica, attraverso l’azione, l’azione rivendicativa. Non era come le assemblee di adesso, dei 15M e tutto il resto, che è un'altra storia...

 

In che senso?

Quelle erano assemblee di lotta. Non c'erano sindacati, allora i lavoratori crearono strutture che erano forme di libertà, senza rendersene conto: assemblee, delegati eleggibili e revocabili, picchetti, commissioni, coordinatori... Tutte queste erano creazioni del movimento operaio dell'epoca, che scopriva forme di libertà che si potevano applicare a tutto. In alcuni luoghi, soprattutto nei Paesi Baschi, ad esempio a Errenteria, si tenevano assemblee popolari, dove già si decideva la politica e la gestione del consiglio comunale, costringendolo a dimettersi. Erano assemblee trascendenti, c'era una struttura offensiva, una struttura politica superiore, c'erano molti consigli di fabbrica. Ce n'erano molti a Barcellona, soprattutto nella cintura, non nel Baix Llobregat, dove dominavano i comunisti, ma piuttosto nella zona del Vallès. Ho sostenuto scioperi come quelli di Onda, della ceramica, di Elx nel settore calzaturiero, poi anche di Valladolid. Il movimento è terminato perché non aveva abbastanza forza o lucidità per fare un passo avanti. Gli insegnanti, ad esempio, sono stati coinvolti, ma le assemblee degli insegnanti si sono rapidamente trasformate in sindacati, come l'USTEC. Nei Paesi Baschi, la maggior parte delle assemblee è entrata in LAB; e qui molti nella CNT. La gente si muoveva per rivendicazioni, stipendi, orari, vacanze, condizioni... Certo, c'era molta solidarietà, c'era gente che si fermava per solidarietà. Lo sciopero di Laforsa, ad esempio, è uno sciopero di solidarietà. C'era molta effervescenza. Ricordo che quando venivi arrestato a una manifestazione, se mostravi la tessera sindacale, ti lasciavano stare e, se non facevi parte di nessun sindacato, ti trattenevano e ti iscrivevano. Sto parlando del 1977 e del 1978, quando sono arrivato al Barcellona.

Dove abitavi nel maggio 1968?

A Valencia, all'università, in coincidenza con la formazione del Sindacato Democratico degli Studenti. Quel che voleva il Partito Comunista di Spagna (PCE), che era il partito più organizzato dell'università, era creare una seria alternativa sindacale per negoziare con le autorità accademiche e questo significava bloccare gli scioperi. Tuttavia ovunque c'era un'atmosfera di continui scioperi e assemblee. C'era anche gente del PSV, del Felipe, dell'Inters e qualche anarco sperduto, come me. Gli scioperi sono iniziati nel 1964 a Madrid, per l’interdizione di conferenze degli insegnanti dissidenti, come Aranguren (1909-1996), persone molto moderate, in seguito si è tenuta un'assemblea. L'assemblea ha portato allo sciopero, c'è stata la repressione, la repressione ha provocato le assemblee e questa è una spirale che ha cominciato a progredire. Né il regime voleva dare troppa corda, né quel poco che dava poteva soddisfare gli studenti, e questo ha spinto oltre. Le manifestazioni che si sono svolte ovunque hanno fatto cadere il regime, è stato dichiarato lo stato di emergenza, è stato creato un servizio segreto chiamato Servicio Central de Documentación de Presidencia del Gobierno (SECED), la madre del CNI; ed è stata creata una legislazione speciale, la Legge generale dell’educazione, il tutto per fermare gli studenti. Hanno creato università autonome per separare la concentrazione degli studenti e isolarli molto lontano. Si è poi entrati in una dinamica di piccoli gruppi emersi dal crollo del PCE e soprattutto del Frente de Liberación Popular (FLP), con perdita d’importanza. D'altra parte, il movimento operaio stava già allentando la morsa della politica stalinista, carrillista, che consisteva nell’occupare il sindacato verticale dei lavoratori, il CNS. C'era un'altra linea che voleva uscire dalle crepe del sindacato verticale e organizzare assemblee per decidere collettivamente. Lo sciopero di Blansol, a Palau de Plegamans, è uno dei primi scioperi con una chiara struttura assembleare. L'ufficiale è quello di Harry Walker.

Vitoria-Gasteiz è stato il punto più alto.

Sì, lì il movimento si è auto-organizzato su scala cittadina. Anche se le assemblee più grandi erano quelle che si tenevano a Elche, al campo di calcio. Elx era piena di calzaturifici, espadrillas... Ora è piena di negozi cinesi, d’importazione, non ci sono più lavoratori. Ebbene, è successo che hanno concentrato lì così tanti lavoratori che il tutto è straripato e ha creato una propria dinamica di rivendicazioni. È stato il punto di forza perché raccoglieva persone di ogni tipo, ma anche il punto debole perché impediva di passare a rivendicazioni e azioni politiche, che erano lasciate ai partiti.

Come sono iniziati gli scioperi autonomi?

Sono iniziati nel 70-71 con l'Authi, a Pamplona, l'Harry Walker e qualche altro, ma hanno fatto subito macchia d'olio. Tutti avevano persone in fabbrica, lo sciopero era molto politicizzato, c'erano prospettive di miglioramento, di andare oltre nelle idee. Tuttavia, con la scusa dell'ETA, la normativa antiterrorista fu applicata nel 1976 anche agli scioperi non legali. La gente si è gradualmente disincantata e i sindacati hanno gradualmente riguadagnato tutto il terreno. È stato un alto costo personale, meglio lasciare che il sindacato negoziasse. Era molto divertente essere licenziati, inseriti nella lista nera e non trovar più lavoro. Il movimento autonomo ha impiegato del tempo per emergere e lo ha fatto discutendo sulle strategie. Nel 1958, la dittatura creò la Ley de Convenios, dove ammise che, attraverso la Unión de Trabajadores y Técnicos, l'accordo poteva essere discusso con il datore di lavoro e il sindacato verticale. Questa legge regolava gli scioperi e gli operai iniziarono a portare alle trattative i delegati che eleggevano in assemblea, invece dei delegati sindacali, che erano zii molto controllati. Questo è successo in molte fabbriche quasi spontaneamente. C'erano molte persone che difendevano questi metodi assembleari, era qualcosa che si apprendeva all'interno del movimento operaio, anche le Comissions Obreres (CCOO) erano, all'inizio, assembleari.

Il movimento libertario era presente nel movimento autonomo?

Pochi libertari. I libertari iniziarono ad esistere, qui a Barcellona, in seguito alla sconfitta del Fronte Operaio Catalano (FOC), il ramo catalano del Felipe (FLP). La CNT è emersa come un riflusso del movimento assembleare perché coloro che provenivano da movimenti autonomi pensavano che solo la CNT potesse essere un sindacato dell’autonomia. Questi erano molto sindacaleros, rivendicativi, laburisti; all'interno della CNT c'erano invece altre correnti: gente dell'università, tipi che volevano fare la lotta armata, cattolici, ex falangisti, cincpuntisti. Era come un movimento difensivo per entrare nella CNT, ma era mettersi in un pasticcio, un labirinto di persone con lotte di fazione, anche molto violente; e lo sono ancora, perché non sono sparite. La CNT ha raggiunto i trecentomila membri e li ha persi. Hanno organizzato una manifestazione contro i Patti della Moncloa, una soltanto di 15.000 persone. Ci sono state polemiche contro gli autonomi, c’è stata una lotta contro di loro perché si stavano allontanando dai principi libertari e gli altri volevano fare una CNT ortodossa, con i vecchi statuti e tutto il resto. Certo, al loro interno c'erano diverse ortodossie, perché c'erano persone che accettavano la prassi politica, i pestañistes (sindacalisti  che credono alla politica e al parlamentarismo, seguaci di Angel Pestaña, ex segretario della CNT, fondatore fortemente riformista di un Partido Sindicalista nel 1934. NdT) ; c'erano molte persone che non erano operai, erano studenti o non lavoravano; persone che hanno fatto rapine; un po’ di tutto Quello che non si può fare è ricostruire un'epoca storica come quella del 1936, perché il proletariato non è lo stesso, né le strutture dei sindacati. Sono entrati in una dinamica molto interna, fagocitaria, mangiandosi a vicenda in modo che l'alternativa libertaria si annulla, finendo per diventare minoritaria. E addio.

A quell’epoca sono apparsi sulla scena nuovi movimenti sociali.

Nel 1976, con la legalità democratica, sono apparsi i movimenti sociali. Tutto questo è arrivato dagli USA, a cominciare dai maoisti, i più presenti in Francia dopo il maggio 68. Quasi tutti terzomondisti e super-autoritari, ma quelli di Vive la révolution (VLR) hanno aperto una serie di fronti: fronte gay, fronte giovanile, ecc. Avevano una rivista, Tout, dove circolavano disegni nello stile dei Freak Brothers e Robert Crumb, l'underground americano, riprodotto qui da El Víbora. Più tardi, questo movimento è finito, ma le strutture identitarie sono rimaste. Qui c'è stato un movimento ecologista, soprattutto antinucleare, molto forte a partire dal 1977; anche la Coordinadora de Presos en Lucha (COPEL), i movimenti femministi... Tutto andava un po' di pari passo e si diceva che la rivoluzione doveva risolvere tutto, non solo la questione operaia, ma anche queste altre tematiche.

E la classe operaia ha perso importanza.

Va tenuto presente che dal 1978 c'è un processo di riconversione industriale, le industrie chiudono e molte persone sono disoccupate. C'è un nuovo orientamento verso la globalizzazione e dalla metà degli anni Settanta la quota di servizi, dipendenti pubblici e impiegati è molto maggiore della gente in fabbrica, fatto che riduce l’importanza degli operai dell'industria. Funzionari e impiegati potevano tenere assemblee, ma non avevano la spinta che avevano gli altri. C'erano poi gli apparati politici: se avevi un pedigree di lotta potevi iscriverti a partiti come il PSOE, che non ne aveva. Tutti ti accettavano. Molti della CNT sono entrati nel PSOE. E anche quelli del PSUC e di Bandera Roja. Si sono rivolti al nazionalismo e persino a Convergència. Molte persone sono entrate negli apparati politici e sono passati ai consigli, dove avevano il potere di assumere persone. Le autonomie hanno facilitato un apparato politico importante e anche i sindacati.

C'erano anche gruppi armati autonomi.

Alcuni di Roca hanno formato un gruppo armato e la polizia li ha sorpresi durante una rapina. Il 1979 è quando sono usciti i gruppi armati e c'erano gruppi sciolti come i Grupos Autónomos Libertarios, gente di Madrid, Barcellona, Valencia, ecc. Sono stati arrestati subito, non avevano infrastrutture, alcuni di loro sono stati rinchiusi per molti anni, molti sono morti di overdose. Negli anni '80, farsi un buco di eroina costava come prendere un caffè. La disperazione ha spinto le persone ad andare avanti, a rubare e tutto il resto. Anche a Valladolid hanno formato un gruppo armato che pure lui è durato poco. La lotta armata è una spirale molto pericolosa, non ha nulla di eroico. Gli anni Ottanta sono gli anni dell'inizio della globalizzazione, della scomparsa della classe industriale come centro del proletariato e della scomparsa del militantismo, per cooptazione, per rassegnazione, per droga...

E dopo gli anni ottanta che è successo?

 

Sono partito per la Francia, abbiamo fatto una rivista teorica, era necessario riconsiderare tutto, riqualificarsi socialmente, fare letture che non si erano fatte. Criticavamo l'ideologia del progresso, pensavamo che il movimento antinucleare potesse essere la punta di diamante dei movimenti sociali e lo difendevamo. Poi sono arrivati i partiti verdi e hanno cooptato tutto. Le riflessioni che abbiamo sviluppato dagli anni Ottanta,in cui c'era poca mobilitazione, mi sono poi servite per la critica urbana, alla metropolizzazione, alla distruzione delle campagne... la difesa del territorio, a partire dagli anni novanta.

Le assemblee sono uno strumento di lotta?

Le assemblee degli anni '70 erano per uscire in piazza, qualsiasi assemblea si creasse, la prima cosa che facevo era uscire in piazza, una manifestazione immediata e poi uno scontro con la polizia e, se possibile, l'occupazione di qualche edificio, rompere vetrine di banche... Erano manifestazioni per fare delle cose. Quando c'è spirito di classe, fai parte di un collettivo e, quando parli, parli per difendere questo collettivo, non per dire quello che hai voglia, per realizzare te stesso. Questo grado di frustrazione e repressione e un qualche narcisismo esistente tra i giovani è quel che blocca qualsiasi movimento assembleare. Più che assemblee sembrano sedute di terapia psicoanalitica per sfogarsi e rilassarsi, non riunioni per andare nella direzione concreta e chiarire le tattiche da seguire o che cosa c’è da chiedere. Ora non sono assemblee che rappresentano un collettivo, ma piuttosto una somma di individui solitari, con le loro manie, le loro frustrazioni e tutto il resto. È il risultato del capitalismo, il capitalismo è penetrato nella vita quotidiana, ha saputo colonizzare l'immaginario.

Le lotte in difesa del territorio possono fare un passo oltre?

In Francia ci sono lotte molto grandi in questo senso, sono comitati emersi dalle lotte delle ZAD e si sono diffusi; e sono collegati. Sono circa duecento e hanno un'altissima capacità di mobilitazione, occupano territori e affrontano la polizia. C'è un forte movimento di difesa del territorio, antisviluppo, anti industriale; ed è totalmente contrario ai movimenti elettorali. In Catalogna ci sono molte piattaforme, contro la costruzione di parchi eolici offshore per esempio, sulla Costa Daurada, o a Roses, contro la costruzione di un tratto autostradale a Blanes... Un centinaio di piccoli movimenti locali, e una certa opposizione. È quello che abbiamo fatto con l'Encyclopédie des Nuisances, discussione e analisi teorica sulla critica del progresso. La critica radicale dello sviluppo era ciò che avrebbe sostituito la vecchia lotta di classe, la lotta di fabbrica. Siamo in questa impasse, è da tempo che penso che il prossimo punto di conflitto scaturirà da qui.

Che cosa fare con la tecnologia, si deve tornare indietro?

Non si può tornare indietro, si tratta di smantellare le metropoli e avere un rapporto diretto e reciproco con la natura e la campagna, si tratta di concretizzare strategie comunitarie che vadano in questa direzione, che siano realistiche. Questa lotta permette di trovare soluzioni positive, ci sono persone che vanno in campagna e si rendono indipendenti e organizzano reti, come quella di Fraguas, o prima di Itoiz. Ma sono movimenti molto piccoli. A Nantes si sono riunite facilmente duemila persone.

Quindi, dovremmo sfruttare la tecnologia?

Credo di si. Prima di noi, la migliore riflessione sulla tecnologia è quella di Lewis Munford. Ha fatto un lavoro molto importante, è il nostro Karl Marx, il mio soprattutto. Ha detto che ci sono due tipi di tecnologia, una autoritaria e l’altra democratica, che favorisce l'organizzazione egualitaria della società mentre quella autoritaria favorisce un'organizzazione verticale. Va difeso l'uso della tecnologia per promuovere uno sviluppo umano equilibrato con la natura. Nella misura in cui la tecnologia favorisce questo equilibrio, viva la tecnologia!

Come vede oggi il movimento anarchico?

L'anarchismo scade molto nel primitivismo e nell'insurrezionalismo, dimostrando di non essere fornito di una chiara alternativa alla società. Si dedica principalmente a creare piccoli sindacati che non vanno da nessuna parte o a sognare insurrezioni che non arriveranno mai, queste fantasie sono utopiche, irreali. C'è un'eredità che non è arrivata fino a qui. Sembra che gli anarchici guardino alla storia come se fossero ciechi, non prestano attenzione alle collettività, ai dibattiti anarchici che si stanno svolgendo ora, ecc. Gli anarchici hanno ignorato il passato e un movimento senza storia è un movimento senza radici, senza contenuto, puramente estetico, ovviamente. La postmodernità ha spiazzato il pensiero socialista classico.

C’è bisogno di riportare in auge i classici?

SÌ; di parlare di cose nuove come la critica radicale dello sviluppo. Lo sviluppo economico è la base del capitalismo, è necessario attaccare dove il capitalismo sta avanzando, ora sono le energie rinnovabili, il turismo, l'edilizia... Devi attaccare lì, devi toccare questi temi.

Sei ottimista sulla lotta anticapitalista?

Sono un pessimista che crede nella rivoluzione. Stiamo andando verso la distruzione del pianeta, il capitalismo se ne sta incaricando; o l’uno o l’altro:, o lo affrontiamo o ne pagheremo le conseguenze. Ci sono poche persone che fanno fronte. In Catalogna ci sono un milione di residenze secondarie, il che significa circa cinque milioni di persone che hanno una condizione sociale di classe media. La classe media è la peggiore di tutte perché è la classe conservatrice per eccellenza; quando è colma si mostra di sinistra, se ci sono troppe sinistre si mostra di destra. La Catalogna è passata dall'essere un paese operaio a essere un paese della classe media, un 60% di popolazione è di classe media. E, sebbene la classe media stia arretrando, poco alla volta, la mentalità si conserva. In Germania ciò diede origine al fascismo, grazie al quale questa mentalità si mantenne in molti strati della popolazione, anche i più poveri. Qui ha ingrossato i ranghi del nazionalismo, è una falsa opposizione che nasconde tutte le contraddizioni, la società borghese ti vuole sfruttare, non gli importa se sei nero, donna o altro. Questa lotta identitaria elimina la questione centrale, che è la questione sociale, la vita delle persone, quell’alienazione per cui non hai potere sulla tua vita, condizionata dagli interessi finanziari.

La classe media è controrivoluzionaria perché...

La classe media è una mentalità. Ci sono persone molto povere che hanno questa mentalità, che a malapena hanno quattro pelli e cambiano auto, comprano di tutto. È più una condizione mentale che sociale. Il sistema crea questa mentalità facilitando il consumismo. Il sistema avanza perché tutti i bisogni primari costano poco: cibo, vestiti o scarpe sono altamente industrializzati, molte cose arrivano dalla Cina o dall'India, perché costa meno che farle qui. Ci sono molti salariati che sono borghesi, che hanno questa mentalità. È un prodotto dell'alienazione capitalista, il sistema ha molta esperienza nella propaganda di mercato.

Quindi la battaglia della propaganda è la prima cosa da fare?

Non è male fare cose in questo senso, ma sono le persone stesse che devono cambiare, si deve dare esempi, indicare la giusta direzione. Si devono toccare tutti i temi che riguardano le persone.

A cosa stai lavorando adesso?

Sto preparando una riedizione de La revolución traicionada (La rivoluzione tradita), perché sono in possesso di più informazioni; e de La Columna de ferro (La colonna di ferro). D'altra parte, ho fatto qualche discorso sul movimento che sta avvenendo in Francia; Farò alcune presentazioni di questo libro... E continuo, il fatto è che non sono più abbastanza forte per fare molto di più.

 

Per consultare l’originale in catalano: https://directa.cat/els-anarquistes-han-fet-cas-omis-al-passat/