domenica 4 settembre 2022

Un nuovo mondo c’è già. Come sarà non si sa ancora, ma le primizie sono preoccupanti

 




Nel giro di tre anni (2020-2022), un processo che era già ineluttabile e in buona parte prevedibile – del resto abbondantemente previsto dall’umanità residua ma autoritariamente rimosso dalla disumanità dominante – si è trasformato in un’evidenza apocalittica trattata a torto come una sorpresa che non si riesce ormai più a banalizzare.

Nel 1972, quando il Club di Roma ha diffuso il suo ormai famoso Rapporto sui limiti della crescita, lo spettacolo politico sopravvissuto al maggio 1968 stava digerendo il mondo dopo averlo ingoiato come un anaconda inghiotte un vitello.

Le lotte della specie umana contro il delinearsi di un possibile crollo di civiltà erano ancora difficilmente pensabili, e i ribelli continuavano a utilizzare i mantra di una coscienza di classe in via di archiviazione, mentre proseguiva lo sviluppo della realtà storica del dominio capitalista e della sottomissione planetaria dei popoli al produttivismo onnipresente.

A partire da una tale constatazione, diventa oggi importante registrare, sia pur tardivamente, che negli anni cinquanta, un secolo dopo l’elaborazione marxiana della critica dell’economia politica e mezzo secolo dopo i diktat rivoluzionari della Russia post-zarista pseudo comunista, gli esperti in ideologia marxista, leninisti, trozkisti, stalinisti, maoisti o altre sette minori tributarie del pensatore critico di Treviri trasmutato in profeta, avevano a malapena conoscenza della metà dell’opera del filosofo della dialettica materialista.

Opposto ideologicamente al trionfalismo becero e omicida della società liberale, il marxismo banalizzava e sviava, dunque, la radicalità bollente affiorante fin dalle opere giovanili di Marx – quando il compagno Karl non si diceva neppure ancora comunista – per privilegiare una forma collettivista strettamente produttivista della sua critica del Capitale.

Nato come critica radicale dell’economia politica, dell’oppio dei popoli, dello sfruttamento e dell’alienazione, il pensiero marxiano, mal conosciuto dai suoi devoti e demonizzato come il male assoluto dai servitori volontari di un economicismo a tendenza planetaria, è diventato un ennesimo testo sacro idolatrato o odiato da cui ogni forma di potere ricavava le giustificazioni ideologiche del proprio dominio.

Per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono stati i bordighisti, piccola banda internazionalista di un comunismo eterodosso non proprio libertario ma in chiaro odore di eresia, a far emergere, prima in tedesco, poi in francese e italiano, i GrundrissePer la critica dell’economia politica, opera multiforme ma fondamentale di Marx per qualità e densità. Questa coerente raccolta di note e appunti non dogmatici ha accompagnato e preparato la stesura dei tre (anzi quattro, con le Teorie sul plusvalore) volumi di quel Capitale che è diventato la più famosa opera di Karl Marx e che ha anch’esso, non a caso, come sottotitolo: Per la critica dell’economia politica.

La componente pre-leninista (quindi ineluttabilmente marxista – vedi La critica del programma di Gotha del 1872) di quel Marx che ha poi ribadito, negli ultimi anni della sua vita, la sua volonterosa convinzione di non essere marxista, sarebbe rimasta come la doxa dominante, intoccabile e antilibertaria, proferita in nome di un materialismo mistico dai teologi di una rivoluzione politica angusta, destinata a contribuire al dominio reale del capitale attraverso una critica ideologica del suo dominio formale.

Questo passaggio cruciale nello sviluppo e nella crescita tumorale di un capitalismo planetario ha preso, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la forma denunciata dai situazionisti e Debord: la società dello spettacolo. Tutto questo è ormai tragicamente storia, molto più nota e rimasticata che conosciuta. Mentre il vecchio mondo avanzava proiettando il suo nichilismo intimo contro il muro della realtà vissuta degli esseri umani, mezzo secolo è passato, marcato da un’ipnosi collettiva che oggi è saltata di fronte alle inondazioni, alle pandemie, alla crisi climatica e ai criminali rischi nucleari non più soltanto affioranti ma definitivamente diffusi e celebrati come il fanatismo nipponico elogiava il banzai dei suoi mistici kamikaze (l’esaltazione fascista del loro macabro viva la muerte non si spingeva, però, fino a spiaccicare quelle bombe volanti sui propri figli, amici e parenti, mentre il nucleare non risparmia, invece, né famiglia né affetti e illumina una civiltà destinata a diventare il cimitero della vita che in parte già è, non solo a Chernobyl).

Dalla pandemia del Covid 1984 alla crisi climatica, passando e ripassando per la guerra in Ucraina, la civiltà produttivista ha dimostrato per l’ennesima volta la verità storica di una critica radicale che ha trovato in Marx, Orwell, Anders una trilogia simbolicamente significativa e anticipata di quella coscienza di specie che potrebbe superare realizzandola – ma niente è meno sicuro – la coscienza di classe sconfitta dal consumismo produttivista. Tutta la critica radicale contemporanea, situazionisti e altri libertari compresi, è attraversata da questa trilogia che ha nel rapporto privilegiato dell’essere umano con la natura la sua origine. Oltre la lotta di classe, infatti, la specie umana è ormai confrontata a una coscienza vitale che vede la morte accerchiare la vita in nome del feticcio barbaro e mostruoso del profitto.

Il produttivismo odia la vita in quanto atto gratuito, perché intende estrarre da essa come da tutto, sempre e unicamente, il processo di valorizzazione di una realtà ridotta a merce. Questo meccanismo che Marx ha identificato fin dai primi capitoli del Capitale (il feticismo della merce) ha trovato in Orwell l’intuizione poetica per denunciare l’uguaglianza predicata da quanti trovano sempre modo di garantirsi il diritto di essere più uguali degli altri e in Anders la presa di coscienza tragica che la bomba atomica ha significato un’esplosiva e irreversibile rottura sistemica con la vita organica e non solo un’apocalittica distruzione puntuale. L’alfa industriale ha trovato il suo omega nel nucleare.

Verso una sensibilità ineluttabilmente radicale e la sua nuova coscienza spinge anche l’esperienza di un Wilhelm Reich la cui esplorazione dell’energia vitale è stata non a caso calunniata e aggredita dalla cultura produttivista dominante prima di essere chiaramente rimossa. Non si elogiano imprudentemente la vita, l’orgasmo e la gioia di vivere in una società della morte redditizia senza pagarne il fio. Prendo, dunque, coscientemente, il rischio di essere anch’io esorcizzato come delirante in un mondo in cui complottisti e anti complottisti fanno a gara per denunciare reciprocamente e maldestramente le pretese patologie altrui in un’orgia di peste emozionale condivisa.

Approdato negli Stati Uniti[1] nell’ultima fase della sua ricerca sull’energia vitale (orgonica), Reich descrive nel 1951 l’effetto DOR (Deadly Orgone Radiation) conseguente all’esperimento Oranur (Orgone Radiation Against Nuclear Radiation). In sintesi, rapidamente, secondo Reich l’energia orgonica precede e genera la materia mentre l’energia atomica, derivante dalla disgregazione dell’atomo può essere considerata l’energia che nasce dalla distruzione della materia e che sussiste dopo la materia. Reich e i suoi collaboratori hanno voluto sperimentare le virtù mediche e immunizzanti dell’energia orgonica nei confronti dell’energia atomica. Il 12 gennaio 1951 un milligrammo di radium sperimentale fu introdotto nell’accumulatore orgonico[2] per mezz’ora soltanto. Pochi minuti dopo l’atmosfera nella sala degli esperimenti si era incredibilmente annebbiata. Questa nebbia di un colore variante dal blu al violetto si muoveva sotto il controllo di tre osservatori tra cui lo stesso Reich. Il quale ha descritto la sua forte sensazione di nausea, una sensazione di mancamento, di perdita dell’equilibrio e di obnubilazione della coscienza con uno sforzo evidente a tenersi in piedi. Anche il dottor Simeone Tropp ammise di sentirsi molto male e sul punto di svenire con una sensazione di debolezza estrema, cerchio alla testa, nausea, crampo allo stomaco. Allontanatisi di cinquecento metri e dopo aver bevuto qualcosa di forte, i ricercatori hanno cercato di fissare per iscritto le loro sensazioni. Questi appunti sono stati firmati, protocollati e depositati negli archivi. Ecco i sintomi comuni registrati: grave debolezza, nausea, senso di pressione al setto nasale e ai bulbi oculari, infiammazione congiuntivale, alternanza di vampate calde e di brividi, parestesie, sensazioni di perdita del’equilibrio, dolori vaganti alle gambe, debolezza alle braccia e soprattutto nella regione dell’ulna, sorda cefalea e tensione alla faringe. Ecco i sintomi accertati del morbo oranurico [3].

Delirio o intuizione scientifica? Impossibile stabilire un rapporto di causa a effetto tra l’esperimento Oranur e le morti negli anni successivi di Reich (1957) e dei suoi collaboratori. Inevitabile, però, collegarvi la morte di 57 topi sui 286 presenti nel laboratorio durante l’esperimento, mentre altri dodici gravemente ammalati furono uccisi per farne l’autopsia. Significativa anche la morte di quattordici dei quaranta topi sani introdotti nel laboratorio prima dell’esperimento Oranur, mentre dei quaranta topi trattati con super-irradiazioni orgoniche nei mesi precedenti l’esperimento nessuno è morto durante i diciotto mesi successivi, facendo concludere a Reich che “il basso livello bioenergetico favorisce la morte per morbo oranurico”. Resta che la presenza dell’uranio radioattivo a contatto con l’energia vitale accumulata nell’orgon box durante questa sperimentazione avrebbe prodotto la catena di gravi malesseri tra i ricercatori che è stata accertata e definita. Secondo Reich la causa di questo violento conflitto energetico sarebbe legato al fatto che la radioattività è un’energia mortale che opposta all’energia vitale produce un effetto DOR particolarmente violento e grave. Non pretendo, ricordando tutto questo, portare una qualunque prova scientifica senza smentite. Di smentite, però, a mia conoscenza, non ne esistono e gli effetti della radioattività (persino quella naturale, ma ben più quella volontariamente prodotta e immensamente concentrata nelle centrali nucleari civili, per non parlare del nucleare militare) sono sempre tossici e oltre una certa soglia apocalittici, come ha dimostrato Chernobyl e non solo.

Io intendo, comunque, solo svelare una rimozione collettiva di fatti e nozioni voluta, imposta e accentuata dal produttivismo nel momento in cui un’umanità ignorante e addomesticata da una civiltà artificiale mortifera è spinta a riversare sull’energia nucleare tutto l’interesse che dovremmo naturalmente rivolgere alla vita organica che sta sparendo.

Oltre Hiroshima e Fukushima è tutta la civiltà produttivista termo-industriale che ha rotto l’equilibrio delicato tra la specie umana e la natura che la include e la fa vivere. La bomba atomica ha dinamitato – l’immagine è debole perché la dinamite è un piccolo petardo festivo di fronte al potere antivitale dell’atomo – la comunità umana organica ridotta alla schiavitù produttivista sotto l’ala morbosa della morte in agguato.

Il produttivismo moderno è cominciato con la scoperta dell’America. Basta documentarsi sul giornale di bordo di Cristoforo Colombo per capire, nero su bianco, quanto sia intimo, profondo e diffuso il cinico abisso del feticismo della merce. Gli autoctoni lo interessano soltanto come possibili schiavi, selvaggi addomesticati, atti alla produzione forzata di ricchezza economica. La loro gentilezza non lo commuove, lo interessa. La loro ingenuità è ideale per immergerli nel brodo di coltura di tutti i monoteismi al servizio di una casta padronale sacra e privilegiata. L’oro delle Americhe è stato intriso per secoli dal sangue degli autoctoni fino al loro sterminio massivo. Lo stesso disegno, in modi culturalmente diversi – altri dogmi, altre barbarie – è toccato al pianeta intero, attraversato dalle guerre di potere tra culture incivili, tutte scaturite come tumori dalla civiltà produttivista che impesta un mondo ormai sotto il dominio reale del Capitale che ha invaso la vita quotidiana di tutti. Dai paradisi celesti di ieri alle isole Cayman di oggi, il capitalismo ha trasformato il feticismo simbolico della merce da religioso a laico, diretto, materiale. I paradisi artificiali sono off shore ma assolutamente reali.

L’impero della croce ha sempre rinchiuso i sopravvissuti agli stermini vari causati dal procedere dei suoi affari in qualche ghetto, dalle riserve ai campi di concentramento, fino alle case di riposo e al distanziamento sociale. I mercanti del tempio non hanno smesso di diffondere le parabole cristiane più egualitarie per meglio far accettare ai poveri il dominio dei ricchi. I quali, di passare o no per la cruna di un ago non sanno che farsene. Il loro scopo è sempre stato di abitare i palazzi e gestire i tuguri in un commercio perpetuo e parossistico. Ora, mentre la loro civiltà sta crollando, preparano i loro rifugi antiatomici e climatici da incubo e sognano miserabilmente, come topi in trappola, di colonizzare Marte mentre finiscono di distruggere la Terra.

Se, grazie ad Anders, ma non solo a lui, come abbiamo visto, tutto questo è accessibile alla coscienza da circa settant’anni, oggi è direttamente la natura che spiega chiaramente agli esseri umani l'inconscia automutilazione della loro hubris economicista. Bisogna reinventare immediatamente un modello politico e sociale basato sull'aiuto reciproco, la condivisione delle ricchezze, la gratuità del vivente, la sobrietà energetica, il rifiuto della trappola del consumo, la crescita della poesia creativa e della gioia orgastica nel rispetto della vita, di tutte le vite. Ciò è necessario non per ragioni etiche sia pur rispettabili, ma come unica soluzione per la sopravvivenza della specie e di ciascuno di noi. La ricchezza materiale accumulata in potere ha sempre ucciso prima i poveri, ma la natura sconvolta non risparmierà più neppure quei ricchi di miserie che dominano il mondo che resta.

 

Siamo ormai concretamente incamminati nel processo di autodistruzione della specie nella sesta estinzione massiccia della vita sulla terra. Interrompere questo processo non è per niente facile né probabile, ma non ci resta altro che provarci. Adesso. Altrimenti nessun domani sarà possibile e per avere una chance di riuscirci non ci resta che operare una rottura sistemica con l’organizzazione sociale di una civiltà produttivista che ne è la causa prima. Se non scegliamo radicalmente la vita organica, la natura organica del cosmo e del vivente decreteranno la nostra fine. Ogni altra illazione è misticismo, mistificazione delle proprie sensazioni e funzioni primitive, organiche. La civiltà produttivista dalla quale dobbiamo provare a uscire per sopravvivere al fine di vivere, si fonda su quest’alienazione che è anche reificazione perché il dominio della merce riduce il vivente, e l’umano in particolare, a una cosa senz’anima, cioè senza il soffio vitale da cui dipendono il godimento e la gioia di vivere.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon 3 settembre 2022



[1] Dove Reich è morto in prigione condannato su denuncia della Food and Drugs Administration, organo statale produttivista che ha imposto l’interruzione dei suoi esperimenti, obbligo da lui non ottemperato.

[2] L’Orgon box è semplicemente l’accumulatore di energia orgonica concepito da Reich e che Einstein, in uno scambio epistolare con il dottore e ricercatore austriaco, aveva definito con toni elogiativi “una bomba scientifica” perché capace di mettere in crisi il secondo principio della termodinamica. Einstein ²si era poi ritirato prudentemente in un imbarazzante silenzio di fronte allo scetticismo generalizzato del mondo scientifico da cui lo scopritore della relatività riceveva i finanziamenti.

[3] Sintesi da Luigi De Marchi, Wilhelm Reich, Biografia di un’idea, Sugar, Milano 1970.

 



 

Un nouveau monde est déjà là. On ne sait pas encore ce que ce sera, mais les premiers signes sont inquiétants

  

 

 

Un nouveau monde est déjà là. On ne sait pas encore ce que ce sera, mais les premiers signes sont inquiétants

 

 

En l'espace de trois ans (2020-2022), un processus déjà inéluctable et largement prévisible au demeurant abondamment prévu par l'humanité résiduelle mais autoritairement refoulé par l'inhumanité dominante s'est mué en évidence apocalyptique traitée à tort comme une surprise qu’on ne peut plus banaliser.

En 1972, lorsque le Club de Rome publia son désormais célèbre Rapport sur les limites de la croissance, le spectacle politique, survécu à mai 68, était en train de digérer le monde après l'avoir avalé comme un anaconda gobe un veau.

Les luttes de l'espèce humaine contre l'émergence d'un possible effondrement de la civilisation étaient encore difficilement concevables et les révoltés continuaient d'utiliser les mantras d'une conscience de classe en voie d'être archivée, tandis que le développement de la réalité historique de la domination capitaliste et de la soumission planétaire des peuples au productivisme omniprésent poursuivait.

Partant d'un tel constat, il devient important aujourd'hui de remarquer, bien que tardivement, que dans les années cinquante, un siècle après l'élaboration marxienne de la critique de l'économie politique et un demi-siècle après les diktats révolutionnaires de la Russie post-tsariste et pseudo-communiste, les experts en idéologie marxiste, léninistes, trotskistes, staliniens, maoïstes ou autres sectes mineures tributaires du penseur critique de Trèves transmué en prophète, connaissaient à peine la moitié de l'œuvre du philosophe de la dialectique matérialiste.

Opposé idéologiquement au triomphalisme vulgaire et meurtrier de la société libérale, le marxisme a donc banalisé et détourné le radicalisme bouillonnant qui émergeait des premiers travaux de Marx quand le camarade Karl ne se disait même pas communiste pour privilégier une forme collectiviste strictement productiviste de sa critique du Capital.

Née comme une critique radicale de l'économie politique, de l’opium des peuples, de l'exploitation et de l'aliénation, la pensée marxienne, méconnue de ses adeptes et diabolisée comme un mal absolu par les serviteurs volontaires d'un économisme à vocation planétaire, est devenue un énième texte sacré idolâtré ou détesté dont toute forme de pouvoir tirait les justifications idéologiques de sa propre domination.

Pour la première fois après la fin de la Seconde Guerre mondiale, ce sont les bordiguistes, petite bande internationaliste d'un communisme hétérodoxe pas exactement libertaire mais en clair parfum d'hérésie, qui ont fait connaître, d'abord en allemand, puis en français et en italien, les Grundrisse Pour la critique de l'économie politique, œuvre multiforme mais fondamentale de Marx en termes de qualité et de densité. Cet ensemble cohérent de notes et repères non dogmatiques accompagnait et préparait la rédaction des trois (ou plutôt quatre, avec les Théories de la plus-value) volumes de ce Das Capital qui est devenu l'ouvrage le plus célèbre de Karl Marx et qui avait aussi, pas par hasard, comme sous-titre : Pour la critique de l'économie politique.

La composante pre-leninista (donc inévitablement marxiste voir La Critique du programme de Gotha de 1872) de ce Marx qui réaffirma ensuite, dans les dernières années de sa vie, sa conviction volontaire de ne pas être marxiste, restera comme la doxa dominante, intouchable et anti-libertaire, proférée au nom d'un matérialisme mystique par les théologiens d'une révolution politique étriquée, destinée à contribuer à la domination réelle du capital par une critique idéologique de sa domination formelle.

Cette étape cruciale dans le développement et la croissance tumorale d'un capitalisme planétaire a pris, surtout après la Seconde Guerre mondiale, la forme dénoncée par les situationnistes et Debord : la société du spectacle. Tout cela appartient désormais tragiquement à l'histoire, beaucoup plus manipulée et remâchée que connue. Alors que l'ancien monde avançait en projetant son nihilisme intime contre le mur de la réalité vécue des êtres humains, un demi-siècle est passé, marqué par une hypnose collective qui a maintenant éclaté face aux inondations, aux pandémies, à la crise climatique et aux risques nucléaires criminels non plus seulement apparaissant mais définitivement répandus et célébrés ainsi que le fanatisme japonais chérissait le banzai de ses mystiques kamikazes (dont l’exaltation fasciste de leur macabre viva la muerte n'allait pas, cependant, jusqu'à écraser ces bombes volantes sur ses propres enfants, amis et parents, alors que le nucléaire n’épargne, en revanche, ni famille ni proches et il éclaire une civilisation destinée à devenir le cimetière de la vie qui l’est déjà en partie et pas seulement à Tchernobyl).

De la pandémie de Covid 1984 à la crise climatique, en passant et repassant par la guerre en Ukraine, la civilisation productiviste a une fois de plus démontré la vérité historique d'une critique radicale qui a trouvé en Marx, Orwell, Anders une trilogie symboliquement significative et anticipée de cette conscience d’espèce qui pourrait dépasser en la réalisant mais rien n'est moins sûr la conscience de classe vaincue par le consumérisme productiviste. Toute la critique radicale contemporaine, y compris les situationnistes et autres libertaires, est traversée par cette trilogie qui trouve son origine dans le rapport privilégié entre l’être humain et la nature. Au-delà de la lutte des classes, en effet, l'espèce humaine est désormais confrontée à une conscience vitale qui voit la mort encercler la vie au nom du fétiche barbare et monstrueux du profit.

Le productivisme hait la vie comme acte gratuit parce qu'il entend en extraire comme de tout, toujours et exclusivement, le processus de valorisation d'une réalité réduite à une marchandise. Ce mécanisme que Marx a identifié dès les premiers chapitres du Capital (le fétichisme de la marchandise) a trouvé chez Orwell l'intuition poétique pour dénoncer l'égalité prônée par ceux qui trouvent toujours le moyen de se garantir le droit d'être plus égaux que les autres et chez Anders la prise de conscience tragique que la bombe atomique signifiait une rupture systémique explosive et irréversible avec la vie organique et pas seulement une destruction ponctuelle apocalyptique. L'alpha industriel a trouvé son oméga dans le nucléaire.

Vers une sensibilité inéluctablement radicale et sa nouvelle conscience, pousse aussi l'expérience d'un Wilhelm Reich dont l'exploration de l'énergie vitale n'a pas été par hasard calomniée et attaquée par la culture productiviste dominante avant d’être clairement refoulée. On ne peut pas imprudemment louer la vie, l’orgasme et la joie de vivre dans une société de la mort rentable sans en payer le prix. Par conséquent, je prends consciemment le risque d'être exorcisé comme délirant dans un monde où les théoriciens du complot et de l’anti-complot s'affrontent pour dénoncer, réciproquement et maladivement, les pathologies présumées des uns et des autres dans une orgie de peste émotionnelle partagée.

Arrivé aux États-Unis[1] dans la phase finale de ses recherches sur l'énergie vitale (orgonique), Reich décrit en 1951 l'effet DOR (Deadly Orgone Radiation,) suivi à l'expérience Oranur (Orgone Radiation Against Nuclear Radiation). En résumé, rapidement, selon Reich, l'énergie orgonique précède et génère la matière tandis que l'énergie atomique, résultant de la désintégration de l'atome, peut être considérée comme l'énergie qui résulte de la destruction de la matière et qui subsiste après la matière. Reich et ses collaborateurs ont voulu expérimenter les vertus médicales et immunisantes de l'énergie orgonique contre l'énergie atomique. Le 12 janvier 1951, un milligramme de radium expérimental a été introduit dans l'accumulateur d'orgone[2] pendant seulement une demi-heure. Quelques minutes plus tard, l'atmosphère dans la salle d'expérimentation était devenue incroyablement trouble. Cette brume d'une couleur allant du bleu au violet se déplaçait sous le contrôle de trois observateurs dont Reich lui-même. Celui ci a décrit sa forte sensation de nausée, une sensation de malaise, une perte d'équilibre et un trouble de la conscience avec un effort évident pour se lever. Le docteur Simeone Tropp a également admis qu'il se sentait très mal et sur le point de s'évanouir avec une sensation de faiblesse extrême, un tour de tête, des nausées, des crampes d'estomac. Ils se sont éloignés de cinq cents mètres et après avoir bu quelque chose de fort, les chercheurs ont essayé d'écrire leurs sentiments. Ces notes ont été signées, enregistrées et déposées aux archives. Voici les symptômes courants enregistrés : faiblesse sévère, nausées, sensation de pression dans la cloison nasale et les globes oculaires, inflammation conjonctivale, alternance de bouffées de chaleur et de frissons, paresthésie, sensation de perte d'équilibre, douleurs d'errance dans les jambes, faiblesse dans les bras et surtout dans la région du cubitus, mal de tête sourd et tension dans le pharynx. Voici les symptômes établis de la maladie oranurique[3].

Délire ou intuition scientifique ? Il est impossible d'établir une relation de cause à effet entre l'expérience Oranur et les décès, dans les années suivantes, de Reich (1957) et de ses collaborateurs. Il est cependant inévitable de relier la mort de 57 souris sur les 286 présentes au laboratoire lors de l'expérience, tandis que douze autres gravement malades ont été tuées pour les autopsier. La mort de quatorze des quarante souris saines introduites au laboratoire avant l'expérience Oranur est également significative, tandis que sur les quarante souris traitées par super-irradiation d'orgone dans les mois précédant l'expérience, aucune n’est morte pendant les dix-huit mois suivants, ce qui conduisait Reich à conclure que "le faible niveau bioénergétique favorise la mort par maladie oranurique". Il n'en reste pas moins que la présence d'uranium radioactif au contact de l'énergie vitale accumulée dans l’orgon box au cours de cette expérience aurait produit la chaîne de maladies graves chez les chercheurs qui a été constatée et définie. Selon Reich, la cause de ce violent conflit énergétique serait liée au fait que la radioactivité est une énergie mortelle qui, opposée à l'énergie vitale, produit un effet DOR particulièrement violent et grave. Je n'ai pas la prétention, en me souvenant de tout cela, d'apporter la moindre preuve scientifique sans démenti. Il n'y a pourtant pas de démentis, à ma connaissance, et les effets de la radioactivité (même celle naturelle, mais beaucoup plus celle produite volontairement et immensément concentrée dans les centrales nucléaires civiles, sans parler du nucléaire militaire) sont toujours toxiques et au-delà d’un certain seuil apocalyptiques, comme en témoigne Tchernobyl et pas que.

Néanmoins, j'entends seulement dévoiler un refoulement collectif des faits et des notions qui est voulu, imposé et accentué par le productivisme au moment où une humanité ignorante et domestiquée par une civilisation artificielle mortifère est poussée à porter sur l'énergie nucléaire tout l'intérêt que nous devrions naturellement porter à la vie organique qui est en train de disparaître.

Au-delà d'Hiroshima et de Fukushima, c'est toute la civilisation productiviste thermo-industrielle qui a rompu le délicat équilibre entre l'espèce humaine et la nature qui l'inclut y la fait vivre. La bombe atomique a dynamité l'image est faible car la dynamite est un petit pétard festif face au pouvoir anti vital de l'atome la communauté humaine organique réduite à l'esclavage productiviste sous l'aile morbide de la mort aux aguets.

Le productivisme moderne a commencé avec la découverte de l'Amérique. Il suffit de lire le journal de bord de Christophe Colomb pour comprendre, noir sur blanc, à quel point l'abîme cynique du fétichisme marchand est intime, profond et étendu. Les indigènes ne l'intéressent qu'en tant qu'esclaves possibles, sauvages domestiqués, propres à la production forcée de richesses économiques. Leur gentillesse ne l'émeut pas, elle l'intéresse. Leur naïveté est idéale pour les plonger dans le bouillon de culture de tous les monothéismes au service d'une caste patronale sacrée et privilégiée. L'or des Amériques a trempé pendant des siècles dans le sang des indigènes jusqu'à leur extermination massive. Le même dessein, de manière culturellement différente autres dogmes, autres barbaries a concerné la planète entière, traversée par les guerres de pouvoir entre cultures non civilisées, toutes jaillies comme des tumeurs de la civilisation productiviste qui empeste un monde désormais sous la domination réelle du Capital qui a envahi la vie quotidienne de tous. Des paradis célestes d'hier aux îles Caïmans d'aujourd'hui, le capitalisme a transformé le fétichisme symbolique de la marchandise de religieux en séculier, direct, matériel. Les paradis artificiels sont off shore mais bien réels.

L'empire de la croix a toujours enfermé les rescapés des diverses exterminations causées par le déroulement de ses affaires dans quelques ghettos, des réserves aux camps de concentration, jusqu'aux maisons de retraite et à la distanciation sociale. Les marchands du temple n’ont pas arrêté de répandre les paraboles chrétiennes les plus égalitaires pour mieux faire accepter aux pauvres la domination des riches. Lesquels, de passer ou pas par le chas d'une aiguille, ne savent qu'en faire. Leur but a toujours été d'habiter les palais et de gérer les masures dans un commerce perpétuel et paroxystique. Maintenant, alors que leur civilisation s'effondre, ils préparent leurs cauchemardesques abris antiatomiques et climatiques et rêvent misérablement, tels des rats piégés, de coloniser Mars tout en finissant de détruire la Terre.

Si, grâce à Anders, mais pas que lui, on vient de le voir, tout cela est accessible à la conscience depuis au moins soixante-dix ans, aujourd'hui c'est directement la nature qui explique clairement aux humains l'automutilation inconsciente de leur hybris économiste. Il faut réinventer immédiatement un modèle politique et social fondé sur l’entraide, le partage des richesses, la gratuité du vivant, la sobriété énergétique, le refus du leurre de la consommation, la croissance de la poésie créative et de la jouissance orgastique dans le respect de la vie, de toutes les vies. Il le faut non pas pour des raisons éthiques pourtant respectables, mais comme unique solution de survie de l’espèce et de chacun de nous. La richesse matérielle accumulée en pouvoir a toujours tué en premiers les pauvres, mais la nature bouleversée n’épargnera plus non plus ces riches de misères qui dominent le monde restant.

Nous sommes maintenant concrètement engagés dans le processus d'autodestruction de l'espèce, dans la sixième extinction massive de la vie sur terre. Arrêter ce processus n'est ni facile ni probable, mais nous n’avons qu’à essayer. Maintenant. Sinon aucun lendemain ne sera possible, et pour avoir une chance d’y arriver nous devons opérer une rupture systémique avec l’organisation sociale d’une civilisation productiviste qui en est la cause profonde. Si nous ne choisissons pas radicalement la vie organique, la nature organique du cosmos et du vivant décréteront notre fin. Toute autre inférence relève du mysticisme, mystification de ses propres sensations et fonctions primitives et organiques. La civilisation productiviste à laquelle il faut tenter d'échapper pour survivre dans le but de vivre, repose sur cette aliénation qui est aussi réification, car la domination de la marchandise réduit le vivant et l’humain en particulier, à une chose sans âme, c'est-à-dire sans ce souffle vital dont dépendent la jouissance et la joie de vivre.

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, le 3 septembre 2022

 



[1] Où Reich est mort en prison condamné sur plainte de la Food and Drugs Administration, organisme étatique productiviste qui lui a imposé l'interruption de ses expériences, obligation qu'il n'a pas respecté.

[2] L’Orgon Box n’est rien d’autre qu’un simple accumulateur d'énergie orgonique conçu par Reich et qu'Einstein, dans un échange de lettres avec le médecin et chercheur autrichien, avait louablement défini « une bombe scientifique » car capable de mettre en crise le deuxième principe de la thermodynamique. Einstein s’était, ensuite, replié prudemment dans un silence gênant face au scepticisme généralisé du monde scientifique dont le découvreur de la relativité recevait les financements.

[3] Synthèse traduite de l’italien depuis Luigi De Marchi, Wilhelm Reich, Biografia di un’idea, Sugar, Milano 1970.