venerdì 31 marzo 2023

News from spectacle

 






 

Comunque sia, non ci libereremo dalla morsa del vecchio mondo finché non avremo assicurato le basi di microsocietà umane, fondate sulla solidarietà collettiva e sull'autonomia individuale”.

Raoul Vaneigem, Ritorno alla vita, pag. 16, Nautilus, Torino 2022

 

L'avanzata meccanica del dominio del Capitale su ciò che resta dell'umanità ha più che mai la forma e le caratteristiche di uno spettacolo.

Già 55 anni fa la forma spettacolare del dominio sviluppava la negazione visibile della vita che oggi è diventata un processo invasivo e catastrofico. Ciò che allora esigeva dalla coscienza di classe sopravvissuta all'alienazione e all'inquinamento consumistico una radicalità capace di denunciare l'inizio del crollo, di arrestarlo e sconfiggerlo, esige ora da una coscienza di specie emergente tra le rovine della civiltà produttivista di occupare ciò che resta della vita prima che la forma merce e la proletarizzazione del mondo facciano scomparire definitivamente l'essere umano e la vita che lo accompagna.

Il contributo di Guy Debord alla costituzione di questa nuova coscienza, che lui stesso non ha mai definito tale, è passato dalla critica della Società dello spettacolo (1967) ai Commentari di questa stessa critica aggiornata nel 1988.

Quella che rimane un'analisi pertinente di un'epoca passata, richiede però, oggi, un aggiornamento necessario per reagire alla distruzione del vivente insita nella civiltà produttivista e nella sua soluzione finale capitalista.

La critica situazionista del passato rimane di una radicalità necessaria ma non è più sufficiente quando lo spettacolo abborda la sua fase trans-umanista. Per costruire una situazione diversa da quella che è in procinto di provocare la rovina della specie, occorre soprattutto uscire vivi e umani da un presente mortifero e dalle sue patologie.

Ciò che qui modestamente voglio tentare di tracciare è una descrizione minima della forma finale dello spettacolo integrato e del ruolo cruciale del misticismo assoluto dei servitori, volontari e non. Perché la profonda artificializzazione portata dall'universo virtuale ha trasformato gli alienati di ieri negli zombi di oggi. Senza il radicale sconvolgimento del laboratorio pavloviano dello spettacolo integrato, giunto alla sua fase terminale, non è concepibile alcun futuro umano. La descrizione di un mondo umano che leghi un passato umano a un'umanità futura rimarrà un pio desiderio se non s’interrompe il flusso spettacolare della società dominante e la sua falsificazione psicogeografica. Bisogna ricominciare a vivere organicamente e orgasticamente per dare un senso vivo alla denuncia della morte che ci governa e non trasformarla in un ultimo necrologio umanista. Questa denuncia/lotta è l'ultima speranza/occasione per uscire vivi dallo spettacolo che intrappola le mosche umane nella ragnatela di un economicismo produttivista nichilista e omicida. La difesa accanita di tutte queste zone di ritorno alla vita fa molta paura ai dominanti che criminalizzano, demonizzano e reprimono ogni minima ZAD a loro piacimento. Il fascismo suprematista di qualsiasi totalitarismo (democratico o no, ma sempre capitalista) non può ammettere la minima ZHAD (in francese: zone humaine à défendre). Perché queste zone di resistenza all'addomesticamento definitivo e all’artificializzazione produttivista finale (dal Chiapas al Rojava fino alla più piccola resistenza locale di fronte ai diktat dell'economia politica globalizzata) sono il punto di inversione dialettica tra la vita che si difende e la morte redditizia che spinge verso il crollo del vivente. Lo spettacolo continua a rafforzarsi dovunque, vale a dire ad estendersi agli estremi da tutti i lati e ad aumentare la sua densità al centro.

 

1) Democrazia spettacolare. Il passato e il presente di kratos (potere imposto) e arkè (potere condiviso).

 

Sappiamo che il concetto di democrazia è stato inventato ad Atene dall'oligarchia al potere che, per conservare i suoi privilegi e affievolire la volontà del popolo di emanciparsi dalla sua tirannia, ha usato un termine peggiorativo per squalificare l'ambizione popolare. Si tratta di restituire alle parole evocatrici del potere i connotati che rimandano alle loro radici. In greco antico arkè rinvia al potere condiviso, kratos al potere imposto. Dobbiamo riportare il concetto di democrazia alle sue radici acratiche.

La retorica della democrazia parlamentare di cui si riempiono la bocca senza fine i mass media e i servitori volontari della dominazione politica (siano essi mercenari o idioti, ma il più delle volte un misto dei due) è un dispotismo mascherato esercitato da un'oligarchia finanziaria senza scrupoli che ha confiscato il vero potere del popolo: una demoarchia acratica, una demoacrazia. Questa forma di potere condiviso implica un'organizzazione sociale orizzontale e antigerarchica ampiamente esplorata e praticata da molte nazioni senza Stato dal lontano passato fino ai tempi recenti.

Parte della popolazione indigena del continente americano, così come molti popoli dell'antica Europa, dell'Asia vicina e lontana e del continente australiano, ci hanno fornito importanti esempi antropologici, sempre più chiari e supportati dall'archeologia, dell'esistenza storica di società egualitarie, acratiche, dal potere condiviso.[1]

Divenuto nel XX secolo il baluardo spettacolare contro l’imperversare del fascismo, il parlamentarismo ha spinto fino all'estremo lo sfruttamento del lavoro forzato, la sottomissione delle donne, il feticismo delle merci e l’artificializzazione del vivente. Achtung! Il postfascismo nero o rosso, mascherato spesso in grigio o rosa, è l'ultima tappa programmata di questa discesa agli inferi dell'umanità.

 

2) Economia spettacolare tra religioni teistiche ed economia politica.

 

Il fantasma di quel Dio che Nietzsche aveva dichiarato morto resuscita regolarmente al servizio di un’economia politica che è la teologia laica del capitalismo. Essa distilla il veleno alienante dell’idea che aver del denaro  crea la felicità, ma il godimento spettacolare della civiltà produttivista in fase terminale è uno pseudo godimento che racchiude in sé la repressione. All’accettazione beata dell'esistente si può unire come un'unica cosa la rivolta puramente spettacolare: ciò traduce il semplice fatto che l'insoddisfazione stessa è diventata una merce non appena l'abbondanza economica è diventata capace di estendere la sua produzione alla lavorazione di una tale materia prima.

 

Il potere dello spettacolo è così dispotico che s’indigna, mentre si dispiega incontrastato, di vedere il manifestarsi di una politica-spettacolo, di una giustizia-spettacolo, di una medicina-spettacolo, di un'informazione mediatica volgarmente e disperatamente spettacolare. La vuota discussione sullo spettacolo, cioè su ciò che fanno i padroni del mondo, è la vera attività del mondo dei media, la cui comunicazione radicalmente unilaterale fa sì che le sue cavie ammirino pacificamente la  decisione già presa. Ciò che viene comunicato sono degli ordini e, molto armoniosamente, coloro che li hanno impartiti sono anche coloro che diranno ciò che ne pensano. Denunciando i suoi crimini spettacolarmente, lo spettacolo garantisce la sua continuità ininterrotta. Poco importa quale sia l’ideologia mistica di riferimento della peste emozionale, sia essa pro o contro.

 

3) Artificialità e misticismo.

 

La menzogna non più contraddetta diventa follia. Sia la realtà che il fine si dissolvono nella proclamazione ideologica totalitaria: qualunque cosa essa dica è tutto quel che è. Questo primitivismo dello spettacolo è essenziale nello sviluppo dello spettacolo mondiale. L'ideologia che qui si materializza non ha trasformato economicamente il mondo, come il capitalismo giunto allo stadio dell'abbondanza; ha solo trasformato la percezione in modo poliziesco. Ciò non impedisce che globalmente la pratica unificata dello spettacolo integrato abbia trasformato il mondo economicamente, allo stesso tempo in cui ha trasformato in modo poliziesco la percezione.[2]

 

Alcune date di riferimento.

 

Prima fase preliminare della fondazione storica della società dello spettacolo sociale. 1917/1929/1945. Dopo la prima guerra mondiale e la nascita del capitalismo di Stato in Russia, crisi economica globale, diffusione della psicologia di massa del fascismo e seconda guerra mondiale.

 

II fase 1945/1968, società dei consumi, uomo unidimensionale, feticismo materializzato della merce.

 

III fase (1968/1989), tra l'inizio della lotta per un altro mondo possibile e la restaurazione di un capitalismo planetario in crisi in cerca di rinnovamento.

1969: soffocamento del maggio '68 francese, autunno caldo e terrorismo di Stato con le bombe alla Banca dell'Agricoltura di Milano. Quindi, con la fine tardiva della guerra del Vietnam, lo spettacolo inizia a proporsi la sua trasformazione da diffuso a integrato.

1979: inizio dell'uso generalizzato della forza spettacolare integrata.

1989: con la caduta dell'Impero pseudo-sovietico, l'ideologia dominante incontrastata è quella della democrazia liberale e dell'oligarchia post-borghese del capitalismo finanziarizzato: ovvero la libertà dittatoriale del Mercato temperata dal riconoscimento dei Diritti dell’uomo spettatore.

 

IV fase 1989/2001, consolidamento planetario del dominio reale del Capitale alla ricerca di un nuovo ordine mondiale.

 

V fase 2001/2023, nonostante la rivolta popolare contro il G8 di Genova e dopo il trauma di Ground Zero negli USA, il produttivismo continua la sua guerra planetaria contro il vivente. L'ecologia sociale registra ancora una volta il rapido collasso della biosfera e ne denuncia i responsabili. Poi pandemia Covid, crescente crisi climatica e guerra in Ucraina: transizione violenta verso una definitiva artificializzazione del mondo globalizzato nel processo di finanziarizzazione forzata, crollo speculativo del potere d'acquisto di base e sviluppo accelerato dello spettacolare integrato.

 

2023/2084

 

Segni crescenti di rifiuto del dominio e rivolta sociale diffusa contro la società dello spettacolo, abrogazione del patriarcato e abbandono della civiltà produttivista o possibile scomparsa dell'umano organico e della comunità umana naturale.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 1 aprile 2023

 

 



[1]          Si veda J. C. Scott, Zomia, l’arte di non essere governati, Einaudi, Torino 2021, nonché il prezioso lavoro di ricerca di Marija Gimbutas sull'antica civiltà matricentrica chiamata gilanica.

 

[2]          Nel 2023, con lo spettacolare psicodramma della riforma delle pensioni in Francia, l'ideologia dell'oligarchia totalitaria al potere si mostra esplicitamente come l'espressione del potere di un mondo rovesciato: più è autoritaria, più afferma di non esistere e la sua forza le serve anzitutto per affermare la sua inesistenza, rendendo apparentemente inattaccabile il suo potere di nocività. Il quale è in realtà molto fragile, sempre più rinchiuso nel virtuale da cui dipende e di cui si alimenta.

  

News from spectacle

 


 

 

"Quoi qu'il en soit, nous ne nous affranchirons pas de l'emprise du vieux monde tant que nous n'aurons pas assuré les assises de microsociétés humaines, fondées sur la solidarité collective et l'autonomie individuelle".                               

Raoul Vaneigem, Retour à la vie, page 17, L'Insomniaque, Paris 2022.

 

 

L'avancée mécanique de la domination du Capital sur ce qui reste de l'humain a plus que jamais la forme et les caractéristiques d'un spectacle.

Il y a 55 ans déjà la forme spectaculaire de la domination développait la négation visible de la vie devenue aujourd'hui un processus invasif et catastrophique. Ce qui alors demandait à la conscience de classe rescapée à l'aliénation et à la pollution consumériste une radicalité capable de dénoncer le début de l'effondrement, de l'arrêter et le vaincre, demande maintenant à une conscience d'espèce naissant parmi les ruines de la civilisation productiviste d'occuper ce qui reste de la vie avant que la forme marchandise et la prolétarisation du monde fassent définitivement disparaître l'humain et la vie qui va avec.

L'apport de Guy Debord à l'échafaudage de cette conscience nouvelle que lui même n'a jamais définie telle, est passé de la critique de la Société du spectacle (1967) aux Commentaires de cette même critique actualisée en 1988.

Ce qui reste une analyse pertinente d'une époque révolue, requière cependant, aujourd'hui, une actualisation nécessaire pour réagir à la destruction du vivant intrinsèque à la civilisation productiviste et à sa solution finale capitaliste.

La critique situationniste d'antan reste d'une radicalité nécessaire mais n'est plus suffisante alors que le spectacle aborde sa phase transhumaniste. Pour construire une situation différente de celle qui est en train de provoquer la ruine de l'espèce, il faut avant tout sortir vivants et humains d'un présent mortifère et de ses pathologies.

Ce que je veux essayer modestement de dessiner ici c'est une description minime de la forme finale du spectacle intégré et le rôle crucial du mysticisme absolu des serviteurs, volontaires ou pas. Car l'artificialisation profonde apportée par l'univers virtuel a transformé les aliénés d'antan dans les zombies d'aujourd'hui. Sans le bouleversement radical du laboratoire pavlovien du spectacle intégré arrivé à sa phase terminale, aucun futur humain est concevable. La description d'un monde humain reliant un passé humain à une humanité à venir restera un veux pieux si on n'interrompe pas le flux spectaculaire de la société dominante e sa falsification psycho géographique. Il faut recommencer à vivre organiquement et orgastiquement pour donner un sens vivant à la dénonciation de la mort qui nous gouverne et pas en faire un dernier nécrologe humaniste. Cette dénonciation/lutte est la dernière séance/chance de sortir vivants du spectacle qui enferme les mouches humaines dans la toile d'araignée d'un économisme productiviste nihiliste et meurtrier. La défense acharnée de toutes ces zones de retour à la vie font très peur aux dominants qui criminalisent, diabolisent et répriment à souhait la moindre ZAD. Le fascisme suprématiste de tout totalitarisme (démocratique ou pas, mais toujours capitaliste) ne peut pas admettre la moindre ZHAD (zone humaine à défendre). Car ces zones de résistance à la domestication définitive et à l’artificialisation productiviste finale (du Chiapas au Rojava jusqu’à la plus infime résistance locale face aux diktats de l’économie politique mondialisée) sont le point d'inversion dialectique entre la vie qui se défende et la mort rentable qui pousse vers l'effondrement du vivant. Le spectacle continue partout de se renforcer, c'est à dire de s'étendre aux extrêmes par tous les côtés et d'augmenter sa densité au centre. 

 

1) Démocratie spectaculaire. Le passé et le présent du kratos (pouvoir imposé) et de l'arkè (pouvoir partagé).

 

On sait que le concept de démocratie a été inventé à Athènes par l’oligarchie au pouvoir qui, pour garder ses privilèges et saborder la volonté du peuple de s'émanciper de sa tyrannie, s’est servie d’un terme péjoratif pour disqualifier l’ambition populaire. Il s'agit de restituer aux mots évoquant le pouvoir les connotations renvoyant à leurs racines. En grec ancien, l'arkè est le pouvoir partagé, le kratos le pouvoir imposé. Il faut rendre au concept de démocratie ses racines acratiques.

La rhétorique de la démocratie parlementaire dont se gargarisent sans cesse les médias et les serviteurs volontaires de la domination politique (mercenaires ou idiotisés, mais le plus souvent un mélange des deux) est un despotisme déguisé exercé par une oligarchie financière sans scrupules qui a confisqué le véritable pouvoir du peuple: une démoarchie acratique, une démoacratie. Cette forme de pouvoir partagé implique une organisation sociale horizontale et anti hiérarchique largement explorée et pratiquée par des nombreuses nations sans État d’un passé lointain jusqu’au temps récent.

Une partie de la population indigène du continent américain, ainsi que de nombreux peuples de l'ancienne Europe, de l'Asie proche et lointaine et du continent australien, nous ont fourni d'importants exemples anthropologiques, de plus en plus clairs et supportés par l’archéologie, de l'existence historique de sociétés égalitaires, acratiques, partageuses du pouvoir.[1]

Devenu dans le XX siècle le rempart spectaculaire contre le fascisme déferlant, le parlementarisme a poussé l’exploitation du travail forcé, la soumission de la femme, le fétichisme de la marchandise et l’artificialisation du vivant jusqu’aux derniers retranchements. Achtung ! Le post fascisme noir ou rouge, déguisé souvent en gris ou rose, est la dernière étape programmée de cette descente aux enfers de l’humanité.

 

2) L’économie spectaculaire entre religions théistes et économie politique.

 

Le phantasme de ce dieu que Nietzsche avait déclaré mort ressuscite régulièrement au service d’une économie politique qui est la théologie laïque du capitalisme. Elle distille le poison aliénant de l’idée qu’avoir de l’argent porte le bonheur, mais la jouissance spectaculaire de la civilisation productiviste dans sa phase terminale capitaliste est une pseudo jouissance qui garde en elle la répression. À l'acceptation béate de ce qui existe peut aussi se joindre comme une même chose la révolte purement spectaculaire: ceci traduit le simple fait que l'insatisfaction elle même est devenue une marchandise dés que l'abondance économique s'est trouvée capable d'étendre sa production jusqu'au traitement d'une telle matière première.

 

Le pouvoir du spectacle est tellement despotique qu'il s'indigne de voir se constituer, pendant qu'il déferle sans partage, une politique-spectacle, une justice spectacle, une médecine spectacle, une information médiatique vulgairement et désespérément spectaculaire. La discussion creuse sur le spectacle, c'est à dire sur ce que font les propriétaires du monde, est l'activité véritable du monde médiatique, dont la communication radicalement unilatérale fait paisiblement admirer à ses cobayes la décision déjà prise. Ce qui est communiqué ce sont des ordres et, fort harmonieusement, ceux qui les ont donnés sont également ceux qui diront ce qu'ils en pensent. En dénonçant ses crimes de façon spectaculaire le spectacle garantit sa continuité ininterrompue. Peu importe l’idéologie mystique de référence de la peste émotionnelle, soit-elle pro ou anti.

 

3) Artificialité et mysticisme.

 

Le mensonge qui n'est plus contredit devient folie. La réalité aussi bien que le but sont dissous dans la proclamation idéologique totalitaire: tout ce qu'elle dit est tout ce qui est. Ce primitivisme du spectacle est essentiel dans le développement du spectacle mondial. L'idéologie qui se matérialise ici n'a pas transformé économiquement le monde, comme le capitalisme parvenu au stade de l'abondance; elle a seulement transformé policièrement la perception. Ce qui n'empêche que globalement la pratique unifiée du spectacle intégré a transformé économiquement le monde, en même temps qu'il a transformé policièrement la perception.[2]

 

Quelques dates de référence.

 

Première phase préliminaire de la fondation historique de la société du spectacle social. 1917/1929/1945. Après la première guerre mondiale et la naissance du capitalisme d’État en Russie, crise économique globale, diffusion de la psychologie de masse du fascisme et deuxième guerre mondiale.

 

II phase 1945/1968, société de consommation, homme à une dimension, fétichisme matérialisé de la marchandise.

 

III phase (1968/1989), entre le début du combat pour un autre monde possible et la restauration d'un capitalisme planétaire en crise en quête de renouvellement.

1969 : étouffement du mai 68 français, « autunno caldo » et terrorisme d’État avec les bombes de Milan à la Banque de l’Agriculture. Ensuite, avec le classement tardif de la guerre du Vietnam, le spectacle commence à envisager sa mutation de diffus en intégré.

1979 : début de l'emploi généralisé de la force spectaculaire intégrée.

1989 : avec la chute de l'Empire pseudo soviétique l'idéologie dominante sans partage est celle de la démocratie libérale et de l'oligarchie post-bourgeoise du capitalisme financiarisé: c'est à dire la liberté dictatoriale du Marché tempérée par la reconnaissance des Droits de l'homme spectateur. 

 

IV phase 1989/2001, consolidation planétaire de la domination réelle du Capital à la recherche d'un nouvel ordre mondial.

 

V phase 2001/2023, malgré la révolte populaire contre le G 8 de Gênes et après le traumatisme de Ground zéro aux USA, le productivisme continue sa guerre planétaire contre le vivant. L'écologie sociale enregistre une fois de plus l'effondrement rapide de la biosphère et en dénonce les responsables. Puis pandémie Covid, crise climatique croissante et guerre en Ukraine : passage violent à une artificialisation définitive du monde globalisé en voie de financiarisation forcée, dégringolade spéculative du pouvoir d’achat de base et développement accéléré du spectaculaire intégré.

 

2023/ 2084

 

des signes croissants du refus de la domination et d’une révolte sociale perceptible contre la société du spectacle, envie d’abrogation du patriarcat et d’abandon de la civilisation productiviste face à la disparition possible de l'humain organique et de la communauté humaine naturelle.

 

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 1 avril 2023



[1]          Voir J. C. Scott, Zomia, ou l’art de ne pas être gouverné, Seuil, Paris 2013, ainsi que le précieux travail de recherche de Marija Gimbutas sur une civilisation matricentrique ancienne, dénommée gylanique.

[2]          En 2023, avec le psychodrame spectaculaire de la reforme des retraites en France, l'idéologie de l'oligarchie totalitaire au pouvoir se montre explicitement comme l'expression du pouvoir d'un monde renversé: plus elle est autoritaire, plus elle affirme qu'elle n'existe pas et sa force lui sert d'abord à affirmer son inexistence rendant son pouvoir de nuisance apparemment inattaquable. Il est, en réalité, très fragile, de plus en plus enfermé dans le virtuel dont il dépend et se nourrit.

martedì 21 marzo 2023

I combattenti della libertà non hanno bisogno di conoscersi per riconoscersi - Raoul Vaneigem

 






Ho appena ricevuto questa sintesi chiarificatrice della mutazione eco sociale in corso e ve l’ho tradotta per piacere ed utilità.  Sergio Ghirardi Sauvageon

A prima vista, non c'è nulla in comune tra gli zapatisti, le collettività del Rojava e i gilets jaunes che hanno innescato in Francia, nel 2018, un movimento insurrezionale la cui portata annuncia un radicale cambiamento di società. Contesto storico, etnico, geografico, psicologia, tutto diverge tra questi popoli in rivolta. Tutto, tranne l'esplosione di una volontà di vivere determinata a spezzare il pugno di ferro della finanza mondiale e a non soccombere più alla glaciazione del profitto.

L'improvvisa invasione delle strade e delle rotonde da parte di una popolazione eterogenea, vestita con un giubbotto che l'automobilista era obbligato a tenere a portata di mano, era partita con un assai futile pretesto, l'aumento di una tassa sul carburante. Gli zapatisti avevano pianificato attentamente la loro rivolta. I Gilets jaunes, dal canto loro, improvvisarono in un misto di entusiasmo e disinvoltura un'occupazione dei luoghi a loro familiari. Vi hanno dispiegato spontaneamente l'energia insospettata di un "Ya basta", un "Y'en a marre" quasi evocatore di una rabbia infantile.

Ci si aspettava una rivolta, è stata una rivoluzione!

Lo Stato francese era, come ovunque, abituato al letargo delle folle, colonizzate dal consumismo. Non è stato il solo a vedervi solo un pugno di facinorosi, di marginali deliranti, rustici acculturati che il manganello e l'accecamento avrebbero richiamato all'Ordine. Il populismo di stampo fascista, sempre in agguato per recuperare una rabbia cieca, pensava di poterli divorare. Ne è rimasto soffocato al primo boccone.

La reazione più carica di conseguenze è stata il disprezzo che ha versato su di loro la sinistra. Li avrebbe agghindati volentieri con la vecchia sottana proletaria offrendo loro la propria tutela, che gli insorti e le insorte hanno chiaramente rifiutato. Perché i Gilets jaunes avevano decretato fin dall'inizio che non avrebbero accettato né un leader, né un delegato autoproclamato, né un apparato sindacale e politico. L’essere umano era la loro priorità assoluta.

Nessuna insurrezione del passato ha mai espresso un simile avvertimento. E comprensibile che abbia provocato il nervosismo di coloro il cui potere burocratico sulle lotte operaie aveva talmente deteriorato la coscienza proletaria che molte roccaforti tradizionalmente "rosse" hanno iniziato a votare per l'estrema destra.

 

L'insurrezione popolare restituisce oggi il suo splendore alla Francia dell'Illuminismo, che era stata oscurata dalla corruzione e dalla stupefacente stupidità dei suoi dirigenti. Stiamo assistendo al disfacimento e alla disgregazione degli apparati politici e sindacali che cercano di recuperarla e di ostacolare il progresso della sua radicalità. Gli apparatchik crollano sotto la pressione di una base, dove i militanti riconquistano la loro autonomia.

Né il conservatorismo né il gauchismo sopravvivranno alla debacle della manipolazione politica. Come il Movimento delle Occupazioni del maggio 1968 ha avuto la pelle del partito cosiddetto comunista, che aveva contribuito a schiacciarlo, così impareremo a fare a meno delle autorità statali al soldo di un capitalismo finanziario che ci distrugge autodistruggendosi.

La menzogna delle democrazie totalitarie non riesce a nascondere la realtà di un'esistenza sempre più minacciata dall'impoverimento. L'incompetenza dei governi oligarchici arriva a rivelare il punto critico in cui si giocherà il nostro destino. Per quanto deplorevoli siano l'aumento dei prezzi e la riduzione dei salari, ancor più insopportabile è la perdita della gioia di vivere nella misura in cui la crescita del profitto inaridisce i corpi e le coscienze, spingendo all'odio e al suicidio, diffondendo una noia peggiore della morte.

 

Ogni settimana, da cinque anni in tutta la Francia, uomini e donne hanno mostrato la loro presenza festosa al grido di “siamo qui” con pacifica e incrollabile ostinazione. Questa potenza, che nessuna violenza poliziesca può vincere, è tempo di rendersi conto che sta celebrando un autentico ritorno alla vita. C'è in questo un'allegria selvaggia che si cercherebbe invano nei cortei di protesta posti sotto la gestione politica e sindacale. Si balla e si canta tra gli zapatisti, in Rojava, tra i Gilets jaunes. Non è il caso dei cortei dove il ripetersi di tristi slogan fa parte della militanza militarizzata e dello spirito sacrificale.

Ogni volta che un'organizzazione esterna ha cercato di imporsi su di noi, ci ha portato alla delusione e al fallimento. Nessuno ha dimenticato come la dittatura del proletariato abbia ispirato una delle dittature più feroci sui proletari. La radicalità si apprende meno nelle lezioni della storia – per quanto feconde possano essere – che nel potenziale creativo che si rivela a tutti nel sempre rinascente desiderio di libertà e d’amore.

Solo l'autorganizzazione del popolo, dal popolo e per popolo può porre fine alla sfilza dei governi che da secoli ci opprimono e ci massacrano per il nostro bene. Dal 1994, quel che gli zapatisti chiamano non un modello ma una sperimentazione dimostra il valore di una società senza altro potere che il mandato revocabile attribuito dall'assemblea all'uno o all'altro dei suoi membri. È una rivoluzione non esportabile ma "essa è là" ed è l'orizzonte della vita che brilla sui territori dove tutto è chiamato a reinventarsi.

Siamo ancora fermi a chiedere misure contro l'inquinamento a quelli che sono obbligati a propagarlo perché solo la logica del profitto dà loro una parvenza di esistenza. Gli zapatisti hanno rotto con lo Stato e hanno ristabilito una salutare alleanza con la natura nutrice. La comunità, forte di circa 400.000 persone, è, nonostante le incertezze, gli errori maldestri, i resti di misticismo, quel che al mondo assomiglia di più a una società umana. Non c'è tra loro, è bene saperlo, né polizia né prigione. Il delitto è un errore da correggere, non una colpa da assumere. Dell'esercito, che nel 1994 ha liberato le campagne dal giogo dei proprietari terrieri, è rimasto solo un emblema dissuasivo, senza incidenza sul funzionamento delle assemblee.

L'importanza dell'insurrezione della vita quotidiana, di cui i Gilets jaunes sono solo un epifenomeno, è che invita a un ritorno alla base. La Francia è oggi l'unico Paese in cui una simpatica curiosità nei confronti di un pugno di utopisti e di chimerici sognatori è sfociata nell'adesione di tutto un popolo a un movimento che non ha più bisogno del giallo emblematico per far sentire le grida e i canti della vita, della terra, dell'umano che si sveglia e rinasce. Ciò che inizialmente era confinato a riunioni settimanali sulle rotonde, è ormai un incontro quotidiano, dove la parola si libera e dove l'aiuto reciproco offre ai partecipanti la sua forza di coesione.

La parola viva non è forse preferibile all'urna elettorale, che troppo spesso è un'urna funeraria?

La nostra esistenza individuale e sociale è in preda a una lotta di prossimità. È dalle piccole situazioni locali, dalle micro-società – borghi, quartieri, regioni – che prende senso la lotta per la qualità della vita e contro le nocività. Separato dal suo vissuto, il progetto di emancipazione umana arriverà solo a un'astrazione, una falsificazione (l'abbiamo visto in Francia, dove la constatazione zapatista che "un altro mondo è possibile" è diventata uno slogan propagandistico del populismo gauchista).

Seguendo la rotta dell'umano, invece, sono pochi i problemi – agricoltura, inquinamento, salute, scuola, trasporti, mafie burocratiche e bancarie, artigianato, emigrazione, produzione di beni utili – che il trattamento autogestionario non è in grado di affrontare con una pertinenza che, ovviamente, non ci si deve attendere dalle lobby mondialiste destinate a gestirli.

Ciò che il movimento dei Gilet Gialli ha favorito fin dall'inizio è stato un senso umano che esclude il riflesso predatorio e segna il predominio del mutuo soccorso e dell'autonomia individuale. Gli incendi che divampano in tutto il mondo – dal Perù all'Iran – rivelano un fenomeno di cui stiamo appena iniziando a prendere coscienza: il passaggio dalla civiltà mercantile a una civiltà umana.

Il futuro più probabile dell'emancipazione generalizzata sarà la costituzione di micro-società in cui delle fazioni antagoniste proveranno ad accordarsi. Alcuni, ancora invischiati nei resti d’ideologie autoritarie e libertarie, affronteranno, su progetti concreti, i soggetti radicali preoccupati di portare avanti la difficile ed entusiasmante armonizzazione del vivente. Anche se questi sono solo sogni a occhi aperti, non se ne deve sottovalutare l'energia potenziale. Essa non smetterà di diffondere i germi di un'insurrezione della vita quotidiana, la cui primavera fiorisce in tutte le stagioni.

 

Raoul Vaneigem

 



Les combattants de la liberté n’ont pas besoin de se connaître pour se reconnaître

         A première vue, il n’y a rien de commun entre les zapatistes, les collectivités du Rojava et les gilets jaunes qui ont suscité en France, en 2018, un mouvement insurrectionnel dont l’ampleur annonce un changement radical de société. Contexte historique, ethnique, géographique, psychologie, tout diverge entre ces peuples en rébellion. Tout, sauf l’explosion d’une volonté de vivre résolue à briser la main de fer de la finance mondiale et à ne plus succomber à la glaciation du profit.

         Le brusque envahissement des rues et des ronds-points par une population disparate, revêtue d’un gilet que l’automobiliste devait garder à portée de la main, avait démarré sous un prétexte assez futile, la hausse d’une taxe sur le carburant. Les zapatistes avaient soigneusement programmé leur soulèvement. Les Gilets jaunes, eux, improvisèrent dans un mélange d’enthousiasme et de désinvolture une occupation des lieux qui leur étaient familiers. Ils y déployèrent spontanément l’énergie insoupçonnée d’un « Ya basta », d’un « Y’en a marre » qui évoquait presque une colère d’enfant.

         On attendait une émeute, ce fut une révolution !

 

         L’État français était, comme partout, accoutumé à la léthargie des foules, colonisées par le consumérisme. Il ne fut pas le seul à ne voir là qu’une poignée de trublions, de marginaux délirants, de rustauds acculturés que la matraque et l’éborgnement rappelleraient à l’Ordre. Le populisme fascisant, toujours aux aguets d’une colère aveugle, crut pouvoir les dévorer. Il s’en étouffa à la première bouchée.

         La réaction la plus lourde de conséquence fut le mépris dont les accabla la gauche. Elle les aurait volontiers affublés de la vieille défroque prolétarienne en lui offrant sa tutelle mais elle se heurta de la part des insurgées et des insurgés à une fin de non-recevoir. Car les Gilets jaunes avaient décrété dès le départ qu’ils n’accepteraient ni chef, ni délégué autoproclamé, ni appareil syndical et politique. L’être humain était leur priorité absolue.

         Aucune insurrection du passé n’avait fait montre d’une telle mise en garde. On comprend qu’elle provoqua de l’aigreur chez ceux dont l’emprise bureaucratique sur les luttes ouvrières avait si bien mis à mal la conscience prolétarienne que nombre de fiefs traditionnellement « rouges » commencèrent à voter pour l’extrême droite.

 

         Le soulèvement populaire rend aujourd’hui son éclat à la France des Lumières, qu’avaient occultées la corruption et la stupéfiante sottise de ses dirigeants. On assiste à l’effilochage et à la débandade des appareils politiques et syndicaux qui tentent de le récupérer et d’entraver les progrès de sa radicalité. Les apparatchiks s’effondrent sous la pression d’une base où les militants retrouvent leur autonomie.

         Ni conservatisme ni gauchisme ne survivront à la débâcle de la manipulation politique. De même que le Mouvement des Occupations de mai 1968 a eu la peau du parti dit communiste, qui avait contribué à l’écraser, de même allons-nous apprendre à nous passer d’instances étatiques à la solde d’un capitalisme financier qui nous détruit en se détruisant lui-même.

         Le mensonge des démocraties totalitaires échoue à masquer la réalité d’une existence de plus en plus menacée par la paupérisation. L’incompétence des gouvernements oligarchiques en vient à dévoiler le point de basculement où va se jouer notre destinée. Si déplorables que soient l’augmentation des prix et la diminution des salaires, plus insupportable encore est la déperdition de la joie de vivre à mesure que les avancées du profit dessèchent les corps et les consciences, poussent à la haine et au suicide, répandent un ennui pire que la mort.

 

          Chaque semaine, depuis cinq ans dans la France entière, des hommes et des femmes manifestent leur présence festive aux cris de « on est là » avec une obstination paisible et inébranlable. Cette puissance, dont aucune violence policière ne vient à bout, il serait temps de s’aviser qu’elle célèbre un authentique retour à la vie. Il y a là une allégresse échevelée que l’on chercherait en vain dans les cortèges revendicatifs placés sous la férule politique et syndicale. On danse et on chante chez les zapatistes, au Rojava, chez les gilets jaunes. Ce n’est pas le cas des défilés où le beuglement de tristes slogans participe du militantisme militarisé et de l’esprit sacrificiel.

         Chaque fois qu’une organisation extérieure a voulu s’imposer à nous, elle nous a menés à la déconvenue et à la faillite. Nul n’a oublié comment la dictature du prolétariat en a inspiré une des plus féroce à son encontre. La radicalité s’apprend moins dans les leçons de l’histoire – si fructueuses qu’elles puissent être – que dans le potentiel créatif qui se révèle à chacun dans le désir toujours renaissant de la liberté et de l’amour.

         Il n’y a que l’auto-organisation du peuple pour et par le peuple qui puisse en finir avec la lignée des gouvernements qui nous ont, à longueur de siècles, opprimés et massacrés pour notre bien. Depuis 1994, ce que les zapatistes appellent non un modèle mais une expérience démontre le bien fondé d’une société sans autre pouvoir que le mandat révocable attribué par l’assemblée à l’une ou l’autre de ses membres. C’est une révolution non exportable mais « elle est là » et c’est l’horizon de la vie qui rayonne sur les territoires où tout est appelé à se réinventer.

         Nous en sommes encore à quémander des mesures contre la pollution à ceux qui sont dans l’obligation de la propager parce que seule la logique du profit leur prête un semblant d’existence. Les zapatistes ont rompu avec l’État et ils ont renoué une salutaire alliance avec la nature nourricière. La communauté, forte de quelque 400 000 personnes, est, à travers les incertitudes, les maladresses, des restes d’ascétismes, ce qui dans le monde s’approche le mieux d’une société humaine. Il n’y a chez eux, il faut le savoir, ni police ni prison. Le délit est une erreur à corriger non une culpabilité à assumer. De l’armée, qui, en 1994 a libéré les campagnes du joug des propriétaires terriens, il n’est resté qu’un emblème de dissuasion, sans incidence sur le fonctionnement des assemblées.

         L’importance que revêt l’insurrection de la vie quotidienne, dont les gilets jaunes ne sont qu’un épiphénomène, c’est qu’elle convie à un retour à la base. La France est aujourd’hui le seul pays où une sympathique curiosité à l’endroit d’une poignée d’utopistes et de rêveurs chimériques a débouché sur l’adhésion de tout un peuple à un mouvement qui n’a plus besoin du jaune emblématique pour faire entendre les cris et les chants de la vie, de la terre, de l’humain qui se réveille et renaît. Ce qui se cantonnait au début à des retrouvailles hebdomadaires de ronds-points est désormais une rencontre quotidienne où la parole se libère et où l’entraide lui offre sa force de cohésion.

         La parole vivante n’est-elle pas préférable à l’urne électorale, qui n’est que trop souvent une urne funéraire ?

         Notre existence individuelle et sociale est en proie à un combat de proximité. C’est au départ de petites entités locales, de microsociétés – villages, quartiers, régions – que prend son sens la lutte pour la qualité de la vie et contre les nuisances. Coupé de son vécu, le projet d’émancipation humaine n’atteindra qu’à une abstraction, à une falsification (on l’a vu en France où le constat zapatiste « un autre monde est possible » est devenu un slogan de propagande du populisme gauchiste.)

         En gardant le cap de l’humain, en revanche, il est peu de problèmes – agriculture, pollution, santé, école, transports, mafias bureaucratiques et bancaires, artisanat, migration, production de biens utiles – que le traitement autogestionnaire ne soit en mesure d’aborder avec une pertinence que, de toute évidence, il ne faut pas attendre des lobbies mondialistes habilités à les gérer.

 

         Ce qu’a privilégié dès le départ le mouvement des Gilets jaunes, c’est un sens humain qui exclut le réflexe prédateur et marque la prédominance de l’entraide et de l’autonomie individuelle. Les embrasements qui flamboient dans le monde entier – du Pérou à l’Iran – révèlent un phénomène dont nous commençons à peine à prendre conscience : le passage de la civilisation marchande à une civilisation humaine.

         L’avenir le plus probable de l’émancipation généralisée sera la constitution de microsociétés où entreprendront de s’accorder des factions antagonistes. Certaines, encore empêtrées dans les restes d’idéologies autoritaires et libertaires, affronteront, sur des projets concrets, les radicaux soucieux de mener plus avant la difficile et passionnante harmonisation du vivant. Même si ce ne sont là que rêveries, n’en sous-estimez pas l’énergie potentielle. Elle ne cessera d’essaimer les germes d’une insurrection de la vie quotidienne, dont le printemps fleurit en toute saison.

 

Raoul Vaneigem



lunedì 13 marzo 2023

Salario, prezzo, profitto e pensione - Danzando sui bordi del vulcano, guardando la lava che ne esce

 





I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.

Più che mai, l'undicesima glossa a Feuerbach di Marx m’interroga e mi fa pensare. Non che io pensi che i filosofi stessi debbano cambiare il mondo. Sarebbe chiedere loro troppo. Piuttosto, si domanda loro di vedere i limiti delle loro interpretazioni e di aiutare a difendere le zone di vita che si manifestano – come meglio possono, quanto chiunque altro.

Per meglio beneficiare del privilegio della conoscenza, spesso gli intellettuali partecipano nel loro modo ambiguo all'elezione di Mister Universo per il presunto sviluppo del loro cervello piuttosto che dei loro bicipiti. Tuttavia, i muscoli del corpo li vediamo, possiamo valutarli in quel ridicolo esibizionismo maschilista che fa di uomini e donne degli oggetti ostentati e feticizzati. La dimensione dei cervelli, invece, è immaginaria e non è decisiva per il successo concreto d’individui pieni di volontà di potere e illusi di un sogno di potenza che spesso si trasforma in un incubo.

La tendenza animale alla predazione e al dominio che la favorisce ha sempre fatto parte dell'azione vitale degli umani mescolandosi con la loro tendenza orgastica a nutrirsi di mutuo aiuto e complice empatia. L'essere umano incompiuto è capace di tutto e molto spesso di così poco. Schiavo del fascismo caratteriale di un produttivismo suprematista, complice del capitalismo, dei politici, dei giornalisti, dei poliziotti pagati per imporre un mondo marcio tanto ai servitori volontari quanto ai ribelli, l'intellettuale partecipa con il discorso alla competizione per un posto al sole quando fa freddo e un posto all'ombra in caso di canicola. Un pugno in faccia e la propaganda pubblicitaria di un'idea, poco importa se falsa purché sia incisiva, contribuiscono ugualmente a instaurare il dominio e a trarre profitto dall'imposizione di un privilegio, qualunque esso sia.

Così l'interpretazione del mondo contribuisce spesso a preservarne la mostruosità pur continuando ad affermare a parole una volontà emancipatrice. Per avere un posto accanto al Principe, o almeno la sua protezione, è necessario spiegare al popolaccio che la sua sottomissione è necessaria per il suo bene. Menenius Agrippa fu un antico esempio di questa eterna gestione del potere che i potenti esercitano da quando una gerarchia sociale mercantile delega allo Stato la gestione della schiavitù[1].

In una Roma appena repubblicana ma che già guardava con gli occhi al futuro impero, Agrippa, questo intellettuale patrizio, spiegò ai plebei romani in sciopero che il ventre patrizio nutre le membra plebee del corpo politico. In Salario, prezzo e profitto (1865), Marx osserva che Agrippa non è affatto riuscito a dimostrare che le membra di un uomo si nutrono quando si riempie il ventre di un altro.

Ma torniamo alle nostre pecore postmoderne e al loro sfruttamento. Guardate i nuovi imperatori capitalisti che si succedono, autocrati o democratici, monarchici o repubblicani, uno peggiore dell'altro, nauseanti, schifosi, tanto sprezzanti quanto ciechi, provocatori e inconsapevolmente imprudenti, perché umiliato e ridotto a bestia il popolo può diventare molto cattivo.

Il potere può riuscire a eliminare qualcuno, può schiacciare molte persone, ma alla fine i dittatori, anche nella loro versione spettacolare, non possono vincere. Il loro dominio è contro natura, nichilista. Sarà la vita, e con essa l'umanità, a trionfare su tutti i despoti, su tutti i tiranni; oppure sarà la fine della specie umana, il deserto del transumanismo, l’idiozia dell’intelligenza artificiale. Scegli, dunque, per che cosa lottare, umano e umana, mentre la lava cola sopra e intorno a Pompei.

Sergio Ghirardi Sauvageon, Idi di marzo 2023



[1] Questo estremo dominio della predazione e del suprematismo riguarda la specie umana fin dalle sue origini. Anche le società senza Stato esercitavano, infatti, abbastanza spesso ma non sempre né dappertutto, lo schiavismo. Sia chiaro: lo Stato fu un'invenzione cruciale per lo sviluppo della civiltà produttivista, ma la pulsione al dominio esisteva già ovunque l’umanità ha privilegiato una versione patriarcale della volontà di superamento dell'animalità primitiva.


Salaire, prix, profit et retraite

En dansant sur les bords du volcan, en regardant la lave sortir

 

Les philosophes ont jusqu'ici interprété le monde de différentes manières ; il est temps de le transformer.

Plus que jamais l’onzième thèse sur Feuerbach de Marx m’interroge et me fait réfléchir. Non pas que je pense que les philosophes doivent eux-mêmes changer le monde. Il ne faut pas trop leur demander. Plutôt on leur demande de voir les limites de leur interprétations et contribuer à défendre les zones de vie qui se manifestent mieux qu’ils peuvent, comme tout un chacun.

Pour mieux profiter du privilège du savoir, les intellectuels participent souvent à leur manière ambigüe à l’élection de Mister Univers pour la taille présumée de leur cerveau plutôt que de leurs biceps. Néanmoins, les muscles du corps on les voit, on peut les évaluer dans ce ridicule exhibitionnisme machiste qui fait des hommes et des femmes des objets étalés et fétichisés. La taille des cerveaux, en revanche, est imaginaire et n’est pas déterminante pour la réussite concrete d’individus gavés de volonté de pouvoir et éblouis par un rêve de puissance qui tourne souvent au cauchemar.

La tendance animale à la prédation et à la domination qui la favorise a fait depuis toujours partie de l’action vitale des humains en se mélangeant avec leur tendance orgastique à se nourrir d’entraide et d’empathie complice. L’être humain inachevé est capable de tout et très souvent de si peu. Asservi au fascisme caractériel d’un productivisme suprematiste, complice du capitalisme, des politiciens, des journalistes, des policiers payés pour imposer un monde pourri autant aux serviteurs volontaires qu’aux révoltés, l’intellectuel participe par le discours à la compétition pour une place au soleil quand il fait froid et une place à l’ombre en occasion de la canicule. Un poing dans la gueule et la propagande publicitaire d’une idée, peu importe si fausse pourvu qu’elle soit incisive, contribuent également à installer la domination et à profiter de l’imposition d’un privilège, quel qu’il soit.

Ainsi l’interprétation du monde contribue souvent à en préserver la monstruosité tout en affermant par les mots une volonté émancipatrice. Pour avoir une place à côté du Prince, ou du moins sa protection, il faut expliquer à la populace que sa soumission est nécessaire à son bien. Menenius Agrippa fut un exemple ancien de cette éternelle gestion du pouvoir que les puissants exercent depuis qu’une hiérarchie sociale marchande a délégué à l’Etat la gestion de l’esclavage[1].

Dans une Rome à peine républicaine mais qui louchait déjà au futur empire à venir, Agrippa, cet intellectuel patricien, expliqua aux plébéiens romains en grève que le ventre patricien nourrit les membres plébéiens du corps politique. Dans Salaire, prix et profit (1865), Marx remarque qu’Agrippa n'a cependant pas réussi à démontrer que les membres d'un homme se nourrissent lorsque le ventre d'un autre est rempli.

Mais revenons à nos moutons postmodernes et à leur exploitation. Regardez donc les nouveaux empereurs capitalistes qui se succèdent, autocrates ou démocrates, royalistes ou républicains, l’un pire que l’autre, dégoutants, écœurants, aussi méprisants qu’aveugles, provocateurs et inconsciemment imprudents, car humilié et réduit à la bête le peuple peut devenir très méchant.

Le pouvoir peut tuer quelques uns, écraser beaucoup de monde, mais à la fin les dictateurs, même dans leur version spectaculaire, ne gagnent pas. Leur domination est contrenature, nihiliste. Ce sera la vie et avec elle l’humanité qui triomphera sur tous les despotes, sur tous les tyrans ; ou alors ce sera la fin de l’espèce humaine, le désert du transhumanisme, l’idiotie de l’intelligence artificielle. Choisissez donc votre combat, les humains et les humaines, pendant que la lave coule sur Pompéi et aux alentours.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, Ides de mars 2023



[1] Cette extrème domination de la prédation et du suprématisme concerne l’espèce humaine depuis sa naissance. Car les sociétés sans État exerçaient aussi, assez souvent mais pas partout ni toujours, l’esclavage. Qu’on se trompe pas : l’Etat fut une invention crucial pour le développement de la civilisation productiviste, mais la pulsion de domination existait déjà partout où l’humanité a privilégié une version patriarcale de sa volonté de dépassement de l’animalité primitive.