mercoledì 24 novembre 2021

Tra una fine da incubo e un incubo senza fine, la terza via verso un altro mondo possibile

 



Mascherati senza carnevale, abbandonati alla solitudine di un confinamento a singhiozzo ma intimamente onnipresente, spiati come non siamo mai stati e tecno vampirizzati da un Grande Fratello che non concepisce fraternità né sorellanza, indeboliti nel corpo e nello spirito, svuotati di quell’essenza di vita orgastica che usufruisce dei sensi e dell’intelligenza per far circolare il piacere di essere al mondo, stiamo attraversando una pandemia virale che impesta i resti di umanità superstite come una ciliegia avvelenata sulla torta marcescente della sopravvivenza.

La pandemia di coronavirus 1984 non è un alieno veicolato da un’astronave proveniente da un altro pianeta né un complotto di cattivi particolarmente monomaniaci. É piuttosto la paranoia complottista crescente a essere un’ossessione grandiosa della voglia di potere e dell’impotenza trionfante. Come ogni male, il potere è banale, cinico e sprovvisto di emozioni affettuose. Si accontenta di dominare e di passaggio umiliare i suoi sudditi. In realtà i registi mercenari della società dello spettacolo onnipresente sono sempre gli stessi piccoli mostriciattoli, affaccendati a far marciare il business planetario a qualunque costo!

La crisi virale ormai installata nel quotidiano patetico dell’umanità è il sintomo prevedibile ma lungamente rimosso del processo di artificializzazione della vita che la civiltà produttivista ha prodotto nei suoi sette millenni di esistenza. Le critiche parcellari che hanno accompagnato l’incessante progresso della civiltà ormai mondialmente dominante, hanno finito per agevolarne lo sviluppo, accontentandosi di denunciarne gli aspetti secondari e non l’essenza. Anche le critiche più dure hanno finito per accontentarsi di contestare i misfatti peggiori senza mai attaccare l’essenza profonda di un progresso superficialmente umano per i suoi effetti benefici, ma intrinsecamente disumano per il suo spirito predatore, suprematista e finalmente nichilista.

La sua essenza appare oggi magnificamente mostruosa, portatrice malsana di una raccapricciante traiettoria verso il nulla che spinge la coscienza ad andare oltre le denunce parcellari che si susseguono da secoli, vuoi da millenni. Per la prima volta nella storia incompiuta dell’umanità la coscienza emergente è quella della totalità. Il che rende risibili, deboli e insufficienti tutte le forme di coscienza che l’hanno preceduta, inclusa quella coscienza di classe che ha incarnato per secoli la speranza di emancipazione dei più deboli, dei più sfruttati, degli ultimi decisi a non esserlo più.

Destra e sinistra nella stessa spazzatura della storia. Definitivamente. Purtroppo le ideologie rivoluzionarie hanno sempre restituito al Leviatano produttivista i resti di tutte le rivolte frammentarie che hanno scosso l’albero del produttivismo senza abbatterlo, rinnovandone anzi le forze. Ancora di più oggi, quando una concezione spettacolare della rivoluzione è diventata un mito coltivato dalle rivolte virtuali di schiavi digitalizzati che si credono liberi. Attaccando sempre e soltanto la parte emergente dell’iceberg suprematista, il ghiaccio produttivista non ha mai rischiato di fondere al contatto con il calore umano.

La storia scritta e programmata dai dominanti, sempre più feroci ma non ancora capaci di squilibrare totalmente e definitivamente la natura intima del vivente, ha venduto il progresso profondamente disumano della macchina produttivista travestendolo da progresso umano. Ricostituire la cronaca di questo itinerario folle in cui la sopravvivenza si è sostituita alla vita e stabilirne la traiettoria distruttiva, ha lo scopo di rigenerare il progetto che cerca la via dell’emancipazione.

Finora inutilmente perché la servitù volontaria impedisce di abbandonare l’autostrada a pagamento che ci indirizza verso una fine spaventosa. Per rompere l’incantesimo bisogna andare alla radice del problema e al cuore del mostro che ha versato sulla vita la sua peste emozionale e sociale ben prima, ben oltre e ben più dell’attuale peste virale, recente ma non unico sintomo eloquente e inquietante del crollo di una civiltà.

Finora la coscienza di specie appare e scompare come una voglia a singhiozzo che nasconde la testa nelle sabbie mobili del progresso per non vedere il ripetersi della triste fine di tutte le rivoluzioni incompiute del passato. I miti rivoluzionari impediscono ormai di rivoluzionare la realtà che ne ha un tremendo bisogno. Ci si deve ormai rendere conto che la coscienza umana non può essere che totale perché il suo nemico è totalitario. Nessuna salvezza parcellare è concepibile in un mondo globalizzato, dove la merce è sovrana.

All’origine della coscienza di specie nascente con il forcipe, c’è un’evidenza che accompagna gli esseri umani sottoposti al totalitarismo svergognato del produttivismo. Questa nuova coscienza umana antitotalitaria è – e soprattutto sarà, forse – la conseguenza radicale del peggioramento catastrofico delle condizioni della vita organica in una società sempre più artificiale. Le sue radici intime affondano nel mondo dell’ecologia sociale nutrendosi di una sua constatazione fondatrice: “In un mondo finito, una crescita senza fine è un non senso criminale”.

Questa semplice verità inoppugnabile decreta, in prospettiva, la fine ineluttabile dell’economia politica la cui soluzione finale è ormai quella di riuscire a convincerci a morire con e per essa. Tuttavia, aggredita dal processo produttivo capitalista assunto a religione scientifico-tecnocratica, la decrescita rischia di ridursi a un’ennesima ideologia politica, falsata e recuperata come progetto mistico primitivista. Di fronte al nichilismo capitalista, fase terminale del produttivismo, essa rischia dunque di perdere di vista la coscienza di specie e la sua volontà politica d’amore per la vita organica allorché l’intelligenza sensibile rivendica una radicale decrescita dell’alienazione e della reificazione per una crescita illimitata della felicità.

Sostituendosi oggettivamente alla coscienza di classe e di genere che denunciavano lo sfruttamento dell’essere umano da parte di una classe e di un genere dominanti, la coscienza di specie ne è il superamento altrettanto auspicabile che necessario. Se la coscienza di classe è stata storicamente sconfitta dal consumismo che ha appestato il movimento operaio annichilendone la lotta, la coscienza di genere delle donne in rivolta contro il suprematismo patriarcale è ora sottoposta al recupero insopportabile dell’indifferenziazione sessuale, ultima carta ideologica del capitalismo digitalizzato che mira a un’artificializzazione definitiva della vita sociale degli esseri umani.

Come troppi operai e operaie hanno introiettato un’anima piccolo-borghese in un corpo sfruttato fino all’umiliazione e all’istupidimento, molte donne stanno introiettando lo spirito suprematista di un maschilismo femminista di spirito vittoriano che vampirizza fallicamente la libera genitalità femminile, stupendamente acratica. Nell’universo vitale biologico come nel linguaggio, ci sono solo due generi per gli esseri viventi: il maschile e il femminile. Un solo altro genere, neutro, riguarda eventualmente le cose, allorché in una natura biologica spontaneamente libera, tutti i gusti, tutti gli erotismi sono immaginabili, plausibili e praticabili, tutti gli amori liberi, autentici e reciproci sono delle possibili e rispettabili opere d’arte.

Nel ghetto planetario dell’economia politica, invece, l’indifferenziazione sessuale rappresenta l’ultimo stadio dell’alienazione per produrre dei consumatori senz’altra passione che il feticismo della merce, sia essa sessuale o no. Per millenni, l’infibulazione e la castrazione hanno preparato il terreno minato in cui l’indifferenziazione sessuale si appresta a fare esplodere definitivamente la vita orgastica.

La tragedia dello spossessamento, cominciato con il produttivismo e reso parossistico dal capitalismo, si diffonde ormai sotto la regia di un Leviatano statale digitalizzato che altera le ultime difese organiche della specie nei confronti della crescita senza fine dell’economia politica in un Mercato totalitario.

L’umano ha sempre resistito dappertutto e dappertutto è stato violentato, al maschile come al femminile. La genitalità – la passione, la gratuità e la dépense generosa che ne caratterizzano il dono – è il nemico assoluto del produttivismo e del suo calcolo economicista incessante; in quanto selvaggia poesia cosciente della barbarie della civiltà, essa è l’ultima pulsione umana ad arrendersi.

Facendo della diversità una ricchezza senza prezzo in quanto uguaglianza di diritti nella molteplicità riconosciuta di tutte le differenze possibili, la genitalità si oppone sempre alla povertà uniformizzante imposta dal suprematismo indifferenzialista. Per il fascismo caratteriale e per la sua perversione narcisista in crescita esponenziale, ci sono solo uomini superiori e untermenchen indifferenziati, poco importa se maschi o femmine, se si rivendichino omosessuali, bisessuali, ermafroditi o qualsiasi altra invenzione possibile.

Il razzismo suprematista è l’orribile favola becera che giustifica tra gli appestati la loro pretesa superiorità; sia essa motivata dalla forza, dalla cultura, dal possesso, dal genere, della lingua, dell’etnia, della provenienza e perfino dalla ridicola distinzione del colore della pelle.

Il coacervo di nazioni le cui comunità acratiche ricordano e materializzano antropologicamente le diverse storie degli individui e dei popoli – tutti tesi in modi diversi alla stessa ricerca della felicità – è stato ridotto a una sequela di Stati rapaci. Il loro nazionalismo becero e coatto non smette d’infettare le orde di predatori la cui peste emozionale ha avvelenato e deteriorato la comunità umana nelle sue commoventi varianti incompiute.

Non riconoscere le diversità è la formula di base che permette e secerne tutte le ingiustizie, i soprusi, le diseguaglianze.

La coscienza di specie sarà il trionfo delle diversità nella riconciliazione con la natura. La sua sconfitta significherebbe la fine dell’umano nel cimitero del vivente.

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 24 novembre 2021



Entre une fin de cauchemar et un cauchemar sans fin,

la troisième voie vers un autre monde possible

 

Masqués sans carnaval, abandonnés à la solitude d'un confinement intermittent mais intimement invasif, épiés comme on ne l'a jamais été et techno vampirisés par un Big Brother qui ne conçoit pas la fraternité ni la sororité, affaiblis de corps et d'esprit, vidés de cette essence de vie orgastique qui utilise les sens et l'intelligence pour faire circuler le plaisir d'être au monde, nous traversons une pandémie virale qui empeste les restes de l'humanité survivante comme une cerise empoisonnée sur le gâteau pourri de la survie.

La pandémie de coronavirus 1984 n'est pas une monstruosité extraterrestre venue d'une autre planète ni un complot de méchants particulièrement monomaniaques. C’est plutôt la paranoïa conspirationniste foisonnante qui est une obsession de l’envie de pouvoir et de l’impuissance triomphante. Comme tout mal, le pouvoir est banal, cynique et dépourvu d'empathie. Il se contente de dominer et d’humilier ses sujets en passant. Les metteurs en scène mercenaires de la société du spectacle omniprésente sont, en fait, toujours les mêmes petits monstres, affairés à faire tourner le business planétaire, coûte que coûte !

La crise virale désormais installée dans le quotidien pathétique de l’humanité est le symptôme prévisible mais longtemps refoulé du processus d'artificialisation de la vie que la civilisation productiviste a sécrété au cours de ses sept millénaires d'existence. Les critiques parcellaires qui ont accompagné les progrès incessants de la civilisation désormais mondialement dominante, ont fini par faciliter son développement, se contentant de dénoncer ses manifestations superficielles et non son essence. Même les critiques les plus sévères ont fini par se cantonner dans la contestation des pires crimes sans jamais attaquer l'essence profonde d'un progrès superficiellement humain dans ses effets bénéfiques, mais intrinsèquement inhumain dans son esprit prédateur, suprématiste et finalement nihiliste.

L’essence de la civilisation productiviste apparaît aujourd'hui prodigieusement monstrueuse, porteuse malsaine d’une macabre trajectoire vers le rien, incitant la conscience à dépasser les plaintes parcellaires qui se succèdent depuis des siècles, voire des millénaires. Pour la première fois dans l'histoire inachevée de l'humanité, la conscience émergente est celle de la totalité. Ce qui rend dérisoires, faibles et insuffisantes toutes les formes de conscience qui l'ont précédée, y compris cette conscience de classe qui a incarné pendant des siècles l'espoir d'émancipation des plus faibles, des plus exploités, des derniers déterminés à ne plus l'être.

Droite et gauche dans la poubelle de l’histoire. Pour de bon. Malheureusement, les idéologies révolutionnaires ont toujours sacrifié au Léviathan productiviste les restes de toutes les révoltes fragmentées qui ont secoué l'arbre du productivisme sans le renverser, revigorant plutôt ses forces. Aujourd’hui plus que jamais, maintenant qu’une conception spectaculaire de la révolution est devenue un mythe entretenu par les révoltes virtuelles d’esclaves numérisés qui se croient libres, s'attaquant toujours et uniquement à la partie émergente de l'iceberg suprématiste. Ainsi la glace productiviste n'a jamais risqué de fondre au contact de la chaleur humaine.

L'histoire écrite et programmée par les dominants, de plus en plus féroces mais pas encore capables de déséquilibrer totalement et définitivement la nature intime du vivant, a travesti le progrès profondément inhumain de la machine productiviste en progrès prétendument humain. Reconstituer la chronique de cet itinéraire fou où la survie s’est substituée à la vie et retracer sa trajectoire destructrice, a pour but de régénérer le projet qui défriche la voie de l'émancipation.

Jusqu'ici en vain, car la servitude volontaire nous empêche d'abandonner l'autoroute à péage qui nous canalise vers une fin effrayante. Pour briser le sort, il faut aller à la racine du problème et au cœur du monstre qui a déversé sa peste émotionnelle et sociale sur la vie bien avant, bien au-delà et bien plus que l’actuel fléau viral planétaire, symptôme éloquent et inquiétant, récent mais non unique, de l’effondrement d’une civilisation.

Au long de l’histoire la conscience d'espèce apparaît et disparaît comme un désir sanglotant qui enfouit sa tête dans les sables mouvants du progrès pour ne pas voir se répéter la triste fin de toutes les révolutions inachevées du passé. Les mythes révolutionnaires empêchent désormais de révolutionner la réalité qui en a pourtant bien besoin. Le temps est venu de se rendre compte que la conscience humaine ne peut être que totale car son ennemi est totalitaire. Aucun salut parcellaire n'est concevable dans un monde globalisé où la marchandise est souveraine.

A l'origine de la conscience d'espèce naissant au forceps, il y a une évidence qui accompagne les êtres humains soumis au totalitarisme éhonté du productivisme. Cette nouvelle conscience humaine antitotalitaire est ou plutôt sera, peut-être la conséquence radicale de l'aggravation catastrophique des conditions de la vie organique dans une société de plus en plus artificielle. Ses racines intimes se situent dans le monde de l'écologie sociale, se nourrissant d'un de ses constats fondateurs : « Dans un monde fini, la croissance sans fin est un non-sens criminel ».

Cette simple vérité indiscutable annonce la perspective de la fin inéluctable de l'économie politique qui n’a rien d’autre à nous imposer que la solution finale de mourir avec elle et pour elle. Toutefois, agressée par le processus productif capitaliste devenu une religion scientifique et technocratique, la décroissance risque de se réduire à une énième idéologie politique, déformée et récupérée comme un projet mystique primitiviste. Confrontée au nihilisme capitaliste, phase terminale du productivisme, elle risque ainsi de perdre de vue la conscience d’espèce et sa volonté politique d'amour pour la vie organique, alors que l’intelligence sensible revendique une décroissance radicale de l’aliénation et de la réification en faveur d’une croissance illimitée du bonheur.

Remplaçant objectivement la conscience de classe et de genre qui dénonçaient l'exploitation de l'être humain par une classe et un genre dominants, la conscience d'espèce incarne leur dépassement aussi souhaitable que nécessaire. Si la conscience de classe a été vaincue historiquement par le consumérisme qui a pestiféré le mouvement ouvrier et anéanti sa lutte, la conscience de genre des femmes en révolte contre le suprématisme patriarcal est désormais soumise à l'insupportable récupération de l'indifférenciation sexuelle, dernière option idéologique du capitalisme numérisé visant une artificialisation définitive de la vie sociale des êtres humains.

Tout comme un trop grand nombre d'ouvriers ont introjecté une âme petite-bourgeoise dans un corps exploité jusqu'à l'humiliation et la sottise, de nombreuses femmes risquent de tomber dans le piège suprématiste d'un machisme féministe à l’esprit victorien, vampirisant de façon phallique la génitalité féminine libre, prodigieusement acratique. Dans l'univers biologique, comme dans le langage, il n'y a que deux genres pour les êtres vivants : le masculin et le féminin. Seul un autre genre, neutre, concerne éventuellement les choses, alors que dans une nature biologique spontanément libre, tous les goûts, tous les érotismes sont imaginables, plausibles et praticables, tous les amours libres, authentiques et réciproques sont des possibles et respectables œuvres d’art.

Dans le ghetto planétaire de l'économie politique, en revanche, l'indifférenciation sexuelle représente la dernière étape de l'aliénation pour produire des consommateurs sans autre passion que le fétichisme de la marchandise, qu'elle soit sexuelle ou non. Pendant des millénaires, l'infibulation et la castration ont préparé le terrain miné où l'indifférenciation sexuelle s'apprête à faire exploser définitivement la vie orgastique.

La tragédie de la dépossession qui a commencé avec le productivisme et que le capitalisme a rendue paroxystique, se répand désormais sous la direction d'un Léviathan étatique numérisé qui altère les dernières défenses organiques de l'espèce face à la croissance sans fin de l'économie politique dans un Marché totalitaire.

L'humain a toujours résisté partout et partout a été violé, aussi bien mâle que femelle. La génitalité la passion, la gratuité et la généreuse dépense de soi qui en caractérisent le don est l'ennemi absolu du productivisme et de son calcul économique incessant ; en tant que sauvage poésie consciente de la barbarie de la civilisation, elle est la dernière pulsion humaine à se rendre.

En faisant de la diversité une richesse inestimable, en érigeant la multiplicité reconnue de toutes les différences possibles en égalité des droits, la génitalité s'oppose toujours à la pauvreté uniformisante imposée par le suprématisme indifférentialiste. Aux yeux du fascisme caractériel et de sa perversion narcissique en croissance exponentielle, il n'y a que des hommes supérieurs et des untermenchen indifférenciés, qu'ils soient masculins ou féminins, qu’ils se revendiquent homosexuels, bisexuels, hermaphrodites ou de toute autre inclination possible.

Le racisme suprématiste est l’horrible conte de fée grossier qui justifie la prétendue supériorité des pestiférés que celle-ci soit motivée par la force, la culture, la possession, le genre, la langue, l'ethnie, l'origine et même la distinction ridicule de la couleur de la peau.

La masse des nations dont les communautés acratiques rappellent et matérialisent anthropologiquement les différentes histoires des individus et des peuples tous poursuivant de différentes manières la même quête du bonheur a été réduite à une juxtaposition d'États rapaces. Leur nationalisme vulgaire et forcé ne cesse d’infecter les hordes de prédateurs dont la peste émotionnelle a empoisonné et détérioré la communauté humaine dans ses émouvantes variations inachevées.

Ne pas reconnaître la diversité est la formule de base qui permet et sécrète toutes les injustices, abus, inégalités.

La conscience d’espèce sera le triomphe de la diversité dans la réconciliation avec la nature. Sa défaite signifierait la fin de l'humain dans le cimetière du vivant.

  

Sergio Ghirardi Sauvageon, le 24 novembre 2021




domenica 14 novembre 2021

Attraverso l’incubo, sognando un bel maggio 2022.

 




L’attuale decisione francese, macronista ma non solo, di rilanciare il nucleare[1] non è più soltanto un gravissimo errore storico e sociale dell’ormai piccolissima grandeur di un paese manipolato a piacere dall’oligarchia finanziaria planetaria del suprematismo produttivista.

Nel momento in cui l’epidemia di Covid – che la natura aggredita dal Capitalocene ci impone dappertutto (grandeur nature, appunto), aggiungendola all’ormai irreversibile crisi climatica – mostra l’impotenza umana a superare i danni dell’Antropocene, la scelta reiterata del nucleare è un folle ed egocentrico crimine contro l’umanità. Non c’è dubbio che se l’umanità riuscirà a sopravvivere ai pericoli che incombono, come tale questa questione sarà trattata.

Anche la scelta francese dei primi anni settanta del secolo scorso d’instaurare il nucleare civile come prolungamento di quello militare già esistente, era una scelta perfettamente napoleonica. In Francia e nel mondo, l’imperatore bassotto incarna perfettamente il delirio di onnipotenza di quasi tutti gli sfigati che annusino il potere. I vari Nosferatu di Murnau che riappaiono ciclicamente nella storia macabra del produttivismo planetario (mostri di tutte le ideologie, da Hitler a Stalin, da Pinochet a Pol Pot e chi meno ne ha più ne metta, fino ai loro miserabili emuli mediatici attuali) trovano nella bassezza di un vampiruccio postgiacobino della rivoluzione francese incompiuta (il piccolo opportunista Corso Bonaparte) l’immagine mostruosamente adorabile di un potere suprematista che porta in sé tutti i peggiori mali della storia.

Nel periodo in cui le prospettive umaniste del dopo sessantotto non erano ancora state definitivamente sconfitte dalla restaurazione capitalistica liberalfinanziaria in via di digitalizzazione, la scelta del nucleare civile (trenta anni dopo Hiroshima e Nagasaki) ha affascinato quasi tutti gli Stati capitalisti di una civiltà produttivista in crisi di mutazione. Tuttavia, solo la Francia postgaullista (appena orfana anche di quest’altro più recente mito francese di grandeur) ha portato lo stendardo nucleare fino a oggi, oltre le catastrofi di Chernobyl e Fukushima (per non citare che la parte visibile di un iceberg atomico che rappresenta oggi il “morbo gallico” di una pericolosissima sifilide energetica).

Prima dei due eventi tragici e terribili (Chernobyl 1986, Fukushima 2011) che hanno contrassegnato l’obsolescenza dell’uomo legata all’energia atomica che ha marcato indelebilmente la storia dalla fine della seconda guerra mondiale, si poteva ancora considerare un folle errore affidarsi all’energia nucleare per produrre elettricità. Fino a questa doppia prova provata e vissuta della catastrofe irreversibile che il nucleare comporta ineluttabilmente – prima più che poi, secondo il calcolo delle probabilità – si è potuto scommettere irresponsabilmente sull’atomo senza neppure curarsi delle scorie semieterne che già oggi impestano il pianeta senza soluzioni sostenibili né sufficienti[2].

Smessa la divisa militare, il dottor Stranamore si è trovato un impiego umanitario nel nucleare civile con il sostegno di politicanti di destra e sinistra incuranti del pericolo e della catastrofe a termine inevitabile. Oggi, però, l’Ucraina e il Giappone nascondono senza farla dimenticare la mostruosa demenza produttivista di cui il nucleare è il segno farneticante. L’umanità sta già pagando questo eco crimine contro di essa a caro prezzo con le malattie (tumori e altre patologie devastanti) [3] che ne derivano e che uccidono molto di più del Covid 1984.

Sensatamente, l’allarme Covid avrebbe dovuto spingere il principio di precauzione oltre lo spettacolo autoritario con cui si è gestita e si gestisce ancora la pandemia. Invece, no! Mentre ci si arrabatta ancora con un vaccino poco sicuro pur se abbastanza efficiente nel ridurre gli effetti mortiferi di un virus pericoloso e fuori controllo, ci si prepara a reintrodurre e sviluppare il nucleare con un ottimismo fondato unicamente sulla rimozione criminale della sua pericolosità incommensurabile.

Ugualmente, la crisi climatica è subita senza risposte radicali – antiproduttiviste – che la società produttivista dominante si rifiuta di dare; si usa, anzi, l’inquietante preoccupazione climatica crescente per riproporre il delirio nucleare come parte della soluzione. Guardateli i pretonzoli mercenari del dottor Stranamore parlare del nucleare come energia pulita. Pulita, certo, come la morte dopo la quale non c’è più alcun rischio di morire.

I progressisti danzano di fronte all’abisso deridendo la decrescita che stiamo già subendo, anziché organizzarla per renderla sopportabile e razionale. Questi drogati del progresso verso l’orrore – orrore che non avanza perché siamo noi che gli marciamo incontro speditamente esorcizzandone l’esistenza con il discorso – non vogliono rendersi conto che la decrescita è già in atto con maschere, confinamenti, canicole, malattie, impoverimento e crisi economica. In una società artificiale, finanziarizzata e digitalizzata, la decrescita sarà sempre peggio senza bisogno di suoi militanti che la sostengano se non ci decideremo a gestirla con coscienza umana. Coscienza di specie. La questione non è più se decrescere o no, ma se possiamo gestire razionalmente tutte le decrescite ineluttabili che già s’impongono e che s’imporranno sempre di più, senza rinunciare alla vita più umana e più felice possibile.

Si tratta di anticipare i problemi affrontandoli con intelligenza sensibile e non opponendo loro un delirio produttivista che ci spinge contro il muro insormontabile della natura. Per fare questo non si tratta di teorizzare la decrescita facendone una nuova stupida religione. Si tratta di gestire la decrescita inevitabile in un progetto di autogestione generalizzata della vita quotidiana che sottragga ogni potere pseudo democratico all’oligarchia dominante e ai suoi servi. Questa rivoluzione è l’unica alternativa alla fine della specie umana. Pacificamente, se si esclude la violenza del potere suprematista la cui impotenza si rifiuta di abdicare, essa porterà al superamento del produttivismo per reintrodurre una produzione funzionale all’essere umano organico e non al consumatore psicotico di una civiltà finita nel capitalismo nichilista.

Su questo non c’è scelta: o gestiremo la transizione o subiremo la situazione, come subiamo lo sfruttamento, il lavoro forzato, le maschere, i confinamenti e la loro versione burocratica odiosamente incarnata dal pass sanitario. Invito i ribelli alle ingiunzioni odiose del potere che si limitano a fare i capricci e a gettare in terra le maschere che sono obbligati a portare, di andare oltre queste opposizioni spettacolari che il sistema gestisce con subdolo paternalismo, per dedicarsi invece alla necessaria rivoluzione organica della vita quotidiana che il sistema ormai digitale potrà sempre meno sopportare.

Non lasciatevi mai più digitalizzare! Ecco un primo slogan possibile di un bel maggio 2022 auspicabile e urgente. Smetteremo maschere, veli, pass sanitari e le umiliazioni digitali di una sopravvivenza artificiale, smettendo di dare fiducia alla barbarie della civiltà produttivista, al suo consumismo nevrotico, al suo mito di una crescita reificata e alienante, al suo benessere fittizio, ai suoi arcaismi religiosi e alla schiavitù economicista che inquina e uccide più di qualunque virus. Solo la decrescita di tutto ciò, senza capi, ideologie e oscurantismi – nucleare compreso – innescherà il ritorno della vita organica e la crescita della gioia di vivere.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 11 novembre 2021



[1] Coltivando il mito di un’autonomia energetica inesistente, l’esagono transalpino è costellato di 59 reattori nucleari (ormai meno uno) in funzione quasi da un mezzo secolo con l’oggettivo pericolo del loro invecchiamento e i costi allucinanti che la loro costruzione, manutenzione o smantellamento comportano.

[2] L’Italia che grazie ai suoi cittadini ha il merito umanitario di aver rifiutato consecutivamente due volte per referendum l’energia nucleare, pur non avendo mai messo in funzione produttiva nessuna centrale ha tuttavia il problema delle scorie da smaltire dovute ai primi esperimenti nucleari, per esempio nella centrale sperimentale e ormai chiusa di Caorso. Insieme alle altre nazioni pro nucleari esistenti, la Francia ha da risolvere comunque, in prospettiva, l’accumulazione di scorie pericolosissime per centinaia di migliaia di anni. Non c’è altra soluzione se non quella di seppellire quel che non si deve vedere, seguendo l’esempio della Camorra che ha sepolto per anni e per lucro nei campi del napoletano i rifiuti tossici e talvolta radioattivi d’industrie e ospedali di tutta Italia che dovevano disfarsene. Si naviga in pieno delirio mafioso quando qualche lobbista nucleare ci parla sorridendo del nucleare come energia pulita.

[3] Se mi riferisco qui, in particolare, alle patologie cancerogene legate al nucleare, non dimentico, tuttavia, che esse sono altrettanto alimentate dall’inquinamento del cibo, dell’aria e della vita in una civiltà produttivista dal nichilismo intrinseco e morboso.



[A travers le cauchemar, en rêvant d’un joli mai 2022

A travers le cauchemar, en rêvant d’un joli mai 2022

 

L'actuelle décision française, macroniste mais pas seulement, de relancer le nucléaire[1] n'est plus seulement une très grave erreur historique et sociale de la grandeur désormais infime d'un pays manipulé à volonté par l'oligarchie financière planétaire du suprématisme productiviste.

Au moment où l'épidémie de Covid que la nature attaquée par le Capitalocène nous impose partout (grandeur nature, justement), en l’ajoutant au réchauffement climatique désormais irréversible montre l'impuissance humaine à surmonter les dégâts de l'Anthropocène, le choix réitéré de l'énergie nucléaire est un crime contre l'humanité fou et égocentrique. Nul doute que si l'humanité parviendra à survivre aux dangers qui se profilent, cette question sera traitée comme telle.

Même le choix français du début des années soixante-dix du siècle dernier d'introduire le nucléaire civil dans le prolongement du nucléaire militaire déjà existant, était un choix parfaitement napoléonien. En France et dans le monde, l'empereur teckel incarne parfaitement le délire de toute-puissance de presque tous les perdants qui reniflent le pouvoir. Les divers Nosferatu de Murnau qui réapparaissent cycliquement dans l'histoire macabre du productivisme planétaire (monstres de toutes idéologies, d'Hitler à Staline, de Pinochet à Pol Pot jusqu’à leurs misérables émules médiatiques actuels) trouvent dans la bassesse d'un micro vampire post-jacobin de la Révolution française inachevée (le petit opportuniste corse Bonaparte) l'image monstrueusement adorable d'un pouvoir suprématiste qui porte en lui tous les pires maux de l'histoire.

A l'époque où les perspectives humanistes de l'après-soixante-huit n'avaient pas encore été définitivement vaincues par la restauration capitaliste-libérale-financière en voie de numérisation, le choix du nucléaire civil (trente ans après Hiroshima et Nagasaki) fascinait presque tous les États capitalistes d'une civilisation productiviste en crise de mutation. Cependant, seule la France post-gaulliste (depuis peu orpheline de cet autre mythe français plus récent de sa grandeur) a porté jusqu'à présent l'étendard du nucléaire au-delà des catastrophes de Tchernobyl et de Fukushima (pour ne citer que la partie visible d'un iceberg atomique qui est aujourd'hui le « morbus gallicus » d'une syphilis énergétique très dangereuse).

Avant les deux événements tragiques et terribles (Tchernobyl 1986, Fukushima 2011) qui ont pointé l'obsolescence de l'homme liée à l'énergie atomique qui a marqué l'histoire de manière indélébile depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, il pouvait encore être considéré comme une erreur stupide de s'appuyer sur l'énergie nucléaire pour produire électricité.

Jusqu'à cette double preuve prouvée et vécue de la catastrophe irréversible que l'énergie nucléaire va entraîner inévitablement tôt plutôt que tard, selon le calcule des probabilités –, il était possible de parier de manière irresponsable sur l'atome sans même se soucier des déchets semi-éternels qui affligent déjà aujourd'hui la planète, dépourvus de solutions durables ni suffisantes[2].

Une fois retiré son uniforme militaire, le Dr Folamour s'est trouvé un emploi humanitaire dans l'énergie nucléaire civile avec le soutien des politiciens de gauche et de droite, insouciants du danger et de la catastrophe à terme inévitable. Aujourd'hui pourtant, l'Ukraine et le Japon cachent sans la faire oublier la monstrueuse démence productiviste dont le nucléaire est le signe délirant. Pour cet éco-crime perpétré à son encontre, l'humanité paie déjà le prix fort par les maladies qui en découlent (cancers et autres affections dévastatrices) [3] et qui tuent bien plus que le Covid 1984.

Sensiblement, l'alarme Covid aurait dû pousser le principe de précaution au-delà du spectacle autoritaire par lequel la pandémie a été gérée et l’est toujours. Pas du tout ! Alors que nous sommes toujours aux prises avec un vaccin très relativement fiable même si suffisamment efficace pour réduire les effets mortels d'un virus dangereux et incontrôlable, nous nous préparons à réintroduire et développer l'énergie nucléaire avec un optimisme basé uniquement sur le refoulement criminel de sa dangerosité sans commune mesure.

Egalement, la crise climatique est subie sans réponses radicales anti-productivistes que la société productiviste dominante se refuse de donner. Au contraire : l’inquiétante préoccupation climatique croissante est utilisée pour reproposer le délire nucléaire comme une partie de la solution. Regardez les petits prêtres mercenaires du Dr Folamour parler du nucléaire en tant qu'énergie propre. Propre, bien sûr, comme la mort après laquelle il n'y a plus aucun risque de mourir.

Les progressistes dansent devant l'abîme, se moquant de la décroissance que nous subissons déjà, plutôt que de l'organiser pour la rendre supportable et rationnelle. Ces drogués du progrès vers l'horreur horreur qui n'avance pas car c'est nous qui marchons hâtivement vers elle en exorcisant son existence par le discours ne veulent pas se rendre compte que la décroissance est déjà en cours avec les masques, les confinements, les canicules, les maladies, la paupérisation et la crise économique. Dans une société financiarisée et numérisée, la décroissance sera toujours pire sans besoin de décroissants militants pour la soutenir, si nous ne décidons pas de la gérer avec une conscience humaine. Conscience d’espèce. La question n'est plus de savoir s'il faut décroître ou pas, mais si l'on peut gérer rationnellement toutes les décroissances inévitables qui s'imposent déjà et qui s'imposeront de plus en plus, sans renoncer à la vie la plus humaine et la plus heureuse possible.

Il s'agit d'anticiper les problèmes en les affrontant avec une intelligence sensible et non en leur opposant un délire productiviste qui nous pousse contre le mur incontournable de la nature. Pour ce faire, il ne s'agit pas de théoriser la décroissance en faisant d’elle une nouvelle religion stupide. Il s'agit de gérer l'inévitable décroissance dans un projet d'autogestion généralisée de la vie quotidienne qui enlève tout pouvoir pseudo-démocratique à l'oligarchie dominante et à ses serviteurs. Cette révolution est la seule alternative à la fin de l'espèce humaine. Pacifiquement, si l'on exclut la violence du pouvoir suprématiste dont l’impuissance refuse d'abdiquer, elle conduira au dépassement du productivisme pour réintroduire une production fonctionnelle à l'être humain organique et non au consommateur psychotique d’une civilisation finie dans le capitalisme nihiliste.

Il n'y a pas le choix là-dessus : soit on va gérer la transition, soit on va subir la situation, comme on subit l’exploitation, le travail forcé, les masques, les confinements et leur version bureaucratique haineusement incarnée par le pass sanitaire. J'invite les rebelles aux injonctions haineuses du pouvoir qui limitent leurs combats à des crises de colère et au rejet des masques qu'ils sont obligés de porter, à dépasser ces oppositions spectaculaires que le système gère avec un paternalisme retors, pour se concentrer plutôt sur la nécessaire révolution organique de la vie quotidienne que le système désormais digitalisé pourra supporter de moins en moins.

 

Ne vous laissez jamais plus numériser ! Voilà un premier slogan possible d’un joli mai 2022 souhaitable et urgent.

Nous arrêterons les masques, les voiles, les pass sanitaires et les humiliations numériques d'une survie artificielle, en cessant de faire confiance à la barbarie de la civilisation productiviste, à son consumérisme névrotique, à son mythe d'une croissance réifiée et aliénante, à son bien-être fictif, à ses archaïsmes religieux et à l'esclavage économiste qui pollue et tue plus que n’importe quel virus. Seule la décroissance de tout cela, sans chefs, idéologies et obscurantismes nucléaire inclus déclenchera le retour de la vie organique et la croissance de la joie de vivre.

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, l’11 novembre 2021

 

 



[1] Cultivant le mythe d’une autonomie énergétique inexistante, l’hexagone français est parsemé de 59 réacteurs nucléaires (désormais moins un) qui fonctionnent depuis presque un demi-siècle avec le danger objectif de leur vieillissement et les hallucinants coûts que leur construction, leur entretien ou leur démantèlement entraînent.

[2] L'Italie, qui grâce à ses citoyens a le mérite humanitaire d'avoir consécutivement refusé l'énergie nucléaire à deux reprises par référendum, alors qu'elle n'a jamais mis en production aucune centrale, a cependant le problème des déchets nucléaires à éliminer en raison des premiers essais, par exemple dans l'usine expérimentale maintenant fermée de Caorso. Avec les autres nations pro-nucléaires existantes, la France doit encore résoudre l'accumulation de déchets très dangereux pour des centaines de milliers d'années en perspective. Il n'y a pas d'autre solution que d'enterrer ce qu'il ne faut pas voir, à l'instar de la Camorra qui, pendant des années et pour profit, a enfoui dans les champs de la région napolitaine les déchets toxiques et parfois radioactifs d'industries et d'hôpitaux de toute l’Italie qui devaient s'en débarrasser. Nous naviguons en plein délire mafieux lorsqu'un lobbyiste du nucléaire nous parle avec le sourire du nucléaire comme d’une énergie propre.

[3] Si je me réfère ici en particulier aux maladies cancéreuses liées au nucléaire, je n'oublie pas pour autant qu'elles sont également alimentées par la pollution de la nourriture, de l'air et de la vie dans une civilisation productiviste au nihilisme intrinsèque et morbide.

sabato 6 novembre 2021

La coscienza di specie e il nuovo vecchio mondo

 



“Meno si conosce un soggetto più si asseriscono certezze in merito”.

Mentre nulla cambia strutturalmente nei rapporti di potere se non l’intensità, la continuità e l’intimità del dominio imposto e subìto, tutto appare, oggi, improvvisamente mutato nel rapporto intrinseco tra l’umano e la vita, tra gli individui umani tra loro, tra la specie e la biosfera da cui tutti i viventi, e in particolare i mammiferi, dipendono.

Da un lato l’irruzione della pandemia di coronavirus 1984 non ha fatto che accentuare, accelerare, instaurare un cambiamento che era già nell’ordine delle cose del mondo e nel disordine imperante del mondo delle cose. Ha, però, accelerato e fragilizzato visibilmente il processo di artificializzazione della vita che la civiltà produttivista ha“complottato” di realizzare fin dalle sue origini.

Complottismo e anticomplottismo. Il Mercato demenziale della rete virtuale dato in pasto alla pazza folla e la cinica propaganda massmediatica controllata dai miliardari di Stato partecipano entrambi all’orgia perversa del potere: quello già solidamente in esercizio e quello cercato, in fieri, alternativo, ancora fragile e isterico. Entrambi contano sull’imbecillità coltivata dei loro spettatori, deuteragonisti involontari che subiscono la stupida ma ben rodata e funzionante logica del potere assoluto.

Più l’umanità residua rivolge la sua confusione rabbiosa contro i vari drappi rossi, neri, verdi o gialli agitati dal potere e dall’antipotere, più i toreador di una corrida planetaria hanno facilità nell’addomesticare i diversi greggi e le diverse mandrie in cui gli esseri umani sono confinati, animali servili o cavie di ideologie di rivolta senza rivoluzione, individui le cui pur potenti corna sociali sono state rese inoffensive.

Questa semplice constatazione spazza via l’idea imbarazzante (non perché impensabile o insensata, ma perché chiaramente paranoica) che la pandemia sia stata programmata e voluta. In verità, tutta la storia del dominio produttivista sull’umano – cioè la storia scritta e propagandata nei millenni dai dominanti – ha sempre utilizzato il progresso con l’appetito divorante e cannibale di un vampiro adialettico, stupratore del tempo ciclico come dell’umanità organica.

Conseguenza irrazionale ma logica della civiltà esistente e operante, la pandemia di coronavirus ha complicato il programma di annichilimento dell’umano organico che la civiltà produttivista ha come obiettivo strutturale da sempre. Il virus – prevedibile ma inatteso perché rimosso come tutte le tragedie che l’Antropocene[1] ha aggiunto alle difficoltà naturali della vita sul pianeta e nel cosmo – è esploso come una bomba a frammentazione nel quotidiano di una specie pigramente confrontata con i danni in parte già irreversibili del suo rapporto sempre più artificiale con la natura del vivente.

Di fronte a questo scoglio, il sistema non ha avuto altra scelta che manipolare i dati per renderli compatibili con il suo dominio. E questo ha fatto e continua a fare, proteggendo malamente e appena la sopravvivenza dei suoi schiavi salariati e non, ma continuando a rendere impossibile la vita come e più di prima perché la paura – sia di chi esprime il timore del virus che di chi l’esorcizza con odiosi e mistici proclami negazionisti – è cattiva consigliera e produttrice d’idiozia.

Da secoli, ormai, sotto la guida dell’industrializzazione capitalista che da tempo ha preso in mano le redini della civiltà produttivista inventandone e asservendone la modernità, l’artificializzazione della vita è progredita a passi da gigante, ignorando e violentando la struttura organica del vivente.

Ebbene, proprio l’organicità della vita che la natura, la centralità femminile acratica e la genitalità diffondono fin dalle origini come antidoto all’alienazione e alla reificazione crescenti, è stata il bersaglio privilegiato e odiato di un progresso asservito al produttivismo che ha sempre usato le capacità umane e gli effettivi miglioramenti della vita quotidiana per accentrare e accumulare potere e con esso una ricchezza consumistica non consumabile in maniera vitale, cioè umana, organica, genitale[2].

Una nuova coscienza di specie o il perpetuarsi micidiale della follia di un’incoscienza programmata e diffusa tra le cavie di un ormai galoppante delirio transumanista, sono le due opzioni destinate a determinare il seguito dell’avventura umana sul pianeta o la sua fine ormai concretamente ipotizzabile.

Tanto le masse ottenebrate dalla servitù volontaria che le minoranze insoddisfatte dell’addomesticamento crescente sono ormai obbligate dalla forza ineluttabile della natura a cercare disperatamente di ridare un senso a una sopravvivenza già reificata e alienata prima di essere stata gravemente fragilizzata da questo ennesimo trauma pandemico planetario, ciliegina avvelenata sulla torta mostruosa di una civiltà fondata sulla distruzione della biodiversità, sull’inquinamento strutturale di pesticidi, plastica e nucleare e sulla crisi climatica ormai irreversibile.

Incredibilmente, tutti gli attori di questo spettacolo nichilista, con motivazioni opposte ma coincidenti per impotenza, confusione e misticismo hanno cercato e cercano tuttora di esorcizzarne gli effetti con reazioni demenziali, falsando, negando e manipolando la realtà in tutte le direzioni, adoperando tutti i sensi e soprattutto i non sensi.

È diventato particolarmente difficile tenere il timone di una critica radicale del sistema planetario quando tutti gli ominidi in fibrillazione si sono messi a produrre, tra confinamenti e controlli sempre più invasivi e guerre spettacolari senza prospettive umane, una realtà artificiale che s’impone proponendo tonnellate di risposte ideologiche all’avanzare della peste, dei suoi profeti e dei suoi untori[3].

Stanco e intristito ma non idiotizzato all’ombra di nessuna cappella, trovo personalmente difficile immaginare una via di salvezza prima che la catastrofe si avveri compiutamente, mentre ho perso energia per battermi contro i mulini a vento del progresso nucleare in marcia da Hiroshima a Fukushima, passando per Chernobyl, inesorabilmente intenzionato a diffondere questo “male francese”, questa sifilide energetica che sta già invadendo il mondo inquinandolo per centinaia di millenni con le sue scorie.

L’ottimismo è una fede che non condivido pur senza aderire minimamente alla schiera dei pessimisti che sperano il peggio per arricchirsi e morirne. Mi appoggio, invece, sulla realtà ma con sempre più scarsa fiducia, sperando soltanto di sbagliare. Ecco il mio residuo ottimismo: come la Comune, il progetto di emancipazione non è morto, ma è probabilmente destinato a riapparire con le minoranze di sopravvissuti che potrebbero ricostituire, in un ipotetico futuro, una società umana organica danzante gioiosamente sulle rovine di una civiltà destinata a scomparire con i suoi attori, le sue vittime ei suoi orribili signori.

Proletarizzati, gli esseri umani hanno soltanto sognato per secoli qualcosa che la loro ottusità, la loro cattiveria e insensibilità hanno reso impossibile, impedendo alla coscienza umana d’inventarla e realizzarla oltre e contro tutte le ideologie. Tuttavia, l’umano sopravvivrà, forse, agli umanoidi degeneri del produttivismo, del capitalismo, del suprematismo di ogni genere, educato dai propri tragici errori e contraddizioni catastrofiche.

Difficilmente noi lo vedremo, ma il messaggio in bottiglia di una coscienza di specie lanciato negli oceani inquinati di un mondo in rovine sta sbocciando un po’ dovunque e potrebbe esortare i mammiferi a sopravvivere a se stessi e alla loro stupidità come milioni di anni fa sono sopravvissuti ai dinosauri.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 2 novembre 2021



[1] Ho deciso di utilizzare questa controversa definizione dell’epoca moderna perché identifica il periodo in cui l’umanità è diventata capace di intervenire strutturalmente sulla natura intima del vivente accentuandone, modificandone o distruggendone le dinamiche anche sul piano geologico, ambientale, climatico e sanitario oltre che sociale.

[2] Il concetto reichiano di genitalità comporta la critica radicale del fallicismo con cui il patriarcato giustifica da millenni i suoi stupri di genere, di classe e ormai di specie. Vedi in proposito, di Wilhelm Reich: Psicologia di massa del fascismo e Analisi del carattere, (Sugar editore) entrambi pubblicati nel 1933, annus horribilis annunciatore di possibili futuri i cui déjà-vu sono oggi più attuali che mai.

[3] Ai moderni untori e antiuntori di manzoniana memoria ricordo che una lucidità radicale è più che mai necessaria alla coscienza umana che sola può emanciparci dalla scimmia artificiale, perversa, narcisista e nichilista che siamo diventati, limitando i danni e le patologie, superando la logica binaria e rovesciando la prospettiva sociale. 





La conscience d’espèce et le nouveau vieux monde

 

« Moins on a de connaissances sur une question, plus on a de certitudes à son sujet. » ”

Alors que rien ne change structurellement dans les rapports de pouvoir si ce n’est l’intensité, la continuité et l’intimité de la domination imposée et endurée, tout apparaît, aujourd'hui, subitement transformé dans le rapport intrinsèque entre l'humain et la vie, entre les individus humains, entre l’espèce humaine et la biosphère dont dépendent tous les êtres vivants, et en particulier les mammifères.

D'une part, l'irruption de la pandémie de coronavirus 1984 n'a fait qu'accentuer, accélérer, établir un changement qui était déjà dans l'ordre des choses du monde et dans le désordre ambiant du monde des choses. Cependant, elle a visiblement accéléré et affaibli le processus d'artificialisation de la vie que la civilisation productiviste a « comploté » de réaliser depuis ses origines.

Complotisme et anticomplotisme. Le marché insensé du réseau virtuel donné en pâture à la foule déchaînée et la propagande médiatique cynique contrôlée par les milliardaires aux commandes de l’État, participent tous deux à l'orgie perverse du pouvoir : celui déjà solidement en place et celui recherché, en devenir, alternatif, encore fragile et hystérique. Tous deux s'appuient sur l'imbécillité cultivée de leurs spectateurs, deutéragonistes involontaires qui subissent la logique stupide mais bien établie et fonctionnelle du pouvoir absolu.

Plus l'humanité résiduelle dirige sa confusion rageuse contre les divers drapeaux rouges, noirs, verts ou jaunes agités par le pouvoir et l'anti-pouvoir, plus les toréadors de la corrida planétaire apprivoisent avec aisance les différents troupeaux dans lesquels les êtres humains sont confinés, animaux serviles ou cobayes des idéologies de révolte sans révolution, individus dont les puissantes cornes sociales ont été rendues inoffensives.

Ce simple constat balaie l'idée embarrassante (non pas parce que impensable ou insensée, mais parce que clairement paranoïaque) que la pandémie a été planifiée et voulue. En vérité, toute l'histoire de la domination productiviste sur l'humain c'est-à-dire l'histoire écrite et propagée au fil des millénaires par les dominants a toujours utilisé le progrès avec l'appétit dévorant et cannibale d'un vampire adialectique, violeur du temps cyclique autant que de l'humanité organique.

Conséquence irrationnelle mais logique de la civilisation existante et opérante, la pandémie de coronavirus a compliqué le programme d'anéantissement de l'humain organique que la civilisation productiviste a toujours eu comme objectif structurel. Le virus prévisible mais inattendu car refoulé comme toutes les tragédies que l'Anthropocène[1] a ajoutées aux difficultés naturelles de la vie sur la planète et dans le cosmos a explosé comme une bombe à fragmentation dans le quotidien d'une espèce paresseusement confrontée aux dommages déjà en partie irréversibles causés par son rapport de plus en plus artificiel avec la nature du vivant.

Face à cet écueil le système n'a eu d'autre choix que de manipuler les données pour les rendre compatibles avec sa domination. Et cela, il l'a fait et continue de le faire, protégeant maladroitement et à peine la survie de ses esclaves salariés et non salariés, mais continuant à rendre la vie impossible comme et plus qu'avant parce que la peur à la fois de ceux qui expriment la crainte du virus et de ceux qui l’exorcisent par des proclamations négationnistes, haineuses et mystiques est mauvaise conseillère et productrice d'idiotie.

Depuis des siècles, désormais, sous la houlette de l'industrialisation capitaliste qui depuis longtemps a pris les rênes de la civilisation productiviste en inventant et en asservissant sa modernité, l'artificialisation de la vie a progressé à pas de géant, ignorant et violant la structure organique du vivant.

Eh bien, c’est précisément l'organicité de la vie que la nature, la centralité féminine acratique et la génitalité répandent depuis les origines comme antidote à l'aliénation et à la réification croissantes qui a été la cible privilégiée et haïe d'un progrès asservi par le productivisme qui a toujours utilisé les capacités humaines et les améliorations réelles de la vie quotidienne pour concentrer et accumuler pouvoir et une richesse consumériste qui ne peut être consommée de manière vitale, c'est-à-dire humaine, organique, génitale[2].

Une nouvelle conscience d'espèce ou la folle perpétuation mortifère du manque de conscience programmé et généralisé chez les cobayes d'un délire transhumaniste désormais galopant, sont les deux options destinées à déterminer la suite de l'aventure humaine sur la planète ou sa fin désormais concrètement envisageable.

Tant les masses aveuglées par la servitude volontaire que les minorités insatisfaites de la domestication croissante sont désormais contraintes par la force inéluctable de la nature à tenter désespérément de redonner du sens à une survie déjà réifiée et aliénée avant d'être sévèrement fragilisée par cet énième traumatisme pandémique planétaire, cerise empoisonnée sur le gâteau monstrueux d'une civilisation fondée sur la destruction de la biodiversité, sur la pollution structurelle des pesticides, du plastique et du nucléaire et sur la crise climatique désormais irréversible.

Incroyablement, tous les acteurs de ce spectacle nihiliste, aux motivations opposées mais coïncidentes par l'impuissance, la confusion et le mysticisme, ont essayé et tentent encore d'exorciser ses effets par des réactions démentielles, falsifiant, niant et manipulant la réalité dans tous les sens, en utilisant surtout les non-sens.

Il est devenu particulièrement difficile de tenir la barre d'une critique radicale du système planétaire alors que tous les hominidés en fibrillation ont commencé à produire, entre confinements et contrôles de plus en plus envahissants et guerres spectaculaires sans perspectives humaines, une réalité artificielle qui s'impose en proposant des tonnes de réponses idéologiques à l'avancée de la peste, de ses prophètes et de ses « untori »[3].

Fatigué et attristé mais pas idiotisé à l'ombre d'une quelconque chapelle, j'ai personnellement du mal à imaginer un chemin vers le salut avant que la catastrophe ne se matérialise pleinement, alors que j’ai moins d'énergie pour lutter contre les moulins à vent du progrès nucléaire en marche d'Hiroshima à Fukushima, en passant par Tchernobyl, inexorablement déterminé à répandre ce « mal français », cette syphilis énergétique qui envahit déjà le monde en le polluant ppour des centaines de millénaires par ses déchets.

L'optimisme est une foi que je ne partage pas même si je n’adhère pas aux rangs des pessimistes qui espèrent le pire pour s'enrichir et en mourir. Au lieu de cela, je m'appuie sur la réalité mais avec une confiance de plus en plus réduite, espérant uniquement me tromper. Voici mon optimisme résiduel : comme la Commune, le projet d'émancipation n'est pas mort, mais il est probablement destiné à réapparaître avec les minorités survivantes qui pourraient reconstituer, dans un futur hypothétique, une société humaine organique dansant joyeusement sur les ruines d'une civilisation vouée à disparaître avec ses acteurs, ses victimes et ses horribles seigneurs.

Prolétarisés, les êtres humains ont rêvé pendant des siècles de quelque chose que leur stupidité, leur méchanceté et leur insensibilité ont rendu impossible, en empêchant la conscience humaine de l'inventer et de le réaliser au-delà de toutes les idéologies et contre elles. Cependant, l'humain survivra, peut-être, aux humanoïdes dégénérés du productivisme, du capitalisme, du suprémacisme en tous genres, éduqué par ses propres erreurs tragiques et ses contradictions catastrophiques.

Le verrons-nous ? C’est peu probable, mais le message embouteillé d'une conscience d'espèce lancé dans les océans pollués d'un monde en ruine bourgeonne un peu partout et pourrait exhorter les mammifères à survivre à eux-mêmes et à leur stupidité comme ils ont survécu aux dinosaures il y a des millions d'années.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 2 novembre 2021



[1] J'ai décidé d'utiliser cette définition controversée de l'ère moderne car elle définit la période où l'humanité est devenue capable d'intervenir structurellement sur la nature intime du vivant, accentuant, modifiant ou détruisant ses dynamiques sur un plan géologique, environnemental, climatique et sanitaire et non plus uniquement social.

[2] Le concept reichien de génitalité implique la critique radicale du phallicisme avec lequel le patriarcat, pendant des millénaires, a justifié ses viols de genre, de classe puis d'espèce. Voir à ce propos, par Wilhelm Reich : Psychologie de masse du fascisme et L’Analyse caractérielle, (Payot éditeur), tous deux publiés en 1933, annus horribilis annonçant des futurs possibles dont le déjà-vu est aujourd'hui plus actuel que jamais.

[3] Aux « untori » et « antiuntori » modernes, fantômes pestifères évoqués par Manzoni pendant la peste, à l’époque des « Promessi sposi », je rappelle qu'une lucidité radicale est plus que jamais nécessaire à la conscience humaine qui seule peut nous émanciper du singe artificiel, pervers, narcissique et nihiliste que nous sommes devenus, en limitant les dégâts et les pathologies, en surmontant la logique binaire et renversant la perspective sociale.