lunedì 5 luglio 2021

I miei più sinceri saluti alla delegazione degli zapatisti e al Congresso Nazionale Indigeno del Messico nel loro viaggio per la vita iniziato in Europa.






Siate consapevoli che state entrando in un bastione dell'economia globale, la stessa che con i suoi grandi progetti estrattivi calpesta i diritti delle popolazioni indigene, distrugge le loro terre e le inzuppa di sangue di martiri. La stessa che accetta nominalmente, come marchio di merce umana, l'uguaglianza delle razze, l'emancipazione delle donne, la libera opzione sessuale o le aspirazioni delle persone trans per meglio incoraggiare il patriarcato e il razzismo, praticare l'intolleranza ed esercitare la discriminazione. Dopo l'ultima prova generale di addomesticamento in seguito alla pandemia, non troverete molti veri resistenti in questi luoghi perché la maggioranza della popolazione rimane addormentata, riluttante, senza volontà di vivere al di fuori della logica del capitale, perché la paura di essere esclusi è più forte del desiderio di sfuggire alle sue regole. Con un consumo spregevole abbastanza assicurato dall'industria, un'abbondanza garantita di oggetti poveri e uno spettacolo ininterrotto, si ottiene la sottomissione a un potere statale sempre più concentrato e la rinuncia alla propria autonomia senza bisogno della violenza; i megaprogetti inutili sono dunque autorizzati quasi senza pressione.

 

Purtroppo, quando l'apatia e la rassegnazione sono il prezzo pagato per l'ombrello protettivo dello Stato, l’interesse privato resta la misura di tutte le cose. Capitale e Stato sono le due facce della stessa medaglia. Rifiutarne uno per accettare l'altro sarebbe lo stesso. Rifiutare la dittatura dell'economia mondializzata, implica necessariamente il ripudio del sistema politico parlamentare con cui essa si mostra e cerca di legittimarsi. Il sistema non rappresenta nulla, né la democrazia che proclama, né il popolo di cui usurpa la delega. I fili della globalizzazione muovono i burattini dello spettacolo politico con cui sono ipnotizzati i cittadini passivi. Proprio il vostro anticapitalismo e il vostro autogoverno lo dimostrano: sono il miglior esempio che ci si può dare.

 

Mentre il panorama sociale è deprimente e le prospettive non sono ottimistiche, non tutto nella boscaglia è spinoso. La servitù non è così volontaria come sembra. La guerriglia della vita si eclissa, ma solo per riemergere con più forza. Lentamente ma inesorabilmente, i giovani disobbediscono, le donne si liberano, manciate di resistenti si raggruppano e avviano progetti di cooperazione e di vita disindustrializzata, alcuni gruppi di esclusi e sfrattati occupano luoghi di vita per gestirli collettivamente, mentre pochi altri lottano per una sanità e un insegnamento alternativi e autogestiti. I tentativi cittadini di rivitalizzare la politica partitocratica inciampano in un’astensione crescente, mentre la copertura ecologica delle false soluzioni di ricambio sta cadendo a pezzi. Dietro i circhi organizzati con la scusa del cambiamento climatico, si staglia lo spolverino delle multinazionali che perseguitano voi e noi mentre le litanie del progresso e della tecnologia non riescono a nascondere la desolazione che le corporazioni multinazionali seminano al loro passaggio. Anche il dominio ha i suoi punti deboli e sopra il pensiero schiavo vola la pericolosa novità del libero fluire delle coscienze.

 

Come voi avete giustamente detto, è impossibile riformare il capitalismo, renderlo meno disumano: va distrutto. L'apparato statale con cui si riconfigura è inutilizzabile, bisogna lasciarlo sgretolare. La vita non può fertilizzare la terra con plusvalenze, né la società può promuovere l'autonomia dei suoi membri con decreti governativi o sussidi. Questa è una questione che ci riguarda tutti perché ogni atto di ribellione, ogni gesto d’insubordinazione qui o là, fa parte di una lotta che la volontà di vivere secondo le proprie regole combatte dappertutto contro l'istinto di morte, contro l'emarginazione e l'espropriazione, o se si vuole, contro le forze dell'ordine e l'accumulazione di capitali.

 

Per una catena logica di conseguenze, la vostra difesa della terra, dei modi di vita che essa consente, delle comunità che alberga, delle tradizioni che essa alimenta e della storia che essa possiede, ha un obiettivo universale. La lotta per l'autodeterminazione dei popoli indigeni mette al centro la questione dell'equilibrio con la natura, la resistenza alla mercificazione del territorio e all'esclusione e, infine, la rivendicazione di una vita quotidiana libera da vincoli economici. Un nuovo soggetto storico, o in altre parole, una nuova comunità universalista, può articolarsi intorno alla difesa del territorio, all'antiproduttivismo e alla vita collettiva, come è avvenuto in America Latina e, più specificamente, nelle vostre comunità. La vostra comunità si traduce in piena luce, in lotta per la sopravvivenza dei popoli al di fuori del capitalismo; in Europa, la società civile tesse la sua trama autonoma quasi clandestinamente, attraverso collettivi effimeri, esperienze fallite, lotte assembleari parziali, zigzag esistenziali ed equilibri più o meno solidi. I legami comunitari non sono sopravvissuti a un capitalismo che ha seppellito la minima consuetudine di solidarietà e ha colonizzato anche gli ultimi angoli della società, quindi vanno ricostruiti praticamente da zero con il primo materiale a portata di mano. Senza dubbio, le enormi contraddizioni del capitalismo postmoderno, il suo grande potenziale autodistruttivo, contribuiranno di per sé alla coscienza di una possibile liberazione. Tuttavia, la speranza più grande viene soprattutto dal messaggio zapatista e dall'esempio del buon governo dei popoli.

 

   Miguel Amorós, 4 luglio 2021

Su richiesta del Collettivo "Camino al Andar".

 


 Vayan por delante mis más sinceros saludos a la comitiva de los zapatistas y el Congreso Nacional Indígena de México en su gira por la vida iniciada en Europa.

 

   Sed conscientes de que entráis en un bastión de la economía global, la misma que con sus grandes proyectos extractivos pisotea los derechos de los pueblos indígenas, destruye sus tierras y las empapa de sangre mártir. La misma que acepta nominalmente, en tanto que marchamo de la mercancía humana, la igualdad de razas, la emancipación de las mujeres, la libre opción sexual o las aspiraciones de los trans, para mejor animar el patriarcalismo y el racismo, practicar la intolerancia y ejercer la discriminación. Tras el último ensayo general de domesticación debido a la pandemia no vais a encontrar a muchos resistentes auténticos por estos lugares, puesto que la mayoría de la población permanece adormecida, desganada, sin voluntad de vivir fuera de la lógica del capital, ya que el miedo a quedar excluidos es superior al deseo de escapar a sus reglas. Con un consumo deleznable suficientemente asegurado por la industria, una abundancia garantizada de objetos pobres y un espectáculo sin interrupciones, la sumisión a un poder estatal cada vez más concentrado y la renuncia a la propia autonomía se obtienen sin necesidad de violencia; los megaproyectos inútiles aquí se consienten casi sin presión.

 

   Por desgracia, cuando la apatía y la resignación son el precio que se paga por el paraguas protector del Estado, el beneficio privado sigue siendo la medida de todas las cosas. Capital y Estado son las dos caras de la misma moneda. Salirse de uno y apartarse del otro vendría a ser lo mismo. Rechazar la dictadura de la economía mundializada implica necesariamente repudiar el sistema político parlamentario con el que esta se muestra y trata de legitimarse. El sistema no representa nada, ni a la democracia que proclama, ni al pueblo cuya delegación usurpa. Los hilos de la globalización mueven las marionetas del espectáculo político con el que se hipnotizan los pasivos ciudadanos. Precisamente vuestro anticapitalismo y vuestro autogobierno vienen a demostrarlo: son el mejor ejemplo que podéis darnos.

 

   Si bien el panorama social es desprimente y las perspectivas no son boyantes, no todo en el monte son espinos. La servidumbre no es tan voluntaria como parece. La guerrilla de la vida se oculta, pero solo para resurgir con más fuerza. Lenta pero inexorablemente, los jóvenes desobedecen, las mujeres se liberan, puñados de resistentes se agrupan y ponen en marcha proyectos de cooperación y de vida desindustrializada, algunos grupos de excluidos y desahuciados ocupan viviendas para gestionarlas colectivamente, y bueno, otros pocos pugnan por una sanidad y una enseñanza alternativas autogestionadas. Las tentativas de revitalización ciudadanista de la política partitocrática tropiezan ante una abstención creciente, mientras que el ropaje ecológico de las falsas soluciones de recambio se cae a pedazos. El plumero de las multinacionales que os y nos acosan sobresale tras los circos organizados con la excusa del cambio climático, y los cánticos al progreso y a la tecnología no consiguen esconder la desolación que aquellas corporaciones siembran a su paso. La dominación también tiene sus puntos débiles y por encima del pensamiento esclavo vuela la peligrosa novedad del libre discurrir de las conciencias.

 

   Como bien decís, es imposible reformar el capitalismo, hacerlo menos inhumano: hay que destruirlo. El aparato estatal con el que reconfigura es inservible, hay que dejarlo desmoronarse. La vida no puede fertilizar la tierra con plusvalías, ni la sociedad fomentar la autonomía de sus miembros con decretos gubernamentales o subvenciones. Esto es un asunto que nos concierne a todos, pues cada acto de rebeldía, cada gesto de insumisión de aquí o de allá, forman parte de una lucha que la voluntad de vivir según reglas propias libra en todas partes contra el instinto de muerte, contra la marginación y el despojo, o si se quiere, contra las fuerzas del orden y la acumulación de capitales.

 

   Por un encadenamiento lógico de consecuencias, vuestra defensa de la tierra, de los modos de vida que posibilita, de las comunidades que alberga, de las tradiciones que alimenta y de la historia que posee, tiene un alcance universal. El combate por la autodeterminación de los pueblos indígenas coloca la cuestión del equilibrio con la naturaleza, la resistencia a la mercantilización del territorio y a la exclusión, y enfín, la reivindicación de una vida cotidiana ajena a los apremios económicos, en el centro de la cuestión social. Un nuevo sujeto histórico, o dicho de otra manera, una nueva comunidad universalista, puede articularse en torno a la defensa del territorio, al antidesarrollismo y a la vida en común, tal como ha sucedido en América Latina, y más concretamente, en vuestras comunidades. Allá, dicha comunidad se conforma a plena luz, en lucha por la supervivencia de los pueblos fuera del capitalismo; en Europa, la sociedad civil teje su entramado autónomo casi clandestinamente, a través de colectivos efímeros, de experiencias fracasadas, de luchas asamblearias parciales, de zigzags existenciales y balances más o menos acertados. Los lazos comunitarios no sobrevivieron a un capitalismo que enterró la menor costumbre solidaria y colonizó hasta los últimos rincones de la sociedad, por lo que aquellos han de reconstruirse prácticamente desde cero con el primer material que se tenga a mano. Sin duda, las enormes contradicciones del capitalismo posmoderno, su gran potencial autodestructivo, contribuirán lo suyo a la conciencia de una liberación posible. Pero por encima de todo, la mayor esperanza proviene del mensaje zapatista y del ejemplo del buen gobierno de los pueblos.     

 

   Miguel Amorós, 4 de julio de 2021

A petición del Colectivo «Camino al Andar».