Il neoluddismo è un neologismo apparso nel
1990 per definire l'opposizione[1] a tutto o parte del progresso tecnico, che può
includere l'interferenza, la degradazione o la distruzione di apparecchiature;
o anche occupazioni di terreni volte a impedire la costruzione di grandi
infrastrutture ritenute contrarie ai valori e alle convinzioni degli attivisti
di questo movimento.
Il neoluddismo è emerso essenzialmente in
Francia e negli Stati Uniti negli anni '80, quando il microcomputing ha fatto
la sua comparsa nelle case. Nessuna concertazione porta a federarne le azioni
che, nella maggior parte dei casi, sono giustificate da un discorso basato
sulla denuncia degli effetti nefasti della tecnologia sugli individui e sulle
comunità. Esiste quindi un’affinità con il pensiero tecno-critico[2] che cerca di proporre
alternative all'ideologia produttivista[3].
Pur aggirando apertamente la legge, i neoluddisti
invocano i principi di legittimità della disobbedienza civile e della
resistenza all'oppressione, conferendo valore civico e sociale alle loro
azioni. La maggior parte di loro sostiene un ritorno ai valori “naturali”, in
opposizione a quelli imposti dalla proliferazione delle “nuove tecnologie”,
pericolose per l'ambiente e per l'umanità. Alcuni neoluddisti sostengono la non
violenza e la benevolenza (come nel caso delle “zone da difendere”); altri
sostengono la distruzione dei beni ritenuti nocivi (ad esempio l'estirpazione
delle piante OGM)[4].
Origine del termine
Il termine “luddismo” si riferisce a un movimento di “distruttori
di macchine” sorto in Inghilterra all'inizio del diciannovesimo secolo. Il
termine "neo-luddismo" è stato coniato nel 1990 dall'attivista
americana Chellis Glendinning.
Chellis Glendinning
Motivazioni
Le motivazioni principali invocate sono tre:
ecologica, politica ed etica.
Il progresso tecnologico è costoso in combustibili
fossili e quindi dannoso per l'ambiente[5] al punto di
essere la causa di un cambiamento di era geologica: l'Antropocene. Molte
innovazioni sono all'origine di scandali sanitari[6] e persino di catastrofi, in particolare nucleari
(Chernobyl, Three Miles Island, Fukushima) e del riscaldamento globale del
pianeta.
Le tecniche si moltiplicano senza mai essere oggetto
di un dibattito democratico, con il principio di precauzione esistente solo in
teoria ma mai o raramente applicato a causa delle pressioni dei grandi gruppi
industriali per i quali la tecno-scienza è fonte di notevoli profitti. Oltre al
nucleare e agli OGM, i loro principali obiettivi sono le tecniche di telesorveglianza
(in particolare la RFID) e le nanotecnologie.
Sono addotte anche ragioni etiche: la biometria e la
videosorveglianza, ad esempio, sono viste come una violazione delle libertà
individuali e una graduale generazione di controllo sociale che potrebbe
portare a una nuova forma di totalitarismo[7]. Del resto, i telefoni
cellulari darebbero origine a una dipendenza patologica: la nomofobia[8].
Contesto storico
Le prime critiche al macchinismo risalgono alla fine
del diciottesimo secolo, quando iniziò la rivoluzione industriale. Nel 1778, in
Les Rêveries du promeneur solitaire, Jean-Jacques
Rousseau esprime il suo sgomento per le condizioni di vita imposte ai minatori.
Molto raramente gli operai finiscono per rompere i
loro attrezzi. Nel novembre 1788, a Falaise (Calvados), duemila di loro distruggono
un filatoio di cotone a colpi di bastone. E il 14 luglio 1789, a Rouen, da 300
a 400 persone invadono una filanda e distruggono trenta telai meccanici[9]. All'inizio del
diciannovesimo secolo, per la precisione nel 1811-1812, avviene il primo grande
movimento di “distruttori di macchine”, l'unico conosciuto fino a oggi:
tosatori e magliai inglesi affrontano i loro datori di lavoro che li obbligano
a usare i telai. Questo movimento ha preso in seguito il nome di luddismo.
Ci sono stati alcuni altri casi di distruzione delle
macchine in Francia durante il periodo della Restaurazione[10] ,ma nel complesso il fenomeno fu inesistente durante tutto
il processo d’industrializzazione che stava rimodellando il paesaggio europeo,
poi quello degli Stati Uniti. Contrariamente a quanto si crede, invece, i Canuts non attaccarono le macchine
durante la loro rivolta a Lione negli anni Trenta del diciannovesimo secolo.
È vero che l'espansione delle macchine ha suscitato un
gran numero di reazioni:
da un lato, tra gli intellettuali, primo fra tutti
Karl Marx che, a partire dagli anni '40 del diciannovesimo secolo, intraprese
una critica di fondo del sistema capitalistico;
dall'altro, nel mondo operaio, attraverso un
susseguirsi di scioperi e sporadiche rivolte.
Marx, tuttavia, vedeva nella rottura delle macchine un
segno d’immaturità politica: “Ci vuole
tempo ed esperienza prima che gli operai, avendo imparato a distinguere tra la
macchina e il suo uso capitalistico, dirigano i loro attacchi non contro il
materiale di produzione ma contro il suo modo sociale di sfruttamento” [11].
Quando il marxismo iniziò a diffondersi, furono
pochissimi gli appelli alla distruzione delle macchine, paragonabili a quello
lanciato dallo scrittore inglese Samuel Butler nel 1872: “Giorno dopo giorno, le macchine guadagnano terreno su di noi; giorno
dopo giorno siamo loro sempre più asserviti; giorno dopo giorno sempre più
uomini sono legati ad esse come schiavi per accudirle, giorno dopo giorno
sempre più gente dedica l'energia di tutta l’esistenza allo sviluppo della vita
meccanica. Verrà il momento in cui le macchine avranno la vera supremazia sul
mondo e sui suoi abitanti. Noi crediamo che si debba dichiarare subito una
guerra all'ultimo sangue contro di esse. Tutte
le macchine di qualsiasi tipo dovrebbero essere distrutte da quanti hanno a
cuore la loro specie. Non ci sono eccezioni, non si concede tregua”.[12][
Samuel Butler
Alla fine, le macchine non furono mai più distrutte
collettivamente. Certo, nel 1897 in Francia la CGT adottò il sabotaggio come
tecnica militante, ma solo per fare pressione sui padroni e rinunciandovi
definitivamente nel 1918, all'indomani della Rivoluzione russa: poiché i
comunisti erano convinti di porre fine al capitalismo appropriandosi dei mezzi
di produzione, non avevano alcuna intenzione di distruggerli.
In realtà, capitalismo e comunismo (che per tutto il
ventesimo secolo sono stati i due principali sistemi economici che hanno
dominato il pianeta) condividono la stessa ideologia, il produttivismo. In
entrambi i campi, e praticamente a tutti i livelli della scala sociale, si
difende l'idea di progresso e la convinzione che questo possa essere raggiunto
solo attraverso la crescita economica (con l'unica differenza che, nel primo
campo, il capitale è privato mentre, nel secondo, è detenuto dallo Stato).
Nel ventesimo secolo, il "progresso tecnico"
ha suscitato un grande entusiasmo, tanto da essere celebrato da alcuni artisti
moderni.
Francis Picabia, Ritratto di ragazza americana in stato di nudità, 1915.
Il pensiero tecno-critico è emerso in Francia negli
anni Trenta con Jacques Ellul e Bernard Charbonneau. Essi sostengono che
l'antagonismo “capitalismo-comunismo” è superficiale e che il problema
fondamentale dei Paesi industrializzati è il posto occupato dalla tecnica nell'immaginario
collettivo. Inoltre, ritengono che non sia un qualunque potere politico o
finanziario a guidare questo sviluppo, ma la quasi totalità degli individui,
perché conquistati dall'ossessione per il comfort materiale: “La tecnica domina l'uomo e tutte le sue
reazioni. La politica è impotente di fronte ad essa; l'uomo non può governare
perché è soggetto a forze irreali, pur se materiali [...]. Nello Stato
capitalista, l'uomo è meno oppresso dai poteri finanziari che dall'ideale
borghese di sicurezza, comodità e rassicurazione. È questo ideale che dà ai
poteri finanziari la loro importanza”[13].
Jacques Ellul, 1990.
Tuttavia, dal 1945 in poi, la rivalità ideologica tra
le due grandi potenze, Stati Uniti e URSS, e la conseguente “guerra fredda” in
tutto il mondo hanno plasmato l'intero dibattito politico, e il pensiero
tecno-critico occupa un posto del tutto marginale tra gli intellettuali. È vero
che l'uso delle macchine è stato regolarmente criticato nei Paesi occidentali –
in particolare dai sindacati, a causa dei ritmi di lavoro imposti – ma le
macchine stesse non sono mai prese di mira. In effetti, il “progresso tecnico”
suscita molto più entusiasmo che paura. Negli anni Cinquanta, Ellul ribadisce
che il problema fondamentale non è il capitalismo, né il macchinismo, e neppure
gli oggetti tecnici, ma quella che chiama la “sacralizzazione della tecnica”: “L'invasione della tecnica desacralizza il
mondo in cui l'uomo è chiamato a vivere. Per la tecnica non c'è sacralità, non
c'è mistero, non c'è tabù. E ciò appunto perché essa è diventata un fenomeno
autonomo. (...) La tecnica è desacralizzante perché dimostra, con l'evidenza e
non con la ragione (...) che il mistero non esiste. (...) L'uomo che vive
nell'ambiente tecnico sa bene che non c'è più spiritualità da nessuna parte.
Eppure assistiamo a uno strano rovesciamento: non potendo vivere senza il
sacro, l'uomo ripone il suo senso del sacro proprio su ciò che ha
desacralizzato la natura: la tecnica”[14].
Nella stessa epoca, il filosofo tedesco Günther Anders
ha parlato di “vergogna prometeica” per esprimere l'idea che, di fronte allo
sviluppo esponenziale della tecnica, gli esseri umani si sentono letteralmente
“sorpassati” ma non osano confessarlo a se stessi[15][.
Negli anni Settanta, il degrado ambientale ha portato
alla nascita dell'ecologia politica. Mentre Ellul e Charbonneau creano
un'associazione per lottare contro la cementificazione della costa atlantica,
Kaczynski compie il suo primo attentato.
L'ascesa dell'informatica negli Stati Uniti negli anni
'80 porta Chellis Glendinning a tentare di strutturare un movimento neo-luddista
nel 1990. Il termine “neo-luddista” si sviluppa negli ambienti tecno-critici.
Tuttavia, i fatti non hanno seguito e gli atti di danneggiamento del materiale restano
estremamente rari e puramente simbolici. Si pensi, ad esempio, al
danneggiamento pubblico di un computer da parte di Kirkpatrick Sale al New York
City Town Hall nel 1995.
Quando, all'inizio del ventunesimo secolo, si
sviluppano la robotica, l'intelligenza artificiale e Internet, lodati come
“rivoluzione” e che le “nuove tecnologie” proliferano non solo nel mondo del
lavoro (come ai tempi del luddismo) ma nella vita quotidiana, il neoluddismo ha
cessato di essere una pratica militante.
Emersione negli Stati Uniti
Così come il luddismo era emerso in Inghilterra nel
diciannovesimo secolo, perché era la prima potenza industriale del mondo, il
cosiddetto “neoluddismo” sta emergendo negli Stati Uniti, dove è nata
l'informatica. Come il movimento hippy degli anni Sessanta e Settanta, il
neoluddismo degli anni Novanta rivendica una rottura radicale con la società
industriale. Infine, come il movimento hippy, il neoluddismo presenta una
varietà di sensibilità.
Seguendo le orme di Henry Thoreau, gli anarco-primitivisti
sostengono un “ritorno alla natura”, ma senza sentimentalismi e con molto
pragmatismo, consapevoli della durezza della natura. Scrittori
anarco-primitivisti contemporanei come John Zerzan portano avanti una critica
ideologica della civiltà come oppressiva nella sua essenza, difendendo stili di
vita concepiti come più liberi, ispirati ai cacciatori-raccoglitori
preistorici. Il primitivismo di Zerzan arriva a criticare l'addomesticamento
degli animali, il linguaggio, il pensiero simbolico (dalla matematica all'arte)
e il concetto di tempo, senza però rinunciare né alla bicicletta né al
telefono.
Kevin Robins e Frank Webster associano questo “ritorno
alle radici” alla necessità per gli esseri umani di vivere in comunità più
piccole, per stabilire relazioni più autentiche[16].
Tra il 1978 e il 1995, l'americano Theodore Kaczynski è
l’autore di diversi gravi attentati anonimi, motivati dalla sua intenzione di
denunciare il totalitarismo del sistema tecnologico dominante. Le sue azioni
sono deliranti, ma la sua analisi è coerente. Nel 1995, in La Société
industrielle et son avenir[17], precisa: “La rivoluzione industriale con le sue
conseguenze è stata un disastro per la razza umana. Essa ha aumentato l'aspettativa
di vita nei Paesi “avanzati”, ma ha destabilizzato la società, ha reso la vita
alienante, ha sottoposto gli esseri umani a umiliazioni, ha permesso la
diffusione della sofferenza mentale (e fisica nei Paesi del Terzo Mondo) e ha
inflitto danni terribili alla biosfera. Il costante sviluppo della tecnologia
non farà che aggravare la situazione. Ciò che gli esseri umani e la biosfera
dovranno sopportare sarà sempre peggiore; il caos sociale e la sofferenza
mentale aumenteranno, ed è possibile che lo stesso accada alla sofferenza
fisica, anche nei Paesi “avanzati”.
“Il
sistema tecno-industriale può sopravvivere o crollare. Se sopravvive, può
riuscire a garantire un basso livello di sofferenza mentale e fisica, ma solo
dopo aver attraversato un lungo e doloroso periodo di adattamento e dopo aver
ridotto gli esseri umani e tutte le creature viventi a meri ingranaggi,
prodotti calibrati della macchina sociale. Inoltre, se il sistema persiste, le
conseguenze sono ineluttabili: non c'è modo di riformare o modificare il
sistema in modo da evitare che spogli le persone della loro dignità e autonomia”.
Esempi dalla Francia
Comitato
per la liquidazione o la distruzione dei computer, Tolosa, 1980-1983
Sabotaggio del magazzino di Nérac, gennaio 1998
Sabotaggio
del Centre de coopération internationale
en recherche agronomique pour le développement (CIRAD) di Montpellier,
giugno 1999
Sabotaggio di un terminale biometrico nel liceo
Vallée-de-Chevreuse, novembre 2005
Incendio a La Casemate, Grenoble, 2017
Occupazione della zona da difendere di Notre-Dame des
Landes (fino al 2018)
Incendio delle antenne del ripetitore 5G di Mont
Poupet nel Jura, aprile 2020
Critiche al movimento
Già negli anni Cinquanta, Jacques Ellul trovava
ridicolo attaccare gli oggetti e le macchine tecniche. A suo avviso, ciò che è
molto più importante – perché va oltre il quadro del macchinismo – era la
questione della tecnica, che è di natura immateriale
e che definisce come “la ricerca in
tutte le cose del metodo assolutamente più efficace”[18]:
“La
tecnica ha effettivamente preso avvio dall’esistenza della macchina.(...) È
vero che, senza la macchina, il mondo della tecnica non esisterebbe. Tuttavia,
spiegare questa situazione in questo modo non la legittima in alcun modo. È
indubbiamente un errore fare questa confusione, soprattutto perché in genere ci
porta a considerare che, essendo la macchina all'origine e al centro del
problema tecnico, occuparsi della macchina significa occuparsi dell'intero
problema. Questo è un errore ancora più grave. La tecnica è ormai quasi
completamente indipendente dalla macchina (...). La tecnica si applica ormai a
settori che non hanno più molto a che vedere con la vita industriale. (...) È
la macchina che ormai dipende interamente dalla tecnica, e non la rappresenta
più che per una piccola parte. (...) La tecnica assume oggi la totalità delle
attività dell'uomo, e non solo la sua attività produttrice”[19].
E critica duramente la tecnofobia: “È infantile dire che si è contro la tecnica, assurdo come dire
che si è contro una valanga di neve o un cancro”.
Il declino del neoluddismo
Se gli attentati perpetrati in Francia tra il 1980 e
il 1983 dal Comitato per la liquidazione
o la distruzione dei computer costituiscono l'unico esempio di azione
metodica all'interno del movimento neoluddista, nel 1982 Jacques Ellul riteneva
che lo sviluppo della microinformatica potesse fungere da trampolino di lancio
per un movimento radicale, ma ha cambiato idea cinque anni dopo: “Il sistema tecnico, esaltato dalla potenza informatica,
è definitivamente sfuggito alla volontà direzionale dell'uomo”.
Negli Stati Uniti degli anni Novanta, in un momento in
cui Internet faceva la sua prima apparizione e i primi transumanisti
esprimevano in modo sempre più esplicito la loro fede nel progresso, alcuni
attivisti continuavano a credere possibile regolare, o addirittura arrestare,
l'influenza dei computer sulle mentalità. Con il suo forte riferimento al
luddismo, nel 1990, il manifesto neoluddista chiedeva, se non la distruzione
dei computer, almeno la mobilitazione per impedirne la proliferazione, anche a
costo di porsi fuorilegge. Tuttavia, l'autrice non è mai passata all'azione, a
differenza di Kirkpatrick Sale che, nel 1995, ha distrutto simbolicamente un
computer in pubblico. Un “congresso neoluddista” si è tenuto a Barnsville, in
Ohio, nell'aprile 1996, ma ci si è limitati a vuote dichiarazioni che hanno
fatto sembrare il neoluddismo un'utopia.
All'inizio del ventunesimo secolo, il termine
“neo-luddista” è talvolta abusato e la disconnessione assume talvolta accenti aberranti.
Nel 2017, il giornalista Xavier de La Porte si è chiesto “perché non rompiamo più le macchine”. Ha avanzato allora quattro
ipotesi:
il movimento neoluddista ha sempre avuto uno scarso
sostegno da parte dei sindacati, e i marxisti ritengono che non si distruggono
i mezzi di produzione perché la fine del capitalismo (che è il loro obiettivo)
dipende dalla loro riappropriazione;
fin dalle loro origini, il personal computing e
Internet hanno incarnato un ideale di emancipazione che rende indistinguibile
qualsiasi fenomeno di asservimento;
la tecnologia digitale non è solo un insieme di
strumenti, ma un ambiente onnicomprensivo. Di conseguenza, piuttosto che
“distruggere le macchine”, le menti più radicali pensano di “abbandonare
l'ambiente digitale”, “disconnettersi”;
la stragrande maggioranza delle persone si è
rassegnata al fatto che la tecnologia digitale modelli la loro esistenza.
[1] Secondo lo storico François Jarrige, “non
esiste una struttura con un leader e dei militanti. È una nebulosa di persone
che pensano che la tecnologia sia un'alienazione piuttosto che un mezzo di
emancipazione”.
[2] Steve E. Jones, Against Technology: From Luddites to Neo-Luddite, CRC Press, New
York, 2006.
[3] Karen Christensen e David Levinson, Encyclopedia of Community: From the Village
to the Virtual World, Volume 3, Sage Publications, Thousand Oaks
(Calif.), 2003.
[4] Nicolas Chevassus-au-Louis, Les briseurs de machines : de Ned Ludd à José Bové, Seuil,
Paris, 2006.
[5] Fabrice
Flipo, Michelle Dobré e Marion Michot, La face cachée du numérique l'impact
environnemental des nouvelles technologies, L'Echappée, Montreuil
(Seine-Saint-Denis), 2013.
[6] François Ruffin, Fabrice Nicolino e Florent Gouget, Métro,
boulot, chimio : débats autour du cancer industriel, Le monde à
l'envers, Grenoble, 2012.
[7] Aujourd'hui
le nano monde : nanotechnologies, un projet de société totalitaire,
L’Echappée, Montreuil, 2008.
[8] Nomofobia o dipendenza da cellulare è un neologismo che indica la fobia di
separarsi dal proprio telefono cellulare tra i dipendenti da smartphone.
[9] François Jarrige,
« De la sauvagerie à la violence créatrice : regards sur les bris de
machines dans la France du XIXe
siècle », Revue européenne d'histoire, 2013.
[10] François Jarrige,
« De la sauvagerie à la violence créatrice : regards sur les bris de
machines dans la France du XIX
siècle », Revue européenne d'histoire, 2013.
[11] Karl Marx, Il Capitale, Libro I, quarta
sezione. Citato in "Néo-luddisme et résistances
ouvrières", Jacques Wajnsztejn, Temps Critiques, febbraio 2001.
[12] Samuel Butler, Il libro delle
macchine, pubblicato nel romanzo Erewhon; tradotto in francese in Détruisons
les machines, Le pas de côté, 2013.
[13] Jacques Ellul e
Bernard Charbonneau, "Direttive per un manifesto personale", 1935. Testo
ripubblicato in Nous sommes des révolutionnaires malgré nous, Le Seuil,
2014.
[14] Jacques
Ellul, La technique : ou L'enjeu du siècle, Economica, coll. « Classiques
des sciences sociales », Paris, 2008,
[15] Günther Anders, L'Obsolescence de l'homme,
éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, Parigi, 2002.
[16] Kevin Robins e
Frank Webster, Times of the
Techno-Culture: From the Information Society to the Virtual Life, 1999.
[17] Theodore Kaczynski, La società industriale e il suo futuro, Ed. de l'Encyclopédie
des nuisances, Paris, 1998.
[18] Jacques Ellul, La Technique ou l’enjeu du siècle,
Economica, coll. "Classiques des sciences sociales", Paris, 2008
[19] Jacques Ellul, Le
bluff technologique, Pluriel, coll. "Pluriel", Paris, 2010.
Néo-luddisme
Le Néo-luddisme est
un néologisme apparu en 1990 qui désigne une opposition[1][1]
à tout ou partie du progrès technique pouvant inclure le parasitage, la
dégradation, la destruction d'équipements ; ou encore des occupations de
terrain visant à empêcher la construction de grandes infrastructures jugées
contraires aux valeurs et convictions des activistes de cette mouvance.
Le Néo-luddisme apparaît
essentiellement en France et aux États-Unis lorsque la micro-informatique fait
son apparition dans les foyers, pendant les années 1980. Aucune concertation ne
vienne fédérer les actions que, dans la majorité des cas, sont justifiées par
un discours axé sur la dénonciation des effets néfastes des technologies sur
les individus et les communautés. Elles s'apparentent alors à la pensée techno
critique [2],[3]
qui s'efforce de proposer des alternatives à l'idéologie productiviste.
Bien
que contournant ouvertement la loi, les néoluddistes invoquent les principes de
légitimité de désobéissance civile et de résistance à l’oppression, conférant à
leurs actes une valeur civique et sociale. La plupart d'entre eux prônent un
retour à des valeurs « naturelles », en opposition à celles imposées
par la prolifération des « nouvelles technologies », porteuses de
dangers pour l'environnement et pour l'humanité. Une partie des néoluddistes
prônent la non-violence et la bienveillance (c'est le cas notamment dans les
« zones à défendre ») ; d'autres la destruction de biens jugés
nocifs (exemple : l’arrachage de plantes OGM [4],[5]).
Origine du terme
Le mot « luddisme »
désigne un mouvement de « briseurs de machines », qui s'est manifesté
au début du XIXe siècle
en Angleterre. Le mot « néo-luddisme » est créé en 1990 par la
militante américaine Chellis Glendinning.
Chellis Glendinning
Motivations
Les
motifs invoqués sont principalement de trois ordres : écologique,
politique et éthique.
·
Le progrès
technique est coûteux en énergies fossiles et il est donc nuisible à l’environnement[7] au
point d'être la cause d'un changement d'ère géologique : l'anthropocène.
De nombreuses innovations sont la source de scandales sanitaires[8] et
même de catastrophes, notamment nucléaires (Tchernobyl, Three Miles Island,
Fukushima) et du réchauffement de la planète.
·
Les techniques se
multiplient sans jamais faire l'objet de débat démocratique, le principe
de précaution n'existant qu'en théorie mais n'étant jamais ou rarement appliqué
en raison de la pression des grands groupes industriels pour qui la techno
science constitue une source de profits considérables. Avec le nucléaire et les
OGM, les techniques de télésurveillance (notamment la RFID)[9] et
les nanotechnologies constituent leurs principales cibles.
·
Sont également
avancés des motifs éthiques : la biométrie ou la vidéosurveillance, par
exemple, étant considérées comme portant atteintes aux libertés individuelles et
générant progressivement un contrôle social susceptible de déboucher sur une
nouvelle forme de totalitarisme[10].
Le téléphone portable, par ailleurs, occasionnerait un phénomène de dépendance
à caractère pathologique : la nomophobie [11].
Rappel historique
Les
premières critiques envers le machinisme remontent à la fin du XVIIIe siècle, quand s'amorce
la révolution industrielle. Ainsi, en 1778, dans Les Rêveries du promeneur solitaire, Jean-Jacques Rousseau exprime
sa consternation face aux conditions de vie imposées aux mineurs.
Très
rarement, des ouvriers en viennent à briser leurs outils. En novembre
1788, à Falaise (Calvados), deux mille d'entre eux détruisent une machine à
filer le coton à coups de bâton. Et le 14 juillet 1789, à Rouen, 300 à 400 personnes
envahissent une filature et détruisent trente métiers mécaniques[12],[13].
Au début du XIXe siècle,
plus précisément en 1811-1812, se manifeste le premier important mouvement de
« briseurs de machines », le seul connu à ce jour : des tondeurs
et tricoteurs anglais affrontent leurs employeurs qui leur imposent
l'utilisation de métiers à tisser. Ce mouvement prendra ultérieurement le nom
de luddisme.
On
recense quelques autres actions de destruction de machines en France durant la
période de la Restauration [12] mais
globalement, le phénomène est inexistant durant tout le processus d'industrialisation
qui remodèle le paysage européen puis celui des États-Unis. Ainsi, contrairement
à une idée répandue, les canuts ne s'en prennent pas aux machines durant leur
révolte à Lyon, dans les années 1830.
Certes,
l'expansion du machinisme donne lieu à un grand nombre de réactions :
·
d'une part chez les
intellectuels, en premier lieu chez Karl Marx qui, à partir des années 1840, entreprend
une critique de fond du système capitaliste ;
·
d'autre part dans
le monde ouvrier, à travers une succession de mouvements de grève et de
révoltes sporadiques.
Marx,
toutefois, voit dans le bris de machines un signe d'immaturité politique :
« Il faut du temps et de
l'expérience avant que les ouvriers ayant appris à distinguer entre la machine
et son emploi capitaliste, dirigent leurs attaques non contre le matériel de
production mais contre son mode social d'exploitation[14]. »
Le
marxisme commençant à se répandre, extrêmement rares sont les appels à détruire
les machines comparables à celui de l'écrivain anglais Samuel Butler en
1872 : « Jour après jour, les
machines gagnent du terrain sur nous ; jour après jour nous leur sommes
plus asservis ; chaque jour de plus en plus d’hommes sont liés à elles
comme des esclaves pour s’en occuper, chaque jour un plus grand nombre
consacrent l’énergie de toute leur existence au développement de la vie
mécanique. L’heure viendra où les machines détiendront la véritable suprématie
sur le monde et ses habitants. Nous pensons qu’une guerre à mort devrait leur
être déclarée sur-le-champ. Toute
machine de n’importe quel type devrait être détruite par celui qui se soucie de
son espèce. Ne faisons aucune exception, pas de quartier ! »[15]
Samuel Butler
En
définitive, plus jamais des machines ne sont collectivement détruites. Certes,
en 1897 en France, la CGT adopte le sabotage comme technique militante, mais
c'est uniquement pour faire pression sur le patronat et finalement y renoncer
en 1918, au lendemain de la Révolution russe : les communistes étant
convaincus qu'ils mettront fin au capitalisme en s'appropriant les moyens de
production, ils n'entendent aucunement les détruire.
De
fait, le capitalisme et le communisme (qui, tout au long du XXe siècle, constituent
les deux grands systèmes économiques dominants sur la planète) partagent une
même idéologie, le productivisme. Dans les deux camps, et pratiquement à tous
les niveaux de l'échelle sociale, on défend l'idée du progrès et la conviction
que celui-ci ne peut prendre forme qu'à travers la croissance économique (la
seule différence étant que, dans le premier camp, les capitaux sont privés
quand, dans le second, ils sont détenus par l'État).
Au XXe siècle, le « progrès technique »
suscite beaucoup d'enthousiasme, au point d'être célébré par un certain nombre
d'artistes modernes.
Francis Picabia, Portrait
d'une jeune fille américaine dans l'état de nudité, 1915.
La
pensée techno critique émerge en France dans les années 1930 avec Jacques Ellul
et Bernard Charbonneau. Ils affirment que l'antagonisme
« capitalisme-communisme » est superficiel et que le problème
fondamental des pays industrialisés, c'est la place qu'occupe la technique dans
l'imaginaire collectif. Qui plus est, ils estiment que ce n'est pas un
quelconque pouvoir politique ou de la finance qui dirige cette évolution mais
la quasi-totalité des individus, du fait qu'ils sont gagnés par l'obsession du confort
matériel : « La technique
domine l'homme et toutes les réactions de l'homme. Contre elle, la politique
est impuissante, l'homme ne peut gouverner parce qu'il est soumis à des forces
irréelles bien que matérielles [...]. Dans l'état capitaliste, l’homme est moins
opprimé par les puissances financières que par l’idéal bourgeois de sécurité,
de confort et d’assurance. C'est cet idéal qui donne leur importance aux
puissances financières[16]. »
Jacques Ellul en
1990.
Toutefois,
à partir de 1945, la rivalité idéologique entre les deux grandes puissances, les
États-Unis et l'URSS, et la « guerre froide » qui
s'ensuit sur toute la planète conditionnent l'ensemble du débat politique et la
pensée techno critique occupe une place totalement marginale chez les
intellectuels. Certes, l'usage des machines est régulièrement critiqué dans les
pays occidentaux – notamment par les milieux syndicaux, en raison des cadences
de travail qu'elles imposent – mais jamais les machines elles-mêmes ne sont
visées. Le « progrès technique », en effet, suscite beaucoup plus d'enthousiasme
que de crainte. Dans les années 1950, Ellul réaffirme que le problème
fondamental n'est pas le capitalisme, ni même le machinisme, ni même les
objets techniques mais ce qu'il appelle la « sacralisation de la technique » :
« L'invasion technique désacralise
le monde dans lequel l'homme est appelé à vivre. Pour la technique, il n'y pas
de sacré, il n'y a pas de mystère, il n'y a pas de tabou. Et cela provient
justement du (fait qu'elle est devenue un phénomène autonome). (...) La
technique est désacralisant car elle montre, par l'évidence et non par la
raison (...) que le mystère n'existe pas. (...) L'homme qui vit dans le milieu
technique sait bien qu'il n'y a plus de spirituel nulle part. Et cependant,
nous assistons à un étrange renversement ; l'homme ne pouvant vivre sans
sacré, il reporte son sens du sacré sur cela même qui a (désacralisé la
nature) : la technique[17]. »
À
la même époque, le philosophe allemand Günther Anders parle de « honte
prométhéenne » pour exprimer l'idée que, face au développement exponentiel
de la technique, les humains se sentent littéralement « dépassés »
mais n'osent pas se l'avouer[18].
Dans
les années 1970, la dégradation de l’environnement conduit à l'émergence de l'écologie
politique. Alors qu'Ellul et Charbonneau créent une association pour lutter
contre le bétonnage de la côte Atlantique, Kaczynski commet son premier
attentat.
La
montée en puissance de l'informatique aux États-Unis, dans les années 1980,
conduit Chellis Glendinning à tenter de structurer un mouvement néo-luddite, en
1990. Le mot "néo-luddite" va se développer dans les milieux techno
critiques. Toutefois, les faits ne suivent pas et les actes de dégradation de
matériel restent extrêmement rares et de portée exclusivement symbolique. Ainsi
par exemple le casse public d'un ordinateur par Kirkpatrick Sale en 1995, au
New York City Town Hall.
Quand,
au début du XXIe siècle,
se développent la robotique, l’intelligence artificielle et internet, qu'est
louée la « révolution » et que les « nouvelles
technologies » se multiplient non plus seulement dans le monde du travail
(comme au temps du luddisme) mais dans la vie quotidienne, le néo-luddisme a
cessé d'être une pratique militante.
Émergence aux
États-Unis
De
la même manière que le luddisme s'était manifesté en Angleterre au XIXe siècle parce qu'elle
était la première puissance industrielle mondiale, ce que l'on appelle "néo-luddisme"
émerge aux États-Unis, où est née l'informatique. Comme le mouvement hippie dans
les années 1960 et 1970, le néo-luddisme revendique – durant les années 1990 –
une rupture radicale avec la société industrielle. Enfin, tout comme lui, il présente
différentes sensibilités.
·
Dans le sillage d'Henry
Thoreau, les anarcho-primitivistes prônent le « retour à la nature »
mais sans aucun sentimentalisme et avec au contraire beaucoup de pragmatisme,
conscients de la rudesse de la nature. Des auteurs anarcho-primitivistes contemporains
comme John Zerzan poursuivent une critique idéologique de la civilisation comme
oppressante dans son essence, défendant des modes de vie conçus comme plus
libres tirant leur inspiration des chasseurs-cueilleurs préhistoriques. Le
primitivisme de Zerzan va jusqu'à critiquer la domestication des animaux, le
langage, la pensée symbolique (des mathématiques jusqu'à l'art) et le concept
de temps, mais sans renoncer à la biciclette
et au telephone.
·
Kevin Robins et
Frank Webster associent ce « retour aux sources » à la nécessité pour
les humains de vivre dans des communautés plus restreintes, en vue d'établir
des relations plus authentiques[19],[20]. »
·
Entre 1978 et 1995
l’américain Theodore Kaczynski est l’auteur de plusieurs graves attentats anonymes
qu’il motive par l’intention de dénoncer le totalitarisme du système technicien
dominant. Son action est délirante, mais son analyse cohérente. En 1995,
dans La Société industrielle et son avenir[20],
il précise : « La révolution
industrielle et ses conséquences ont été un désastre pour la race humaine. Elle
a accru la durée de vie dans les pays « avancés », mais a déstabilisé
la société, a rendu la vie aliénante, a soumis les êtres humains à des
humiliations, a permis l’extension de la souffrance mentale (et de la
souffrance physique dans les pays du Tiers-Monde) et a infligé des dommages
terribles à la biosphère. Le développement constant de la Technologie ne fera
qu’aggraver la situation. Ce qu’auront à subir les hommes et la biosphère sera
de pire en pire ; le chaos social et les souffrances mentales
s’accroîtront, et il est possible qu’il en aille de même pour les souffrances
physiques, y compris dans les pays « avancés »[20]. »
·
« Le système techno-industriel peut survivre
ou s’effondrer. S’il survit, il peut éventuellement parvenir à assurer un
faible niveau de souffrances mentales et physiques, mais seulement après être
passé par une longue et douloureuse période d’ajustements, et après avoir
réduit les êtres humains et toutes les créatures vivantes à de simples rouages,
des produits calibrés de la machine sociale. En outre, si le système perdure,
les conséquences sont inéluctables : il n’y a aucun moyen de réformer ou
modifier le système de façon à l’empêcher de dépouiller les hommes de leur
dignité et de leur autonomie. »
Exemples en France
·
Comité pour la liquidation ou la destruction des ordinateurs,
Toulouse, 1980-1983
·
Sabotage de
l'entrepôt de Nérac, janvier 1998[21]
·
Sabotage du Centre
de coopération internationale en recherche agronomique pour le développement
(CIRAD) de Montpellier, juin 1999[22]
·
Sabotage d'une
borne biométrique dans le lycée de la Vallée-de-Chevreuse, novembre 2005[23]
·
Incendie de la
Casemate , Grenoble, 2017[24]
·
Occupation de la
zone à défendre de Notre-Dame des Landes (jusqu'en 2018)
·
Incendie des
antennes-relais 5G du Mont Poupet dans le Jura en avril 2020[25]
Critique de la
mouvance
Dès
les années 1950, Jacques Ellul trouve ridicule de s'en prendre aux objets
techniques et aux machines. Selon lui, bien plus importante – car dépassant le
cadre du machinisme – est la question de la technique, qui est d'ordre immatériel et qu'il définit comme
« la recherche en toutes choses de
la méthode absolument la plus efficace »[26]:
« La technique a effectivement pris son point de départ dans l'existence
de la machine. (...) Il est bien vrai que, sans la machine, le monde de la
technique n'existerait pas. Mais expliquer ainsi cette situation ne la légitime
absolument pas. Or il est incontestablement erroné de procéder à cette
confusion, d'autant plus qu'elle conduit en général à considérer que, puisque
la machine est à l'origine et au centre du problème technique, s'occuper de la
machine c'est par conséquent s'occuper de tout le problème. C'est la une erreur
plus grande encore. La technique a maintenant pris une autonomie à peu près complète
à l'égard de la machine (...). La technique s'applique maintenant à des
domaines qui n'ont plus grand chose à voir avec la vie industrielle. (...)
c'est la machine qui, aujourd'hui, dépend en tout de la technique et ne la
représente plus que pour une petite partie. (...) La technique assume
aujourd'hui la totalité des activités de l'homme, et pas seulement son activité
productrice[27]. »
Et
il fustige la technophobie : « c'est enfantin de dire que l'on est contre la technique, aussi absurde que de dire que l'on est
opposé à une avalanche de neige ou à un cancer »[28].
Déclin du
néo-luddisme
Alors
que les attentats perpétrés en France de 1980 à 1983 par le Comité pour la liquidation ou la destruction
des ordinateurs constituent le seul exemple d'action méthodique au sein de
la mouvance néo-luddite, en 1982, Jacques Ellul estime que le développement de
la micro informatique pourrait servir de tremplin à un mouvement radical mais
il se ravise cinq ans plus tard : « Le système technicien, exalté par la puissance informatique, a échappé
définitivement à la volonté directionnelle de l’homme[29]. »
Dans
les États-Unis des années 1990, alors qu'Internet fait sa première apparition
et que les premiers transhumanistes expriment de plus en plus explicitement
leur croyance dans le progrès, certains militants continuent de croire qu'il
est possible de réguler, voire stopper, la prégnance de l'informatique sur les
mentalités. Par sa référence appuyée au luddisme, en 1990, le manifeste
néo-luddite appelle sinon à détruire des ordinateurs, du moins se mobiliser
pour empêcher leur prolifération, quitte à se placer hors-la-loi. Son auteure
ne passe toutefois jamais elle-même à l'acte, à la différence par exemple de Kirkpatrick
Sale qui, en 1995, détruit symboliquement un ordinateur en public. Un
« congrès néo-luddite » se déroule en avril 1996 à Barnsville, dans
l'Ohio, mais l'on en reste à des déclarations sans lendemain faisant paraître le
néo-luddisme comme une utopie.
Au
début du XXIe siècle,
le terme « néo-luddite » est parfois galvaudé[30] et
la déconnexion prend parfois des accents aberrants[31].
En 2017, le journaliste Xavier de La Porte se demande « pourquoi on ne brise plus les machines »[32].
Il avance alors quatre hypothèses :
·
la mouvance
néo-luddite a toujours été peu soutenue par les syndicats ; or les
marxistes considèrent qu’on ne casse pas des moyens de production car la fin du
capitalisme (qui constitue leur but) passe par leur reappropriation ;
·
l’informatique
personnelle et Internet sont, dès leurs origines, porteurs d‘un idéal
d’émancipation qui rend indiscernable tout phénomène d’asservissement ;
·
le numérique ne
constitue pas seulement un ensemble d’outils, c'est un milieu englobant. Du
coup, plutôt que de « casser des machines », les esprits les plus
radicaux pensent « quitter le milieu numérique », « se
déconnecter » ;
·
l'immense majorité
des humains se sont résignés au fait que le numérique façonne leur existence.
Notes
et références
1. ↑ Selon
l'historien François Jarrige « Il
n’y a pas de structure où on retrouverait un meneur et des militants. C’est une
nébuleuse de personnes qui pensent que la technologie est une aliénation plus
qu’un moyen d’émancipation ».
2. ↑ (en) Steve
E. Jones (trad. du néerlandais de Belgique), Contre la
technologie : des Luddites au néo-luddisme, New York, CRC
Press, 2006.
3. ↑ (en) Karen Christensen et David
Levinson, Encyclopedia of Community : From the Village to the
Virtual World, Volume 3, Thousand Oaks (Calif.), Sage
Publications, 2003, 1839 p. (ISBN 0-7619-2598-8, lire en ligne [archive]), p. 886.
4. ↑ Christophe Bonneuil,
« Faucheurs d'OGM : un renouveau
du luddisme ? [archive] »,
sur Inf'OGM, 21 juin 2017 (consulté le 29 juin
2019).
5. ↑ Nicolas Chevassus-au-Louis, Les
briseurs de machines : de Ned Ludd à José Bové, Paris, Seuil, coll. « Science
ouverte », 2006, 269 p. (ISBN 978-2-02-082561-0, OCLC 64464649).
6. ↑ Chellis
Glendinning, Notes toward a Neo-Luddite Manifesto, texte
en ligne [archive].
7. ↑ Fabrice Flipo,
Michelle Dobré et Marion Michot, La face cachée du numérique l'impact
environnemental des nouvelles technologies, Montreuil (Seine-Saint-Denis),
L'Echappée, coll. « Pour en finir avec », 2013,
135 p. (ISBN 978-2-915830-77-4, OCLC 863595044).
8. ↑ PMO, François Ruffin, Fabrice
Nicolino et Florent Gouget, Métro,
boulot, chimio : débats autour du cancer industriel, Grenoble (Isère,
Le monde à l'envers, 2012, 173 p. (ISBN 978-2-9536877-8-1, OCLC 829976448).
9. ↑ PMO, RFID,
la police totale : puces intelligentes et mouchardage électronique,
Montreuil (32 Av. de la Résistance, 93100, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008,
110 p. (ISBN 978-2-915830-26-2, OCLC 835326298).
10. ↑ PMO, Aujourd'hui
le nano monde : nanotechnologies, un projet de société totalitaire,
Montreuil, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008,
431 p. (ISBN 978-2-915830-25-5, OCLC 470667351).
11. ↑ La nomophobie ou mob
dépendance est un néologisme désignant la phobie d'être séparé de son
portable chez les sujets dépendants au smartphone. PMO, Le
téléphone portable gadget de destruction massive, Montreuil, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008,
96 p. (ISBN 978-2-915830-17-0, OCLC 717612369).
12. ↑ François
Jarrige, « De la sauvagerie à la violence créatrice : regards sur les
bris de machines dans la France du XIXe siècle », Revue
européenne d’histoire, 2013.
13. ↑ A
propos des bris de machines textiles à Rouen pendant l'été 1789 : émeutes
anciennes ou émeutes nouvelles ? [archive],
J.-P. Allinne, Annales de Normandie, 1981.
14. ↑ Karl
Marx, Le Capital, Livre I, quatrième section.
Cité dans « Néo-luddisme et résistances ouvrières », Jacques
Wajnsztejn, Temps Critiques, février 2001.
15. ↑ Samuel Butler,
« Le livre des machines », publié dans le roman Erewhon ;
traduit en français dans Détruisons les machines, Le pas de côté,
2013.
16. ↑ Jacques
Ellul et Bernard Charbonneau,
« Directives pour un manifeste personnaliste », 1935. Texte réédité
dans Nous sommes des révolutionnaires malgré nous, Le Seuil, 2014.
17. ↑ Jacques Ellul, La
technique : ou L'enjeu du siècle, Paris, Économica, coll. « Classiques
des sciences sociales », 2008 (1re éd. 1952),
423 p. (ISBN 978-2-7178-1563-4, OCLC 836138627),
p.130-132.
18. ↑ Günther
Anders, Die Antiquiertheit des Menschen 1956.
L'ouvrage ne sera traduit en France qu'au XXIe siècle : L'Obsolescence
de l'homme, éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, Paris, 2002.
19. ↑ Kevin Robins et Frank Webster, Times of the
Techno-Culture: From the Information Society to the Virtual Life, 1999.
20. ↑
Voir Gordon Bell, The Internet : A Philosophical Inquiry, Routledge, 1999,
192 p. (ISBN 978-0-335-21326-9, lire
en ligne [archive]), p. 7-8.
21. ↑ Réflexions
sur la lutte anti-ogm, Entretien avec René Riesel [archive],
février 2000.
22. ↑ « Bové accusé, la recherche incriminée [archive] »,
sur Libération.fr, 10 février 2001 (consulté le 29
juin 2019).
23. ↑ « Ces étudiants qui dépassaient les
bornes biométriques [archive] »,
sur Libération.fr, 16 décembre 2005 (consulté le 29
juin 2019).
24. ↑ L'incendie
de la Casemate de Grenoble revendiqué [archive], France
Bleu, 24 novembre 2017.
25. ↑ « Incendie des antennes-relais du Mont
Poupet dans le Jura : un Bisontin condamné à deux ans de prison ferme [archive] »,
sur France 3 Bourgogne-Franche-Comté (consulté le 15 mai
2022).
26. ↑ Jacques Ellul, La technique :
ou L'enjeu du siècle, Paris, Économica, coll. « Classiques
des sciences sociales », 2008 (1re éd. 1952),
423 p. (ISBN 978-2-7178-1563-4, OCLC 836138627), p. 18.
27. ↑ Ibid.
pages 1 et 2.
28. ↑ Jacques Ellul (préf. Jean-Luc
Porquet), Le bluff technologique, Paris,
Pluriel, coll. « Pluriel », 2010, 748 p. (ISBN 978-2-8185-0227-3, OCLC 807371957), p. 9.
29. ↑ Le Comité liquidant ou détournant les ordinateurs – Clodo – est
une « organisation d'inspiration anarchiste » et anti-industrielle
française apparue le 6 avril 1980 lors de la revendication d'un
incendie criminel contre la société « Philips Data système » à
Toulouse.. Jacques Ellul, Le
bluff technologique, 1988 ; rééd. Hachette, coll.
« Pluriel », 2004, p. 203.
30. ↑ « Lily Allen : 'Je suis une
néo-luddite' [archive] »,
sur elle.fr, 8 mars 2010 (consulté le 29 juin 2019).
31. ↑ « Un journaliste américain payé pour
vivre un an sans internet [archive] »,
sur France info, 14 août 2012 (consulté le 29 juin
2019).
32. ↑ Xavier de La Porte,
« Pourquoi ne brise-t-on plus les
machines ? [archive] »,
sur France Culture, 3 avril 2017 (consulté le 29
juin 2019).
Bibliographie en
français
·
François Jarrige, Face
au monstre mécanique une histoire des résistances à la technique (Radicaux
libres), Paris, Éd. Imho, 2009.
·
PMO, Le
téléphone portable gadget de destruction massive, Montreuil, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008.
·
PMO, RFID,
la police totale : puces intelligentes et mouchardage électronique,
Montreuil (32 Av. de la Résistance, 93100, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008.
·
PMO, Aujourd'hui
le nano monde : nanotechnologies, un projet de société totalitaire,
Montreuil, L'Échappée, coll. « Négatif », 2008.
·
Cédric Biagini,
Guillaume Carnino, Celia Izoard et PMO, La tyrannie technologique :
critique de la société numérique, Paris, L'Echappée, coll. « Pour
en finir avec », 2007.
·
Theodore Kaczynski (trad. de
l'anglais), La Société industrielle et son avenir [« Industrial
society and its future »], Paris, Ed. de l'Encyclopédie des
nuisances, 1998.