“Siate decisi a smettere di servire ed eccovi liberi. Non vi chiedo di
spingerlo, di scuoterlo, ma solo di non sostenerlo e lo vedrete, come un gran
colosso a cui sia stata spezzata la base, fondere sotto il suo peso e rompersi”.
Etienne de La
Boétie, Discorso sulla servitù volontaria,
1576.
La mia azione di
modesto contro informatore (lanceur
d’alerte, wistleblower che dir si voglia) che riflette una volta ancora pubblicamente
senza poter fare molto di più, è in realtà una reazione vitale spontanea e non
una pretesa intellettuale, perché la transizione da un mondo che muore a un
altro la cui nascita comincia a delinearsi dappertutto come necessaria, s’impone
ormai come una conditio sine qua non
della sopravvivenza della specie. Non c’è più spazio per le titubanze: il tempo
ci è contato e questo momento storico mostra più che mai quanto questa urgenza
occupi le intelligenze e le inquietudini degli esseri umani.
A riguardo di
questa transizione che continua il suo surplace in maniera criminale, non ho la
pretesa di essere esaustivo, semmai di contribuire un minimo a fare il punto
per avviare il difficile inizio di un progetto d’emancipazione che si affina e
si corregge da secoli senza riuscire. Sarà ora o mai più. Quante volte potremo
ancora concederci il lusso di ripetere questo mantra esortativo prima che sia
troppo tardi?
Comunque, nessuna
avanguardia separata dal movimento storico degli egualitari diseguali che
siamo, potrà dirigere questo progetto. Si farà (o no) con tutti i sopravvissuti
(dei milioni, forse) che avranno deciso di esplorarlo e praticarlo spinti dalla
pedagogia delle catastrofi di cui la natura non mancherà di continuare a
impartire le lezioni. Volenti o nolenti, i sopravvissuti formeranno una
federazione affinitaria d’innumerevoli piccoli gruppi praticanti diverse azioni
locali collegate da una coerente prospettiva planetaria – tutte azioni collegate
a quel cambio di rotta che si propone oggi come un’ultima speranza di fronte alla
civiltà che muore, ma che è destinato a diventare la sola strategia possibile se
e quando il peggio sarà arrivato!
Si sa ormai, al
cuore dell’emancipazione desiderata e incompiuta, che una libera autogestione
della vita organica è e resterà incompatibile con tutte le gerarchie e con i
capi e capetti che le dirigono nell’ottica produttivista dominante.
L’abrogazione di questo tipo di organizzazione sociale tipica dello sviluppo
esponenziale di una società patriarcale, predatrice e suprematista, è l’atto
politico maggiore e prioritario di un rovesciamento di prospettiva sociale
altrettanto desiderabile che necessario. Solo il bando della barbarie
produttivista, deciso collettivamente dalle assemblee democratiche dirette,
potrà ridare una possibilità agli esseri umani eventualmente sopravvissuti alla
catastrofe che s’avvicina ineluttabilmente, annunciata dalla crisi climatica, i
pesticidi, il nucleare, la tecnologia digitale, le pandemie e la peste
emozionale crescente che rende gli umani stupidi, impotenti e ciechi. Dobbiamo
porre fine allo sfruttamento e all'inquinamento mortifero del vivente, cause
primarie delle disgrazie umane e della disumanità debordante.
La natura del
vivente e i vagiti di un “ora basta!” che cerca di trasformarsi in progetto di
vita ci invitano, oggi più che mai, a tendere alla costruzione di un mondo
nuovo sulle rovine del vecchio che sta crollando. Perché ciò accada, gli umani
dovranno evitare di cadere nelle varie trappole che la natura stessa del
vecchio mondo tende loro da tempo e continuerà a farlo. Farla finita con la sottomissione,
certo, ma anche con i millenarismi e le superstizioni paranoiche che sfogano la
rabbia addomesticandola e deviano la rivolta che monta verso esche ideologiche
senza pericolo per il sistema dominante. Perché non siamo vittime di un
complotto ma del funzionamento plurimillenario di un sistema di sfruttamento e di
alienazione che ha sempre utilizzato tutti i mezzi per un unico obiettivo
prioritario: un accumulo suprematista di ricchezza di cui l’economia politica è
ormai la teologia e il manuale subliminale d’istruzioni per l’uso.
Solo la
consapevolezza radicale di tutto ciò renderà possibile una rivoluzione sociale
attesa da secoli e finalmente capace, senza odio né procrastinazione, di realizzare
quel progetto emancipatore che la coscienza di classe non è riuscita a
concretizzare. Per questo una nuova coscienza di specie spinta dalla natura,
dalla sua incrollabile determinazione e dalla sua inarrestabile continuità, può
insegnarci a combattere contemporaneamente tutte le pesti sanitarie, sociali e
psicologiche che attaccano la nostra intelligenza sensibile e i nostri corpi indeboliti.
Indipendentemente
dall'esito della loro resistenza, la recente apparizione inaspettata dei Gilet jaunes
sulla scacchiera della democrazia parlamentare francese[1] ha dato un nuovo
corpo alla vecchia richiesta di capovolgimento della prospettiva sociale, unico
vaccino veramente capace di proteggerci dal virus ideologico omicida della
civiltà produttivista. Ebbene, nonostante i pericoli reali che comporta e che
soprattutto non devono essere rimossi o banalizzati, la pandemia di coronavirus
che occupa la scena può oggettivamente contribuire a dare il colpo di grazia a
un vecchio mondo già in pessime condizioni. Perché la pandemia ha accelerato e
reso ancora più urgente ciò che era già necessario, non rendendo così un buon
servizio alle gerarchie dominanti.
"Hanno
inventato la pandemia per sottometterci definitivamente", dicono i
confusionisti infuriati sui loro cellulari. Assurdità di servitori volontari
che pensano di essere rivoluzionari mentre marciano nella trama mostruosa del
potere planetario. Molto prima della pandemia, la rivoluzione digitale era già
la vera offensiva finale della società produttivista, un'offensiva che il virus
ha complicato. Certo, l'armata di mercenari delle multinazionali che manovrano
gli Stati e manipolano i cittadini addomesticati e resi schiavi del ricatto
economico, ha immediatamente reagito adoperandosi per rendere utile ai fini del
dominio ciò che pone problema al sistema. Perché la crisi sanitaria ne complica
gravemente il funzionamento, rendendo visibili a occhio nudo l’intrinseca disumanità
della società produttivista, le sue contraddizioni stridenti, le sue menzogne e
l'opportunismo delle sue intollerabili decisioni.
Se il potere
dominante avesse inventato il virus avrebbe commesso un errore madornale. Cerca
invece, con tutti i mezzi, di integrarlo nel processo di addomesticamento
definitivo degli esseri umani già in corso. Il virus è "naturale"
almeno come rivelatore dei misfatti del dominio. Questa semplice osservazione
contrasta con la sfrenata paranoia complottista indaffarata a demonizzare il
vaccino denunciandolo come mortale senza che le prove “scientifiche” in questo
senso siano più convincenti di quelle opposte che pretendono di garantire la
sua efficacia senza pericoli. Pur rendendo più ricchi i capitalisti che lo
vendono, il vaccino riduce parecchio, nell’immediato, l'impatto del virus. A
che prezzo e con quali conseguenze? Non lo sappiamo. Quindi tutti devono essere
liberi di vaccinarsi o meno[2].
Basta con le omelie pseudoscientifiche pro o contro! Come non essere altrettanto
diffidenti nei confronti di Big Pharma e dello Stato bugiardo che delle
paranoie cospiratorie evocanti dubbie sette sataniche di serial killer vaccinali?
Mentre il potere
sta solo continuando il suo lavoro globale di distruzione della vita organica
della specie umana e dei suoi compagni di viaggio, animali o piante, i deliri
si moltiplicano a 360 gradi. L'ideologia del complotto non è che un'espressione
del misticismo allucinato che turba l'umanità in una distopia poli dogmatica.
Vera pubblicità negativa, il complottismo funziona, del resto, come un ultimo
alibi per il dominio e per il cancro produttivista di cui il capitalismo è la
fase terminale. Volenti o nolenti, complottisti e anti-complottisti,
apparentemente opposti, inscenano un conflitto tanto ingannevole quanto quello preteso
tra Stato e Mercato, complici di fatto da sempre del Leviatano produttivista. Entrambe
le tendenze corroborano la soluzione finale della civiltà produttivista
consistente in una totale artificializzazione della vita, la cui hybris avanza
da secoli a ritmo industriale. Una logica binaria condivisa unisce queste due
fazioni di zombie che si combattono solo sul piano ideologico, cioè
nell'apparenza che falsifica la realtà per renderla incomprensibile, quindi
incriticabile.
Da tempo il
Leviatano studiava già il metodo migliore per riuscire a integrare dei
microchip digitali sotto la pelle dei suoi soggetti umani addomesticati. Questa
intima invasione è già sistematicamente imposta ad altre specie animali
trattate come inferiori in una pura logica concentrazionaria. Ovviamente
l'obiettivo del produttivismo e del suo carattere strutturalmente fascista è il
controllo più intimo possibile delle popolazioni. Tuttavia, questo misfatto intollerabile
é già molto efficace perché passa ormai per i telefoni cellulari, i computer e
altre “diavolerie” digitali di cui, peraltro, ignoriamo anche l'impatto sulla
salute fisica.
Poco importa,
poiché il transumanesimo ci promette, in prospettiva, tra progresso alienato e
utopia reificata, l'opzione ripugnante di una sopravvivenza senza fine (una
specie di vita eterna in saldo nel supermercato globale a cui è ridotta la
terra). Il cyborg umano sarà presto in grado di cambiare, a suo piacimento,
cuore, sesso, polmoni, seno e prostata o qualsiasi altra parte del corpo in
panne, grazie alle magie dell'intelligenza artificiale e al continuo progresso
della tecnologia.
Così, l'ormai
programmato divieto di nascere e vivere come liberi soggetti – cioè mammiferi
coscienti in un mondo naturale – sarebbe compensato dal folle vantaggio di
poter diventare cose che non muoiono mai! Questo meraviglioso homo digitalis,
già ampiamente raffazzonato dal GAFAM, potrebbe durare per sempre o quasi,
funzionando solo come una macchina che produce valore economico all'interno
della mega-macchina del totalitarismo finanziario cibernetizzato. Orde di
moderni seguaci di questo progresso mostruoso si stanno già battendo per essere
i primi a godere del privilegio. Tuttavia, i piani di questo progetto di
dominio assoluto si scontrano con l'immenso potere della natura e con i resti
di una natura umana che non si rassegna a un destino da incubo. La vera domanda
che sconcerta gli ultimi eredi dei Neanderthal, dei Sapiens e di altri ominidi vari,
è capire se l'umanità sopravvivrà al capitalismo e all’economia politica, ma
anche: di quale umanità parliamo?
Erede di secoli di
resistenza e di lotte sociali di un proletariato armato della sua coscienza di
classe, la teoria radicale prevede, da almeno mezzo secolo, la fine del vecchio
mondo, mentre il fantasma di una democrazia illusoria è indaffarato a ritardare
la scadenza per mezzo della propaganda (ingannevole come qualsiasi spot
pubblicitario) della felicità mercantile. I servitori volontari, del resto,
chiedono solo di poterci credere, pur credendoci sempre meno perché in tutte le
teste opera la potente percezione che questo mondo non può durare e che solo la
crudele mancanza di un progetto alternativo, chiaro e visibile, spinge a
fingere di credere nel progresso, anche sull'orlo del baratro.
La domanda sorge
spontanea, mentre le risposte restano confuse, se non latenti: cambiare per
andare dove, cambiare cosa, quanto, quando e come? Un tale problema planetario
non può essere risolto da nessun individuo straordinario, da un ennesimo profeta
tirato fuori dal cappello di qualche credenza mitologica. La questione richiede
risposte collettive basate su un dibattito reale non distorto da interessi di
casta, nutrito dalla conoscenza delle sperimentazioni passate e presenti e dal
desiderio di creare le condizioni reali per una società libera, equanime e
fraterna. Tale dibattito richiede assemblee egualitarie e la partecipazione di
tutti senza gerarchie né poteri. Quella che possiamo chiamare per il momento democrazia
diretta – di fatto la sola democrazia reale perché acratica – è il prezioso
strumento di un'autogestione generalizzata della vita quotidiana resa possibile
da quella coscienza di specie che scaturisce spontaneamente dall'ampiezza della
sofferenza sociale e dell’artificializzazione della vita. In quanto superamento
di una coscienza di classe sconfitta dal consumismo, essa permetterà, al
contempo, di realizzare gli obiettivi emancipatori mancati dall’antico movimento
operaio.
Eppure, la
liturgia della politica mercenaria, asservita alla finanza e alle
multinazionali e assoggettata dal totalitarismo digitale, sta diffondendo più
che mai il suo pensiero ingannevole e le sue truffe parlamentari. Discorsi
stupidi o deliranti (spesso, allo stesso tempo, entrambe le cose) continuano a
imbalsamare il cadavere del produttivismo di fronte alle masse di servi
sottomessi che si ignorano e sventolano con orgoglio la loro chimerica
cittadinanza. Così l'oscura opera del dominio ha svuotato le parole di
progresso e democrazia (ma anche molte altre) di tutto il loro significato,
imponendo la novlingua orwelliana di una follia omicida da cui bisogna
liberarsi per sfuggire alla crescita mortifera del nichilismo capitalista.
Cerchiamo di
essere realisti per potere ancora sognare. I fatti ci mostrano, realisticamente
appunto, che non passeremo da un mondo all'altro in modo indolore, senza una
tragedia multiforme di dimensione colossale; tuttavia, questo mondo della merce
sacralizzata che vampirizza l’umano e fa infuriare la natura non può esistere
senza il lavoro vivo dell'uomo, produttore e consumatore allo stesso tempo. Noi
siamo la condizione della continuità mortifera, oppure quella del superamento
rivitalizzante. Per questo la coscienza di specie che questa realtà sinistra sviluppa
come un’ultima difesa della vita organica, può diventare il perno di un
rovesciamento di prospettiva.
Solo così si potrà
arginare il riscaldamento globale, il ripetersi di pandemie, il numero di
tumori dovuti alla civiltà dei pesticidi, dell'energia nucleare e di altre nocività
industriali. Basta con la sacralizzazione di un lavoro alienato che impesta il
mondo. Molti sono già morti e altri seguiranno, consumati dal consumo o dalla
mancanza di tutto il necessario, materiale ed emozionale. Comunque, noi umani lo
sappiamo: non usciremo vivi dalla vita, ma possiamo decidere di scegliere fino
alla fine l'amore del vivente, e chi vivrà vedrà. Perché, anche in questo
presente imbarazzante e fragile, vivere, nonostante tutto, fino in fondo, il
complesso godimento di essere al mondo, sprigiona una dose di soddisfazione e
voglia di partecipare all'avventura di una scommessa incredibile: la
transizione dalla società spettacolare mercantile, ultimo ghetto planetario del
produttivismo, a una società novella ridiventata organica in un mondo nuovo
finalmente umano.
Sergio Ghirardi
Sauvageon
[2] Io ho deciso in piena autonomia, cosciente di non sapere. Rivendico il
diritto di ciascuno di fare altrettanto secondo i propri criteri.
La transition nécessaire mais pour le moment improbable
« Soyez résolus à ne plus servir, et vous voilà libres. Je ne vous demande pas de le pousser, de l’ébranler, mais seulement de ne plus le soutenir, et vous le verrez, tel un grand colosse dont on a brisé la base, fondre sous son poids et se rompre. »
Etienne de La Boétie, Discours
de la servitude volontaire, 1576, Mille et une nuits, Paris 1995, page 15.
Loin de la foule déchaînée
Mon action de modeste lanceur d’alerte qui réfléchit une
fois de plus de façon publique sans pouvoir faire beaucoup mieux, est, en fait,
une réaction vitale spontanée et non pas une prétention intellectuelle, parce
que la transition d’un monde qui meurt à un autre dont la naissance commence à s’esquisser
partout comme nécessaire, s’impose désormais comme une conditio sine qua non de la survie de l’espèce. Les atermoiements
ne sont plus un choix viable : le temps nous est compté et ce moment
historique montre plus que jamais combien cette urgence occupe les esprits et
les craintes des humains.
En me penchant sur cette transition qui continue
criminellement son surplace, je n’ai pas la prétention d’être exhaustif; plutôt
de contribuer un minimum à faire le point afin d’enclencher l’amorce difficile
d’un projet d’émancipation qui s’affine et se corrige depuis des siècles sans
aboutir. Ce sera maintenant ou jamais. Combien de fois pouvons-nous encore nous
permettre le luxe de répéter ce mantra exhortatif avant qu’il ne soit trop
tard ?
Toutefois, aucune avant-garde séparée du mouvement
historique des égalitaires inégaux que nous sommes, ne pourra diriger ce
projet. Il se fera (ou ne se fera pas) avec tous les survivants qui (par
millions, peut-être) auront décidé de l’explorer et de le pratiquer, poussés
par la pédagogie des catastrophes dont la nature ne manquera pas de continuer à
transmettre les leçons. Volens nolens,
les survivants formeront une fédération affinitaire d’innombrables petits
groupes pratiquant diverses actions locales liées par une cohérente perspective
planétaire – toutes actions liées à ce changement de cap qui se propose aujourd’hui
comme un dernier espoir face à la civilisation qui meurt, mais qui est destiné
à devenir la seule stratégie possible si et quand le pire sera arrivé !
On sait, désormais, au cœur de l’émancipation souhaitée
et inachevée, qu’une libre autogestion de la vie organique est et sera incompatible
avec toutes hiérarchies et avec les patrons et les petits chefs qui les
dirigent dans l’optique productiviste dominante. L’abrogation de ce type
d’organisation sociale typique de l’essor exponentiel d’une societé
patriarcale, prédatrice et suprématiste, est l’acte politique majeur et
prioritaire d’un renversement de perspective sociale aussi souhaitable que
nécessaire. Seul le bannissement de la barbarie productiviste, décidé
collectivement par des assemblées de démocratie directe, pourra redonner une
chance aux humains éventuellement rescapés de la catastrophe qui s’approche
inéluctablement, annoncée par la crise climatique, les pesticides, le
nucléaire, le numérique, les pandémies et la peste émotionnelle croissante qui
rend les humains stupides, impuissants et aveugles. Il faut mettre un terme à
l’exploitation et à la pollution mortifère du vivant, causes primaires des
malheurs des humains et de l’inhumanité débordante.
La nature du vivant et les vagissements d’un ras le bol
qui cherche à se transformer en projet de vie nous invitent, aujourd’hui plus
que jamais, à viser la construction d’un monde nouveau sur les ruines du vieux
qui s’effondre. Il faudra pour cela que les humains évitent de tomber dans les
différents pièges que la nature même du vieux monde lui tend depuis longtemps
et va continuer de le faire. En finir avec la soumission, certes, mais aussi avec
les millénarismes et les superstitions paranoïaques qui défoulent la rage en
l’apprivoisant et détournent la révolte qui gronde contre des leurres
idéologiques sans danger pour le système dominant. Car nous ne sommes pas les
victimes d’un complot mais du fonctionnement plurimillénaire d’un système
d’exploitation et d’aliénation qui utilise depuis toujours tous les moyens pour
un seul objectif prioritaire : une accumulation suprematiste de richesse
dont l’économie politique est désormais la théologie et le mode d’emploi
subliminal.
Seule la conscience radicale de tout cela rendra possible
une révolution sociale en attente depuis des siècles et finalement capable,
sans haine ni atermoiements, de réaliser ce projet émancipateur que la
conscience de classe n’a pas su accomplir. Pour cela une nouvelle conscience
d’espèce poussée par la nature, par sa détermination inébranlable et sa continuité
inarrêtable, peut nous apprendre à combattre en même temps toutes les pestes
sanitaires, sociales et psychologiques qui agressent notre intelligence
sensible et nos corps affaiblis.
Indépendamment de l’issue de leur résistance, la récente
apparition inattendue des Gilets jaunes sur l’échiquier de la démocratie
parlementaire française[1] a donné
un corps nouveau à l’exigence ancienne d’un renversement de perspective
sociale, seul vaccin véritablement capable de nous protéger du virus
idéologique meurtrier de la civilisation productiviste. Or, malgré les dangers
réels qu’elle comporte et qu’il ne faut surtout pas refouler ou banaliser, la
pandémie de coronavirus qui occupe la scène peut contribuer objectivement à
donner le coup de grâce à un vieux monde déjà mal en point. Car elle n’a fait
qu’accélérer et rendre plus urgent encore ce qui était déjà nécessaire, sapant
ainsi les assises des hiérarchies dominantes.
« Ils ont
inventé la pandémie pour nous soumettre définitivement », disent sur
leurs téléphones portables les confusionnistes enragés. Balivernes de
serviteurs volontaires qui se prennent pour des révolutionnaires, alors qu’ils collaborent
à la combine monstrueuse du pouvoir planétaire. Bien avant la pandémie, la
révolution numérique était déjà la véritable offensive finale de la société
productiviste, offensive que le virus a compliquée. Bien sûr, l’armada de
mercenaires des multinationales qui manœuvrent les Etats et manipulent les
citoyens domestiqués et soumis à l’esclavage du chantage économique, a
immédiatement réagi en œuvrant pour rendre utile aux fins de la domination ce
qui pose problème au système. Car la crise sanitaire lui complique sérieusement
la tâche, rendant visibles à l’œil nu l’inhumanité foncière de la société
productiviste, ses contradictions criantes, ses mensonges et l’opportunisme de
ses décisions intolérables.
Si les décideurs avaient inventé le virus ils auraient fait
une énorme erreur. Ils cherchent, par contre, par tous les moyens, à l’intégrer
dans le processus de domestication définitive de l’humain déjà en cours. Le
virus est « naturel » du moins en tant que révélateur des méfaits de
la domination. Ce simple constat tranche avec la paranoïa complotiste débridée
qui s’affaire à diaboliser le vaccin en le dénonçant comme mortel sans que les
preuves « scientifiques » en ce sens ne soient plus convaincantes que
celles qui, à l’opposé, prétendent garantir son efficacité sans dangers. Tout
en enrichissant les capitalistes qui le vendent, le vaccin réduit considérablement,
dans l’immédiat, l’impact du virus. A quel prix et avec quelles conséquences ?
On ne le sait pas. Donc, à chacun la liberté de se vacciner ou pas[2]. Les
homélies pseudo-scientifiques pour ou contre, ça suffit ! Comment ne pas
se méfier autant de Big Pharma et de l’Etat menteur que des paranoïas
complotistes évoquant des douteuses sectes sataniques de serial killers
vaccinaux ?
Alors que le pouvoir ne fait que continuer son œuvre
globale de destruction de la vie organique de l’espèce humaine et de ses
compagnons de route, animaux ou végétaux, les délires se multiplient tous
azimuts. L’idéologie du complot n’est qu’une expression du mysticisme halluciné
qui trouble l’humanité dans une dystopie poly dogmatique. Véritable publicité
négative, le complotisme fonctionne, d’ailleurs, comme un dernier alibi pour la
domination et pour le cancer productiviste dont le capitalisme est la phase
terminale. Qu’ils le veuillent ou non, complotistes et anticomplotistes, apparemment
opposés, mettent en scène un conflit aussi trompeur que le prétendu affrontement
entre l’Etat et le Marché, en fait complices de toujours du Léviathan
productiviste. Ces deux tendances corroborent la solution finale de la
civilisation productiviste consistant dans une artificialisation totale de la
vie dont l’hubris progresse depuis des siècles à un rythme industriel. Une
logique binaire partagée réunit ces deux factions de zombies qui se bagarrent
uniquement sur le plan idéologique, c'est-à-dire dans le paraître qui falsifie
la réalité pour la rendre incompréhensible, donc incritiquable.
Depuis un moment, déjà, le Léviathan était en train d’étudier
la meilleure méthode pour arriver à intégrer quelques micro chips numériques
sous la peau de ses sujets humains domestiqués. On impose bien déjà systématiquement
cette invasion intime à d’autres espèces animales qu’on traite d’inférieures
dans une pure logique concentrationnaire. Evidemment, le but du productivisme
et de son fascisme caractériel structurel est un contrôle des populations le plus
intime possible. Néanmoins, ce méfait intolérable est déjà très performant car
il passe désormais par les téléphones portables, les ordinateurs et autres
« diableries » numériques dont, d’ailleurs, on ignore aussi l’impact
sur la santé physique.
Peu importe, car le transhumanisme nous promet, en
perspective, entre progrès aliéné et utopie réifiée, l’option immonde d’une
survie sans fin (une sorte de vie éternelle en solde dans le supermarché global
auquel on a réduit la terre). Le cyborg humain pourra bientôt changer, à
loisir, cœur, sexe, poumons, seins et prostate ou n’importe quelle autre partie
du corps tombée en panne, grâce aux magies de l’intelligence artificielle et
aux progrès continus de la technologie.
Ainsi, l’interdiction désormais programmée de naître et
vivre en tant que libres sujets – c'est-à-dire de mammifères pourvus de
conscience dans un monde naturel – serait compensée par l’avantage insensé de
pouvoir devenir des choses qui ne
meurent jamais ! Ce merveilleux homo
numericus déjà
abondamment échafaudé par le GAFAM, pourrait durer éternellement ou presque, en
fonctionnant uniquement comme une machine productrice de valeur économique à
l’intérieur de la méga machine du totalitarisme financier cybernétisé. Des
hordes d’adeptes modernes de ce progrès monstrueux se bagarrent déjà pour être
les premiers à pouvoir profiter du privilège. Néanmoins, les plans de ce projet
de domination absolue s’affrontent à la puissance immense de la nature et aux
restes d’une nature humaine qui ne se résigne pas à une destinée si cauchemardesque.
La vraie question qui turlupine les derniers héritiers des Néandertal, des
Sapiens et autres hominidés divers, c’est de comprendre si l’humanité survivra
au capitalisme et à l’économie politique, mais aussi : de quelle humanité
parle-t-on ?
Héritière de siècles de résistance et de luttes sociales
d’un prolétariat armé de sa conscience de classe, la théorie radicale envisage,
depuis au moins un demi-siècle, la fin du vieux monde, pendant que le fantôme
d’une démocratie illusoire s’affaire à retarder l’échéance par la propagande
(trompeuse comme tout spot publicitaire) du bonheur marchand. Les serviteurs
volontaires, d’ailleurs, ne demandent que de pouvoir y croire, tout en y
croyant de moins en moins car dans toutes les têtes travaille la perception
puissante que ce monde ne peut pas durer et que seul le manque cruel d’un
projet alternatif, clair et visible, pousse à faire semblant de croire au
progrès, même au bord de l’abîme.
La question se pose spontanément, alors que les réponses
restent confuses, sinon latentes : changer pour aller où, changer quoi,
combien, quand et comment ? Un tel problème planétaire ne peut pas être
résolu par un quelconque individu génial, par un énième prophète sorti du
chapeau de quelque croyance mythologique. Il exige des réponses collectives
fondées sur un vrai débat non faussé par des intérêts de caste, nourri par la
connaissance des expérimentations passées et présentes et par une volonté de
créer les conditions réelles d’une société libre, juste et fraternelle. Un tel
débat nécessite des assemblées égalitaires et la participation de tous sans
hiérarchies ni pouvoirs. Ce qu’on peut appeler pour le moment démocratie directe – en fait la seule
démocratie réelle car acratique – est l’instrument précieux d’une autogestion
généralisée de la vie quotidienne rendue possible par cette conscience d’espèce
qui jaillit spontanément de l’ampleur du malheur social et de
l’artificialisation de la vie. En tant que dépassement d’une conscience de
classe vaincue par le consumérisme, elle permettra en même temps d’atteindre les
objectifs émancipateurs manqués par l’ancien mouvement ouvrier.
Et pourtant, la liturgie de la politique mercenaire,
inféodée à la finance et aux multinationales et soumise au totalitarisme
numérique, répand plus que jamais sa pensée trompeuse et ses arnaques
parlementaristes. Des discours débiles ou délirants (souvent les deux à la
fois) continuent à embaumer le cadavre du productivisme face aux masses de
domestiques soumis qui s’ignorent et arborent fièrement leur citoyenneté chimérique.
Ainsi l’œuvre sombre de la domination a vidé les mots de progrès et de
démocratie (mais beaucoup d’autres encore) de tout leur sens, imposant la
novlangue orwellienne d’une folie meurtrière dont on doit se libérer pour
échapper à la croissance mortifère du nihilisme capitaliste.
Soyons réalistes pour pouvoir encore rêver. Les faits
nous montrent, grandeur nature, que nous ne passerons pas d’un monde à l’autre
de façon indolore, en faisant l’économie d’une tragédie aux multiples facettes
et d’une dimension colossale ; cependant, ce monde de la marchandise
sacralisée qui vampirise l’humain et enrage la nature ne peut pas exister sans
le travail vivant de l’humain, producteur et consommateur à la fois. Nous
sommes la condition de la continuité mortifère ou celle du dépassement
revitalisant. Pour cela la conscience d’espèce que cette réalité sinistre développe
comme une ultime défense de la vie organique, peut devenir le pivot d’un
renversement de perspective.
Ce sera uniquement ainsi qu’on endiguera le réchauffement
climatique, la répétition des pandémies, le nombre des cancers dus à la
civilisation des pesticides, du nucléaire et d’autres nuisances industrielles. Assez
de la sacralisation de ce travail aliéné qui empeste le monde. Beaucoup sont
déjà morts et d’autres suivront, consumés par la consommation ou par manque de
tout l’essentiel, matériel et émotionnel. De toute façon, nous, les humains, le
savons : nous ne sortirons pas vivants de la vie, mais nous pouvons
décider de choisir jusqu’au bout l’amour du vivant, et qui vivra verra. Car,
même dans ce présent embarrassant et fragile, vivre, malgré tout et jusqu’au
bout, la jouissance complexe d’être au monde, dégage une dose de satisfaction
et d’envie de participer à l’aventure d’un pari inouï : la transition de
la société spectaculaire-marchande, ultime ghetto planétaire du productivisme,
à une société nouvelle redevenue organique dans un nouveau monde finalement
humain.
Sergio Ghirardi Sauvageon
[1] Echiquier particulièrement bicéphale,
républicain et régalien, jacobin et pétainiste, truqué ni plus ni moins que
celui de n’importe quel autre étatisme marchand, mais corrosif d’une conscience
révolutionnaire récupérée pendant des siècles par le Léviathan productiviste.
[2] J’ai décidé en pleine autonomie,
conscient de ne pas savoir. Je revendique le droit de chacun d’en faire autant
selon ses propres critères.