mercoledì 5 ottobre 2022

Nazione e Stato

 



Per realizzare il dominio al quale aspirano strutturalmente fin dalle origini, i mercanti-guerrieri del produttivismo hanno creato lo Stato come organo di potere per gestire la società sottomessa pastorizzandola e omogeneizzandola. Questo processo intimamente predatorio e suprematista continua senza fine dalle città-Stato agli Stati-nazione, poi agli Stati-continente e ora al progetto apocalittico di un unico Stato planetario il cui totalitarismo perverso si prepara a regnare sulle rovine del mondo e sui sopravvissuti alla catastrofe sistemica in corso.

All’internazionalismo sociale, destinato a passare dalla coscienza di classe alla coscienza di specie da cui dipendono ormai la nostra salvezza e la nostra sopravvivenza (difficili se non improbabili), si oppone da millenni il lento, incessante, inarrestabile avanzare della mondializzazione di un produttivismo il cui modo di produzione capitalista ha ormai mercificato il mondo intero distruggendo la vita organica fino alle sue radici natali.

La comunità umana da cui scaturisce la civiltà produttivista ha visto la costante evoluzione della burocratizzazione della sua natura antropologica. Le nazioni psicogeografiche acratiche che compongono la comunità umana, dalla più semplice coppia al gruppo, fino alle etnie e ai popoli, sono state progressivamente trasformate in strutture di dominio sottomesse burocraticamente e militarmente alla logica schiavistica del lavoro coatto, necessario al produttivismo per esistere e dominare producendo valore economico in crescita costante.

La nazione psicogeografica spontanea, affettiva, molteplice e varia è alla radice della comunità umana e degli individui che la compongono. Dalle Città-Stato agli Stati-nazione essa è stata dappertutto trasformata ideologicamente in gregge economico, religioso e sociale sotto il controllo militare e poliziesco di un esercito di sbirri e di burocrati. Questo Stato onnipresente è da sempre al cuore della civiltà produttivista nel cui nome ha inventato il nazionalismo che dello Stato e non della nazione psicogeografica è figlio.

Negando la nazione perché incapace di guardare oltre il nazionalismo (ricordiamoci di Stalin, il cui delirio ridicolo e mostruoso si esprime attraverso un ossimoro esemplare blaterante di comunismo in un solo paese), l’internazionalismo ideologico dell’imborghesito proletariato gauchista fa un amalgama idiota tra il nazionalismo fascista dello Stato e la nazione psicogeografica, la cui democrazia diretta è incompatibile con lo Stato. Il ribellismo autoritario e reazionario dei rivoluzionari spettacolari (fascismo rosso, bruno o nero, stessa lotta per il potere) nega la nazione psicogeografica per fare dell’internazionalismo una religione mentre esso incarna la propensione acratica del vivente, e dell’umano in particolare, alla sovrapposizione orgastica di energie vitali autonome e differenti per genere e storia, tanto nei rapporti individuali che sociali.

Come sempre, l’ideologia dimentica la realtà in nome di un realismo spettacolare che sta alla radice di quel fascismo rosso, erede dello zarismo, la cui radice intimamente reazionaria ha contaminato l’idea russo bolscevica del comunismo fin dall’inizio. Senza nazione psicogeografica acratica non esiste internazionalismo possibile. L’hanno ben capito gli zapatisti il cui indubbio internazionalismo passa per l’EZLN (Esercito zapatista di liberazione nazionale).

La nazione che l’ideologia rivoluzionaria contemplativa abbandona con sdegno benpensante agli sciacalli fascisti appestati dal produttivismo, non ha nulla a che vedere con il nazionalismo, con stupidi e odiosi inni guerrieri, con bandiere vessillo di una guerra dichiarata o almeno sempre minacciata agli altri popoli, ad altre nazioni, ad altri esseri umani non riconosciuti come tali: selvaggi, incivili, untermenchen o controrivoluzionari secondo i gusti ideologici e il grado di disumanità raggiunti e coltivati dallo Stato padrone (poco importa se di destra o di sinistra) che bolla sempre e comunque i liberi cittadini come nemici della patria – riferimento chiaro e netto al suprematismo patriarcale.

La nazione psicogeografica partecipa al costante movimento dal locale al planetario aggiungendosi come una nuova fonte di energia vitale collettiva agli amori individuali e unendo ogni libero individuo della specie all’Internazionale dei popoli in piena autonomia, ognuno con le proprie specificità locali e un desiderio comune di libertà e di gioia di vivere. L’umanità esisterà veramente soltanto quando l’opera d’arte della comunità umana in fieri avrà umanizzato la natura non con la violenza, non imponendole una condizione, dei costumi, delle gerarchie, una civiltà – così il maschio produttivista ha imposto alla femmina il patriarcato –, ma con la libera creazione artistica di un mondo relativamente ma sostanzialmente pacificato e in questo senso umanizzato.

In nome di una libertà senza eccezioni, l’atto fondatore di ogni comunità umana è la diserzione pacifica da ogni guerra tra Stati. Il fascismo caratteriale, sintomo maggiore della peste emozionale produttivista, è uno strumento di predazione che trasforma in guerra per il dominio ogni differenza, ogni specificità. L’elemento predatore accompagna l’umanità in fieri fin dalle origini impedendole di nascere. Il pericolo naturale che circola nella giungla primitiva[1] ha sempre spinto le prime comunità di ominidi a definire non umani o meno umani gli altri gruppi poco conosciuti o sconosciuti. Molti nomi di tribù esistenti o esistite si autodefiniscono uomini, umani, implicando il timore, a volte verificato, che altri non lo siano. Perché la predazione, inflitta o subita, è la componente disumana dell’umanità mentre il suo superamento è la realizzazione della natura umana. Natura costantemente in fieri, che soltanto un’opera d’arte evoluzionista può realizzare, non una morale obbligatoria, né una fredda tecnologia o un delirio transumanista.

L’attuale nazione italica, per esempio, è un processo recente. Non esiste senza il contenuto culturale vissuto e diversamente espresso dal modo di parlare, nutrirsi, fare l’amore, la musica, la poesia, l’arte. Sono, infatti, molte le nazioni psicogeografiche regionali che compongono questo Stato-nazione frutto contingente del colonialismo sabaudo ma anche di un autentico processo spontaneo d’internazionalizzazione che abita tutti i popoli fin dalla nascita, senza urgenze né obblighi. Perché lo stivale è italiano, ma il pesto con il basilico del sud non ha lo stesso gusto del pesto genovese e il pecorino sardo non è frutto della stessa nazione d’origine di quello romano o, ancora più localmente, di Amatrice. Eppure, dal Piemonte alla Sicilia, da Quarto a Marsala si mangia la pasta e il parassitismo imperialista dei Savoia non ne è la causa.

Tra gli ominidi di un tempo, più umani degli attuali sopravvissuti all’industrialismo e alla sua civiltà tecno-cancerogena planetaria, gli stranieri erano considerati estranei se non barbari finché l’ospitalità reciproca non trasformava in festa condivisa tra uguali il rischio sempre presente della guerra per la predazione sessuale e sociale. Guerra e pace sono sempre possibili e se non è l’una, è l’altra. L’umanizzazione del mondo presuppone la creazione di condizioni in cui la pace sia la norma e la guerra l’eccezione definitivamente sconfitta da una società di donne e uomini liberi e uguali in diritto, per i quali la morte si riduca a un tragico fatto naturale.

Il sogno gilanico[2] la cui sperimentazione storica è stata provata, è l’unico antidoto all’incubo pestilenziale che avanza, l’unica civiltà altra rispetto alla civiltà produttivista che ha invaso il pianeta con le sue diverse culture religiose e politiche, tutte indistintamente suprematiste. Si tratta finalmente di prendere coscienza che l’ipotesi gilanica è una tendenza pacifica e non necessariamente pacifista perché in ogni situazione la diffidenza precauzionale contro ogni violenza imposta invita a valutare strategicamente e non moralmente la dose di violenza difensiva necessaria e utilizzabile dalla comunità.

Il gauchismo rappresenta forse l’ultima forma ideologica di dittatura in nome della libertà. Un ultimo ossimoro. Laddove le destre, tutte le destre fasciste o parlamentariste, impongono cinicamente il loro diktat a chiunque con tutta la loro violenza suprematista, il gauchismo s’impone in nome dell’etica laica di un comunismo da chiesa (di qualunque chiesa si tratti, anche la più libertaria) con il suo misticismo virale, i suoi rituali comunitari, la sua inquisizione di casta che si pretende di classe e il suo clero burocratico e moralizzatore (preti e suore di ogni superstizione religiosa, politica o sanitaria!).

Il comunismo si è presentato come l’ultima religione possibile, favorendo in realtà il ritorno grottesco delle credenze precedenti che avevano trovato nei monoteismi il loro più orribile splendore mistico. Quanti morti in terra in nome di fittizi paradisi celesti. Quanti campi di concentramento per reprobi ideologici in nome della libertà e dell’emancipazione dei popoli. Molto prima di S. Pietro e ben dopo Pol-Pot, è tutto l’universo produttivista, ormai vecchio di sette millenni almeno, che aspetta di essere sepolto dal nascere di una civiltà umana senza dei né piccoli padri dei popoli, senza capi né capesse, senza caporali né caporalesse, senza padroni/e né schiavi/e in un unico grandioso rispetto, gioioso e gaudente del vivente e di una libera danza con l’amore, con la gioia e la volontà di vivere.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 2 ottobre 2022



[1] Giungla reale ma anche fantasticata come tale sia dall’homo stanziale che da quello nomade che compongono la specie umana fin dall’antichità. La giungla è un concetto necessario al principio di precauzione per fare attenzione al pericolo presente dovunque nei rapporti interspecifici del mondo primitivo. Un mondo che gli ominidi moderni hanno reso totalmente artificiale ma non meno pericoloso, anzi!

[2] I più curiosi che ne siano ignari possono approfittare di Internet, anziché per comprare su Amazon, per capire il senso e conoscere la (prei)storia di questo concetto misterioso che  ho ripreso più volte nelle mie riflessioni: civiltà gilanica.




Nation et État

Pour parvenir à la domination à laquelle ils aspirent structurellement depuis le début, les marchands-guerriers du productivisme ont créé l'État comme organe de pouvoir pour gérer la société assujettie en la pasteurisant et en l'homogénéisant. Ce processus intimement prédateur et suprematiste se poursuit sans fin des cités-États aux États-nations, puis aux États-continents et maintenant au projet apocalyptique d'un seul État planétaire dont le totalitarisme pervers se prépare à régner sur les ruines du monde et sur les rescapés à la catastrophe systémique en cours.

À l'internationalisme social, destiné à passer de la conscience de classe à la conscience d'espèce dont dépendent désormais notre salut et notre survie (difficiles sinon improbables), s’oppose depuis des millénaires l'avancée lente, implacable, imparable de la mondialisation d'un productivisme dont le mode de production capitaliste a désormais marchandisé le monde entier en détruisant la vie organique jusqu'à ses racines natales.

La communauté humaine dont est issue la civilisation productiviste a vu l'évolution constante de la bureaucratisation de sa nature anthropologique. Les nations psychogéographiques acratiques qui composent la communauté humaine, du plus simple couple au groupe, jusqu’aux ethnies puis aux peuples, se sont progressivement transformées en structures de domination soumises bureaucratiquement et militairement à la logique esclavagiste du travail forcé nécessaire au productivisme afin d’exister et dominer en produisant une valeur économique sans cesse croissante.

La nation psychogéographique spontanée, affective, multiple et variée est à la racine de la communauté humaine et des individus qui la composent. Des Cités-États aux États-nations, elle s'est partout transformée idéologiquement en un troupeau économique, religieux et social sous le contrôle militaire et policier d'une armée de flics et de bureaucrates. Cet État omniprésent a toujours été au cœur de la civilisation productiviste au nom de laquelle il a inventé le nationalisme, enfant de l'État et non de la nation psychogéographique.

En niant la nation, incapable qu'il est de regarder au-delà du nationalisme (rappelons-nous de Staline, dont le délire ridicule et monstrueux s’exprime par un oxymore exemplaire blatérant de communisme dans un seul pays), l'internationalisme idéologique du prolétariat gauchiste embourgeoisé fait un amalgame idiot entre le nationalisme fasciste d'État et la nation psychogéographique dont la démocratie directe est incompatible avec l’État. La rébellion autoritaire et réactionnaire des révolutionnaires spectaculaires (fascisme rouge, brun ou noir, même combat pour le pouvoir) nie la nation psychogéographique pour faire de l'internationalisme une religion alors que celui-ci incarne la propension acratique du vivant, et de l'humain en particulier, à la superposition orgastique d’énergies vitales autonomes et différentes par genre et histoire, tant dans les relations individuelles que sociales.

Comme toujours, l'idéologie oublie la réalité au nom d'un réalisme spectaculaire qui est à la racine de ce fascisme rouge, héritier du tsarisme, dont la racine profondément réactionnaire a contaminé l'idée russe-bolchevique du communisme dès le début. Sans nation psychogéographique acratique, pas d'internationalisme possible. Les zapatistes, dont l'internationalisme incontestable passe par l'EZLN (Armée de libération nationale zapatiste), l'ont bien compris.

La nation que l'idéologie révolutionnaire contemplative abandonne avec indignation bienpensante aux chacals fascistes pestiférés par le productivisme, n'a rien à voir avec le nationalisme, avec des hymnes guerriers stupides et haineux, avec des drapeaux étendard d'une guerre déclarée ou du moins toujours menacée aux autres peuples, à d'autres nations, à d'autres êtres humains non reconnus comme tels : sauvages, non civilisés, untermenchen ou contre-révolutionnaires selon les goûts idéologiques et le degré d'inhumanité atteint et cultivé par l'État maître (de droite ou de gauche, peu importe) qui accable toujours et en tout cas les citoyens libres comme des ennemis de la patrie – reference claire et nette au suprématisme patriarcal.

La nation psychogéographique participe au mouvement constant du local au planétaire s’ajoutant comme une nouvelle source d’énergie vitale collective aux amours individuels et unissant chaque libre individu de l'espèce à l'Internationale des peuples en toute autonomie, chacun avec ses propres spécificités locales et un désir partagé pour la liberté et la joie de vivre. L'humanité n'existera vraiment que lorsque l'œuvre d'art de la communauté humaine in fieri aura humanisé la nature non pas par la violence ni lui imposant une condition, des coutumes, des hiérarchies, une civilisation comme le mâle productiviste a imposé à la femelle le patriarcat , mais par la libre création artistique d'un monde relativement mais substantiellement pacifié et en ce sens humanisé.

Au nom d’une liberté sans exceptions, l’acte fondateur de toute communauté humaine est la désertion pacifique de toute guerre entre États. Le fascisme caractériel, symptôme majeur de la peste émotionnelle productiviste, est un instrument de prédation qui transforme toute différence, toute spécificité en guerre pour la domination. L'élément prédateur accompagne l'humanité en devenir depuis ses origines l’empêchant de naître. Le danger naturel qui circule dans la jungle primitive[1] a toujours incité les premières communautés d'hominidés à définir d'autres groupes méconnus ou inconnus comme non humains ou moins humains. De nombreux noms de tribus existantes ou ayant existé s'appellent hommes, humains, impliquant la crainte, parfois vérifiée, que d'autres ne le soient pas. Car la prédation, infligée ou subie, est la composante inhumaine de l'humanité alors que son dépassement est la réalisation de la nature humaine. Nature constamment in fieri, ce que seule une œuvre d'art évolutionniste peut réaliser, pas une morale imposée, ni une technologie froide ou un délire transhumaniste.

La nation italienne actuelle, par exemple, est un processus récent. Elle n'existe pas sans le contenu culturel vécu et différemment exprimé par la manière de parler, de manger, de faire l'amour, la musique, la poésie, l'art. Nombreuses, en fait, sont les nations psychogéographiques régionales qui composent cet État-nation, fruit contingent du colonialisme savoyard, mais aussi d'un authentique processus spontané d'internationalisation qui habite tous les peuples depuis leur naissance, sans urgence ni obligations. Car la botte est italienne, mais le pesto avec le basilic méridional n'a pas le même goût que le pesto génois et le pecorino sarde n'est pas le fruit de la même nation d'origine que le pecorino romain ou, encore plus localement, celui d'Amatrice. Et pourtant, du Piémont à la Sicile, de Quarto à Marsala on mange des pâtes et le parasitisme impérialiste des Savoie n'en est pas la cause.

Parmi les hominidés d'autrefois, plus humains que les survivants actuels de l'industrialisme et de sa civilisation techno-cancérigène planétaire, les étrangers étaient considérés comme étranges sinon barbares jusqu'à ce que l'hospitalité mutuelle transforme le risque omniprésent de guerre pour la prédation sexuelle et sociale en une fête partagée entre égaux. La guerre et la paix sont toujours possibles et si ce n'est pas l'une, c'est l'autre. L'humanisation du monde suppose la création de conditions dans lesquelles la paix est la norme et la guerre l'exception définitivement vaincue par une société d'hommes et de femmes libres et égaux en droit, pour qui la mort est réduite à un fait naturel tragique.

Le rêve gylanique[2] dont l’expérimentation historique a été prouvée, est le seul antidote au cauchemar pestilentiel qui avance, l’unique civilisation autre que la civilisation productiviste qui a envahi la planète avec ses diverses cultures religieuses et politiques, toutes indistinctement suprématistes. Enfin, il s'agit de prendre conscience que l’hypothèse gylanique est une tendance pacifique et pas forcément pacifiste car en toute situation la méfiance précautionneuse contre toute violence imposée invite à évaluer stratégiquement et non moralement la dose de violence défensive nécessaire et utilisable par la communauté.

Le gauchisme est peut-être la dernière forme idéologique de dictature au nom de la liberté. Un dernier oxymore. Là où les droites, toutes les droites fascistes ou parlementaristes, imposent cyniquement leur diktat à n'importe qui avec toute leur violence suprématiste, le gauchisme s'impose au nom de l'éthique laïque d'un communisme d'église (quelle qu'elle soit, même l’église la plus libertaire) avec son mysticisme viral, ses rituels communautaires, son inquisition de caste qui se prétend de classe et son clergé bureaucratique et moralisateur (prêtres et bonnes-sœurs de toutes superstitions religieuses, politiques ou sanitaires !).

Le communisme s’est présenté comme la dernière religion possible, favorisant en fait le retour grotesque des croyances précédentes qui avaient trouvé leur plus horrible splendeur mystique dans les monothéismes. Combien de morts sur terre au nom de paradis célestes fictifs. Combien de camps de concentration pour anathématisés idéologiques au nom de la liberté et de l'émancipation des peuples. Bien avant Saint-Pierre et bien après Pol-Pot, c'est tout l'univers productiviste, aujourd'hui vieux de sept millénaires au moins, qui attend d'être enterré par la naissance d'une civilisation humaine sans dieux ni petits pères des peuples, sans chefs ni chéfesses, sans caporaux ni caporalesses, sans maîtres ou esclaves en tout genre, dans un seul respect grandiose, joyeux et jouissif du vivant et d’une libre danse avec l'amour, avec la joie et la volonté de vivre.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 2 octobre 2022



[1] Véritable jungle mais aussi fantasmée comme telle tant par l’homo sédentaire que par l’homo nomade qui composent l'espèce humaine depuis la nuit des temps. La jungle est un concept nécessaire au principe de précaution pour prêter attention au danger présent partout dans les relations interspécifiques du monde primitif. Un monde que les hominidés modernes ont rendu totalement artificiel mais non moins dangereux, loin de là !

[2] Les plus curieux qui l'ignorent peuvent profiter d'Internet, plutôt que pour acheter sur Amazon, pour comprendre le sens et connaître la (pré)histoire de ce concept mystérieux dont j'ai parlé à plusieurs reprises dans mes réflexions : la civilisation gylanique