Slavoj Zizek, 5 febbraio
2021
Nato nel 1949, Slavoj Zizek, filosofo e psicanalista molto
noto, vive a Lubiana 5Slovenia. Tra le sue molte traduzioni in italiano: Il sublime oggetto dell'ideologia, Ponte alle Grazie, Milano
2014; Problemi in Paradiso. Il comunismo dopo la fine
della storia, Ponte alle Grazie, Milano 2015; Virus, Ponte alle grazie, Milano
2020.
Traduzione
in italiano di Sergio Ghirardi Sauvageon
dalla
versione in francese pubblicata nel sito Quartier
Général Le
Média libre
Nell’aprile
2020, in reazione all’esplosione di Covid-19, Jürgen Habermas ha rilevato
che “l’incertezza della nostra esistenza
si propagava ormai globalmente e simultaneamente nello spirito degli individui
connessi mediaticamente”. Per poi aggiungere: “Non c’è mai stata una tale coscienza del nostro non-sapere, e l’obbligo di agire e di vivere
nell’incertezza non è mai stato così grande”. Il filosofo
tedesco ha ragione di pretendere che questo non-sapere non riguarda soltanto la
stessa pandemia – abbiamo almeno qualche esperto in questo dominio – ma ancor
più le sue conseguenze economiche, sociali e psichiche. Notate la sua formula
precisa: non è semplicemente che non sappiamo quel che succede, noi sappiamo di
non sapere e questo non-sapere è in se stesso un fatto sociale iscritto nella
maniera in cui le nostre istituzioni agiscono.
Noi sappiamo ora che
all’epoca medievale o all’inizio della modernità, per esempio, ne sapevano
molto meno – ma non lo sapevano perché si appoggiavano su una base ideologica
stabile che garantiva il nostro universo come una totalità significativa. Lo
stesso vale per certe visioni del comunismo e anche per l’idea di Fukuyama
della “fine della Storia” – tutti hanno supposto di sapere dove la storia
evolvesse. Per di più Habermas ha ragione di localizzare l’incertezza “nella testa degli individui connessi”:
il nostro legame con l’universo digitale amplia enormemente le nostre
conoscenze, ma ci getta nello stesso tempo in un’incertezza radicale (siamo sotto
attacco hacker? Chi controlla le nostre connessioni? Quel che leggiamo sarà
mica una fake news?). Le scoperte in
corso di un hackeraggio straniero – russo? – delle istituzioni governative
americane e delle grandi imprese, illustrano questa incertezza: gli Americani
stanno scoprendo che non sono nemmeno più capaci di determinare la portata e la
provenienza dell’hackeraggio in corso. L’ironia vuole che ora il virus attacchi
nei due sensi del termine: biologico e digitale.
Quando cerchiamo
d’indovinare il modo in cui le nostre società si comporteranno dopo la fine
della pandemia, la trappola da evitare è la futurologia che per definizione
dimentica la nostra ignoranza. La futurologia è definita come una previsione
sistematica dell’avvenire a partire dalle tendenze attuali della società e in
questo sta il problema: la futurologia estrapola principalmente quel che
risulterà dalle tendenze presenti. Quel che, però, la futurologia sottovaluta
sono i “miracoli” storici, le rotture radicali che possono spiegarsi solo
retroattivamente, dopo che sono avvenute; Bisognerebbe forse prendere qui in
conto la distinzione esistente in italiano tra futuro e avvenire: il “futuro”
designa quel che verrà dopo il presente mentre l’“avvenire” punta su un
cambiamento radicale. Quando un presidente è rieletto, è “il presidente attuale
e futuro” ma non è il presidente a venire – il presidente a venire è un
presidente diverso. L’universo post coronavirus sarà dunque soltanto un altro
futuro o qualcosa di nuovo “a venire”?
Ciò non dipende solo
dalla scienza ma anche dalle nostre decisioni politiche. Il momento è ora
venuto di dire che non dovremmo farci illusioni a proposito della “felice”
conclusione delle elezioni americane che hanno portato tanto sollievo tra i liberals del mondo intero. IL film “They
Live” (Essi vivono) di John Carpenter
(1988) uno dei capolavori negletti della sinistra hollywoodiana, racconta la
storia di John Nada ( “nulla” in
spagnolo), un lavoratore senza tetto che capita per caso su un mucchio di
scatole piene di occhiali da sole in una chiesa abbandonata. Quando mette un
paio di questi occhiali camminando per strada, si accorge che un pannello
pubblicitario colorato che invita a mangiare delle barrette di cioccolato
mostra invece la scritta “UBBIDIRE”, mentre un altro manifesto con una coppia
glamour abbracciata, visto attraverso gli occhiali, ordina allo spettatore di
“SPOSARSI E RIPRODURSI”. Vede anche che i biglietti di banca portano la scritta
“QUESTO È IL VOSTRO DIO”. Scopre, inoltre, rapidamente, che molte persone
dall’aria gentile sono in realtà degli extraterrestri mostruosi con teste di
metallo...
In questo periodo,
circola sul web un’immagine che restituisce la scena di “Essi vivono” a
proposito di Biden e Harris: vista direttamente l’immagine li mostra sorridenti
con il messaggio “TIME TO HEAL” (è tempo
di prendersi cura); vista attraverso gli occhiali, sono due mostri
extraterrestri il cui messaggio è “TIME TO HEEL” (è tempo di stare alle calcagna).
Montaggio fornito dall’autore che mescola l’universo distopico del cineasta John Carpenter
e
i volti della nuova equipe presidenziale americana
Una tale visione si
mescola evidentemente in parte con la propaganda di Trump tesa a screditare
Biden e Harris in quanto marionette delle grandi imprese anonime che
controllano le nostre vite – ma c’è più che una parte di verità là dentro. La
vittoria di Biden designa il “futuro” come continuazione della “normalità”
pre-Trump – ecco la ragione di un tale sospiro di sollievo dopo la sua
vittoria. Tuttavia, questa “normalità” è quella del capitalismo anonimo
mondializzato che è il vero alieno tra noi. Ricordo nella mia gioventù il
desiderio di “un socialismo dal volto umano” contro un socialismo burocratico
di tipo Unione sovietica – Biden promette un nuovo capitalismo mondializzato
dal volto umano, ma dietro quel volto si nasconde la stessa realtà.
Nell’educazione, questo “volto umano” ha preso le sembianze dell’ossessione del
“benessere”; allievi e studenti devono vivere sotto campane di vetro che li
salveranno dagli orrori della realtà esteriore, protetti dalle regole del
politicamente corretto. L’educazione non è più destinata a permettere di
confrontarci con la realtà sociale – e quando ci dicono che questa sicurezza
impedirà le depressioni dovremmo opporre a tutto ciò l’affermazione opposta:
una tale apparenza di sicurezza ci espone a crisi mentali quando dovremo
affrontare la nostra realtà sociale. Quel che offre l’apparenza del “benessere”
è che essa copre semplicemente con un falso “volto umano” la nostra realtà
anziché permetterci di cambiare queste stessa realtà. Biden è il presidente per
eccellenza del “benessere”.
“BIDEN
PROMETTE UN NUOVO CAPITALISMO MONDIALIZZATO DAL VOLTO UMANO, MA DIETRO QUESTO
VOLTO SI NASCONDE LA STESSA REALTÀ”
Perché allora Biden è pur
tuttavia meglio di Trump? Le critiche rilevano che anche lui mente e
rappresenta ugualmente il grande capitale, con la sola differenza che lo
rappresenta sotto una forma più pulita – ma sfortunatamente questa forma conta.
Con il diventare volgare del discorso pubblico, Trump corrodeva la sostanza etica
delle nostre vite, quella che Hegel chiamava Sitten (in opposizione alla morale individuale). Questo divenire
volgare è un processo mondiale. Eccone un buon esempio europeo: Szilard
Demeter, commissario ministeriale e capo del museo letterario Petofi a Budapest.
Costui ha scritto in un editoriale del novembre 2020: “L’Europa è la camera a gas di George Soros. Il gas tossico cola dalla
capsula di una società aperta multiculturale, mortale per il modo di vita
europeo”. Demeter ha proseguito qualificando Soros di “ Fuhrer liberale”. Se gli si chiedesse,
Demeter rigetterebbe probabilmente queste dichiarazioni come un’esagerazione
retorica; ciò non esclude, però, in alcun caso le loro terrificanti
implicazioni. Il paragone tra Soros e Hitler è profondamente antisemita: mette
Soros sullo stesso piano di Hitler, affermando che la società aperta
multiculturale promossa da Soros non solo è altrettanto pericolosa
dell’Olocausto e del razzismo ariano che l’ha sostenuto, ma che essa è ancora
peggio, più pericolosa per il “modo di
vita europeo”.
Esiste dunque
un’alternativa a questa visione terrificante oltre che il “volto umano” di
Biden? Greta Thunberg ha recentemente tratto tre lezioni positive dalla
pandemia: “ è possibile trattare una
crisi come una crisi, è possibile mettere la salute della gente sopra gli
interessi economici, è possibile ascoltare la scienza”. Sì ma sono delle
possibilità – è altrettanto possibile trattare una crisi utilizzandola per
mascherare altre crisi (per esempio: a causa della pandemia dovremmo
dimenticare il riscaldamento climatico); è ugualmente possibile servirsi della
crisi per rendere i ricchi più ricchi e i poveri più poveri (ciò che si è
effettivamente prodotto nel 2020, a un ritmo senza precedenti); ed è anche
possibile ignorare o dividere in compartimenti la scienza (pensate
semplicemente a quanti rifiutano di farsi vaccinare, alla crescita esplosiva
delle teorie del complotto, ecc.).
“CI
DIRIGIAMO VERSO UNA NAZIONE IN CUI 3 MILIONI DI SIGNORI SARANNO SERVITI DA 350
MILIONI DI SERVI”
Scott Galloway, teorico
newyorchese della pubblicità, dà un’immagine più o meno precisa della
situazione in quest’epoca di coronavirus, nel suo libro della fine del 2020, “Post Corona. From Crisis to Opportunity”:
“Ci dirigiamo verso una nazione in cui
tre milioni di signori sono serviti da trecentocinquanta milioni di servi. Non
ci piace dirlo ad alta voce, ma è come se questa pandemia fosse stata
largamente inventata per condurre il 10% dei più ricchi verso l’un per cento
dei più ricchi, e impoverire ulteriormente il 90% restante. Abbiamo deciso di
proteggere le imprese, non la gente. Il capitalismo sta letteralmente crollando
su se stesso a meno che ricostruisca la colonna portante dell’empatia. Noi
abbiamo deciso che il capitalismo significa essere amorevoli e empatici verso
le imprese e darwinisti e duri nei confronti degli individui”.
Allora, qual è la via
d’uscita di Galloway, come evitare il crollo sociale? La sua risposta è che “il capitalismo crollerà su se stesso senza
un aumento di empatia e d’amore”. “Noi
entriamo nella Grande Reinizializzazione (The Great Reset) e ciò avviene rapidamente. Numerose imprese saranno tragicamente
perdute a causa delle conseguenze economiche della pandemia e quelle che
sopravvivranno esisteranno in una forma diversa. Le organizzazioni saranno
molto più adattabili e resilienti. I diversi gruppi che prosperano attualmente
con meno inquadramento desidereranno questa stessa autonomia in avvenire. Gli
impiegati si aspetteranno che i dirigenti continuino a dirigere con
trasparenza, autenticità e umanità”. Tuttavia, ancora una volta, come
questo succederà? Galloway propone una distruzione creatrice che lasci le
imprese in dissesto fallire, proteggendo le persone che perdono il lavoro: “Lasciando che la gente si faccia licenziare
perché Apple possa ingrandirsi e mandare in fallimento Sun Microsystems, noi diffonderemo
questa incredibile prosperità e saremo più empatici con la gente”.
Il problema è, evidentemente,
di sapere chi si nasconde dietro il misterioso “noi” dell’ultima frase citata, cioè come esattamente la
redistribuzione sarà effettuata. Tasseremo semplicemente i vincitori (Apple in
questo caso) autorizzandoli a conservare la loro posizione di monopolio? L’idea
di Galloway ha un certo fiuto dialettico: il solo modo di ridurre le
ineguaglianze e la povertà è permettere alla concorrenza del mercato di fare il
suo lavoro crudele (lasciare che la gente sia licenziata), e poi ... che cosa
dopo? Aspetteremo che i meccanismi di mercato creino da soli nuovi posti di
lavoro? Oppure lo Stato? Come operano “amore” e “empatia? Conteremo forse
sull’empatia dei vincenti e aspetteremo da loro che si comportino come Bill
Gates e Warren Buffet? Trovo questo miglioramento dei meccanismi di mercato
attraverso la moralità, l’amore e l’empatia assolutamente problematica: anziché
permetterci di ottenere il meglio dei due mondi (egoismo del mercato e empatia
morale) è molto più probabile che otterremo il peggio dei due mondi...
Il
libro del pubblicitario Scott Galloway « Post Corona. From crisis to opportunity »,
Apparso a
novembre 2020, è stato un best seller negli Stati Uniti
I volti umani di questo
“management con trasparenza, autenticità e umanità” sono quelli di Gates,
Bezos, Zuckerberg, i volti del capitalismo corporativo autoritario che si
presentano tutti come eroi umanitari – da notare che la nostra nuova
aristocrazia li ha celebrati nei nostri media citandoli come veri saggi
umanisti. Bill Gates dà miliardi per delle opere caritative, ma ricordiamoci
che si è opposto al piano di Elisabeth Warren in favore di un leggero aumento
delle imposte. Ha fatto l’elogio di Thomas Piketty e si è quasi proclamato
socialista una volta, ma in un senso contorto e molto specifico, poiché la sua
ricchezza proviene, in effetti, dalla privatizzazione di quelli che Marx
chiamava i nostri “beni comuni”, lo
spazio sociale condiviso nel quale evolviamo e comunichiamo. La ricchezza di
Gates non ha niente a che vedere con i costi di produzione dei prodotti venduti
da Microsoft e si può persino sostenere che Microsoft remunera i suoi
lavoratori intellettuali con un salario relativamente elevato. La ricchezza di
Gates non è il risultato del suo successo nella produzione di buoni software a
prezzi inferiori di quelli dei suoi concorrenti o di un maggior “sfruttamento”
dei suoi impiegati intellettuali. Bill Gates è diventato uno degli uomini più
ricchi del mondo privatizzando e controllando la possibilità data a milioni tra
noi di comunicare. Nello stesso modo in cui Microsoft ha privatizzato i
software che la maggior parte di noi utilizza, i contatti personali si vedono
privatizzati da face book, l’acquisto di libri da Amazon, o la ricerca da
Google.
C’è dunque una parte di verità
nella “ribellione” di Trump contro la potenza dei GAFAS, queste mostruose
imprese digitali mondiali. Vale la pena di guardare in proposito i famosi
podcast Apple “War Room” di Steve Bannon che resterà come il più grande
ideologo del populismo di Trump – non si può in effetti che restare affascinati
dal numero di verità parziali che combina in seno a una menzogna globale. Sì, sotto
Obama lo scarto che separava i ricchi dai poveri è decisamente aumentato, le
grandi imprese si sono ancora rinforzate... Sotto Trump, però, questo processo
è continuato, Trump ha ridotto le tasse, utilizzato il denaro principalmente
per salvare le grandi imprese, ecc. Siamo dunque di fronte a un’orribile falsa
alternativa: il reset delle grandi imprese o il populismo nazionalista che
risulta finalmente essere la stessa cosa. Il “Great Reset” è la formula che designa il mutamento di alcune cose e
anche di molte affinché queste cose restino fondamentalmente le stesse.
“LA
NOSTRA ECONOMIA NON PUO PERMETTERSI UN ALTRO CONFINAMENTO BRUTALE? ALLORA
CAMBIAMO ECONOMIA!”
Esiste dunque una terza
via, al di fuori dello spazio aperto da questi due estremi che sono il restauro
della vecchia normalità o la prospettiva di un “ grande reset”? Sì
ma una vera grande reinizializzazione. Quel che va fatto non è un segreto –
Greta Thunberg l’ha detto chiaramente. Per prima cosa, dobbiamo infine
riconoscere la crisi pandemica per quello che è, che fa, cioè, parte di una
crisi mondiale di tutto il nostro modo di vita, dall’ecologia fino alle nuove
tensioni sociali. In secondo luogo, dobbiamo stabilire un controllo sociale e
una regolazione dell’economia. Terzo punto, dovremmo concedere fiducia alla
scienza – averne fiducia, sì, ma non accettarla soltanto come un elemento
esterno che prende le decisioni. Perché? Torniamo a Habermas con il quale
abbiamo cominciato: la nostra situazione è tale che siamo obbligati ad agire quando
sappiamo di non conoscere le coordinate esatte della situazione nella quale ci
troviamo e che non agire sarebbe un atto di per sé. Non è forse, però, la
situazione di base di ogni attore? Il nostro grande vantaggio è che noi
sappiamo a che punto siamo ignoranti e questa consapevolezza della nostra
ignoranza apre uno spazio di libertà. Agiamo quando non conosciamo la
situazione nel suo insieme, ma non si tratta soltanto di un limite: quel che ci
dà la libertà è che la situazione – almeno nella nostra sfera sociale – è di
per sé aperta e non totalmente predeterminata. La nostra situazione in seno alla
pandemia è certamente aperta. Abbiamo imparato ora la prima lezione: “spegnere la luce” non basterà. Ci dicono
che “noi”, cioè la nostra economia,
non possiamo permetterci un altro confinamento brutale – allora cambiamo
l’economia. Il confinamento è il gesto negativo più radicale NELL’ordine
esistente. La via verso un aldilà, un nuovo ordine positivo, passerà per la
politica e non per la scienza. Quel che bisogna fare è cambiare la nostra vita
economica affinché possa sopravvivere ai confinamenti e alle urgenze che ci
attendono a colpo sicuro, nello stesso modo in cui una guerra ci obbliga a
ignorare i limiti del mercato e a trovare un mezzo per fare l’“impossibile” in
un’economia di libero mercato.
Nel marzo 2003, Donald
Rumsfeld, allora segretario di Stato americano alla Difesa, si era lanciato in
un po’ di filosofia per dilettanti a riguardo della relazione tra il conosciuto
e lo sconosciuto: “Esistono dei
conosciuti noti. Ci sono delle cose che sappiamo di conoscere. Ci sono degli
sconosciuti noti. Vale a dire che ci sono cose di cui sappiamo di essere
ignari. Ma ci sono anche degli sconosciuti sconosciuti. Ci sono cose che noi
ignoriamo persino di non conoscere”. Quel che Rumsfeld ha dimenticato di
aggiungere era il quarto termine pur tuttavia cruciale: i “conosciuti sconosciuti” cioè le cose che non abbiamo coscienza di
conoscere – che designano appunto l’inconscio freudiano, “il sapere che non si
conosce”, come diceva Lacan. Se Rumsfeld pensava che i principali pericoli
dello scontro con l’Iraq fossero gli “sconosciuti
sconosciuti”, le minacce di Saddam che non supponiamo neppure quel che
potevano essere, dobbiamo rispondere che i principali pericoli sono, al
contrario, i “conosciuti sconosciuti”,
le credenze e le supposizioni apparentemente sconfessate alle quali non si è
neppure coscienti di aderire.
Dovremmo, del resto,
leggere l’affermazione di Habermas per cui non abbiamo mai saputo così tante
cose su quel che ignoriamo, attraverso queste quattro categorie: la pandemia ha
scosso quel che noi non sapevamo d’ignorare e, nella maniera in cui abbiamo
affrontato tutto ciò, ci siamo appoggiati su quel che non sapevamo di sapere –
tutte le nostre supposizioni e pregiudizi che determinano la nostra azione
quando non ne siamo neppure coscienti. Non si tratta qui del semplice passaggio
dall’ignoranza al sapere ma del passaggio molto più sottile dall’ignoranza al
sapere di quel che non si sa – il nostro sapere positivo resta lo stesso
durante questo passaggio, ma noi guadagniamo uno spazio libero per l’azione.
“ABBIAMO BISOGNO DI UN
ASSANGE CINESE PER INFORMARCI SU QUEL CHE È DAVVERO ACCADUTO LAGGIÙ”
È in riferimento a quello
che sappiamo di conoscere, supposizioni e pregiudizi inclusi, che la Cina (Taiwan
e il Vietnam) hanno fatto molto meglio dell’Europa e degli Stati Uniti. Sono
stanco dell’affermazione costantemente ripetuta: “sì, i cinesi hanno contenuto il virus, ma a che prezzo...”. Sono
d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno di un Assange cinese per informarci su
quello che è davvero successo laggiù, tutta la storia, ma il fatto è che,
quando l’epidemia è esplosa a Wuhan, hanno immediatamente imposto il
confinamento e paralizzato la maggior parte della produzione in tutto il paese,
dando chiaramente la priorità alle vite umane sull’economia. Hanno preso la
crisi estremamente sul serio. Ora ne raccolgono la ricompensa, anche
economicamente. Ciò è stato soltanto possibile –
siamo chiari – perché il PC cinese è sempre in grado di controllare
e regolare l’economia; esiste un controllo sociale sul meccanismo del mercato,
benché sia totalitario. Ancora una volta, però, la questione non è di
sapere come sono riusciti ad applicare tutto ciò in Cina, ma come NOI dobbiamo
farlo. Il metodo cinese non è il solo efficace, non è “obiettivamente
necessario” nel senso in cui, se analizzate tutti dati, dovreste farlo alla
maniera cinese. L’epidemia non è soltanto un processo virale, è un processo che
si spande in dimensioni economiche, sociali e ideologiche aperte al
cambiamento.
Manifestazione
Youth for Climate negli Stati-Uniti, foto
Tim Jacob Hauswirth
Oggi viviamo un momento
folle in cui la speranza che i vaccini funzionino si mescola all’angoscia,
persino alla disperazione, in ragione del numero crescente d’infezioni e delle
scoperte quasi quotidiane di nuove varianti del virus. In principio la risposta
a “ che cosa si deve fare” è qui
facile: abbiamo i mezzi e le risorse per ristrutturare le cure della sanità
affinché rispondano alle esigenze della gente in tempo di crisi, ecc. Tuttavia,
per citare l’ultima linea dell’elogio del
comunismo di Brecht nella sua opera “La madre” “Er ist das Einfache, das
schwer zu machen ist” (“È la cosa più semplice, tanto difficile da fare”). Ci sono numerosi ostacoli che la rendono tanto difficile da riuscire,
prima di tutto l’ordine capitalista mondiale e la sua egemonia ideologica.
Abbiamo dunque bisogno di un nuovo comunismo? Sì, ma di quello che sono tentato
di chiamare un comunismo moderatamente conservatore: tutte le tappe sono
necessarie, dalla mobilitazione mondiale contro le minacce virali e altre, fino
alla messa in funzione di procedure che limiteranno i meccanismi del mercato e
socializzeranno l'economia, ma realizzate in modo conservatore (nel senso di
uno sforzo per conservare le condizioni della vita umana – e il paradosso che
dobbiamo cambiare le cose precisamente per mantenere queste condizioni), e
anche moderato (nel senso che bisogna prendere accuratamente in conto gli
effetti secondari imprevedibili delle nostre misure).
A quale comunismo penso?
A una necessità le cui ragioni sono evidenti: abbiamo bisogno di un’azione
mondiale per lottare contro le minacce sanitarie e ambientali, l’economia dovrà
essere in qualche modo socializzata... A questo proposito dovremmo leggere il
modo in cui il capitalismo mondiale reagisce attualmente alla pandemia
precisamente come un insieme di reazioni a questa tendenza comunista: il falso
Great Reset, il populismo nazionalista, la solidarietà ridotta all’empatia.
Allora se e come
potrebbe prevalere la tendenza comunista? Una triste riposta: attraverso crisi
sempre più ripetute. Siamo chiari: il virus è ateo nel senso più forte del
termine. Sì, bisognerebbe analizzare come la pandemia sia socialmente
condizionata, ma è essenzialmente il prodotto di una contingenza priva di
senso, non c’è un “messaggio più profondo”
in essa (all’epoca medievale la peste era interpretata come una punizione divina).
Prima di scegliere un celebre verso di Virgilio come motto della sua Interpretazione dei sogni[1] , Freud immaginava in quel ruolo un altro candidato, le parole di Satana
tratte dal Paradiso perduto di John Milton: che sostegno si potrebbe trarre: « What reinforcement we
may gain from Hope / If not what resolution from despair ». (Che sostegno si potrebbe trarre dalla speranza se non la determinazione
della disperazione. E cosi che NOI, satana contemporanei distruttori della
nostra terra, dovremmo reagire alle minacce virali ed ecologiche: invece di
cercare vanamente di rinforzare qualche Speranza dovremmo accettare che la
nostra situazione è disperata e agire risolutamente in conseguenza. Per citare
di nuovo Greta Thunberg: “Fare del nostro
meglio non basta più ormai si deve fare l’impossibile”. La futurologia
tratta solamente quel che è possibile. Dobbiamo ormai fare quel che è, dal
punto di vista dell’ordine mondiale esistente, impossibile.
[11] L’interpretazione
dei sogni di Freud porta in epigrafe questa supplica a Giunone che si trova
nell’Eneide di Virgilio: « Flectere si nequeo superos
acheronta movebo » ( Se
non potrò commuovere gli dèi celesti, impietosirò Acheronte”).
« Le Great
Reset ? Oui, s’il vous plait, mais un vrai ! »
Slavoj
Zizek, 5 février 2021
Né en 1949, Slavoj Zizek, philosophe et psychanalyste
mondialement connu, vit à Ljubljana (Slovénie). Très aimé aux Etats-Unis,
notamment des amateurs de pop philosophie, il a déjà publié de nombreux livres
en français: « Le spectre rôde toujours » (Nautilus), « Jacques
Lacan à Hollywood » ou encore « Le sujet qui fâche »
(Flammarion)
En
avril 2020, en réaction à l’explosion de l’épidémie de Covid-19, Jürgen
Habermas a souligné que « l’incertitude
de notre existence se propageait désormais globalement et simultanément, dans
l’esprit des individus médiatiquement connectés ».
Et de poursuivre : « Il
n’y a jamais eu autant de conscience de notre non-savoir, et la contrainte
d’agir et de vivre dans l’incertitude n’a jamais été aussi grande. »
Le philosophe allemand a raison de prétendre que ce non-savoir ne concerne pas
seulement la pandémie elle-même – nous avons au moins des experts dans ce domaine
– mais plus encore ses conséquences économiques, sociales et psychiques. Notez
sa formulation précise : ce n’est pas simplement que nous ne savons pas ce
qui se passe, nous savons que nous ne savons pas, et ce non-savoir est lui-même
un fait social, inscrit dans la manière dont nos institutions agissent.
Nous
savons maintenant qu’à l’époque médiévale ou au début de la modernité, par
exemple, ils en savaient beaucoup moins – mais ils ne le savaient pas, car ils
s’appuyaient sur une base idéologique stable qui garantissait que notre univers
est une totalité significative. Il en va de même pour certaines visions du
communisme, et même pour l’idée de Fukuyama de « fin de l’Histoire » –
ils ont tous supposé savoir où l’histoire évoluait. De plus, Habermas a raison
de localiser l’incertitude dans « la tête des individus connectés »
: notre lien avec l’univers câblé élargit énormément nos connaissances, mais en
même temps il nous jette dans une incertitude radicale (sommes-nous piratés ?
Qui contrôle nos connexions ? Est-ce que ce que nous lisons là-bas est
une fake news ?
Les découvertes en cours sur un piratage étranger – russe ? – des
institutions gouvernementales américaines et des grandes entreprises illustrent
cette incertitude : les Américains sont en train de découvrir qu’ils ne
sont même pas capables de déterminer la portée et la provenance du piratage en
cours. L’ironie est que le virus attaque maintenant aux deux sens du
terme : biologique et numérique.
Quand
nous essayons de deviner la façon dont nos sociétés se comporteront après la
fin de la pandémie, le piège à éviter est la futurologie – la futurologie par
définition oublie notre ignorance. La futurologie est définie comme une
prévision systématique de l’avenir à partir des tendances actuelles de la société
– et c’est là que réside le problème : la futurologie extrapole principalement
ce qui résultera des tendances présentes. Cependant, ce que la futurologie
néglige, ce sont les « miracles » historiques, les ruptures radicales
qui ne peuvent s’expliquer que rétroactivement, une fois qu’elles se
produisent. Il faudrait peut-être mobiliser ici la distinction qui existe en
français entre futur et avenir : le « futur » désigne ce qui viendra après le
présent tandis que l’« avenir » pointe vers un changement radical. Lorsqu’un
président est réélu, il est « le président actuel et futur », mais il n’est pas
le président « à venir » – le président à venir est un président différent.
Alors, l’univers post-coronavirus sera-t-il juste un autre futur, ou quelque chose
de nouveau « à venir » ?
Cela
ne dépend pas seulement de la science, mais aussi de nos décisions politiques.
Le moment est maintenant venu de dire que nous ne devrions pas nous faire d’illusions
au sujet de l’issue « heureuse » des élections américaines qui ont
apporté un tel soulagement parmi les libéraux du monde entier. Le film
« They Live » de John Carpenter (1988), l’un des chefs-d’œuvre
négligés de la gauche hollywoodienne (en français le titre est « Invasion Los
Angeles » NDLR), raconte l’histoire de John
Nada (en espagnol
« rien »), un travailleur sans-abri qui
tombe accidentellement sur un tas de boîtes pleines de lunettes de soleil dans
une église abandonnée. Lorsqu’il met une paire de ces lunettes en marchant dans
une rue, il remarque qu’un panneau publicitaire coloré nous invitant à manger
des barres de chocolat affiche maintenant le mot « OBÉIR », tandis
qu’un autre panneau d’affichage avec un couple glamour en train de s’enlacer,
vu à travers les lunettes, ordonne au spectateur de « SE MARIER ET SE
REPRODUIRE ». Il voit aussi que les billets de banque portent les mots
« CECI EST VOTRE DIEU ». De plus, il découvre rapidement que beaucoup
de personnes qui ont l’air charmantes sont en fait des extraterrestres
monstrueux avec des têtes en métal… Actuellement, circule sur le web une image
qui restitue la scène de « They Live » à propos de Biden et Harris :
vu directement, l’image les montre tous en train de sourire avec le message «
TIME TO HEAL » (il est temps de
soigner) ; vu à travers les lunettes, ce sont deux monstres
extraterrestres et le message est « TIME TO HEEL » (il est temps de mettre au pas).
Montage fourni par l’auteur, mélangeant l’univers dystopique du cinéaste John Carpenter
et les visages de la nouvelle équipe présidentielle américaine
Cette
vision rejoint bien sûr en partie la propagande de Trump visant à discréditer
Biden et Harris, en tant que marionnettes des grandes entreprises anonymes qui
contrôlent nos vies – mais il y a plus qu’une part de vérité là-dedans. La
victoire de Biden désigne le « futur » en tant que continuation de la «
normalité » pré-Trump – c’est pourquoi il y a eu un tel soupir de soulagement
après sa victoire. Mais cette « normalité » est celle du capitalisme anonyme
mondialisé, qui est le véritable Alien parmi nous. Je me rappelle dans ma
jeunesse du désir d’un « socialisme
à visage humain » contre un socialisme
« bureaucratique »
du type URSS – Biden promet un nouveau capitalisme mondialisé à visage humain,
alors que derrière ce visage se cache la même réalité. Dans l’éducation, ce «
visage humain » a pris la forme de l’obsession du « bien-être » : élèves et
étudiants doivent vivre dans des bulles qui les sauveront des horreurs de la
réalité extérieure, protégés par les règles du politiquement correct.
L’éducation n’est plus destinée à nous permettre de nous confronter à la
réalité sociale – et quand on nous dit que cette sécurité empêchera les
dépressions, nous devrions cela avec l’affirmation exactement inverse :
un tel semblant de sécurité nous ouvre à des crises mentales quand nous devrons
affronter notre réalité sociale. Ce qu’offre l’apparence de
« bien-être », c’est qu’elle couvre simplement d’un faux
« visage humain » notre réalité au lieu de nous permettre de changer
cette réalité elle-même. Biden est le président par excellence du
« bien-être ».
« BIDEN PROMET UN NOUVEAU CAPITALISME MONDIALISÉ
À VISAGE HUMAIN, MAIS DERRIÈRE CE VISAGE SE CACHE LA MÊME RÉALITÉ »
Alors
pourquoi Biden est-il tout de même meilleur que Trump ? Les critiques
soulignent que Biden ment aussi, et représente également le grand capital, à
cette différence près qu’il le représente sous une forme plus polie – mais,
malheureusement, cette forme compte. Avec le devenir vulgaire du discours
public, Trump corrodait la substance éthique de nos vies, ce que Hegel
appelait Sitten (par
opposition à la moralité individuelle). Ce devenir vulgaire est un processus
mondial. En voici un bon exemple européen : Szilard Demeter, commissaire
ministériel et chef du musée littéraire Petofi à Budapest. Celui-ci a
écrit dans un éditorial en novembre 2020 : « L’Europe est la chambre à
gaz de George Soros. Le gaz toxique s’écoule de la capsule d’une société
ouverte multiculturelle, mortelle pour le mode de vie européen. » Demeter
a poursuivi en qualifiant Soros de « Führer libéral ».
Si on lui demandait, Demeter rejetterait probablement ces déclarations comme
une exagération rhétorique ; ceci, n’écarte cependant en aucun cas leurs
terrifiantes implications. La comparaison entre Soros et Hitler est
profondément antisémite : elle met Soros au même niveau qu’Hitler, affirmant
que la société ouverte multiculturelle promue par Soros n’est pas seulement
aussi périlleuse que l’Holocauste et le racisme aryen qui l’a soutenu, mais qu’elle est pire
encore, plus périlleuse pour le « mode de vie européen ».
Existe-t-il
donc une alternative à cette vision terrifiante, autre que le « visage humain »
de Biden ? Greta Thunberg a récemment tiré trois leçons positives de la
pandémie : « Il est possible de
traiter une crise comme une crise, il est possible de placer la santé des gens
au-dessus des intérêts économiques, et il est possible d’écouter la science ».
Oui, mais ce sont des possibilités – il est également possible de traiter une
crise en l’utilisant pour masquer d’autres crises (par exemple : à cause de la
pandémie, nous devrions oublier le réchauffement climatique) ; il est également
possible de se servir de la crise pour rendre les riches plus riches et les
pauvres plus pauvres (ce qui s’est effectivement produit en 2020 à une vitesse
sans précédent) ; et il est également possible d’ignorer ou de compartimenter
la science (rappelez-vous simplement de ceux qui refusent de se faire vacciner,
de la montée explosive des théories du complot, etc.).
« NOUS NOUS DIRIGEONS VERS UNE NATION OÙ 3
MILLIONS DE SEIGNEURS SERONT SERVIS PAR 350 MILLIONS DE SERFS »
Scott
Galloway, théoricien new yorkais de la publicité, donne une image plus ou moins
précise des choses à notre ère du coronavirus dans son livre paru fin
2020 : « Post Corona. From crisis to opportunity » :
« Nous nous dirigeons
vers une nation où trois millions de seigneurs sont servis par 350 millions de
serfs. Nous n’aimons pas le dire à haute voix, mais c’est comme si cette
pandémie avait été largement inventée pour ramener les 10% les plus riches dans
les 1% les plus riches, et ramener le reste des 90% encore à la baisse. Nous
avons décidé de protéger les entreprises, pas les gens. Le capitalisme est
littéralement en train de s’effondrer sur lui-même à moins qu’il ne
reconstruise ce pilier de l’empathie. Nous avons décidé que le capitalisme
signifie être aimant et empathique envers les entreprises, et darwiniste et dur
envers les individus ».
Alors,
quelle est la solution de sortie de Galloway, comment éviter l’effondrement
social ? Sa réponse est que « le capitalisme s’effondrera sur lui-même sans
davantage d’empathie et d’amour ». « Nous entrons dans la Grande Réinitialisation, et cela
se produit rapidement. De nombreuses entreprises seront tragiquement perdues à
cause des retombées économiques de la pandémie, et celles qui survivront existeront
sous une forme différente. Les organisations seront beaucoup plus adaptables et
résilientes. Les différents groupes qui prospèrent actuellement avec moins
d’encadrement désireront cette même autonomie à l’avenir. Les employés
s’attendront à ce que les dirigeants continuent à diriger avec transparence,
authenticité et humanité. » Mais, encore
une fois, comment cela arrivera-t-il ? Galloway propose une destruction
créatrice qui laisse les entreprises en faillite échouer tout en protégeant les
personnes qui perdent leur emploi : « Nous laissons les gens se faire virer pour qu’Apple
puisse grandir et mettre Sun Microsystems en faillite, et nous diffuserons
cette incroyable prospérité et serons plus empathiques avec les gens… ».
Le
problème est, évidemment, de savoir qui se cache derrière le mystérieux « nous » dans la
dernière phrase citée, c’est-à-dire comment, exactement, la redistribution sera
effectuée. Est-ce que nous taxons simplement les vainqueurs (Apple, dans ce
cas) tout en les autorisant à conserver leur position de monopole ? L’idée
de Galloway a un certain flair dialectique : la seule façon de réduire les
inégalités et la pauvreté est de permettre à la concurrence du marché de faire
son travail cruel (laisser les gens se faire virer), et puis… quoi
ensuite ? Est-ce que nous attendons que les mécanismes du marché créent
eux-mêmes de nouveaux emplois ? Ou l’État ? Comment « amour » et «
empathie » opèrent-ils ? Ou est-ce que nous compterions sur l’empathie des
gagnants et attendrions d’eux qu’ils se comportent tous comme Bill Gates et
Warren Buffet ? Je trouve cette amélioration des mécanismes du marché par
la moralité, l’amour et l’empathie tout à fait problématique : au lieu de nous
permettre d’obtenir le meilleur des deux mondes (égoïsme du marché et empathie
morale), il est beaucoup plus probable que nous obtiendrons le pire des deux
mondes…
Le livre du publicitaire Scott Galloway: « Post Corona. From crisis to
opportunity »,
paru en novembre 2020, a été un best-seller aux États-Unis
Les
visages humains de ce « management
avec transparence, authenticité et humanité »
sont Gates, Bezos, Zuckerberg, les visages du capitalisme corporatif
autoritaire, qui se présentent tous comme des héros humanitaires – à noter que
notre nouvelle aristocratie les a célébrés dans nos médias et cités comme de
véritables sages humanistes. Bill Gates donne des milliards pour des œuvres
caritatives, mais nous devons nous rappeler qu’il s’est opposé au plan
d’Elisabeth Warren en faveur d’une légère augmentation des impôts. Il a fait
l’éloge de Thomas Piketty, et s’est presque proclamé socialiste une fois, ceci
est vrai, mais dans un sens tordu et très spécifique, sa richesse provenant en
effet de la privatisation de ce que Marx appelait nos « communs », l’espace
social partagé dans lequel nous évoluons et communiquons. La richesse de Gates
n’a rien à voir avec les coûts de production des produits vendus par Microsoft,
et l’on peut même soutenir que Microsoft rémunère ses travailleurs
intellectuels à un salaire relativement élevé. La richesse de Gates n’est pas
le résultat de son succès dans la production de bons logiciels pour des prix
inférieurs à ceux de ses concurrents, ou d’une plus grande « exploitation » de
ses employés intellectuels. Bill Gates est devenu l’un des hommes les plus
riches du monde en privatisant et en contrôlant la possibilité donnée à des
millions d’entre nous de communiquer. Et de la même manière que Microsoft a
privatisé les logiciels que la plupart d’entre nous utilisons, les contacts
personnels se voient privatisés par Facebook, l’achat de livres par Amazon, ou
la recherche par Google.
Il
y a donc une part de vérité dans la « rébellion » de Trump contre la puissance
des GAFAS, ces monstrueuses entreprises numériques mondiales. Cela vaut la
peine de regarder à cet égard les fameux podcasts Apple « War Room »
de Steve Bannon, qui demeurera comme le plus grand idéologue du populisme de
Trump – on ne peut en effet qu’être fasciné par le nombre de vérités partielles
qu’il y combine au sein d’un mensonge global. Oui, sous Obama, l’écart qui
sépare les riches des pauvres s’est énormément creusé, les grandes entreprises
se sont encore renforcées… Mais sous Trump, ce processus s’est poursuivi, Trump
a baissé les impôts, utilisé l’argent principalement pour sauver les grandes
entreprises, etc. Nous sommes donc confrontés à une horrible fausse
alternative : la réinitialisation des grandes entreprises, ou le populisme
nationaliste qui s’avèrera finalement être la même chose. Le « Great Reset » est la
formule qui désigne le changement de certaines choses, et même de beaucoup de
choses, afin que ces choses restent fondamentalement les mêmes.
« NOTRE ÉCONOMIE NE PEUT SE PERMETTRE UN AUTRE
CONFINEMENT BRUTAL? ALORS CHANGEONS D’ÉCONOMIE ! »
Existe-t-il
donc une troisième voie, en dehors de l’espace ouvert par ces deux extrêmes que
sont la restauration de l’ancienne normalité ou la perspective d’un « Great Reset » ?
Oui – mais une vraie grande réinitialisation. Ce qui doit être fait n’est pas
un secret – Greta Thunberg l’a dit clairement. Premièrement, nous devons enfin
reconnaître la crise pandémique pour ce qu’elle est, à savoir qu’elle fait
partie d’une crise mondiale de tout notre mode de vie, de l’écologie jusqu’aux
nouvelles tensions sociales. Deuxièmement, nous devons établir un contrôle
social et une régulation de l’économie. Troisièmement, nous devrions nous fier
à la science – nous y fier oui, mais pas simplement l’accepter comme un
organisme externe qui prend les décisions. Pourquoi ? Revenons à Habermas avec
qui nous avons commencé : notre situation est telle que nous sommes obligés
d’agir alors que nous savons que nous ne connaissons pas les coordonnées
exactes de la situation dans laquelle nous nous trouvons, et que ne pas agir serait
un acte en soi. Mais n’est-ce pas la situation de base de tout acteur ?
Notre grand avantage est que nous savons à quel point nous sommes ignorants, et
cette connaissance de notre ignorance ouvre un espace de liberté. Nous agissons
quand nous ne connaissons pas la situation dans son ensemble, mais ce n’est pas
simplement une limite : ce qui nous donne la liberté, c’est que la
situation – dans notre sphère sociale, du moins – est en elle-même ouverte, pas
totalement prédéterminée. Et notre situation au sein de la pandémie est
certainement ouverte. Nous avons appris la première leçon maintenant : « éteindre la lumière »
ne suffira pas. Ils nous disent que « nous », à savoir notre
économie, ne pouvons pas nous permettre un autre confinement brutal – alors
changeons l’économie. Le confinement est le geste négatif le plus radical DANS
l’ordre existant. La voie vers un au-delà, un nouvel ordre positif, passera par
la politique, et non par la science. Ce qu’il faut faire, c’est changer notre
vie économique afin qu’elle puisse survivre aux confinements et aux urgences
qui nous attendent à coup sûr, de la même manière qu’une guerre nous oblige à
ignorer les limites du marché et à trouver un moyen de faire ce qui est
« impossible » dans une économie de libre marché.
En
mars 2003, Donald Rumsfeld, alors secrétaire d’Etat américain à la Défense,
s’était livré à un peu de philosophie amateur sur la relation entre le connu et
l’inconnu : « Il y a des connus
connus. Ce sont des choses dont nous savons que nous les connaissons. Il existe
des inconnus connus. C’est-à-dire qu’il y a des choses dont nous savons que
nous les ignorons. Mais il y a aussi des inconnus inconnus. Il y a des choses
dont ignorons même que nous ne les connaissons pas ».
Ce que Rumsfeld a oublié d’ajouter était le quatrième terme, pourtant crucial :
les « connus inconnus »,
à savoir les choses que nous n’avons pas conscience de connaître – qui
désignent précisément l’inconscient freudien, le « savoir qui ne se connaît pas
», comme disait Lacan. Si Rumsfeld pensait que les principaux dangers de la
confrontation avec l’Irak étaient les « inconnus inconnus »,
les menaces de Saddam dont nous ne soupçonnions même pas ce qu’elles pouvaient
être, ce que nous devons répondre, c’est que les principaux dangers sont, au
contraire, les « connus
inconnus », les croyances et suppositions
en apparence désavouées, auxquelles nous ne sommes même pas conscients
d’adhérer.
Nous
devrions d’ailleurs lire l’affirmation de Habermas selon laquelle nous n’avons
jamais su autant de choses sur ce que nous ignorions, à travers ces quatre
catégories: la pandémie a secoué ce que nous pensions ou savions connaître,
elle nous a fait prendre conscience de ce que nous ne savions pas que nous
ignorions, et, dans la manière dont avons affronté cela, nous nous sommes
appuyés sur ce que nous ne savions pas que nous savions – toutes nos
suppositions et préjugés qui déterminent notre action alors que nous n’en
sommes même pas conscients. Il ne s’agit pas ici du simple passage de
l’ignorance au savoir mais du passage beaucoup plus subtil de l’ignorance au
savoir de ce que l’on ne sait pas – notre savoir positif reste le même dans ce
passage, mais nous gagnons un libre espace pour l’action.
« NOUS AVONS BESOIN D’UN ASSANGE CHINOIS POUR
NOUS RENSEIGNER SUR CE QUI S’EST RÉELLEMENT PASSÉ LÀ-BAS »
C’est
au regard de ce que nous savons connaître, nos suppositions et nos préjugés,
que la Chine (et Taïwan et le Vietnam) ont fait tellement mieux que l’Europe et
les États-Unis. Je suis fatigué de l’affirmation éternellement répétée « Oui, les Chinois ont contenu le virus, mais à quel
prix… ». Je suis d’accord sur le fait que nous avons besoin
d’un Assange chinois pour nous renseigner sur ce qui s’est réellement passé là-bas,
toute l’histoire, mais le fait est que, lorsque l’épidémie a explosé à Wuhan,
ils ont immédiatement imposé le confinement et paralysé la majorité de la
production dans tout le pays, donnant clairement la priorité aux vies humaines
sur l’économie. Ils ont pris la crise extrêmement au sérieux. Maintenant, ils
en récoltent la récompense, même économiquement. Et – soyons clairs – cela n’a
été possible que parce que le PC chinois est toujours en mesure de contrôler et
de réguler l’économie : il existe un contrôle social sur les mécanismes du
marché, bien qu’il soit « totalitaire ». Mais, encore une fois, la question
n’est pas de savoir comment ils ont réussi à appliquer cela en Chine, mais
comment NOUS devons le faire. La méthode chinoise n’est pas la seule méthode
efficace, elle n’est pas « objectivement
nécessaire » dans le sens où, si vous analysez toutes les
données, vous devriez le faire à la manière chinoise. L’épidémie n’est pas
seulement un processus viral, c’est un processus qui s’étale dans des dimensions
économiques, sociales et idéologiques qui sont ouvertes au changement.
Manifestation Youth for Climate aux Etats-Unis, photo Tim Jacob Hauswirth
Aujourd’hui
nous vivons un moment fou, où l’espoir que les vaccins fonctionneront se mélange
à l’angoisse, au désespoir même, en raison du nombre croissant d’infections et
les découvertes quasi quotidiennes de nouvelles variantes du virus. En
principe, la réponse à « que
doit-on faire ? » est facile ici : nous
avons les moyens et les ressources pour restructurer les soins de santé afin
qu’ils répondent aux besoins des gens par temps de crise, etc. Cependant, pour
citer la dernière ligne de l’« Éloge du communisme » de Brecht dans
sa pièce « La Mère » : «Er ist das Einfache, das schwer zu machen ist.»
(« C’est la chose la
plus simple, c’est si difficile à faire.» ).
Il y a de nombreux obstacles qui la rendent si difficile à accomplir, avant
tout l’ordre capitaliste mondial et son hégémonie idéologique. Est-ce que nous
avons donc besoin d’un nouveau communisme ? Oui, mais ce que je suis tenté
d’appeler un communisme modérément conservateur: toutes les étapes sont
nécessaires, de la mobilisation mondiale contre les menaces virales, et autres,
jusqu’à la mise en place de procédures qui contraindront les mécanismes de
marché et socialiseront l’économie, mais réalisées de manière conservatrice
(dans le sens d’un effort pour conserver les conditions de la vie humaine – et
le paradoxe est que nous devons changer les choses précisément pour maintenir ces
conditions), et aussi modéré (dans le sens où il faut prendre soigneusement en
compte les effets secondaires imprévisibles de nos mesures).
A
quel communisme est-ce que je pense ? A une nécessité dont les raisons
sont évidentes : nous avons besoin d’une action mondiale pour lutter
contre les menaces sanitaires et environnementales, l’économie devra être en
quelque sorte socialisée … A cet égard, nous devrions lire la façon dont le
capitalisme mondial réagit actuellement à la pandémie précisément comme un
ensemble de réactions à cette tendance communiste : le faux Great Reset, le populisme
nationaliste, la solidarité réduite à l’empathie.
Alors,
comment – si – la tendance communiste pourrait-elle prévaloir ? Une triste
réponse : à travers des crises de plus en plus répétées. Soyons clairs :
le virus est athée au sens le plus fort du terme. Oui, il faudrait analyser
comment la pandémie est socialement conditionnée, mais c’est essentiellement le
produit d’une contingence dénuée de sens, il n’y a pas de « message plus profond »
en elle (à l’époque médiévale, la peste était interprétée comme une punition
divine). Avant de choisir un célèbre vers de Virgile comme devise de son
« Interprétation des rêves » (1), Freud envisagea
dans ce rôle un autre candidat, les paroles de Satan tirées du « Paradis
Perdu » de John Milton : « What reinforcement we may gain from Hope / If not what
resolution from despair ». Quel soutien
pourrait-on tiré de l’espoir sinon la détermination du désespoir. C’est ainsi
que nous, Satans contemporains qui détruisons notre terre, devrions réagir aux
menaces virales et écologiques : au lieu de chercher vainement à renforcer
quelque espoir, nous devrions accepter que notre situation est désespérée et
agir résolument en conséquence. Pour citer à nouveau Greta Thunberg :
« Faire de notre mieux
ne suffit plus. Nous devons maintenant faire ce qui semble impossible ».
La futurologie traite seulement de ce qui est possible. Nous devons désormais
faire ce qui est, du point de vue de l’ordre mondial existant, impossible.
SLAVOJ ZIZEK
Traduit de l’anglais par Antoine Birot, tous droits
réservés à QG, le média libre, pour la version française.
(1) « L’interprétation des rêves » de Freud
porte en épigraphe cette supplique à Junon qu’on trouve dans l’Énéide de
Virgile : « Flectere si nequeo superos acheronta movebo », que
l’on pourrait traduire ainsi : « Si je ne parviens pas à émouvoir
ceux d’en haut (les dieux), j’agiterai l’Achéron (le fleuve des enfers) »