giovedì 20 agosto 2020

Manifesto spartachista ai lavoratori del mondo

 

Germania un Winter`s Racconto, 1919 di George Grosz (1893-1959, Germany) |  | ArtsDot.com

Oltre al suo evidente valore storico alla fine della prima guerra mondiale, questo manifesto è stato anche uno fra gli ultimi scritti firmati da Rosa Luxembourg e Karl Liebknecht prima della loro esecuzione voluta dalla socialdemocrazia tedesca (NdT).

La rivoluzione è scoppiata in Germania. Le masse si sono sollevate: i soldati che per quattro anni erano stati inviati al macello dagli speculatori capitalisti, gli operai che erano stati sfruttati, oppressi, affamati. Quel terribile strumento di oppressione, quel flagello del genere umano che era lo Stato prussiano è stato abbattuto; i suoi rappresentanti più indicativi e più responsabili della guerra – il Kaiser e il Kronprinz (principe ereditario) – hanno dovuto fuggire mentre in tutta la Germania si costituivano Consigli di operai e di soldati.

Lavoratori di tutti i paesi! Noi non affermiamo che il potere è ora in Germania totalmente nelle mani delle masse lavoratrici né che la rivoluzione proletaria ha ottenuto una vittoria completa. Tutti quei socialisti che nel 1914 abbandonarono il nostro tesoro più prezioso e tradirono al contempo la classe operaia tedesca e l’Internazionale, sono tuttora al governo.

Ora, però, lavoratori di tutto il mondo, gli operai tedeschi si rivolgono direttamente a voi e noi crediamo di avere il diritto di presentarci a voi in loro nome. Fin dai primi giorni della guerra abbiamo tentato di compiere il nostro dovere d’internazionalisti combattendo con tutte le nostre forze questo governo criminale, smascherandone la vera natura di criminale, reo di questa guerra.

Noi siamo adesso giustificati davanti alla storia, all’Internazionale, ai lavoratori tedeschi. Le masse hanno approvato la nostra politica con entusiasmo e ogni giorno un numero crescente di gruppi riconosce che è giunta l’ora di saldare i conti con la classe capitalista dominante. La classe lavoratrice tedesca non può, però, condurre trionfalmente in porto questa grande impresa da sola; può lottare e vincere soltanto con la collaborazione dei lavoratori del mondo intero.

Compagni dei paesi belligeranti! Riconosciamo tutta la difficoltà della vostra attuale condizione; sappiamo benissimo che proprio adesso i vostri governi, avendo vinto, stanno abbacinando la mente popolare con lo splendore apparente della gloria e della vittoria; sappiamo che per effetto di questi successi militari sono in grado di far dimenticare ai popoli le cause e gli scopi di quest’assassinio. Sappiamo, però, anche qualcos’altro. La nostra classe lavoratrice è stata terribilmente sacrificata ed è stanca di quest’orribile carneficina; tornando alle sue case trova solo povertà e miseria mentre sa che i miliardi si sono accumulati nelle mani di certi capitalisti; capisce e sa che anche il nostro governo ha appoggiato la guerra nell’interesse dei portafogli rigonfi. Riconosce, altresì, che i vostri governi, come il nostro, hanno in mente soltanto i benefici della classe capitalista quando parlano dei “diritti della civiltà”, della “difesa delle piccole nazioni”. Il proletariato del vostro paese capirà che la pace del cosiddetto diritto della “Società delle Nazioni” conduce alla stessa vile e meschina rapacità della pace di Brest-Litovsk. Qui come là, la stessa avidità sfacciata, la stessa prontezza a opprimere, la stessa decisione nello sfruttare fino agli estremi limiti la supremazia brutale delle armi omicide. L’imperialismo di tutti i paesi non sa che cosa voglia dire la parola “conciliazione”. Conosce soltanto un diritto: i profitti della classe capitalista; un solo linguaggio: quello della spada; un solo mezzo: la violenza. E quando nei vostri paesi come nel nostro, si parla di una “Lega delle Nazioni”, di “disarmo”, dei “diritti delle piccole nazioni”, della “libertà dei popoli di disporre di se stessi”, non si fa che ripetere le solite menzogne delle classi dominanti, utili come sonnifero per la vigile attenzione del proletariato.

Lavoratori di tutti i paesi! Questa guerra deve essere l’ultima. Questo almeno dobbiamo ai dodici milioni di vittime assassinate, ai nostri figli, all’umanità.

Se i rappresentanti delle classi lavoratrici stendessero le loro mani per conseguire la pace sotto la bandiera del socialismo, essa sarebbe conclusa in poche ore: non vi sarebbero divergenze riguardo alla riva sinistra del Reno, la Mesopotamia, l’Egitto o le colonie. Non vi sarebbe che un popolo: l’umanità lavoratrice di tutte le razze e di tutte le lingue. Vi sarebbe un solo diritto: l’uguaglianza di tutti gli esseri umani; un solo scopo: la prosperità e il progresso di tutti.

Il genere umano ha di fronte due alternative: la dissoluzione nell’anarchia capitalista o la rinascita per mezzo della rivoluzione sociale. L’ora della decisione è suonata! Se avete fede nel socialismo, è ora di provarlo con i fatti! ...

Lavoratori di tutti i paesi! Se oggi noi vi chiamiamo a una lotta comune, non è nell’interesse dei capitalisti tedeschi che cercano di sottrarsi alle conseguenze del loro delitto designandosi come “nazione tedesca”; no, lo facciamo solo nell’interesse tanto nostro che vostro. Riflettete! I vostri capitalisti trionfanti sono pronti a soffocare nel sangue la nostra rivoluzione per la quale provano altrettanto sgomento che per la vostra. Voi stessi, come frutto della “vittoria” non avete maggior libertà; anzi, la “vittoria” ha rinsaldato le vostre catene. Se le vostre classi governanti riescono a soffocare la rivoluzione proletaria in Germania come in Russia, si rivolgeranno poi contro di voi con maggiore ferocia. I vostri capitalisti sperano che la vittoria su di noi e sulla rivoluzione russa permetta loro di punire voi e di stabilire sulla tomba del socialismo, un impero, un millennio di sfruttamento! Ecco perché vi gridiamo: avanti, alla lotta! Avanti, all’azione! Non è più il tempo delle vuote manifestazioni, delle deliberazioni platoniche, delle frasi squillanti: per l’Internazionale è suonata l’ora dell’azione. Noi vi sproniamo a eleggere ovunque dei Consigli di operai e di soldati che s’impadroniscano del potere politico e ristabiliscano la pace agendo di comune accordo.

Né Lloyd George, né Poincaré, né Sonnino, né Wilson, né Erzberger, né Scheidemann dovrebbero stipulare la pace. Questa dovrebbe essere stabilita soltanto sotto le bandiere della rivoluzione socialista mondiale.

Lavoratori di tutti i paesi! Noi vi chiamiamo a compiere il lavoro della liberazione socialista; a ridare un’organizzazione al genere umano violentato e a tradurre in realtà la frase con cui già un tempo usavamo salutarci prima di separarci: “L’internazionale salverà il genere umano!”.

Firmatari: Clara Zetkin, Rosa Luxembourg, Karl Liebknecht, Franz Mehring

 Sciopero generale, Germania 1919 | Collettivo Comunista Tazebao

MANIFESTO “NEOSPARTACHISTA”

AI LAVORATORI/CONSUMATORI DEL MONDO

Proposta di détournement del manifesto spartachista ai tempi della “guerra”del virus. Sergio Ghirardi, Agosto 2020

Lo spirito di rivolta ricomincia a circolare nel mondo. Le masse cominciano appena a sollevarsi in modo nuovo, con una nuova sensibilità, con una nuova coscienza di specie affiorante contro un capitalismo che sfrutta, opprime, affama, aliena, inquina e fa morire più che mai. Quel terribile strumento di oppressione, quel flagello del genere umano che sono i singoli Stati mascherati da nazioni, ha distrutto la comunità umana nel locale, nel nazionale e nell’internazionale.

Il produttivismo non era abbastanza contento di avere ridotto gli insediamenti locali – i borghi, le città, poi le regioni – a Città-Stato mercantili et guerriere, di avere poi fatto un uso ideologico della nazione per imporre – tra feudalesimo e capitalismo – quegli Stati-Nazione che hanno fatto del nazionalismo una paranoia fascista dissimulatrice di un becero statalismo predatore. Ha infine inventato il super Stato europeo la cui logica totalitaria ha definitivamente decomposto le nazioni di origine, facendo risorgere per reazione, peste contro peste, un’ottusa retorica sovranista che non ha nulla a che fare con la nazione organica. Quest’ultima, infatti, è stata – e potrebbe esserlo ancora, una volta liberata della connotazione reazionaria che oggi la inquina irrimediabilmente – un passaggio obbligato dal locale al planetario, dal particolare all’universale. Essa rappresenta, infatti, un momento di sintesi progressiva e di superamento dialettico del clan d’appartenenza primario, successivamente allargatosi alla gens (il génos greco) e in seguito alla tribù, poi alla dimensione regionale e finalmente, appunto, alla nazione intesa nel senso datole, per esempio, dai popoli originari d’America che la civiltà produttivista ha sterminato quasi totalmente nell’arco di tempo di meno di un secolo.

Guarda caso, questo genocidio statalista programmato è stato immortalato dal cinema hollywoodiano con La Nascita di una nazione (Birth of a Nation, D. W. Griffith, 1915). Così, gli Stati Uniti, effettivamente nascenti, si sono presentati – ancora una volta come tutti i loro predecessori e i loro eredi suprematisti a venire – sotto l’apparenza illusoria di quella nazione organica che stavano sterminando, segregando in ghetti concentrazionari chiamati riserve i sopravvissuti delle nazioni autoctone d’origine del nuovo continente.

Dovunque sul pianeta, sono le nazioni indigene delle civiltà antiproduttiviste (un esempio tra i tanti, gli Irochesi, la cui Confederazione includeva cinque nazioni), che ci mancano crudelmente per rompere con una civiltà predatrice di cui restiamo figli anche dopo aver letto Marx e la sua pertinente critica radicale dell’economia politica.

Dentro e oltre il marxismo, infatti, la rivoluzione sociale deve ancora riappropriarsi del concetto di società organica e, precisando il suo sviluppo storico, distinguere la nazione organica da quella politica che implica lo Stato predatore e imperialista della civiltà produttivista. Questa confusione coltivata fin dalla nascita dello Stato, passato dal controllo delle città a quello delle nazioni praticando cinicamente la stessa logica imperialista, è alla radice del sovranismo. Trionfante ieri, il nazionalismo più becero piagnucola o sbraita oggi contro il totalitarismo europeo per opporgli un ritorno ai colonialismi nazionali passati che hanno reso malato l’intero pianeta praticandovi i genocidi, lo schiavismo e lo sfruttamento.

Liberata, e noi con lei, dalla peste emozionale produttivista, la nazione organica è incompatibile con lo Stato e non ha nulla a che vedere con il nazionalismo che è nei fatti un’ideologia suprematista dello Stato travestitosi in nazione. In origine, quest’ultima è, infatti, l’affermazione dell’identità collettiva mobile di un soggetto non suprematista, aperto e costantemente cangiante per il contributo di rinnovamento culturale che i movimenti di popolazione possono, eventualmente, apportargli; questa nazione, oggi annichilita, come tutto l’umano, dalla civiltà produttivista e dalla sua peste emozionale sociale e politica, è un punto nodale cruciale che dal locale permette il passaggio a quell’universalità che gli internazionalisti hanno sempre sostenuto, includendo il concetto di nazione che volevano superare dialetticamente.

Così l’abrogazione dell’attuale super Stato Europeo sarà l’atto preparatorio di una vera Organizzazione delle Nazioni Unite planetaria il cui internazionalismo impedirà il ritorno al passato sognato da tutti i fascismi.

Così, per esempio, nessuna nazione detta “indiana” ha mai voluto eliminare i suoi vicini. Come sempre e dovunque nelle società organiche, le guerre erano unicamente dei conflitti tribali per la difesa dei territori di raccolta, di coltivazione e di caccia che le società matricentriche sapevano spesso regolare senza ricorso alla violenza bruta[1].

Così gli zapatisti hanno per loro difesa un esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN), pur professandosi assolutamente e fortemente internazionalisti; così al Rojava, dove si aborre il patriarcato che dell’ambiguo connubio tra Stato e nazione ha fatto il totem moderno del suo suprematismo predatore, si rivendica una storia peculiare curda pur nell’intesa tra le numerose culture ed etnie presenti.

La riappropriazione libertaria del concetto antropologico di nazione organica permetterebbe di riconoscersi uguali internazionalmente appunto perché la storia delle nazioni organiche è quella dell’aiuto reciproco, della solidarietà e degli affetti ricambiati che costituiscono un popolo in quanto tale. Questa nazione non ha nemici se non i suoi aggressori, non esclude lo straniero che arriva amichevolmente, esule o semplicemente in viaggio.

Mentre lo Stato, patriarcale per natura, attacca, preda e ghettizza, la nazione, matricentrica, non fa che difendere la sua vita per esistere in natura. Essa non è altro che l’identificazione riconosciuta da un popolo del luogo, cibo, lingua, costumi, cultura, gusti comuni, il tutto in costante mutazione per un’evoluzione condivisa in mezzo ad altre storie diverse e altrettanto rispettabili. Ecco perché il concetto di nazione organica riguarda la nascente rivoluzione mondiale antiproduttivista: perché un movimento a vocazione planetaria non può che partire dal locale percorrendo sintesi dialettiche successive di cui la nazione è un passaggio inevitabile.

La crisi del coronavirus è stata un rivelatore potente e definitivo del cinismo e del pericolo della società dominante per la nostra sopravvivenza e per la nostra salute. La gente di potere mente come respira. In ogni nazione colpita dal virus, dei gruppi di affinità spontanei[2] hanno costituito briciole preziose di comunità umana reale e hanno risposto con coraggio e abnegazione all’indecenza burocratica di politici e di baroni della medicina sul libro paga delle multinazionali farmaceutiche che dai loro trespoli mediatici difendevano il sistema globale manipolando la plebe, le sue paure giustificate e il suo irrazionalismo gregario capace di tutti i deliri mistici.

L’umano e il disumano non si possono più confondere in un magma consumistico che ha ridotto gli umani a schiavi reali di un’apparenza di cui la rete numerica è la nostra nuova prigione. Il vomito discorsivo dei “socials”virtuali fa sì che ormai più nessuno è abilitato a parlare in nome dei lavoratori/consumatori schiavi di una merce feticizzata. Passando per i computer e i telefonini, la merce ha invaso il pianeta, le menti e i cuori, i sentimenti e la sessualità, l’universo e il quotidiano. Nessuna rivoluzione sarà più possibile se non a partire dalle Comuni locali, da gruppi di affinità vissuta nel quotidiano di ogni soggetto, per arrivare, di assemblea in assemblea, al planetario, all’universale internazionalista.

L’emancipazione del proletariato assoluto creato dal capitale finanziario sarà l’opera della sua autorganizzazione senza partiti di destra o di sinistra, di dio o del diavolo, fascisti o socialisti, che pretendano di guidarlo verso giorni più felici decisi dall’alto, qualunque sia l’alto in questione, Dio, il capo di Stato, il computer o il telefono portatile. Solo i Consigli di gruppi d’affinità locali federati sempre meglio e sempre di più, a tutti i livelli della sfera sociale, coscienti che la loro autonomia è necessaria alla libertà di tutti, potranno soppiantare la truffa della democrazia parlamentare e l’ipnosi del mondo virtuale, realizzando il sogno infranto dalle rivoluzioni sedicenti comuniste del tragico ventesimo secolo.

Lavoratori/consumatori di tutti i paesi! Questa guerra deve essere l’ultima. Questo almeno dobbiamo ai nostri figli, all’umanità, ai morti di tutte le rivoluzioni fallite, a quelli di corona virus, delle patologie cancerogene e delle altre pesti dovute all’industrializzazione, ai miliardi di sfruttati senza vergogna, a tutte le vittime delle nocività che il produttivismo nella sua fase terminale capitalista ci impone come una forma di sfruttamento aggiunto a quello tradizionalmente subito e combattuto dal movimento operaio di un tempo.

Come la socialdemocrazia tedesca ha assassinato i rivoluzionari spartachisti, i socialisti di oggi sono complici di tutti i servi del sistema che distrugge la biosfera, inquina il pianeta, aumenta la crisi climatica ben oltre i suoi aspetti naturali e prepara come unica fine del capitalismo quella dell’umanità che lo subisce da secoli. La questione ecologica è troppo importante per lasciarla nelle mani degli ambientalisti, appropriamocene collettivamente come cuore della questione sociale, per una difesa concreta dell’ecosistema, introducendo dei Consigli delle Comuni, delle regioni e così via fino a una coerente azione planetaria che instauri, senza tentennamenti, un’autogestione generalizzata della vita quotidiana.

A differenza dei teorici di un tempo che criticavano il capitalismo senza mai mettere in discussione il produttivismo, noi – gruppi di affinità in via di costituzione per una democrazia diretta che cancelli l’attuale democrazia totalitaria –, vi chiediamo di riflettere e capire che produrre per il bene di tutti o produrre per arricchire l’economia politica e l’oligarchia che ne approfitta sono due mondi ancora più inconciliabili di quanto lo fossero la classe dominante borghese e la classe dominata del proletariato.

Oggi è direttamente e definitivamente la società umana organica, capace d’inventare soluzioni nuove ai problemi antichi, che riaffiora dai ricorsi della storia, senza nessuna concessione al primitivismo, per criticare la società mostruosa che il Leviatano produttivista ha realizzato come risultato finale di millenni di schiavitù e gerarchie di potere. Alla loro orrenda visione del progresso noi risponderemo con la nostra rivoluzione acratica, senza vendette né punizioni – soltanto l’abolizione definitiva, decisa collettivamente, di un mondo invivibile e intollerabile, sostituito da quella società organica messa al bando da sei millenni di produttivismo.

Le masse cominciano a muoversi con entusiasmo e non solo con rabbia, nonostante l’educazione atavica alla logica del dominio gerarchico che forgia dei servi aditi alla sottomissione e allo sfruttamento sia da parte dei padroni dell’economia che dei burocrati di una rivoluzione sociale tradita e tradotta in un capitalismo di Stato. Ad altri stabilire dalle loro soporifere poltrone intellettuali se questo progetto sia troppo ottimista o troppo pessimista, troppo pacifico o troppo violento; limitiamoci a scommettere, senza certezze ma neppure piagnucolii, sulla volontà di finirla con le sconfitte tragiche che il fascismo rosso dell’ideologia rivoluzionaria ha offerto al fascismo nero dei capitalisti fieri di esserlo e agli eserciti bianchi di servitori volontari che marciano senza capire dove vanno.

Compagni di tutti i paesi, di tutte le nazioni colpite ora da un virus planetario, il nostro comune interesse è di rimettere la vita al centro del progetto sociale al posto dell’economia che ne fa le veci da troppo tempo, sempre di più e sempre peggio. Nessuna ideologia ci libererà, solo la nostra voglia concreta di vivere in fraternità, libertà e uguaglianza. Nessuno ci obbligherà a ciò se non la coscienza che al di fuori di questa solidarietà comune c’è solo la morte in attesa. Nessun progresso potrà più venderci l’alienazione come un affare redditizio, la perdita del proprio essere come un vantaggio calcolabile in averi che crescono a dismisura, lasciando sempre più posto all’apparenza. Alla fine di quest’ipnosi collettiva, c’è soltanto quella morte che fa paura e che ride di noi, umiliati sotto la maschera che ci protegge un po’ (almeno dalle multe a chi non la porta), ma non abbastanza. Ci stiamo rendendo conto, volenti o nolenti, che la morte è resa ben peggiore dal fatto di aver rinunciato alla vita inginocchiandosi di fronte al feticcio della merce che sta rendendo virtuale la nostra stessa esistenza.

Lavoratori/consumatori di tutti i paesi! Noi vi chiamiamo a compiere il lavoro della liberazione sociale; a ridare un’organizzazione al genere umano violentato e a tradurre in realtà la frase con cui già un tempo usavamo salutarci prima di separarci: “L’internazionale salverà il genere umano!”.



[1] L’incremento maggiore alle guerre tra i popoli è stato dato, infatti, dal bisogno di racimolare schiavi e schiave per far funzionare al massimo il pesante lavoro agricolo produttivista.

[2] Il pensiero va al personale medico, mal protetto, che ha curato i malati infettati anche in forme gravi e a volte mortali, ma anche ai lavoratori della distribuzione dei beni di consumo necessari, solidali con i consumatori obbligati a frequentare i supermercati per sopravvivere durante il confinamento.

    

the eclipse of the sun, 1926 di George Grosz (1893-1959, Germany ...


Manifeste spartakiste aux travailleurs du monde

Au-delà de son évident intérêt historique à la fin de la première guerre mondiale, ce manifeste fut aussi un des derniers écrits signés par Rosa Luxembourg et Karl Liebknecht avant leur exécution voulue par les sociaux-démocrates allemands (NdT).

 

La révolution a éclaté en Allemagne. Les masse se sont soulevées : les soldats qui pendant quatre années avaient été envoyés au massacre par les spéculateurs capitalistes, les ouvriers qui avaient été exploités, opprimés, affamés. Ce terrible instrument d’oppression, ce  fléau de l’être humain qui était l’Etat prussien a été abattu ; ses représentants les plus significatifs et les plus responsables de la guerre – le Kaiser et le Kronprinz (prince héritier) – ont du s’enfuir alors que partout en Allemagne se constituaient des Conseils ouvriers et de soldats.

Travailleurs de tous les pays ! Nous ne disons pas que maintenant le pouvoir en Allemagne est totalement dans les mains des masses travailleuses ni que la révolution prolétaire a obtenu une complète victoire. Tous ces socialistes qui en1914 abandonnèrent notre trésor le plus précieux et trahirent en même temps la classe ouvrière allemande et l’Internationale, sont toujours au gouvernement.

Maintenant, toutefois, travailleurs de tout le monde, les ouvriers allemands vous interpellent directement et nous croyons d’être en droit de nous présenter à vous en leur nom. Depuis les premiers jours de la guerre nous avons essayé d’accomplir notre devoir d’internationalistes en combattant avec toutes nôtres forces ce gouvernement criminel, en démasquant sa vraie nature criminelle, coupable de cette guerre.

Nous sommes maintenant justifiés devant l’histoire, l’Internationale, les travailleurs allemands. Les masses ont approuvé notre politique avec enthousiasme et chaque jour un nombre croissant de groupes reconnait que l’heure est arrivée de régler les comptes avec la classe capitaliste dominante. La classe travailleuse allemande ne peut pas, néanmoins, conduire toute seule triomphalement à bon fin cette grande entreprise, elle peut se battre et gagner uniquement avec la collaboration des travailleurs du monde entier.

Camarades des pays en guerre ! Nous reconnaissons toute la difficulté de votre condition actuelle ; on sait très bien que juste maintenant, vos gouvernements, en ayant gagné, sont en train d’éblouir les idées populaires avec la splendeur apparente de la gloire et de la victoire ; on sait qu’à cause de ses succès militaires ils peuvent faire oublier aux peuples les causes et les buts de cet assassinat. On sait, néanmoins, aussi autre chose. Notre classe travailleuse a été terriblement sacrifiée et elle est fatiguée de cet horrible carnage ; revenant à la maison elle ne trouve que pauvreté et misère alors qu’elle sait que les milliards se sont accumulés dans les mains de certains capitalistes ; elle comprend et sait que même notre gouvernement a appuyé la guerre dans l’intérêt des portefeuilles bien remplis. Elle reconnaît, d’ailleurs, que vos gouvernements, comme le notre, ne pensent qu’aux bénéfices de la classe capitaliste quand ils parlent des « droits de la civilisation », de la « défense des petites nations ». Le prolétariat de votre pays comprendra que la paix du soi-disant droit de la « Société des Nations » conduit à la même lâche et vulgaire rapacité de la paix de Brest-Litovsk. Ici comme là, la même avidité sans gène, la même promptitude à opprimer, la même détermination à exploiter jusqu’aux limites extrêmes la brutale supériorité des armes homicides. L’impérialisme de tous les pays ne sait pas ce que signifie le mot « conciliation ». Il ne connaît qu’un droit : les profits de la classe capitaliste ; un seul langage : celui de l’épée ; un seul moyen : la violence. Et quand dans vos pays comme dans le notre, on parle d’une « Ligue des nations » de « désarmement », de « droits des petites nations », de la liberté des peuples à disposer d‘eux-mêmes » on ne fait que répéter les mensonges habituelles des classes dominantes, utiles comme somnifère pour l’attention vigile du prolétariat.

Travailleurs de tous les pays ! Cette guerre doit être la dernière. On doit au moins ça aux douze millions de victimes assassinées, à nos enfants, à l’humanité.

Si les représentants des classes travailleuses étendraient leurs mains pour obtenir la paix sous le drapeau du socialisme, elle serait chose faite en quelques heures ; pas de divergences concernant la rive gauche du Rhin, la Mésopotamie, l’Egypte ou les colonies. Il n’y aurait qu’un peuple : l’humanité travailleuse de toutes les races et de toutes les langues. Il y aurait un seul droit : l’egalité de tous les êtres humains ; un seul but : la prospérité et le progrès pour tous.

Le genre humain a en face de lui deux possibilités : la dissolution dans l’anarchie capitaliste ou la renaissance par la révolution sociale. L’heure de la décision est sonnée ! Si vous croyez dans le socialisme c’est l’heure de le prouver par les faits ! …

Travailleurs de tous les pays ! Si nous vous appelons aujourd’hui à une lutte commune, ce n’est pas dans l’intérêt des capitalistes allemands qui cherchent de se soustraire aux conséquences de leur délit en se désignant comme « nation allemande » ; non, nous le faisons uniquement dans votre intérêt autant que du nôtre. Réfléchissez ! Vos capitalistes triomphants sont prés à étouffer dans le sang notre révolution pour laquelle ressentent autant d’effroi que pour la votre. Vous-mêmes, comme fruit de la « victoire » vous n’avez pas une majeure liberté ; au contraire, la « victoire » a renforcé vos chaines. Si vos classes gouvernantes arrivent à suffoquer la révolution prolétaire en Allemagne comme en Russie, ils se dirigeront après contre vous avec une plus grande férocité. Vos capitalistes espèrent que la victoire sur nous et sur la révolution russe leur permettra de vous punir et d’établir sur la tombe du socialisme, un empire, un millénaire d’exploitation ! Voilà pourquoi on vous crie : avant, à la lutte ! Avant, à l’action ! Ce n’est plus le temps aux manifestations vides, aux délibérations platoniques, aux phrases sonores : pour l’Internationale a sonne l’heure de l’action. Nous vous invitons à élire partout des Conseils d’ouvriers et de soldats qui s’emparent du pouvoir politique et rétablissent la paix en agissant de commun accord.

Ni Lloyd George, ni Poincaré, ni Sonnino, ni Wilson, ni Erzberger, ni Scheidemann devraient signer la paix. Celle-ci devrait être conclue uniquement sous les drapeaux de la révolution socialiste mondiale.

Travailleurs de tous les pays ! Nous vous appelons à accomplir le travail de la liberation socialiste, a redonner une organisation au genre humain violenté et à traduire en réalité la phrase qu’on utilisait déjà auparavant pour nous saluer avant de se séparer : « L’Internationale sauvera le genre humain ! ».

 

Signataires : Clara Zetkin, Rosa Luxembourg, Karl Liebknecht, Franz Mehring

 

Rivolta spartachista - Wikipedia

 

Manifeste « néo spartakiste » aux travailleurs/consommateurs du monde

Proposition de détournement du manifeste spartakiste à l’époque de la « guerre » au virus. Sergio Ghirardi, Aout 2020

L’esprit de révolte recommence à circuler dans le monde. Les masses commencent à peine à se soulever de façon nouvelle, avec une nouvelle sensibilité, avec une nouvelle conscience d’espèce émergeant contre un capitalisme qui exploite, opprime, affame, aliène, pollue et fait mourir plus que jamais. Ce terrible instrument d’oppression, ce fléau du genre humain que sont les Etats – chacun d’eux individuellement– affublés en nations, a détruit la communauté humaine au niveau local, national et international.

Le productivisme n’était pas assez satisfait d’avoir réduit les installations locales – les bourgs, les villes, puis les régions – à des Cités-Etat marchandes et guerrières ; d’avoir ensuite fait une utilisation idéologique de la nation pour imposer – entre féodalisme et capitalisme – ces Etats-Nation qui ont fait du nationalisme une paranoïa fasciste dissimulatrice d’un vulgaire étatisme prédateur. Il a finalement inventé le super Etat européen dont la logique totalitaire a définitivement décomposé les nations d’origine, en faisant ressurgir par réaction, peste contre peste, une obtuse rhétorique souverainiste qui n’a rien à faire avec la nation organique. En fait, celle-ci a été – et elle pourrait encore être, une fois libérée de la connotation réactionnaire qui la pollue aujourd’hui irrémédiablement – un passage obligé du local au planétaire, du particulier à l’universel. Car elle représente un moment de synthèse progressive et de dépassement dialectique du clan d’appartenance primaire, élargi ensuite à la gens (le génos grec) puis à la tribu et à une dimension régionale et enfin, justement, à la nation entendue dans le sens, par exemple, des peuples originaires d’Amérique que la civilisation productiviste a exterminé presque totalement pendant la période d’un petit siècle.

Quel hasard que ce génocide étatiste programmé ait été immortalisé par le cinéma hollywoodien par La naissance d’une nation (Birth of a Nation, D. W. Griffith, 1915). Ainsi, les Etats Unis, effectivement naissants, se sont présentés – une fois de plus, comme tous leur prédécesseurs et leurs héritiers suprématistes à venir –- affublés de l’apparence trompeuse d’une nation organique qu’ils étaient en train d’exterminer en ségrégant dans des ghettos concentrationnaires appelés réserves les rescapés des authentiques nations autochtones d’origine du nouveau continent.

Partout sur la planète, ce sont les nations indigènes des civilisations anti productivistes (un exemple entre autres, les Iroquois dont la Confédération incluait cinque nations) qui nous manquent cruellement pour rompre avec une civilisation prédatrice dont nous restons les fils même après avoir lu Marx et sa pertinente critique radicale de l’économie politique.

Dedans et au-delà du marxisme, en fait, la révolution sociale doit encore se réapproprier du concept de société organique et, en précisant son développement historique, distinguer la nation organique de la nation politique qui implique l’Etat prédateur et impérialiste de la civilisation productiviste. Cette confusion entretenue depuis la naissance de l’Etat, passé du contrôle des cités à celui des nations par la pratique cynique de la même logique impérialiste, est à la racine du souverainisme. Hier triomphant, le nationalisme le plus grossier pleurniche ou braille aujourd’hui contre le totalitarisme européen pour lui opposer un retour aux colonialismes nationaux passés qui ont rendue malade la planète entière en y pratiquant les génocides, l’esclavagisme et l’exploitation.

Libérée, et nous avec elle, de la peste émotionnelle productiviste, la nation organique est incompatible avec l’Etat et n’a rien à voir avec le nationalisme qui est, en fait, une idéologie suprématiste de l’Etat déguisé en nation. Car celle-ci est, en origine, l’affirmation de l’identité collective mouvante d’un sujet non suprématiste, ouvert et constamment changeant par la contribution de renouvèlement culturel que les mouvements des populations peuvent, éventuellement, lui apporter ; cette nation, aujourd’hui annihilée, comme tout l’humain, par la civilisation productiviste et sa peste émotionnelle sociale et politique, est un nœud crucial que du local permet le passage à cette universalité que les internationalistes ont toujours soutenu, en incluant le concept de nation qu’ils voulaient dépasser dialectiquement.

Ainsi l’abrogation du super Etat Européen sera l’acte préparatoire d’une vraie Organisation des Nations Unies planétaire dont l’internationalisme empêchera le retour au passé rêvé par tous les fascismes.

Ainsi, par exemple, aucune nation dite« indienne » n’a jamais voulu éliminer ses voisins. Comme depuis toujours et partout dans les sociétés organiques, les guerres étaient uniquement des conflits tribaux pour la défense des territoires de cueillette, de culture et de chasse que les sociétés matri centriques savaient souvent régler sans recours à la violence brutale[1].

Ainsi les zapatistes ont pour leur défense, une Armée zapatiste de liberation nationale (EZLN), tout en se professant absolument et fortement internationalistes ; ainsi au Rojava, tout en conchiant le patriarcat qui a fait de l’ambigu mélange d’Etat et nation le totem moderne de son suprématisme prédateur, on revendique une histoire particulière kurde dans l’entente, néanmoins, entre les nombreuses cultures et ethnies présentes.

La réappropriation libertaire du concept anthropologique de nation organique permettrait de se reconnaître égaux internationalement car, justement, l’histoire des nations organiques est celle de l’entraide, de la solidarité et des affections réciproques qui constituent un peuple en tant que tel. Cette nation n’a pas d’ennemis sinon ses agresseurs, n’exclue jamais l’étranger qui arrive amicalement, exilé ou simple voyageur.

Alors que l’Etat, patriarcal par nature, attaque, pille et bâtit des ghettos, la nation, matri centrique, ne fait que défendre sa vie pour exister en nature. Elle n’est rien d’autre que l’identification reconnue par un peuple du lieux, nourriture, langue, mœurs, culture, goûts communs, le tout en perpétuelle mutation par une évolution partagée côtoyant d’autres histoires differentes et aussi respectables. Voilà pourquoi le concept de nation organique concerne la naissante révolution mondiale anti productiviste : parce qu’un mouvement à vocation planétaire ne peut que partir du local parcourant des synthèses dialectiques successives dont la nation est un passage incontournable.

La crise du Coronavirus a été un révélateur puissant e définitif di cynisme et du danger de la société dominante pour notre survie et pour notre santé. Les gens du pouvoir mentent comme ils respirent. Dans chaque nation frappée par le virus, des groupes d’affinité spontanés[2] ont constitué des miettes précieuses de communauté humaine réelle en répondant avec courage et abnégation à l’indécence bureaucratique des politiciens et des barons de la médicine au solde des multinationales pharmaceutiques qui del leurs perchoirs médiatiques défendaient le système global manipulant la plèbe, ses peurs justifiées et son irrationalisme grégaire capable de tous les délires mystiques .

L’humain et l’inhumain ne peuvent plus être confondus dans un magma consumériste qui a réduit les humains à des esclaves réels d’une apparence dont le réseau numérique est notre nouvelle prison. A la suite du vomi discursif des « socials » virtuels, plus personne, désormais, est habilité à parler au nom des travailleurs/consommateurs esclaves de la marchandise fétichisée. Laquelle, passant par les ordinateurs et les téléphones portables, a envahi la planète, les cerveaux et les cœurs, les sentiments et la sexualité, l’univers et le quotidien. Aucune révolution ne sera plus possible sinon à partir des Communes locales, de groupes d’affinité vécue dans le quotidien de chaque sujet, pour arriver, d’assemblée en assemblée, au planétaire, à l’universel internationaliste.

L’émancipation du prolétariat absolu crée par le capital financier sera l’œuvre de son auto organisation sans partis de droite ou de gauche, de dieu ou du diable, fascistes ou socialistes qui prétendent de le conduire vers des jours plus heureux décidés par le haut, peu importe de quel haut est-il question, Dieu, le chef de l’Etat, l’ordinateur ou le telephone portable. Seuls les Conseils de groupes d’affinités locaux fédérés toujours mieux et toujours plus, à tous les niveaux de la sphère sociale, conscients que leur autonomie est nécessaire à la liberté de tous, pourront supplanter l’arnaque de la démocratie parlementaire et l’hypnose du monde virtuel, en réalisant le rêve brisé par les révolutions soi-disant communistes du tragique vingtième siècle.

Travailleurs/consommateurs de tous les pays ! Cette guerre doit être la dernière. On doit au moins ça à nos enfants, à l’humanité, aux morts de toutes les révolutions ratées, à ceux du coronavirus, des pathologies cancérigènes et des autres pestes dues à l’industrialisation, aux milliards d’exploités sans vergogne, à toutes les victimes des nuisances que le productivisme dans sa phase terminale capitaliste nous impose comme une forme d’exploitation ajoutée à celle traditionnellement subie et combattue par le mouvement ouvrier d’antan.

Comme la social démocratie allemande a assassiné les révolutionnaires spartakistes, les socialistes d’aujourd’hui sont complices opportunistes de tous les serviteurs du système qui abîme la biosphère, pollue la planète, augmente la crise climatique bien au-delà de sa modification naturelle et prépare comme seule fin du capitalisme celle de l’humanité qui le subit depuis des siècles. La question écologique est trop importante pour la laisser aux mains des environnementalistes, saisissons-la collectivement comme le cœur de la question sociale, pour une défense concrète de l’écosystème, en introduisant des Conseils des Communes, des régions, et ainsi de suite jusqu’à une action planétaire cohérente qui instaure, sans atermoiements, une autogestion généralisée de la vie quotidienne.

A la différence des théoriciens d’antan qui critiquaient le capitalisme sans jamais mettre en cause le productivisme, nous – groupes d’affinité en voie de constitution pour une démocratie directe qui efface l’actuelle démocratie totalitaire – vous demandons de réfléchir et comprendre que produire pour notre bien à tous ou produire pour enrichir l’économie politique et l’oligarchie qui en profite, sont deux mondes bien plus inconciliables encore que ceux de la classe dominante bourgeoise et de la classe dominée du prolétariat.

Aujourd’hui est directement et définitivement la société humaine organique, capable d’inventer des nouvelles solutions aux problemes anciens, qui émerge de nouveau des recours de l’histoire, sans cautionner aucun primitivisme, pour critiquer la société monstrueuse que le Léviathan productiviste a réalisé comme résultat final de millénaires d’esclavage et de hiérarchies de pouvoir. A leur horrible vision du progrès, nous répondrons avec notre révolution acratique sans vengeances ni châtiments – uniquement l’abolition définitive, décidée collectivement, d’un monde invivable et intolérable, substitué par une société organique mise sur la touche par six millénaires de productivisme.

Les masse commencent a bouger avec de l’enthousiasme et pas uniquement de la rage, malgré l’éducation atavique à la logique de la domination hiérarchique qui forge des larbins près à la soumission et à l’exploitation autant par les patrons de l’économie que par les bureaucrates d’une révolution trahie et traduite en un capitalisme d’Etat. A d’autres d’établir dans leurs soporifiques fauteuils intellectuels si ce projet est trop optimiste ou trop pessimiste, trop pacifique ou trop violent ; limitons-nous à parier sans certitudes mais sans pleurnichements non plus, sur la volonté d’en finir avec les défaites tragiques que le fascisme rouge de l’idéologie révolutionnaire a offert au fascisme noir des capitalistes fiers de l’être et aux armées blanches de serviteurs volontaires qui marchent sans comprendre où ils vont.

Camarades de tous les pays, de toutes les nations frappées maintenant par un virus planétaire, notre intérêt commun est de remettre la vie au centre du projet social à la place de l’économie qui l’a révoquée depuis longtemps, toujours plus et toujours pire. Aucune idéologie ne nous libérera, seule notre envie concrète de vivre en fraternité, liberté et egalité. Personne ne nous y obligera sinon la conscience qu’en dehors de cette solidarité commune il n’y a que la mort en attente. Aucun progrès ne pourra plus nous vendre l’aliénation comme une affaire rentable, la perte de son être comme un avantage calculable en avoirs qui s’accroissent à démesure, en laissant de plus en plus la place au paraître. A la fin de cette hypnose collective, il n’y a que cette mort qui fait peur et qui se moque de nous, humiliés sous le masque qui nous protège un peu (du moins des contraventions infligées à qui ne le porte pas), mais pas assez. On est en train de se rendre compte, qu’on le veuille ou pas, que la mort est rendue bien pire par le fait d’avoir renoncé à la vie en s’agenouillant face au fétiche de la marchandise en train de rendre virtuelle notre existence même.

Travailleurs/consommateurs de tous les pays ! Nous vous appelons à accomplir le travail de la liberation sociale, a redonner une organisation au genre humain violenté et à traduire en réalité la phrase qu’on utilisait déjà auparavant pour nous saluer avant de se séparer : « L’Internationale sauvera le genre humain ! ».



[1] L’incrément majeur des guerres entre les peuples a été du au besoin de ramasser des esclaves des deux genres pour faire fonctionner au maximum l’harassant travail agricole productiviste.

[2] On pense au personnel médical, mal protégé, qui a soigné les malades infectés par le virus aussi en formes graves et parfois mortelles, mais aussi aux travailleurs de la distribution des biens de consommation nécessaires, solidaires avec les consommateurs obligés à fréquenter les supermarchés pour survivre dans le confinement.