lunedì 10 luglio 2023

Per il dossier: cercando almeno di non morire idioti

 



Dopo aver inviato in lettura la mia riflessione su complotti, deliri e menzogne all’amico Miquel Amoros, ho ricevuto da lui questo documento che ho trovato di grande interesse e capace di aggiungere chiarezza al mio tentativo di abbandonare ogni pazza folla, nessuna esclusa. Ho dunque deciso di aggiungerlo, traducendolo, al dossier in questione.  SGS

 

Complotti ovunque, complotti da nessuna parte

 

Commento a Matthieu AIECH, L'INDUSTRIA DEL COMPLOTTISMO Menzogne statali, reti sociali e distruzione della vita, La Lenteur, 2023.

Greg è un vecchio amico. Uno di quelli che risalgono all'infanzia. Anche se ognuno di noi ha seguito la propria strada, sopravvivendo alla stupida formattazione degli anni '80, abbiamo mantenuto un legame quasi fraterno. Durante i confinamenti ci siamo chiamati. Spesso ho pensato che il vecchio amico fosse sull'orlo dell'abisso. Greg ha toccato il fondo: angoscia, isolamento, mix idrossiclorochina/eritromicina, gesti barriera, penuria di mascherine, San Raoult e i suoi avversari. Il suo cervello ribolliva con 10.000 scenari di disastri raccolti sui socials. La Macronia ci stava mentendo. Ci assediava. Ci lasciava crepare. È stato poco dopo aver ricevuto la sua seconda dose di vaccino che i suoi sintomi sono iniziati. Perdita di forza e ipersensibilità dei piedi e delle mani. Nel corso delle settimane, dolori e stanchezza si sono manifestati. Greg ha consultato un mucchio di camici bianchi. Oggi parla di “erranza medica”. A loro volta, i medici lo hanno catalogato come "psicolabile"[1]. Bell’affare per Greg che già sapeva di avere tendenza all'ipocondria. Infine, è stato uno stagista a dare un nome alla sua malattia: neuropatia delle piccole fibre. Con questa ipotesi annessa: e cioè che il vaccino contro il Covid, infiammando il suo sistema immunitario, possa aver innescato precocemente una malattia che sarebbe potuta insorgere in età più avanzata.

La depressione di Greg era condita dalla rabbia. Ha cominciato a leggere testimonianze di persone vaccinate la cui salute era improvvisamente peggiorata. Ha letto molti articoli sui laboratori e su come alcuni hanno ignorato i protocolli.

Greg si sentiva imbrogliato, contemporaneamente cavia e procuratore di dividendi. Un articolo di stampa ha fatto i conti: “Dal 16 marzo 2020 il titolo di Moderna (fino al 2020 sconosciuto al battaglione) è balzato del 466%, quello di Bion Tech del 226%, quello di Astra Zeneca del 74%, quello di Pfizer del 35% e quella di Johnson & Johnson del 21%” [capital.fr]. Il “siamo in guerra” macroniano aveva generato la sua casta di profittatori: l'industria farmaceutica. Rapidamente, Greg ha preso coscienza che la diffusione della sua testimonianza stava alimentando la febbre antivax. Ha cercato di chiarire la sua posizione, fermo restando che era fuori questione per lui dare credito a certe devianze del genere “vaccinazione di massa uguale genocidio planetario”. Il percorso su cui si è imbarcato l'amico era pericoloso. Rapidamente, è arrivato a questa costatazione: sia negando immediatamente l'appartenenza a qualunque"nebulosa complottista" sia eludendo completamente il riferimento, il limbo digitale avrebbe metabolizzato la sua piccola storia per alimentare le proprie isterie.

Macchina di diversione e depoliticizzazione, cattive risposte ad angosce reali, il complottismo è una dinamica sociale dai molteplici volti e usi. È la prima squalifica dell'avversario, la pelle elastica dell'estrema destra, la trama sfocata dei complotti reali che hanno viziato le storie ufficiali, un'infamia di più gettata in faccia alle classi popolari da una borghesia che si è sempre percepita come classe "illuminata". Insomma, l'attualizzazione di una vecchia divisione delle nostre comunità tra persone capaci di dirigere e raccontare il mondo e quelle che, sicuramente, non ci capiranno mai niente e sono condannate a delirare la propria sventura. Per sbloccare questo dispositivo, alcuni cercano di fornirci bocce intellettuali. È il caso di Matthieu Amiech, uno dei titolari delle edizioni La Lenteur, che ha appena firmato L'Industrie du complotisme. Per chi non lo sa, la produzione de La Lenteur si colloca nell’ambito “anti industriale” delle librerie politiche. L'etichetta è sommaria e necessariamente riduttiva. Tuttavia, descrive questo ramo d'ispirazione libertaria che porta uno sguardo più che critico su oltre due secoli di rivoluzione industriale sostenuta da un impetuoso mito del Progresso. All'alba di una sesta estinzione di specie e di un riscaldamento incontrollato del pianeta, si potrebbe pensare che il suddetto mito sia svanito. Niente affatto. Peggio: mentre nessun segnale indica un qualunque rallentamento della Mega-Macchina, i nostri sondaggisti ufficiali lo affermano: più si soffoca, più cresce la schiera dei climatoscettici[2]. In altre parole: quanto più il disastro in corso estende la sua morsa, tanto più le fughe in avanti deliranti moltiplicano i loro adepti. Come spiegare una tale crisi della nostra corteccia cerebrale di bipedi evoluti? Matthieu Amiech offre un indizio nella sua introduzione: “La diffusione del complottismo così come l'elevazione dell'anticomplottismo al rango di arma ideologica essenziale degli strati dirigenti non sono separabili da questa crisi della ragione politica. A forza di non fare nulla della verità essenziale degli ultimi cinquant'anni da parte delle popolazioni del mondo industriale la produzione e il consumo di massa stanno distruggendo le condizioni di vita sulla Terra –, sono gli industriali che se ne sono impossessati, loro che sono prima di tutto gli industriali della menzogna”. Per illustrare la sua frase, l'autore cita i gruppi petroliferi che, in un primo momento, hanno negato il riscaldamento globale per poi, in un secondo, rinverdire disonestamente la loro immagine alimentando il miraggio delle energie decarbonate. Il trucco è ovvio; la nostra incapacità di sviluppare collettivamente la ragione critica non lo è di meno.

Quel buon vecchio Capitale scavatore

Per Amiech, "complottisti" e "anti-complottisti" fanno parte del movimento di uno stesso pendolo" quello della riduzione del cittadino a un ruolo di osservatore disarmato e intrattenuto da gare oratorie tra illuminati in pilotaggio automatico ed esperti intrisi di fredda arroganza. La caricatura è volontaria. Perché gli illuminati non lo sono mai completamente. Per lo meno, le loro paure, le paure di tutti noi, condividono un fondamento di verità. Vale a dire che ogni paura irrazionale contiene la sua parte di razionalità. In un capitolo fattuale e ben documentato intitolato "Le basi oggettive del complottismo", l'autore ritorna su alcuni recenti scandali sanitari: nucleare, piombo, amianto. L'industria mente con la complicità dei poteri pubblici. Quanti morti, quanti malati? Se i bilanci oscillano, gli "scandali" sono ben noti fino all’indifferenza dei principali responsabili che tirano i fili. La lezione potrebbe essere questa: ai complotti chimerici e astorici inscenati in qualche teatrino delle ombre, si opporrebbero i complotti reali dell'ordinario, quelli delle complicità legali e pubbliche tra mafie politiche ed economiche. La devastazione umana ed ecologica causata dall'industria sarebbe nulla senza il chiaro sostegno dei poteri pubblici. Il mondo dei possidenti non ha bisogno di fomentare i suoi piani nel buio delle alcove, gli basta soltanto promulgare una legge universale che sancisca la superiorità dei suoi interessi su ogni altro. Basta invertire il famoso slogan anticapitalista della defunta Lega Comunista Rivoluzionaria, e tutto diventa brutalmente chiaro: “I loro profitti valgono più delle nostre vite”.

Abbiamo detto che ogni paura contiene la sua parte di razionalità. Ma le nostre griglie di lettura peccano quando non permettono più di attribuire a queste preoccupazioni le loro coordinate socio-economiche in un mondo messo in squadra dal capitalismo industriale. Ebbene, senza questa registrazione dell'elenco delle nostre disgrazie e angosce sulla scacchiera di una guerra economica dichiarata all’insieme del vivente, sarà sempre più difficile aggregare l'arcipelago delle nostre rabbie.

In guisa di ostacolo maggiore alle nostre ragioni irreggimentate: il digitale. Perché L’industria del complottismo è prima di tutto un'accusa contro la nostra messa in rete internautica. L'alba degli anni 2000 ha segnato la collisione tra il crollo omicida di due famose torri americane e l'inizio della dinamica pretesa “sociale” di Internet. Rivisitando questa genesi traumatica ed esaltata nello stesso tempo, Matthieu Amiech si ricorda “degli effetti emancipatori prodigiosi” promessi dagli adulatori di Internet: quanti tecno profeti ci hanno predetto un contagio democratico mondiale con “caduta delle dittature” e “costruzione di un potente movimento transnazionale di opposizione al capitalismo”. Una ventina di anni dopo, la doccia fredda è in grado di far tremare i progressisti più esaltati: sono innanzitutto dei libertarismi internazionalisti di estrema destra, dei fondamentalisti religiosi o neoimperiali alla Putin che alimentano (tra gli altri) le letture complottiste dell'epoca”, diagnostica Amiech. Quello che allora gli apostoli degli schermi non hanno visto è questa struttura pesante, profondamente verticale e basata su una divisione internazionale del lavoro sempre più esasperata, implicita al dispiegamento digitale; dietro la fluidità dei clic del mouse, un buon vecchio Capitale scavatore: dalle corse estrattiviste che hanno nel mirino le terre rare a più di un milione di chilometri di cavi sottomarini, passando per la sessantina di milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Quello che allora hanno taciuto gli apostoli della nostra rete abbrutente e imbottita di spie, è che la digitalizzazione del mondo era "un fulcro indispensabile per il perseguimento, bene o male, dell'accumulazione capitalista", ma anche "il più importante fattore di sconvolgimento della nostra epoca: […] l'asimmetria di potere tra i comuni cittadini e gli strati dirigenti”.

Perché non solo l'ascesa ben materiale dell'economia immateriale contribuisce in modo incredibile alla “drammatica distruzione dei nostri ambienti di vita”, ma devitalizza i nostri immaginari capaci di nutrire ogni prospettiva di emancipazione comune. Vale a dire che, né simbolicamente né concretamente, le petizioni online e altri hashtag indignati cambieranno nulla nella traiettoria del rullo compressore che scorre lungo le nostre schiene.

In questa fiera ai megabit in cui tutto è ingerito e rigurgitato al ritmo di compulsioni sempre più nevrotiche e a rischio di raggiungere quel punto di rottura chiamato clinicamente "stanchezza informativa", la fake news è il parametro che permette di distinguere il grano sensato dal loglio definitivamente senza senso. Preoccupati per il nostro equilibrio mentale, i gruppi di stampa "smascherano" a ripetizione, consegnandoci a palate il sottotesto certificato e labellato destinato a rendere leggibile un mondo sempre più sull'orlo del caos generalizzato. In modo scherzoso, Amiech attacca il nostro piccolo padre della Startup Nation e lo sospetta di occupare un trono schizoide. Commentando la legge anti fake news, osserva: “La cosa più notevole è che Macron teme il libero flusso dell’informazione su Internet mentre la digitalizzazione della società è al centro del suo progetto politico”.

Sostituire la natura con la tecnologia e la cultura con il commercio

“Meglio di un complotto, un progetto politico: informatizzare il mondo”. Questo è il titolo del quarto capitolo de L’industria del complottismo, capitolo che si apre con una citazione dello scrittore inglese Paul Kingsnorth che torna su quanto s’è sperimentato, sia tecnicamente che politicamente, durante la crisi sanitaria. Estratto: “Nessun bisogno di immaginare che quelli al volante agiscano nell'ombra. Quelli al potere […] sono lì davanti ai nostri occhi, da anni, e la maggior parte di noi semplicemente non vi presta attenzione o se ne frega. Siamo troppo occupati a giocare con i giocattoli che fabbricano per noi. Ciò cui stiamo assistendo è semplicemente il funzionamento abituale della Macchina. Approfitta degli eventi per rafforzare il suo dominio. Colonizza le nostre società, i nostri corpi e le nostre menti. Sostituisce la natura con la tecnologia e la cultura con il commercio”.

Certo, questo tipo di sintesi che disegna con l'accetta i contorni del nostro nuovo servilismo potrebbe irritare chi pensa che le cose siano più sottili di così. Vale a dire che il digitale è anche questa interfaccia che consente scambi di analisi o testimonianze il cui raggruppamento potrebbe servire da catalizzatore per le rivolte popolari. Dalle Primavere arabe ai Gilets Jaunes, non mancano gli esempi che dimostrano come dalle viscere della macchina emergano zone di opacità e di libera espressione che sfuggono – almeno momentaneamente – alle maglie della censura e alle altre carte di moderazione dei social network. Del resto, il sottoscritto non ha forse scritto queste righe con il naso incollato a uno schermo di pixel destinato a un pubblico a sua volta più o meno prigioniero della stessa infrastruttura? Che ci piaccia o no, che si sia uno jogger con un auricolare Bluetooth a conduzione ossea e fascia da corsa collegata o un medievalista che ama i vecchi papiri letti a lume di candela, il techno tope (per parlare come PMO) è ormai l’ambiente in cui siamo tutti immersi. Un presupposto che non impedisce, però, un minimo di lucidità: e cioè che fomentare delle resistenze in una rete in cui una delle funzioni essenziali è quella di tracciare e spiare ogni scambio, deriva da una strategia suicida.

Più in generale, pensare in termini politici implica di prendere in mano le grandi tendenze della materia di studio. E il primo impatto delle nuove tecnologie non è quello di agire per una qualunque emancipazione, ma, al contrario, di partecipare alla nostra diminuzione, bardandoci di protesi e sensori e delegando la nostra capacità di decidere il nostro futuro a blocchi algoritmici.

Tra il 17 marzo 2020 e il 3 maggio 2021, la popolazione francese ha subito un periodo cumulativo di oltre quattro mesi di confinamento. Durante questo periodo, per molti di noi, il contatto con l'esterno si è esercitato tramite i fornitori di servizi Internet. Seguendo la sua intuizione, Matthieu Amiech evoca un periodo di “privatizzazione” del nostro “accesso al mondo”. Con i danni politici e psicologici che una simile situazione ha potuto causare – allo stato attuale, l'amico Greg (e quanti altri?) non si è mai davvero ripreso. Inscrivendo la dinamica digitale in quella del capitalismo, di cui non è che un'ennesima variazione e accelerazione, l'autore prosegue: "Siamo forse di fronte a un nuovo fenomeno di recinzioni, non più attinenti alla sfida materiale dell'accesso alla terra e ai mezzi di sussistenza, ma alla sfida mentale dell'accesso alla realtà”.

Sebastien NAVARRO

 

– À contretemps / Recensioni e studi critici/luglio 2023 – [http://acontretemps.org/spip.php?article1000]



[1] Sulla “psichiatrizzazione” delle persone che soffrono di effetti collaterali dovuti alla vaccinazione, leggi “Covid, vaccini e scienza all'origine della sfiducia”, di Ariane Denoyel, su Le Monde diplomatique nell'aprile 2023.

[2] Vedi “Scettici sul clima: perché il 37% dei francesi non aderisce più alle analisi scientifiche dell'IPCC?”. L'espresso [lexpress.fr].




Pour le dossier : en cherchant au moins

de ne pas mourir idiots

 

Après avoir envoyé en lecture maréflexion à propos de complots, délires et mensonges à lami Miquel Amoros, j'ai reçu de lui ce document que j'ai trouvé d'un grand intérêt et capable d'ajouter clarté à ma détermination de fuir toute foule déchainée. J'ai donc décidé de lajouter, en le traduisant, au dossier en question.  SGS

 

 

Complots partout, complots nulle part

 

Commentaire à Matthieu AMIECH, L’INDUSTRIE DU COMPLOTISME Mensonges d’État, réseaux sociaux et destruction du vivant, La Lenteur, 2023, 211 p.

Greg est un vieux pote. Un de ceux qui vient de l’enfance. Même si nous avons suivi chacun nos chemins, survivant au débile formatage des années 80, nous avons entretenu un lien quasi fraternel. Pendant les confinements, nous nous sommes téléphoné. Souvent j’ai pensé que le vieil ami était au bord du gouffre. Greg était à fond : dans l’angoisse, l’isolement, le mix hydroxychloroquine/azithromycine, les gestes barrières, la pénurie de masques, Saint-Raoult et ses contradicteurs. Son cerveau bouillait des 10 000 scénarios-catastrophes glanés sur les rézos. La Macronie nous mentait. Nous assiégeait. Nous laissait crever. C’est juste après s’être fait injecter sa seconde dose de vaccin que ses symptômes ont commencé. Perte de force et hypersensibilité des pieds et des mains. Au fil des semaines, douleurs et fatigue se sont installées. Greg a consulté tout un tas de blouses blanches. Aujourd’hui il parle d’ « errance médicale ». Tour à tour, les toubibs l’ont catalogué « psy »[1]. Une belle jambe, ça lui faisait à Greg, lui qui se savait déjà une tendance à l’hypocondrie. Finalement, c’est un interne qui a mis un nom sur son mal : neuropathie à petites fibres. Avec cette hypothèse annexe : à savoir que le vaccin contre le Covid aurait peut-être, en enflammant son système immunitaire, déclenché précocement une maladie qui aurait pu surgir à un âge plus avancé.

La déprime de Greg s’est pimentée de colère. Il a commencé à lire des témoignages de gens vaccinés dont l’état de santé s’était subitement dégradé. Il a lu quantité d’articles sur les labos et la façon dont certains s’étaient assis sur des protocoles. Greg s’est senti à la fois floué, cobaye et extracteur à dividendes. Un article de presse a fait les comptes : « Depuis le 16 mars 2020, le cours de Bourse de Moderna (jusqu’en 2020 inconnu au bataillon) a bondi de 466 %, celui de Bion Tech de 226 %, celui d’Astra Zeneca de 74 %, celui de Pfizer de 35 % et celui de Johnson & Johnson de 21% » [capital.fr]. Le « nous sommes en guerre » macronien avait généré sa caste de profiteurs : l’industrie pharmaceutique. Rapidement, Greg a pris conscience que la diffusion de son témoignage alimentait la fièvre « antivax ». Il a tenté de préciser sa position, étant entendu qu’il était hors de question pour lui de donner crédit à certaines embardées du genre « vaccination de masse égale génocide planétaire ». Le fil sur lequel s’embarquait l’ami était casse-gueule. Rapidement, il a fait ce constat : qu’il se défende d’emblée d’appartenir à une quelconque « nébuleuse complotiste » ou qu’il élude totalement la référence, les limbes numériques sauraient métaboliser sa petite histoire pour nourrir ses propres hystéries.

 Machine à diversion et à dépolitisation, mauvaises réponses pour vraies angoisses, le complotisme est une dynamique sociale à visages et usages pluriels. Il est la disqualification première de l’adversaire, la peau élastique de l’extrême droite, la trame brouillée des vrais complots ayant vicié les histoires officielles, une infamie de plus jetée à la face des classes populaires par une bourgeoisie s’étant toujours perçue comme classe « éclairée ». Bref, la remise à jour d’un vieux partage de nos communautés entre les gens capables de diriger et de dire le monde et ceux qui, décidément, n’y comprendront jamais rien et sont condamnés à délirer leur malheur. Pour décadenasser ce dispositif, certains tentent de nous fournir des billes intellectuelles. C’est le cas de Matthieu Amiech, un des tauliers des éditions La Lenteur, qui vient de signer L’Industrie du complotisme. Pour les non-affranchis, la production de La Lenteur se trouve rangée dans le bac « anti-indus » des librairies politiques. L’étiquette est sommaire et forcément réductrice. Elle nomme cependant cette branche d’inspiration libertaire portant un regard plus que critique sur plus de deux siècles de révolution industrielle adossée à un impétueux mythe du Progrès. À l’aube d’une sixième extinction des espèces et d’un emballement calorifère de la planète, on pourrait penser que ledit mythe a fait long feu. Il n’en est rien. Pire : alors qu’aucun signal n’indique un quelconque ralentissement de la Méga-Machine, nos sondeurs officiels l’affirment : plus on étouffe, plus les rangs des climatosceptiques s’étoffent[2]. Autrement dit : plus la catastrophe en cours étend son emprise, plus les fuites en avant délirantes multiplient leurs adeptes. Comment expliquer une telle crise de nos cortex de bipèdes évolués ? Matthieu Amiech propose une piste dans son introduction : « La diffusion du complotisme autant que l’élévation de l’anticomplotisme au rang d’arme idéologique essentielle des couches dirigeantes ne sont pas séparables de cette crise de la raison politique. À force que les populations du monde industriel ne fassent rien de la vérité essentielle des cinquante dernières années – la production et la consommation de masse détruisent les conditions de la vie sur Terre –, ce sont les industriels qui s’en sont emparés, eux qui sont d’abord des industriels du mensonge ». Pour illustrer sa sentence, l’auteur cite les groupes pétroliers qui, dans un premier temps nient le réchauffement climatique avant, dans un second, de verdir crapuleusement leur image en nourrissant le mirage d’énergies décarbonées. L’entourloupe est manifeste ; notre incapacité à faire collectivement œuvre de raison critique non moins.

Ce bon vieux Capital de pelleteuse

Pour Amiech, « complotistes » et « anticomplotistes » relèvent du mouvement d’un même balancier » celui de la réduction du citoyen à un rôle d’observateur désarmé et diverti par des joutes oratoires entre illuminés en pilotage automatique et experts pétris de morgue froide. Nous caricaturons à dessein. Car les illuminés ne le sont jamais tout à fait. Tout du moins, leurs peurs, nos peurs à tous, partagent un fondement de vérité. C’est-à-dire que chaque peur irrationnelle contient son lot de rationalité. Dans un chapitre factuel et solidement documenté intitulé « Les bases objectives du complotisme », l’auteur revient sur quelques scandales sanitaires récents : nucléaire, plomb, amiante. Mensonges de l’industrie, complicité des pouvoirs publics. Combien de morts, combien de malades ? Si les bilans fluctuent, les « scandales » sont bien connus – jusqu’aux blases des principaux tireurs de ficelle. La leçon pourrait être celle-ci : aux complots chimériques et anhistoriques joués dans quelque théâtre d’ombres s’opposeraient les vrais complots de l’ordinaire, ceux des accointances légales et publiques entre mafias politique et économique. Les ravages humains et écologiques provoqués par l’industrie ne seraient rien sans le clair soutien des pouvoirs publics. Le monde des possédants n’a pas besoin de fomenter ses plans dans la pénombre des alcôves, il lui suffit juste d’ériger une loi universelle sanctionnant la supériorité de ses intérêts sur tout autre. Inversons le célèbre slogan anticapitaliste de feu la LCR, et tout s’éclaire brutalement : « leurs profits valent plus que nos vies ».

Nous disions que toute peur contient son lot de rationalité. Mais nos grilles de lecture pèchent quand elles ne permettent plus d’attribuer auxdites inquiétudes leurs coordonnées socio-économiques dans un monde mis en coupe réglée par le capitalisme industriel. Or, sans cette inscription de la liste de nos malheurs et angoisses sur le damier d’une guerre économique livrée à l’ensemble du vivant, il sera toujours plus difficile d’agréger l’archipel de nos colères.

En guise d’obstacle majeur à nos raisons enrégimentées : le numérique. Car L’Industrie du complotisme est d’abord une charge contre notre mise en réseau inter nautique. L’orée des années 2000 est cette collision entre effondrement meurtrier de deux célèbres tours américaines et début de la dynamique prétendument « sociale » d’Internet. Revisitant cette genèse à la fois traumatique et exaltée, Matthieu Amiech se souvient « des effets émancipateurs prodigieux » promis par les thuriféraires d’Internet : combien de techno prophètes ne nous ont-ils pas prédit une contagion démocratique mondiale avec « chute des dictatures » et « construction d’un puissant mouvement transnational d’opposition au capitalisme ». Une vingtaine d’années plus tard, la douche froide est à même de saisir le derme des progressistes les plus exaltés : « Ce sont d’abord des internationales libertariennes d’extrême droite, fondamentalistes religieuses ou néo-impériales à la Poutine, qui attisent (entre autres) les lectures complotistes de l’époque », diagnostique Amiech. Ce que n’ont pas vu alors les apôtres des écrans, c’est cette structure lourde, profondément verticale et assise sur une division internationale du travail toujours plus exacerbée qui sous-tend le déploiement numérique ; derrière la fluidité des clics de souris, un bon vieux Capital de pelleteuse : des ruées extractivistes visant les terres rares aux plus d’un million de kilomètres de câbles sous-marins en passant par la soixantaine de millions de tonnes de déchets électroniques. Ce qu’ont tu alors les apôtres de notre maillage abrutissant et farci de mouchards, c’est que la numérisation du monde était « un point d’appui indispensable à la poursuite, tant bien que mal, de l’accumulation capitaliste », mais aussi « le facteur de bouleversement social le plus important de notre époque : […] l’asymétrie de pouvoir entre les citoyens ordinaires et les couches dirigeantes ».

Car non seulement l’essor bien matériel de l’économie immatérielle participe à un degré inouï de « la destruction dramatique de nos milieux de vie », mais il dévitalise nos imaginaires capables de nourrir toute perspective d’émancipation commune. C’est-à-dire que, ni symboliquement ni concrètement les pétitions en ligne et autres hashtags indignés ne changeront quoi que ce soit à la trajectoire du rouleau compresseur déboulant sur nos échines.

Dans cette foire aux mégabits où tout s’ingurgite et se régurgite au rythme de compulsions toujours plus névrotiques et au risque d’atteindre ce point de rupture cliniquement nommé « fatigue informationnelle », la fake new est cet étalon permettant de trier le bon grain sensé de l’ivraie définitivement égarée. Soucieux de nos équilibres mentaux, les groupes de presse « débunkent » à tour de bras, nous livrant par pelletés le sous-texte certifié et labellisé destiné à rendre lisible un monde toujours plus au bord du chaos généralisé. Taquin, Amiech tacle notre petit père de la Start-up Nation et le soupçonne d’occuper un trône schizoïde. Commentant la loi anti-fake news, il note : « Le plus remarquable, c’est que Macron craint la circulation libre de l’information sur Internet alors que la numérisation de la société est le cœur de son projet politique ».

Remplacer la nature par la technologie et la culture par le commerce

« Mieux qu’un complot, un projet politique : informatiser le monde ». Tel est le titre du quatrième chapitre de L’Industrie du complotisme, chapitre qui s’ouvre sur une citation de l’écrivain anglais Paul Kingsnorth revenant sur ce qui s’est expérimenté, autant techniquement que politiquement, durant la crise sanitaire. Extrait : « Nul besoin d’imaginer que ceux qui sont aux manettes agissent dans l’ombre. Ceux qui sont au pouvoir […] sont là sous nos yeux, depuis des années, et la plupart d’entre nous n’y prête tout simplement pas attention ou s’en fiche. Nous sommes trop occupés à jouer avec les joujoux qu’ils fabriquent pour nous. Ce à quoi nous assistons, c’est tout simplement au fonctionnement habituel de la Machine. Elle profite des événements pour renforcer sa domination. Elle colonise nos sociétés, nos corps et nos esprits. Elle remplace la nature par la technologie et la culture par le commerce ».

Certes ce genre de synthèse dessinant à coups de hache les contours de nos nouvelles servilités pourrait irriter ceux qui pensent que les choses sont plus subtiles que ça. À savoir que le numérique est aussi cette interface permettant des échanges d’analyses ou de témoignages dont l’agrégation pourrait servir de catalyseurs aux révoltes populaires. Des printemps arabes aux Gilets jaunes, les exemples ne manquent pas prouvant que des entrailles de la machine émergent des zones d’opacité et de libre expression échappant – du moins momentanément – aux baillons de la censure et autres chartes de modération des réseaux sociaux. Après tout, le soussigné n’a-t-il pas lui-même rédigé ces lignes le nez collé à un écran de pixels à destination d’un public lui-même plus ou moins captif de la même infrastructure ? Qu’on le veuille ou non, qu’on soit joggeur à casque Bluetooth à conduction osseuse et brassard de running connecté ou médiéviste amateur de vieux grimoires lus à la lueur d’une bougie, le techno tope (pour parler comme PMO) est désormais ce milieu dans lequel nous baignons tous. Un préalable qui n’obère cependant pas un minimum de lucidité : à savoir que fomenter des résistances dans un réseau dont l’une des fonctions essentielles est de tracer et de fliquer tout échange relève d’une stratégie suicidaire.

Plus globalement, réfléchir en termes politiques implique de s’emparer des tendances lourdes du sujet d’étude. Et la première incidence des nouvelles technologies est non pas de travailler à une quelconque émancipation, mais au contraire de participer à notre diminution en nous bardant de prothèses et de capteurs et en déléguant notre capacité à décider de notre avenir à des verrouillages algorithmiques.

Entre le 17 mars 2020 et le 3 mai 2021, la population française a subi en cumulé une période de plus de quatre mois de confinement. Pendant ce laps de temps, pour beaucoup d’entre nous, le contact avec l’extérieur s’est fait via les fournisseurs d’accès à Internet. Suivant son intuition, Matthieu Amiech évoque une période de « privatisation » de notre « accès au monde ». Avec les dégâts tant politiques que psychiques qu’une telle situation a pu engendrer – à l’heure actuelle, l’ami Greg (et combien d’autre ?) ne s’en sont jamais réellement remis. Inscrivant la dynamique numérique dans celle du capitalisme dont il n’est qu’une énième déclinaison et accélération, l’auteur poursuit : « Nous sommes peut-être face à un nouveau phénomène d’enclosures, portant non plus sur l’enjeu matériel de l’accès aux terres et aux moyens de subsistance, mais sur l’enjeu mental de l’accès au réel ».

Sébastien NAVARRO

 

– À contretemps/Recensions et études critiques/juillet 2023 – [http://acontretemps.org/spip.php?article1000]



[1] Sur la « psychiatrisation » de personnes souffrant d’effets secondaires dus à la vaccination, lire « Covid, vaccins et science aux origines d’une défiance », d’Ariane Denoyel, dans Le Monde diplomatique d’avril 2023.

[2] Voir « Climatosceptiques : pourquoi 37 % des Français n’adhèrent plus aux analyses scientifiques du Giec ? », L'Express [lexpress.fr].