mercoledì 9 settembre 2020

Elementi di riflessione per una coscienza di specie

 


Al di là dei distinguo che la biografia di Lorenz impone, le derive ambigue di una vita non impediscono di apprezzare l’intelligenza sensibile e le sue riflessioni puntuali. Queste note riguardanti l’etologo e ricercatore austriaco mi sembrano anticipare alcuni elementi di una coscienza di specie oggi necessaria per l’eventuale salvezza dell’umanità. Prendere coscienza di dove veniamo, chi siamo, dove andiamo[1] è un’urgenza indiscutibile.

Certo, anche tra le righe degli otto peccati capitali qui ripresi, qualche elemento ambiguo o fuori luogo emerge: il giudizio sulle giovani generazioni ribelli, per esempio, genericamente descritte come figlie parassitarie della servitù volontaria, mi sembra rigidamente gerontocratico. In realtà, lungi da me ogni giovanilismo, a partire dagli anni precedenti la stesura di questo testo di Lorenz (1973) fino al nostro triste presente, molti giovani (ma non solo) hanno provato a inventare e difendere nuove zone di vita, esplorando una rinascente radicalità costruttiva che è il brodo di cultura di una coscienza di specie tanto necessaria. D’altro canto, anche tenendo conto che all’epoca la mostruosa invasione del nucleare cosiddetto civile e le catastrofi di Chernobyl e Fukushima erano ancora di là da venire, il riferimento al nucleare di Lorenz è di un ottimismo dubbio, ignaro della potente denuncia di Günther Anders sull’Obsolescenza dell’umano.

L’interesse di questa riflessione di Lorenz sta invece, per me, nel rinvio alla radice animale dell’umanità, legame strutturale che la reificazione capitalista tende a cancellare sempre di più per imporre il suo delirio transumanista, redditizio e alienato. Come in molti altri casi ed esempi che uniscono sfruttatori e sfruttati, dominanti e dominati in un unico naufragio (l’inquinamento, il clima, le pandemie, ecc.) la rimozione del rapporto tra l’umano e la natura, considerata una cosa da manipolare e non l’alveo insuperabile del vivente, provoca una reazione biologica e sociale che si sta traducendo in un suicidio collettivo i cui prodromi sono già in corso.

Il testo di Lorenz in questione è contemporaneo del famoso rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo (1972), ma anche dell’inizio della pratica sistematica di repressione e di propaganda totalitaria del sistema dominante contro il grande rifiuto planetario del progresso capitalista, delle sue guerre e della sua disumanità inaccettabile rifiuto internazionale esploso nel maggio 68 e oggi, in forme diverse, più attuale che mai. Mezzo secolo dopo, ignorate o sconfitte le soluzioni radicali di occupazione della vita e di autogestione della vita quotidiana già tentate un po’ dovunque sul pianeta, i problemi restano gli stessi ma molto più gravi mentre il tempo per risolverli tende al termine. Mai sconfitta fu, dunque, più tragicamente vittoriosa della rivolta di quel maggio e dintorni, perché senza una radicale mutazione sociale è ormai evidente che la sconfitta definitiva della specie si delinea all’orizzonte.

Ora o mai più.

 

Sergio Ghirardi, 6 settembre 2020

 BREVE NOTA su Konrad Lorenz:

 

“Non fui mosso da interesse per il comportamento umano, e tanto meno per la cultura umana, se non nella mia vita tarda. [...] Non so come mai così tardi, ma cominciai ad avvertire acutamente il pericolo insito nella distruzione dell'ambiente naturale da parte dell'uomo, e nel devastante circolo vizioso in cui agiscono la competizione commerciale e la crescita economica. Il fatto di guardare alla cultura come a un sistema vivente e di valutare le sue turbative come se fossero delle malattie mi ha fatto giungere alla convinzione che la principale minaccia alla futura esistenza dell'umanità risiede in quella che può essere opportunamente chiamata nevrosi di massa. Si potrebbe dire che i principali problemi che l'umanità si trova ad affrontare sono di natura etica e morale”.
Konrad Lorenz, Vorrei diventare un'oca, Franco Muzzio Editore, Padova 1997, pp. 64-66.

Nel 1975 Walter Shurian ha elencato così i tre "dogmi" filosofico-culturali dell’opera di Lorenz:

  1. Le storie delle società umane ubbidiscono alle medesime leggi biologiche che regolano il regno animale.
  2. Le leggi dei meccanismi sociali ed economici rivestono un ruolo di secondaria importanza nel determinare il decorso della Storia, poiché anche queste leggi ubbidiscono alle primarie leggi biologiche.
  3. L'influenza delle capacità cognitive dell'uomo è anch'essa di secondaria importanza per queste stesse ragioni.

Partendo da questi presupposti fondamentali Lorenz analizza e descrive in Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, gli altrettanti fenomeni sociali ("processi di disumanizzazione") da lui interpretati come segni di un conflitto tra la natura biologica dell'uomo e le pratiche sociali imposte dal modello "pseudo-democratico" vigente negli ultimi due secoli.

 

Gli otto peccati capitali della nostra civiltà

Konrad Lorenz, Adelphi, Milano 1973

Conclusione (capitolo finale tradotto dalla versione francese -  Flammarion, Paris 1973)

Abbiamo preso in esame otto processi distinti tra loro, ma strettamente legati dalle cause che li provocano, che minacciano di distruggere non solo la nostra cultura contemporanea ma addirittura la specie umana.

Sono i seguenti:

1. La sovrappopolazione della terra che spinge ognuno di noi a proteggersi dalla profusione di contatti sociali in una maniera estremamente disumana e che per la concentrazione di numerosi individui in uno spazio ristretto, provoca inevitabilmente l’aggressività.

2. La devastazione dell’ambiente naturale che tocca non solo il mondo esteriore nel quale viviamo ma distrugge nell’uomo stesso ogni rispetto per la bellezza e la magnificenza di una creazione che lo sorpassa.

3. La gara di velocità dell’umanità con se stessa che per nostra disgrazia, diventa sempre più rapida con lo sviluppo della tecnologia. Quest’obbligo del superamento rende gli uomini ciechi di fronte ai veri valori e li priva del tempo della riflessione, attività indispensabile e propriamente umana.

4. La scomparsa di ogni sentimento forte e di ogni emozione a causa del rammollimento, del progresso della tecnologia e della farmacologia che provocano un’intolleranza crescente a tutto quel che può provocare il minimo dispiacere. La sparizione simultanea della capacità a provare una gioia alla quale l’essere umano non perviene che superando degli ostacoli, al prezzo di un duro sforzo. Il ritmo, voluto dalla natura, di contrasti ondeggianti tra il flusso e il riflusso delle sofferenze e delle gioie, si attenua in un impercettibile oscillazione, generando una noia mortale.

5. Il deterioramento genetico. Escluso il “senso naturale del diritto” e certi resti ereditati dal diritto consuetudinario, non esistono all’interno della società moderna dei fattori di selezione che riescano a esercitare la loro pressione sullo sviluppo e sulla salvaguardia delle norme di comportamento anche se queste diventano sempre più necessarie con lo sviluppo della società. Non è impossibile che molti infantilismi che trasformano una buona parte della gioventù ribelle di oggi in parassiti sociali, siano probabilmente di origine genetica.

6. La rottura con le tradizioni è dovuta al fatto che abbiamo raggiunto un punto critico in cui le giovani generazioni non arrivano più a intendersi culturalmente con le antiche e ancor meno a identificarsi con queste. Le trattano allora come un gruppo etnico straniero e le affrontano con un odio nazionale. Le ragioni di questi disturbi dell’identificazione derivano innanzitutto dalla mancanza di contatti tra genitori e figli, fattore che provoca delle conseguenze patologiche già nei neonati.

7. La ricettività crescente dell’umanità all’indottrinamento. L’aumento del numero di esseri umani raccolti in un solo gruppo culturale, aggiunto all’estremo perfezionamento dei mezzi tecnici, conduce a possibilità d’influenzare l’opinione pubblica e creare un’uniformità di vedute mai realizzatesi nella storia umana. Inoltre, bisogna segnalare che la potenza della suggestione di una dottrina, fermamente ammessa, progredisce forse in proporzione geometrica con il numero dei suoi aderenti.

In alcuni luoghi, da adesso, un individuo che si sottrae deliberatamente all’influenza dei mass media, per esempio alla televisione, passa per un caso patologico. Gli effetti spersonalizzanti di questi mezzi sono accolti con piacere da tutti coloro che vogliono manipolare le folle. Inchieste d’opinione, tecniche pubblicitarie e una moda abilmente diffusa permettono ai magnati della produzione, da un lato della cortina di ferro, e ai funzionari dall’altro, di esercitare un identico potere sulle masse.

8. L’arma nucleare che fa pesare sull’umanità un pericolo più facile da evitare dei sette processi minacciosi che ho appena descritto.

Questi fenomeni di disumanizzazione di cui abbiamo parlato dal primo al settimo capitolo, sono favoriti da una dottrina pseudo democratica che afferma che il comportamento sociale e morale dell’uomo non è assolutamente determinato dall’evoluzione filogenetica del suo sistema nervoso o dei suoi organi sensoriali, ma che è unicamente influenzato dal “condizionamento” che ha subito nel corso della sua ontogenesi a causa del suo ambiente culturale.



[1] Titolo di un quadro di Paul Gauguin che il pittore ha realizzato a Tahiti (1897-98) prima di tentare il suicidio senza riuscirlo. Tre anni dopo si ritirerà nelle isole Marchesi nella sua “casa del godimento” (a Hiva Hoa, dove ora è sepolto non lontano da Jacques Brel).




Eléments de réflexion pour une conscience d’espèce


Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? - L'Artè Laboratorio delle Arti

 

Au-delà des distinguos que la biographie de Lorenz impose, les dérives ambigües d’une vie n’empêchent pas d’apprécier l’intelligence sensible et ses réflexions ponctuelles. Ces notes concernant l’éthologue et chercheur autrichien me semblent anticiper certains éléments d’une conscience d’espèce aujourd’hui nécessaire pour le salut éventuel de l’humanité. Prendre conscience d’où venons-nous, que sommes-nous, où allons-nous[1] est d’une urgence indiscutable.

Certes, même entre les lignes des huit péchés capitaux ici exposés, quelques éléments ambigus ou mal placés émergent : Le jugement sur les jeunes générations révoltées, par exemple, génériquement décrites comme les enfants parasitaires de la servitude volontaire, me paraît rigidement gérontocratique. En fait, loin de moi tout culte de la jeunesse, à partir des années précédentes l’écriture de ce texte de Lorenz (1973) jusqu’à notre triste présent, beaucoup de jeunes (mais pas seulement) ont essayé d’inventer et de défendre des nouvelles zones de vie, en explorant une renaissante radicalité constructive qui est le bouillon de culture d’une conscience d’espèce si nécessaire. D’ailleurs, même en tenant compte qu’à l’époque la monstrueuse invasion du nucléaire soi-disant civil et les catastrophes de Tchernobyl et de Fukushima étaient encore à venir, la reference au nucléaire de Lorenz exprime un optimisme douteux, ignare de la puissance dénonciation de Gunther Anders concernant l’Obsolescence de l’homme.

En revanche, l’intérêt de cette réflexion de Lorenz est pour moi dans le renvoi à la racine animale de l’homme, liaison structurelle que la réification capitaliste tend à effacer de plus en plus afin d’imposer son délire transhumaniste, rentable et aliéné. Comme dans beaucoup d’autres cas et exemples qui unissent exploiteurs et exploités, dominants et dominés dans un unique naufrage (la pollution, le climat, les pandémies, etc.), le refoulement de la relation entre l’homme et la nature, considérée une chose à manipuler et non pas le cocoon indépassable du vivant, provoque une réaction biologique et sociale qui est en train de se traduire dans un suicide collectif dont les prodromes sont déjà en cours.

Le texte en question de Lorenz est contemporain du fameux rapport du Club de Rome sur les limites du développement (1972), mais aussi du début de la pratique systématique de la répression et de la propagande totalitaire du système dominant contre le grand refus planétaire du progrès capitaliste, de ses guerres et de son inhumanité inacceptable refus international éclaté en mai 68 et aujourd’hui , dans des formes differentes, plus actuel que jamais. Un demi siècle après, ignorées ou défaites les solutions radicales d’occupation de la vie et d’autogestion de la vie quotidienne déjà explorées un peu partout sur la planète, les problemes restent les mêmes mais beaucoup plus graves alors que le temps pour les résoudre est finissant. Jamais une défaite fut, donc, plus tragiquement victorieuse car sans une radicale mutation sociale est désormais évident que la défaite définitive de l’espèce se dessine à l’horizon.

 

Maintenant ou jamais.

 

Sergio Ghirardi, 6 septembre 2020

 Petite note sur Konrad Lorenz :

En 1975 Walter Shurian a listé ainsi les trois dogmes philosophico-culturels de l’œuvre de Lorenz :
1. Les histoires des sociétés humaines obéissent aux mêmes lois biologiques qui règlent le royaume animal.
2. Les lois des mécanismes sociaux et économiques jouent un rôle secondaire dans la détermination du développement de l’histoire, puisque ces lois aussi obéissent aux lois biologiques primaires.
3. L’influence des capacités cognitives de l’homme est aussi d’importance secondaire pour ces mêmes raisons.
En partant de ces présupposés fondamentaux, Lorenz analyse et décrit dans Les huit péchés capitaux de notre civilisation le même nombre de phénomènes sociaux (« processus de deshumanisation ») qu’il interprète comme des signes d’un conflit entre la nature biologique de l’homme et les pratiques sociales imposées par le model « pseudo démocratique » en vigueur au cours des deux derniers siècles.
 

Les huit péchés capitaux de notre civilisation

 Konrad Lorenz, Flammarion, Paris 1973

Conclusion  [chapitre final]

 

Nous avons considéré huit processus distincts mais pourtant étroitement liés par leurs causes, qui menacent de détruire non seulement notre culture contemporaine, mais bien l’espèce humaine.

Ce sont les suivants :

1. Le surpeuplement de la terre, qui pousse chacun d’entre nous à s’abriter de la profusion de contacts sociaux d’une manière foncièrement inhumaine, et qui, par l’entassement de nombreux individus dans un espace restreint, provoque inévitablement l’agressivité.

2. La dévastation de l’environnement naturel, qui atteint non seulement le monde extérieur dans lequel nous vivons, mais détruit en l’homme même tout respect de la beauté et de la grandeur d’une création qui le dépasse.

3. La course de l’humanité avec elle-même, qui, pour notre malheur, devient toujours plus rapide avec le développement de la technologie. Cette contrainte du dépassement rend les hommes aveugles aux valeurs véritables et les prive du temps de la réflexion, activité indispensable et proprement humaine.

4. La disparition de tout sentiment fort et de toute émotion par l’amollissement, le progrès de la technologie et de la pharmacologie provoquant une intolérance croissante à tout ce qui peut entrainer le moindre déplaisir. La disparition simultanée de la capacité de l’homme d’éprouver une joie à laquelle il ne parvient qu’en surmontant des obstacles, au prix d’un dur effort. Le rythme, voulu par la nature, de contrastes balancés entre le flux et reflux des souffrances et des joies, s’attenue en une imperceptible oscillation, ce qui engendre un ennui mortel.

5. La dégradation génétique. En dehors « du sens naturel du droit » et de certains restes hérités du droit coutumier, il n’existe pas, à l’intérieur de la société moderne, de facteurs de sélection qui viennent exercer leur pression sur le développement et le maintien des normes de comportement bien que celles-ci deviennent de plus en plus nécessaires avec le développement de la société. Il n’est pas impossible que beaucoup d’infantilismes, qui transforment une grande partie de la jeunesse rebelle d’aujourd’hui en parasites sociaux, soient vraisemblablement d’origine génétique.

6. La rupture des traditions, résultant du fait que nous avons atteint un point critique où les jeunes générations n’arrivent plus à s’entendre culturellement avec les anciennes, encore moins à s’identifier avec elles. Elles les traitent alors comme un groupe ethnique étranger et les affrontent avec une haine nationale. Les raisons de ces troubles de l’identification viennent avant tout du manque de contacts entre parents et enfants, ce qui déjà chez les nourrissons entraîne des suites pathologiques.

7. La réceptivité croissante de l’humanité à l’endoctrinement. L’augmentation du nombre d’hommes rassemblés en un seul groupe culturel, s’ajoutant à l’extrème perfectionnement des moyens techniques conduisent à des possibilités, jamais atteintes dans l’histoire humaine, d’influencer l’opinion publique et de créer l’uniformité des vues. En outre, il faut signaler que la puissance de suggestion d’une doctrine, fermement admise, progresse peut-être en proportion géométrique avec le nombre de ses adhérents.

Dès maintenant, en certains lieux, un individu qui se soustrait délibérément à l’influence du mass-média, par exemple à la télévision, passe pour un cas pathologique.

Les effets dépersonnalisants de ces moyens sont accueillis avec plaisir par tous ceux qui veulent manipuler les foules. Enquêtes d’opinion, techniques publicitaires et une mode habilement propagée permettent aux magnats de la production, d’un côté du rideau de fer, et aux fonctionnaires de l’autre côté, d’exercer un pouvoir identique sur les masses.

8. L’armement nucléaire, qui fait peser sur l’humanité un danger plus facile à éviter que les sept processus menaçants décrits ci-dessus.

Ces phénomènes de deshumanisation, dont nous avons parlé du première au septième chapitre, sont favorisés par une doctrine pseudo-démocratique qui affirme que le comportement social et moral de l’homme n’est absolument pas déterminé par l’évolution phylogénétique de son système nerveux ou de ses organes sensoriels, mais qu’il est uniquement influencé par le « conditionnement » qu’il a subi au cours de son ontogenèse du fait de son environnement culturel.



[1] Titre d’un tableau de Paul Gauguin que le peintre a réalisé à Tahiti (1897-98) avant de rater son suicide. Trois ans après, il se retirera aux Marquises dans sa « maison du jouir » (à Hiva Hoa, où il est enterré pas loin de Jacques Brel).