sabato 2 maggio 2020

Antimanifesto per una democrazia diretta





Brevissimo abbozzo di un modo d’uso in evoluzione critica permanente. È così che la rivoluzione, già in corso che si voglia o no, con o senza il coronavirus, diventerà davvero permanente e non divorerà più i suoi figli, né nessun altro in suo nome.

Noi dobbiamo utilizzare anche le loro parole per dar loro il nostro senso.

La loro democrazia non è la nostra. Il loro cittadino non siamo noi. La loro libertà formale, concessa in cambio di un lavoro forzato generalizzato che sa di filo spinato e di mirador digitali[1], non è la nostra libertà di produrre i beni necessari al godimento immediato della vita quotidiana senza torturarci nel compierlo. Il loro produttivismo non è la nostra capacità di produrre il necessario per vivere felici. La loro libertà concentrazionaria ci impedisce la libertà di agire nella prospettiva di un futuro differente e decisamente più piacevole. Ecco perché anche il loro progresso non è il nostro.

Non vogliamo essere eletti nelle loro strutture di potere di Stato. Noi non saremo i sindaci delle loro città, ma i signori, tutti uguali in diritto, delle assemblee legislative dei nostri comuni, centri abitati e villaggi federati.

Lo Stato non siamo noi. Noi siamo la struttura sociale della comunità reale che dall’ambito locale più intimo, irradia la sua umanità naturale sui quartieri, i villaggi, le città, le province, le regioni, la nazione e via di seguito, fino ai continenti, per coinvolgere, un giorno, l’intero pianeta.

Poiché lo Stato – patriarcale e produttivista – e le sue emanazioni sono al di fuori della nostra pacifica rivoluzione sociale (senza armi, se non saremo aggrediti nella nostra autonomia, nella nostra libertà di intraprendere un progetto comune, nella nostra libertà di cittadini della terra-madre acratica – che non è una dea, ma la nostra placenta, il nostro liquido amniotico, il nostro oceano vitale), noi rivendichiamo il diritto di organizzarci in modo autonomo dallo Stato che ci dirige. Non vogliamo occupare il suo posto, non vogliamo sopprimerlo né indebolirlo (crollerà da solo, per mancanza di schiavi e penuria di schiavisti); vogliamo funzionare tra di noi senza attaccarlo, ma anche senza subire il suo governo imposto. Non vogliamo dunque l’indipendenza, ma praticare l’autonomia locale dovunque i cittadini l’abbiano scelta democraticamente.

Non siamo un potere che si cerca come fanno tutti i partiti politici. Noi siamo una semplice espressione della federazione di assemblee sovrane decisa da liberi individui sociali che condividono concretamente un luogo (coscienti di far parte di un territorio sociale ben più vasto di un quartiere, di un villaggio, di una città o anche di una regione e una nazione che potrebbero un giorno allargare fino al mondo intero il nostro progetto comune che non esclude né implica di forza nessuno).

Noi non siamo, per il momento, che un esperimento comunalista che si cerca, una potenziale organizzazione comune di un quotidiano autogestito da quelli che lo vivono con la loro affettività (solidarietà, fraternità, amicizia, amore e più se affinità... inclusa l’eventualità di un’indifferenza reciproca che ci può allontanare senza opporci l’un l’altro). Ci confronteremo ai problemi da risolvere con la voglia comune di godere della vita senza danneggiare nessuno. Non vogliamo tutto per noi, ma non accettiamo neppure il tutto, o anche il troppo, per gli altri. Siamo, infatti, sempre meno commossi dalle statue di un potere che ci rispetta sempre come morti per la patria, mai come esseri viventi per la libertà, parola la cui prima espressione arcaica, in sumero antico, fu amargi: ritorno alla madre.

I nostri gruppi d’affinità si formano spontaneamente, come nella vita quotidiana, in quella vita in cui ogni storia d’amore è fragile, incerta. Ecco perché li regoliamo per mezzo di qualche semplice codice di funzionamento. Perché la nostra comunità è un’unione libera e non un matrimonio sacro.

Noi agiamo insieme se l’affinità lo permette, dandoci dello spazio e dell’autonomia se le intenzioni, i desideri e le volontà divergono. Ognuna e ognuno di noi considera i desideri altrui che non condivide una parte preziosa della libertà da difendere e sostenere in una fattibilità mai imposta a colei, a colui o a coloro che non condividono la stessa idea.

A partire da tutto questo, e da tutto quello che gli si aggiungerà grazie all’apporto inesauribile dell’intelligenza collettiva, noi fondiamo oggi la libera comune di ....



(Aggiungere il nome della Comune e del luogo in cui questa decisione d’autonomia sociale e d’autogestione della vita quotidiana è presa dall’assemblea in riunione plenaria).











[1] Dalle torri di guardia dei campi di concentramento  allo smartphone il passo non era breve, ma è stato fatto e il passo dell’oca non è ancora finito.









ANTIMANIFESTE pour une DEMOCRATIE DIRECTE


Très bref ébauche d’un mode d’emploi en évolution critique permanente. C’est ainsi que la révolution, déjà en cours qu’on le veuille ou pas, avec ou sans le coronavirus, deviendra effectivement permanente et ne bouffera plus ses enfants, ni personne d’autre, au nom d’elle-même.



Nous devons utiliser leurs mots aussi pour leur donner notre sens.

Leur démocratie n’est pas la notre. Leur citoyen ce n’est pas nous. Leur liberté formelle, octroyée en échange d’un travail forcé généralisé qui sent les barbelées et les miradors digitaux, ce n’est pas notre liberté de produire les biens nécessaires à la jouissance immédiate de la vie quotidienne sans nous torturer à la tâche. Leur productivisme ce n’est pas notre capacité de produire le nécessaire pour vivre heureux. Leur liberté concentrationnaire nous empêche le loisir d’agir dans la perspective d’un futur different et bien plus agréable. Voilà pourquoi même leur progrès n’est pas le notre.

Nous ne voulons pas être élus dans leurs structures du pouvoir d’Etat. Nous ne serons pas les maires de leurs villes, mais les maîtres, tous égaux en droit, des assemblées législatives de nos communes, cités et villages fédérés.

L’Etat ce n’est pas nous. Nous sommes la structure sociale de la communauté réelle qui, du local le plus intime, irradie son humanité naturelle sur les quartiers, les villages, les arrondissements, les villes, les régions, la nation et ainsi de suite, jusqu’aux continents, pour attendre, un jour, la planète entière.

Puisque l’Etat – patriarcal et productiviste – et ses descendances sont en dehors de notre révolution sociale pacifique (sans armes, si nous ne sommes pas agressés dans notre autonomie, dans notre liberté d’entreprendre un projet commun, dans notre liberté de citoyens de la terre-mère acratique – qui n’est pas une déesse, mais notre placenta, notre liquide amniotique, notre océan vital), nous revendiquons le droit de nous organiser de façon autonome de l’Etat qui nous dirige. On ne veut pas sa place, on ne veut pas le tuer, ni l’affaiblir (il s’effondra tout seul, faute d’esclaves et pénurie d’esclavagistes) ; nous voulons fonctionner entre nous sans l’attaquer, mais aussi sans subir sa gouvernance imposée. Nous ne voulons donc pas l’indépendance, nous allons pratiquer l’autonomie locale partout où les citoyens la choisissent démocratiquement.

Nous ne sommes pas un pouvoir qui se cherche comme le font tous les partis politiques. Nous sommes une simple expression de la fédération d’assemblées souveraines décidée par des libres individus sociaux qui partagent concrètement un lieu (conscients de faire partie d’un territoire social bien plus vaste d’un quartier, d’un village, d’une ville ou même d’une région et une nation qui pourraient un jour élargir librement jusqu’au monde entier notre projet commun qui n’exclut personne, ni l’implique de force). Nous ne sommes, pour l’instant, qu’une communalité qui se cherche, une potentielle organisation commune d’un quotidien autogéré par ceux qui le vivent avec leur affectivité (solidarité, fraternité, amitié, amour et plus si affinité … en y incluant l’éventuelle indifférence réciproque qui peut nous éloigner sans nous opposer). Nous allons nous confronter aux problemes à résoudre avec l’envie commune de jouir de la vie sans endommager personne. Nous ne voulons pas tout pour nous, nous n’acceptons pas non plus le tout, ni le trop, pour les autres. Car nous sommes de moins en moins émus par les statues d’un pouvoir étatique patriarcal qui nous respecte toujours comme morts pour la patrie, jamais comme vivants pour la liberté, mot dont la première expression archaïque, en Sumer ancien, fut amargi : retour à la mère.

Nos groupes d’affinité se forment spontanément, comme dans le quotidien, comme dans la vie où toute histoire d’amour est fragile, incertaine. Voilà pourquoi on les régule par quelques simples codes de fonctionnement. Car notre communauté est une union libre et non pas un mariage sacré.

Nous agissons ensemble si l’affinité le permet, en nous donnant de l’espace et de l’autonomie si les propos, les désirs et les volontés divergent. Chacune et chacun de nous considère les désirs d’autrui qu’il ne partage pas, une partie précieuse de la liberté à défendre et soutenir dans une faisabilité jamais imposable à celle, celui ou ceux qui ne partagent pas le même avis.

A partir de tout ça, et de beaucoup plus encore qui s’y ajoutera par l’apport inépuisable de l’intelligence collective, nous fondons aujourd’hui la libre commune de …….



(Ajouter le nom de la commune et du lieu où cette décision d’autonomie sociale et d’autogestion de la vie quotidienne est prise par l’assemblée en réunion plénière)