Siate consapevoli che state entrando in un bastione
dell'economia globale, la stessa che con i suoi grandi progetti estrattivi
calpesta i diritti delle popolazioni indigene, distrugge le loro terre e le
inzuppa di sangue di martiri. La stessa che accetta nominalmente, come marchio
di merce umana, l'uguaglianza delle razze, l'emancipazione delle donne, la
libera opzione sessuale o le aspirazioni delle persone trans per meglio incoraggiare
il patriarcato e il razzismo, praticare l'intolleranza ed esercitare la
discriminazione. Dopo l'ultima prova generale di addomesticamento in seguito alla
pandemia, non troverete molti veri resistenti in questi luoghi perché la
maggioranza della popolazione rimane addormentata, riluttante, senza volontà di
vivere al di fuori della logica del capitale, perché la paura di essere esclusi
è più forte del desiderio di sfuggire alle sue regole. Con un consumo
spregevole abbastanza assicurato dall'industria, un'abbondanza garantita di
oggetti poveri e uno spettacolo ininterrotto, si ottiene la sottomissione a un
potere statale sempre più concentrato e la rinuncia alla propria autonomia
senza bisogno della violenza; i megaprogetti inutili sono dunque autorizzati
quasi senza pressione.
Purtroppo, quando l'apatia e la rassegnazione sono il prezzo
pagato per l'ombrello protettivo dello Stato, l’interesse privato resta la
misura di tutte le cose. Capitale e Stato sono le due facce della stessa
medaglia. Rifiutarne uno per accettare l'altro sarebbe lo stesso. Rifiutare la
dittatura dell'economia mondializzata, implica necessariamente il ripudio del
sistema politico parlamentare con cui essa si mostra e cerca di legittimarsi.
Il sistema non rappresenta nulla, né la democrazia che proclama, né il popolo
di cui usurpa la delega. I fili della globalizzazione muovono i burattini dello
spettacolo politico con cui sono ipnotizzati i cittadini passivi. Proprio il vostro
anticapitalismo e il vostro autogoverno lo dimostrano: sono il miglior esempio
che ci si può dare.
Mentre il panorama sociale è deprimente e le prospettive non
sono ottimistiche, non tutto nella boscaglia è spinoso. La servitù non è così
volontaria come sembra. La guerriglia della vita si eclissa, ma solo per
riemergere con più forza. Lentamente ma inesorabilmente, i giovani
disobbediscono, le donne si liberano, manciate di resistenti si raggruppano e
avviano progetti di cooperazione e di vita disindustrializzata, alcuni gruppi
di esclusi e sfrattati occupano luoghi di vita per gestirli collettivamente, mentre
pochi altri lottano per una sanità e un insegnamento alternativi e autogestiti.
I tentativi cittadini di rivitalizzare la politica partitocratica inciampano in
un’astensione crescente, mentre la copertura ecologica delle false soluzioni di
ricambio sta cadendo a pezzi. Dietro i circhi organizzati con la scusa del
cambiamento climatico, si staglia lo spolverino delle multinazionali che perseguitano
voi e noi mentre le litanie del progresso e della tecnologia non riescono a
nascondere la desolazione che le corporazioni multinazionali seminano al loro
passaggio. Anche il dominio ha i suoi punti deboli e sopra il pensiero schiavo
vola la pericolosa novità del libero fluire delle coscienze.
Come voi avete giustamente detto, è impossibile riformare il
capitalismo, renderlo meno disumano: va distrutto. L'apparato statale con cui
si riconfigura è inutilizzabile, bisogna lasciarlo sgretolare. La vita non può
fertilizzare la terra con plusvalenze, né la società può promuovere l'autonomia
dei suoi membri con decreti governativi o sussidi. Questa è una questione che
ci riguarda tutti perché ogni atto di ribellione, ogni gesto d’insubordinazione
qui o là, fa parte di una lotta che la volontà di vivere secondo le proprie
regole combatte dappertutto contro l'istinto di morte, contro l'emarginazione e
l'espropriazione, o se si vuole, contro le forze dell'ordine e l'accumulazione
di capitali.
Per una catena logica di conseguenze, la vostra difesa della
terra, dei modi di vita che essa consente, delle comunità che alberga, delle
tradizioni che essa alimenta e della storia che essa possiede, ha un obiettivo universale.
La lotta per l'autodeterminazione dei popoli indigeni mette al centro la
questione dell'equilibrio con la natura, la resistenza alla mercificazione del
territorio e all'esclusione e, infine, la rivendicazione di una vita quotidiana
libera da vincoli economici. Un nuovo soggetto storico, o in altre parole, una
nuova comunità universalista, può articolarsi intorno alla difesa del
territorio, all'antiproduttivismo e alla vita collettiva, come è avvenuto in
America Latina e, più specificamente, nelle vostre comunità. La vostra comunità
si traduce in piena luce, in lotta per la sopravvivenza dei popoli al di fuori
del capitalismo; in Europa, la società civile tesse la sua trama autonoma quasi
clandestinamente, attraverso collettivi effimeri, esperienze fallite, lotte
assembleari parziali, zigzag esistenziali ed equilibri più o meno solidi. I
legami comunitari non sono sopravvissuti a un capitalismo che ha seppellito la
minima consuetudine di solidarietà e ha colonizzato anche gli ultimi angoli
della società, quindi vanno ricostruiti praticamente da zero con il primo
materiale a portata di mano. Senza dubbio, le enormi contraddizioni del
capitalismo postmoderno, il suo grande potenziale autodistruttivo,
contribuiranno di per sé alla coscienza di una possibile liberazione. Tuttavia,
la speranza più grande viene soprattutto dal messaggio zapatista e dall'esempio
del buon governo dei popoli.
Miguel Amorós, 4
luglio 2021
Su richiesta del Collettivo "Camino al Andar".
Sed
conscientes de que entráis en un bastión de la economía global, la misma que
con sus grandes proyectos extractivos pisotea los derechos de los pueblos
indígenas, destruye sus tierras y las empapa de sangre mártir. La misma que
acepta nominalmente, en tanto que marchamo de la mercancía humana, la igualdad
de razas, la emancipación de las mujeres, la libre opción sexual o las
aspiraciones de los trans, para mejor animar el patriarcalismo y el racismo,
practicar la intolerancia y ejercer la discriminación. Tras el último ensayo
general de domesticación debido a la pandemia no vais a encontrar a muchos
resistentes auténticos por estos lugares, puesto que la mayoría de la población
permanece adormecida, desganada, sin voluntad de vivir fuera de la lógica del
capital, ya que el miedo a quedar excluidos es superior al deseo de escapar a
sus reglas. Con un consumo deleznable suficientemente asegurado por la
industria, una abundancia garantizada de objetos pobres y un espectáculo sin
interrupciones, la sumisión a un poder estatal cada vez más concentrado y la
renuncia a la propia autonomía se obtienen sin necesidad de violencia; los
megaproyectos inútiles aquí se consienten casi sin presión.
Por
desgracia, cuando la apatía y la resignación son el precio que se paga por el
paraguas protector del Estado, el beneficio privado sigue siendo la medida de
todas las cosas. Capital y Estado son las dos caras de la misma moneda. Salirse
de uno y apartarse del otro vendría a ser lo mismo. Rechazar la dictadura de la
economía mundializada implica necesariamente repudiar el sistema político
parlamentario con el que esta se muestra y trata de legitimarse. El sistema no
representa nada, ni a la democracia que proclama, ni al pueblo cuya delegación
usurpa. Los hilos de la globalización mueven las marionetas del espectáculo
político con el que se hipnotizan los pasivos ciudadanos. Precisamente vuestro
anticapitalismo y vuestro autogobierno vienen a demostrarlo: son el mejor
ejemplo que podéis darnos.
Si bien
el panorama social es desprimente y las perspectivas no son boyantes, no todo
en el monte son espinos. La servidumbre no es tan voluntaria como parece. La
guerrilla de la vida se oculta, pero solo para resurgir con más fuerza. Lenta
pero inexorablemente, los jóvenes desobedecen, las mujeres se liberan, puñados
de resistentes se agrupan y ponen en marcha proyectos de cooperación y de vida
desindustrializada, algunos grupos de excluidos y desahuciados ocupan viviendas
para gestionarlas colectivamente, y bueno, otros pocos pugnan por una sanidad y
una enseñanza alternativas autogestionadas. Las tentativas de revitalización
ciudadanista de la política partitocrática tropiezan ante una abstención
creciente, mientras que el ropaje ecológico de las falsas soluciones de
recambio se cae a pedazos. El plumero de las multinacionales que os y nos
acosan sobresale tras los circos organizados con la excusa del cambio
climático, y los cánticos al progreso y a la tecnología no consiguen esconder
la desolación que aquellas corporaciones siembran a su paso. La dominación
también tiene sus puntos débiles y por encima del pensamiento esclavo vuela la
peligrosa novedad del libre discurrir de las conciencias.
Como bien
decís, es imposible reformar el capitalismo, hacerlo menos inhumano: hay que
destruirlo. El aparato estatal con el que reconfigura es inservible, hay que
dejarlo desmoronarse. La vida no puede fertilizar la tierra con plusvalías, ni
la sociedad fomentar la autonomía de sus miembros con decretos gubernamentales
o subvenciones. Esto es un asunto que nos concierne a todos, pues cada acto de
rebeldía, cada gesto de insumisión de aquí o de allá, forman parte de una lucha
que la voluntad de vivir según reglas propias libra en todas partes contra el
instinto de muerte, contra la marginación y el despojo, o si se quiere, contra
las fuerzas del orden y la acumulación de capitales.
Por un
encadenamiento lógico de consecuencias, vuestra defensa de la tierra, de los
modos de vida que posibilita, de las comunidades que alberga, de las tradiciones
que alimenta y de la historia que posee, tiene un alcance universal. El combate
por la autodeterminación de los pueblos indígenas coloca la cuestión del
equilibrio con la naturaleza, la resistencia a la mercantilización del
territorio y a la exclusión, y enfín, la reivindicación de una vida cotidiana
ajena a los apremios económicos, en el centro de la cuestión social. Un nuevo
sujeto histórico, o dicho de otra manera, una nueva comunidad universalista,
puede articularse en torno a la defensa del territorio, al antidesarrollismo y
a la vida en común, tal como ha sucedido en América Latina, y más
concretamente, en vuestras comunidades. Allá, dicha comunidad se conforma a
plena luz, en lucha por la supervivencia de los pueblos fuera del capitalismo;
en Europa, la sociedad civil teje su entramado autónomo casi clandestinamente,
a través de colectivos efímeros, de experiencias fracasadas, de luchas
asamblearias parciales, de zigzags existenciales y balances más o menos
acertados. Los lazos comunitarios no sobrevivieron a un capitalismo que enterró
la menor costumbre solidaria y colonizó hasta los últimos rincones de la
sociedad, por lo que aquellos han de reconstruirse prácticamente desde cero con
el primer material que se tenga a mano. Sin duda, las enormes contradicciones
del capitalismo posmoderno, su gran potencial autodestructivo, contribuirán lo
suyo a la conciencia de una liberación posible. Pero por encima de todo, la
mayor esperanza proviene del mensaje zapatista y del ejemplo del buen gobierno
de los pueblos.
Miguel
Amorós, 4 de julio de 2021
A petición del Colectivo «Camino al Andar».