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MyAfrica_MALI 8 aprile 2009
Mi chiamo Piero Coppo e molti anni fa sono uscito dalla maturità classica, da un liceo classico e poi mi sono iscritto a Medicina, son diventato medico, ho fatto la specialità in Neuropsichiatria, ho lavorato per un po' di tempo, come neuro-psichiatra, vent'anni in Svizzera, e poi ho cominciato a occuparmi di altri sistemi di cura e ho lavorato per molti anni in Africa, in un paese africano e in un paese dell'America Centrale, il Guatemala. Il tema di oggi è il giro attorno alle relazioni tra la cultura occidentale e altre culture rispetto alla salute, alla guarigione e alla concezione globale dell'uomo che l'Occidente ha e che altre culture hanno. E su questo magari possiamo cominciare vedendo questa scheda, che abbiamo preparato. Da sempre l'Occidente è stato crocevia di saperi, arti, tecniche. Dall'Africa Nera, via Egitto, la Grecia classica prese, tra l'altro, miti e modi per interrogare l'invisibile, dall'Oriente, via Tracia, l'idea dell'anima indipendente dal corpo. La cultura araba contribuì a fondare le scienze e in particolare la medicina scientifica. I Conquistadores strapparono agli Amerindiani conoscenze e tecniche di cura, innestandole nella medicina europea dell'epoca. Poi negli ultimi due secoli in Europa il tumultuoso sviluppo dei saperi - liberati dai vincoli morali e religiosi - e delle tecniche che da essi derivano, ha dato l'illusione all'Occidente di non avere più nulla da imparare, più nessuna conoscenza da prendere da altri. Per chi credeva nel culto del progresso le tecniche avrebbero di per sé portato all'abbondanza per tutti e alla civiltà. La fine di questo secolo coincide col crollo di questa illusione. Oggi il mondo è in gran parte occidentalizzato, ma non sembra godere di buona salute. Moltissimi soffrono ancora di privazioni, di mancanza di cure, di violenze, di ingiustizie. Anche là dove c'è ricchezza, l'isolamento, l'insoddisfazione, la dipendenza, la passività segnano l'esistenza di molti. In Occidente un numero sempre maggiore di persone si rivolge ad altre culture, altre religioni, altre conoscenze, altri sistemi di cura. La cultura occidentale si rimette alla ricerca di altri, non solo come schiavi o materie prime, ma come portatori di altre visioni del mondo, altre filosofie, altre antropologie da cui imparare. La sua fame rivela una crisi e ogni crisi rappresenta un momento prezioso, come è evidenziato dalla parola cinese, costituita da due ideogrammi, che significano pericolo e opportunità.
DOMANDE di un gruppo di studenti universitari durante un incontro tenutosi in Italia:
STUDENTESSA: Professore, buongiorno. Quali sono state - e quali sono ancora oggi - le analogie e le differenze tra la medicina orientale e occidentale, e soprattutto cos'è stato a spingere l'uomo a ritenere di non dover più apprendere nulla dal mondo orientale e poi cosa ha spinto l'uomo invece a convertire questo stesso pensiero?
Coppo: Beh, pensiamo un po' come nell'Ottocento e nel Novecento si è sviluppata la concezione dell'uomo che ha dato origine poi alla moderna medicina, quella che noi chiamiamo medicina scientifica. E' un mondo, quello dell'Ottocento europeo, che è sempre più sicuro di sé. E' sicuramente un mondo che ha una grande forza, e l'egemonia, per esempio militare, sta colonizzando tutti gli altri paesi e sta vivendo dentro di sé questa enorme avventura, che è stata la conquista della conoscenza scientifica. Pensate alla fine del Settecento, la Rivoluzione Francese, l'Illuminismo, la liberazione dal dominio delle tradizioni oscurantiste. C'erano dei campi in cui non era possibile occuparsi. La ricerca degli intellettuali, dei pensatori era bloccata da dei dogmi e da delle specie di riserve, in cui non si poteva entrare. C'erano dei proprietari del sapere. Allora lì, a un certo punto nell'Ottocento, insieme allo sviluppo della tecnologia, che rende possibile poi il grande sviluppo della produzione, che è la rivoluzione industriale, si innesta, nasce la concezione scientifica moderna dell'uomo, di come l'uomo è fatto, di come vive nel suo mondo e di come si ammala e di come si può curare. C'era una presunzione - e c'è ancora in alcune parti dell'Occidente - di detenere la verità e di doverla imporre a tutto il resto del mondo, come civiltà. Il depositario della civiltà era l'Occidente, il depositario della cultura era l'Occidente, il depositario della verità era l'Occidente, il resto era primitivo, non ancora evoluto. C'era quest'idea della linea evolutiva, in cui l'Occidente bianco, cristiano era il punto più alto, e tutto il resto era sotto, svalorizzato e ancora non sufficientemente sviluppato. Questa è stata, diciamo, la posizione occidentale, della scienza occidentale, fino agli inizi del Novecento. Agli inizi del Novecento è successo qualcosa. Prima, la Prima Guerra Mondiale, poi, l'intervallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale, quello che ha dimostrato la Seconda Guerra Mondiale. Pensate a Hiroshima e Nagasaki, come la scienza che era stata pensata come il motore di civilizzazione, un motore automatico di civilizzazione, a un certo punto si sia rivelata completamente incapace di produrre civiltà. E allora l'Occidente ha cominciato a entrare in crisi. Ma cosa dell'Occidente è entrato in crisi? E' entrato in crisi proprio la sua anima viva, cioè non gli apparati militari, non gli apparati produttivi, che sono ancora egemoni nel mondo, ma è entrata in crisi proprio la sua anima. E allora la parte più viva dell'Occidente si è aperta verso altre culture. E' andata a cercare altrove dei suggerimenti e altre visioni del mondo, che potessero aiutarla a uscire da questo en passe, da questo momento di crisi. Si è alleata così la parte più viva dell'Occidente, la parte più libera del suo pensiero, con altre culture. E' quello che, in altri paesi del mondo, era stato portato avanti. Come nell'Occidente è stata sviluppata al massimo la tecnologia e quindi la capacità di controllo e di trasformazione della materia, così nell'Oriente è stata sviluppata al massimo la capacità di analisi e di lavoro sullo spirito. E quindi era del tutto normale che in questa situazione queste due parti si mettessero insieme, si rincontrassero.
STUDENTESSA: Senta l'iniziale presunzione occidentale è dovuta soltanto a questa maggiore evoluzione da un punto di vista industriale, tecnologico, e poi anche della ricerca scientifica, oppure aveva anche livelli, per così dire, spirituali?
Coppo: E' tutta una storia che si compie, secondo me, nell'Ottocento europeo. E' una storia che origina tantissimo tempo fa, è una storia che origina, come abbiamo visto nel filmato, addirittura dalla Grecia classica, che era il risultato già di un'ibridazione di altre culture. Cioè la Grecia classica ha prodotto quello che ha prodotto perché dall'Oriente riceveva viaggiatori e dal Sud , dall'Africa - e anche dall'Africa sotto l'Egitto, cioè dall'Africa Nera - riceveva informazioni tecniche e saperi. E da lì il processo è andato avanti. L'Occidente ha saputo specializzarsi in un conoscenza scientifica analitica, che è diventata capacità di trasformare il mondo di studiare la materia e di trasformare le tecniche in strumenti potentissimi, che hanno permesso un quantità di cose positive nel mondo, di superare una quantità di problemi. Però poi questo processo a un certo punto è diventato molto egoico. E' stato come se a un certo punto questa cosa cominciasse a negare tutte le altre e a dimenticare le sue madri e i suoi padri, da dove veniva, da dove aveva appreso, e ha cominciato a costruire una specie di egemonia, che era l'egemonia poi diventata l'egemonia militare, l'egemonia dei mercati, l'egemonia economica, che l'ha portato poi, a un certo punto, ha portato l'Occidente in una via senza uscita: se una persona diventa talmente presuntuosa e sicura di sé e crede di non aver più bisogno di nessuno e va avanti per la sua strada, a un certo punto si trova in un vicolo cieco e ha bisogno di riprendere il dialogo con gli altri.
STUDENTE: Io volevo chiederLe, dunque, quale relazione, cioè come si può, fino a che punto si può mettere in correlazione il misticismo, sviluppato in Occidente, che comunque è tanto, misticismo soprattutto di sette, soprattutto di, diciamo, alternative che si ricercano o alla religione o comunque a una vita, per esempio frustrata, col misticismo, che io vedo molto più, diciamo, alla luce del giorno, in Oriente, un misticismo più, possiamo dire, convenzionale, qualcosa che non ha a che vedere con delle sette, diciamo sotterranee, in un certo qual modo. Fino a che punto quindi in Occidente, diciamo, fino che punto si può determinare un denominatore comune tra i due tipi di misticismo?
Coppo: Lei intende misticismo occidentale, quello di oggi? Quello che avviene, oggi, in questa specie di mescolamento di molteplicità, di ricerca che c'è adesso, per cui ci sono molti nuclei, che cercano anche per vie mistiche, ma oggi?
STUDENTE: Sì!
Coppo: Ma sono due cose secondo me molto diverse, e questo ci riporta un po', secondo me, alla questione della crisi dell'Occidente. Cioè io credo che noi dobbiamo entrare in questa crisi con una grande apertura agli altri modelli e alle altre culture, ma senza rinnegare niente di quella che è la nostra storia, almeno della parte positiva della nostra storia. Quindi qua noi non possiamo oggi; lei non può, io non posso, ma noi, in generale, non possiamo. E' molto difficile, secondo me, che oggi alcuni di noi dimentichino, proprio cancellino Aristotele, Platone, Cartesio, la Rivoluzione Francese, gli Illuministi, Voltaire, eccetera, e entrino in un modello mistico, facendo finta di non contenere tutto quello che la nostra tradizione, la nostra storia ha portato. E' molto difficile che degli europei o degli occidentali - se vogliamo usare questo termine - riescano ad entrare davvero in altri sistemi culturali. Bisogna esserci nati, bisogna avere una tradizione lì dentro, bisogna, fin da piccoli, avere letto il mondo e capito il mondo in quel modo, per esserci davvero nello stesso modo in cui ci sono le culture, che hanno sperimentato questa cosa da sempre, l'hanno portata avanti la loro storia. Io non credo, - e questo è da un certo punto di vista, secondo me, l'equivoco della new age, questo movimento sincretista -, io non credo che sia possibile cambiare mentalità e anima come si cambia un vestito. Cioè noi abbiamo la nostra. Possiamo rivolgerci ad altre, possiamo dialogare con altre, ma dobbiamo riuscire a fare in modo che questo altro e la nostra tradizione siano presenti tutte e due e dialoghino tra loro, ma senza dimenticarne una.
STUDENTESSA: Professore, Lei nel suo libro Etnopsichiatria ha detto che il passaggio da normalità all'anormalità, per così dire, sia in Occidente e negli altri paesi è dato però da un diversa visione del mondo. Quindi questo ha portato anche a dei metodi curativi diversi. Quindi dove ci può essere un incontro fra i modi di guarigione, se poi le concezioni sono diverse? Non dovremmo forse cambiare prima il nostro modo di vedere? Se no non ci può essere un punto di incontro fra i metodi di guarigione. Tant'è vero che anche Lei ha detto inizialmente che l'orientale, se dev'esser curato per esempio in un manicomio occidentale, dovrebbe trovare delle difficoltà. Allora l'occidentale, se si rivolge all'Oriente, non dovrebbe trovare anche lui delle difficoltà senza avere poi delle risposte?
Coppo: Sì, io credo che se è possibile un certo dialogo, questo dialogo però comporta un lavoro, e questo lavoro comporta dei tempi, e questi tempi sono la crisi che noi stiamo attraversando come Occidente. Pensi, per esempio, a vent'anni fa, venticinque anni fa, la crisi interna alla psichiatria occidentale, lei pensi per esempio in Italia. Noi abbiamo avuto Basaglia e tutto il movimento della rivoluzione psichiatrica, che ha scardinato una quantità di concetti, che noi avevamo ereditato dall'Ottocento e dall'inizio del Novecento, cioè come concezione della malattia mentale. Ora, lì si è aperto - questo scardinamento della struttura rigida della psichiatria occidentale -, ha aperto una specie di porta, attraverso cui noi riusciamo a dialogare con altri sistemi. Per esempio ha messo in crisi l'idea che si tratti, che si tratti di malattie mentali e quindi si tratti di disturbi legati al funzionamento della materia del cervello. E in questo modo noi ci siamo avvicinati a concezioni di altre culture, per esempio, che considerano la malattia in generale, quella psichica in particolare, non come una malattia, un guasto interno a noi, ma come l'effetto di alterati equilibri, tra noi e gli altri, tra noi e il mondo. In questo senso c'è un filmato relativo a una tecnica tradizionale africana di cura, che ci potrebbe dare, così, degli elementi per andare avanti su questo discorso.
MEDIATORE: La differenza tra medicina tradizionale e medicina moderna, non sta tanto nell'efficacia, quanto nelle caratteristiche di umanità dell'una e in quelle disumanizzate dell'altra. Certo la medicina moderna obbedisce a regole ferree - in chirurgia e nella cura delle malattie infantili -, ma gli aspetti umani tendono a sfuggirle, e così la gente si rivolge spesso alla medicina che le somiglia di più, che le è più vicina.
MEDIATORE: a Tangelan opera un vero e proprio centro di formazione per professionisti della medicina rivelata e della mistica africana, futuri portatori di credenze e di pratiche terapeutiche, lontane dai nostri codici razionali.
MEDIATORE: in questo centro vi "dimora" una donna veggente del villaggio. prevede tutto quel che può succedere qui, compresi le disgrazie ed i misfatti che possono verificarsi a causa dello scontento dei nostri progenitori, soprattutto del genio della foresta, perché noi africani crediamo in questa figura - sorcier - chiamiamo così quelli che fanno del male al villaggio con i loro poteri, soprattutto il genio della foresta.
Coppo: Ecco, per esempio, potremo vedere una situazione "terapeutica", tra virgolette, di una cultura africana. E' impossibile immaginare una persona, un bianco, lì dentro. Cioè io non ce lo vedo uno di noi ballare insieme a questa gente e partecipare a questo tipo... Quindi non è possibile entrare immediatamente in queste cose, no? E' molto importante invece capirle, studiarle, vedere come è possibile, come sarebbe possibile tradurle, quali lezioni noi possiamo prendere per questo tipo di situazioni.
STUDENTESSA: Volevo domandarLe, dove sarà possibile questo incontro? Dal un punto di vista pratico ci sono strutture aperte a questo tipo di incontro?
Coppo: Ci sono strutture di ricerca. Qui c'è un po' il pericolo che questa crisi cosiddetta dell'Occidente, anziché andare verso un mondo dove molte diverse culture, tutte uguali dal punto di vista del loro valore, dialogano, il rischio è che l'Occidente, che è più forte, ha i mezzi tecnici, media, in qualche modo faccia una nuova operazione di assimilazione, si mangi tutte queste cose. Questo è un po', diciamo, il rischio del passaggio attuale. Ci sono delle strutture di ricerca, universitarie, anche molto importanti, che lavorano sulle interfacce tra la medicina occidentale e i sistemi medici altri. Ce ne sono in America, ce ne sono in Africa, ce ne sono in Italia e lì si fa proprio questo tentativo di lettura dall'interno di questi sistemi. Cosa poi questo produrrà dal punto di vista pratico, quando questa cosa e come questa cosa si tradurrà in sistemi di cura, diciamo aperti a varie culture, non lo so. Però sono delle esperienze in corso.
STUDENTESSA: Ci sono stati ritrovamenti archeologici che hanno determinato l'esistenza di tecniche chirurgiche che avevano, diciamo, la funzione, di un po' curare forse, poi, disturbi mentali in alcuni soggetti. Io volevo sapere quanto queste, queste tecniche erano legate a una conoscenza effettiva scientifica e invece quante a credenze religiose o comunque a impostazioni filosofiche.
Coppo: Penso che lei si riferisca alle ricerche paleantropologiche dove son stati trovati dei crani con dei fori.
STUDENTESSA: Sì.
Coppo: Allora, credo che da sempre tutte le culture hanno sviluppato un sapere sperimentale. In certi casi era evidente che il male veniva dalla testa e che era legato a un specie di pressione che dal di dentro non riusciva a sfogarsi. Pensi, per esempio, a tutte le meningoencefaliti, infiammazioni delle meningi del cervello e a tutta una serie di altri disturbi, per cui trovavano o avevano trovato come sistema per rispondere a queste emergenze, diciamo, la perforazione del cranio e lasciar sfogare questa cosa. Da un lato credo che questo sia proprio il risultato di una specie di scienza limitata dalle possibilità, che allora c'erano, che aveva scoperto che così le cose andavano meglio e che vede sviluppata anche una tecnica abbastanza raffinata, perché pensi lei cosa vuol dire trapanare in quelle condizioni ed evitare poi suppurazioni ed infezioni di tipo mortale. Naturalmente questa cosa si è poi sempre mescolata a ciò che noi chiamiamo credenze, cioè a un complemento che va al di là , ma che sono attive anche nella nostra medicina, che noi riteniamo scientifica. Cioè un complemento di interpretazione che va al di là della parte meccanica, ma della parte proprio tecnico-meccanica, per cui per esempio potrebbe essere anche pensata come modo di far uscire degli spiriti maligni che erano entrati nel corpo per altre vie.
STUDENTESSA: Professore, secondo Lei la nostra medicina, per avere maggiore efficacia, deve rimanere attaccata alla tradizione o a elementi di magia come accadeva in Oriente molti secoli fa?
Coppo: Sì. Ma io credo che sia in corso un travaglio nella nostra medicina, nella medicina che noi chiamiamo "scientifica", un travaglio molto profondo e molto interessante. E credo che questo travaglio parta proprio dalla base della medicina, che è la concezione dell'uomo. Qui ci sono degli oggetti, che in qualche modo raccontano alcuni aspetti di questa storia. C'è per esempio un orologio, che è il paradigma ottocentesco - anche prima: settecentesco -, ma poi sviluppato nelle scienze umane, nell'Ottocento e nel Novecento, il paradigma del funzionamento dell'uomo. La meccanica dalla fisica entra nella biologia, studia, considera l'uomo come un insieme di ingranaggi che interagiscono insieme. Il movimento di uno determina l'altro. Dalla Grecia antica viene lo studio sul cadavere. Noi abbiamo un'enorme conoscenza anatomica sul corpo dell'uomo, ma sul corpo dell'uomo studiato attraverso la dissezione. Siamo l'unica cultura che fa nascere la propria concezione dell'uomo dal cadavere. Già ai tempi di Aristotele si pensava che si poteva studiare la costituzione dell'uomo solo disseccandolo, cosa che nessun'altra cultura aveva fatto e che nessun'altra cultura ha fatto neanche dopo, tranne in tempi recenti, e addirittura dissecando il corpo dell'animale, ucciso in modo speciale, in modo particolare, per evidenziare alcune parti del corpo. Quindi noi abbiamo una concezione del corpo, dell'uomo, meccanicista, legata al funzionamento delle macchine, e sviluppata attraverso lo studio del cadavere. Altre culture, per esempio ci sono questi manifesti, queste, queste mappe, che mostrano alcune basi dell'antropologia orientale. Una è, come vedete, questa dei Chacra, cioè tutta l'area orientale cinese considera che l'uomo è un contenitore, una specie di contenitore di vie energetiche, che sono in connessione con tutto l'universo. E queste vie energetiche, attraverso queste vie energetiche passano, passa la forza della vita e hanno i loro nuclei, i loro nodi nei Chacra, che sono situati lungo la colonna vertebrale e le loro vie, nel corpo, attraverso i meridiani, che poi vengono usati dalla medicina orientale cinese, nell'agopuntura per esempio. Allora io credo che, nel momento in cui la nostra visione, che è utilissima, per esempio se voi dovete fare - una persona soffre di appendicite acuta con rischio di peritonite-, voi dovete operare e dovete farlo in fretta perché il rischio è di morte, - allora attraverso un sistema di questo genere voi sapete dove andare a mettere le mani, cosa fare e cosa non fare, dove tagliare e dove non tagliare, come chiudere, come curare. Ma se voi dovete andare a lavorare su una depressione, per esempio, su una perdita di energia vitale della persona - non è più capace di fare programmi, si sente stanca, non vede più il futuro, si sente devitalizzata - allora è quel sistema di riferimento, non è più questo. Allora io credo che da un lato quello che idealmente dovrebbe venir fuori dal passaggio attuale, dalla transizione attuale, sarebbe l'articolarsi, il mettersi insieme di questa e quella visione, ciascuna radicata nella sua tradizione. Forse il punto è non buttare via le tradizioni, ma conservarle, facendo entrare anche le altre.
STUDENTESSA: E' vero che spesso in Oriente la follia mentale o, come noi la chiamiamo appunto, la "malattia mentale" viene attribuita alla presenza di uno spirito all'interno del soggetto, dell'interessato? E, se la risposta è affermativa, questa situazione può essere ricercata nell'ambito religioso o magari sulla semplice superstizione o su credenze popolari o su cos'altro?
Coppo: Ma sì è vero. E' vero che in Oriente, è vero che in Africa, è vero che in America, è vero che ovunque ci siano culture non generate, che non hanno subito, che non hanno fatto il nostro percorso, il disturbo dello spirito - ricordatevi psyché in Omero, da Omero in poi, è la forza vitale, poi diventa l'anima, è lo spirito - allora il disturbo dello spirito è legato agli spiriti, è un disturbo sul livello degli spiriti. Nel nostro mondo, nella nostra concezione antropologica, nella nostra concezione dell'uomo, noi siamo degli individui, chiusi dentro la nostra pelle, ciascuno di noi qui è un individuo autonomo, chiuso nella nostra pelle. Ma perché i nostri occhi vedono così. Ma se, per esempio, noi potessimo vedere le radiazioni di calore o di gas che il nostro corpo nel respirare emette, già noi avremmo un'altra configurazione di chi noi siamo. Allora, altre culture, che non hanno concepito l'uomo come così chiuso nel suo involucro, considerano i disturbi dello spirito come dei disturbi delle relazioni, legate alle relazioni con i mondi visibili e con i mondi invisibili, che sono all'interno della loro concezione del mondo. Per cui essere, avere dei disturbi di comportamento, essere tristi, essere eccitati, vedere delle cose che gli altri non vedono, entra in quella categoria di cose lì, entra in un'alterazione dell'equilibrio nella nostra relazione col resto del mondo visibile e invisibile. In qualche modo non è molto diverso quello che noi facciamo, nel senso che la tradizione biomedica considera il disturbo mentale come prodotto del malfunzionamento di molecole, che pure sono invisibili a noi.
STUDENTESSA: Professore, il mondo occidentale non si sta forse avvicinando in modo troppo superficiale al mondo orientale, non calcolando magari che proprio questa differenza di culture, forse sono comunque due culture diametralmente opposte, quindi è impossibile un avvicinarsi così superficiale. E questo non potrebbe poi scaturire in una sorta di fanatismo?
Coppo: Sono d'accordo, c'è però che il mondo occidentale è un'entità molto astratta, c'è modo e modo. Sono d'accordo. Più che fanatismo ho paura che questo si trasformi in una specie di nuovo consumo, che bruci questa cosa e non la usi per quello che può dare. In questo senso, forse, un'esplorazione, anche nei siti di Internet, ci può dare un'idea di come le cose si stanno mettendo insieme in questo periodo.
STUDENTE: Buongiorno, professore. Abbiamo fatto la solita ricerca su Internet e abbiamo trovato molte cose interessanti e volevamo mostrarLe i risultati della ricerca. Prima di tutto, abbiamo trovato, un sito spagnolo che parla di sciamanesimo e oniromanzia; sa dirci qualche cosa?
Coppo: Sì; questo è uno di questi centri di ricerca di cui parlavamo prima, di alto livello universitario, che sta studiando l'uso di piante maestre nelle tecniche tradizionali amazzoniche di sciamanesimo. In pratica gli sciamani amazzonici usano alcune piante, che bevono, per avere delle visioni, per entrare in contatto con gli spiriti della selva e della foresta e per chiedere a loro il modo di guarire certe malattie. E questo è, per esempio, il sito di un istituto di ricerca dove antropologi, psicologi, psichiatri, lavorano con sciamani, in Amazzonia, per cercare di capirsi, intanto, e poi capire quello che lì sta succedendo.
STUDENTE: Grazie. Abbiamo trovato anche qualche cosa sui chacra, che adesso Le mostriamo, e poi un articolo molto interessante, che fa un paragone tra alcuni sistemi di centri di energia greci con i chacra della medicina orientale; ne sa qualcosa, cosa ne pensa?
Coppo: No, non conosco questa cosa in particolare, però mi sembra del tutto plausibile che tra l'antica Grecia e l'Oriente - pensate che le sapienze cinesi sul chacra, e indiane sul chacra, sono di duemila, tremila anni prima di Cristo -, cioè quindi mi sembra del tutto normale che in tutto questo tempo ci sia stata, diciamo, una diffusione di sapere e che questo in qualche modo abbia determinato dei punto di incontro, di discussione tra realtà anche così diverse.
STUDENTE: Poi abbiamo trovato qualcosa sulla psichiatria transpersonale. Se poteva darci qualche chiarimento.
Coppo: In California, a Berkeley, c'è un'università, Palo Alto, da cui sono nate le nuove tendenze in psicologia, venti o trent'anni fa, quelle che oggi sono normalmente in circolazione nelle nostre accademie, ma anche nei nostri sistemi di cure. Oggi hanno aperto un istituto di psicologia transpersonale, il che vuol dire che non studiano la psicologia come se fosse un problema interno a ciascuno di noi, ma psicologia come il modo che noi abbiamo per relazionarci tra di noi e con l'ambiente. E questo istituto di psicologia transpersonale sta cercando di mettere insieme i sistemi psicologici orientali, tradizionali orientali, e quelli occidentali. Questo è un bell'esempio di ricerca di lavoro ad un alto livello.
STUDENTE: Grazie. Cercando, poi abbiamo trovato anche qualcosa che La riguarda, sulla rivista On line alpha zeta. Salute e malattia tra i dogòn del male è un suo articolo, dove dice che nell'86 ha iniziato l sua attività nell'ambito di un programma di cooperazione bilaterale Italia-Mali. Ci vuole spiegare in cosa è consistito.
Coppo: Questo è stato un progetto di cooperazione tra l'Italia e il Mali, per cui è stato costruito un centro di studio sulle medicine tradizionali africane, cioè sulle medicine dei guaritori africani, nel cuore di una cultura, che è la cultura dogòn, che è famosa nell'ambito dell'antropo ed etnologia per la grande sapienza e per la grande sapienza esoterica, che noi chiameremo magica. Lì è stata costruita questa struttura in cui medici, botanici, chimici, psichiatri, psicologi, antropologi, italiani e maliani, lavoravano con i guaritori e con le guaritrici tradizionali africani, per cercare di vedere in che modo i due saperi e le due pratiche potevano essere messe insieme per migliorare il livello di salute della popolazione. Ed è un'esperienza che è ancora in corso, che ha già prodotto molto dal punto di vista scientifico, ma che è ancora in corso e che continuerà, mi auguro, per molto tempo. E in questo senso questo - in qualche modo mi riallaccio alla domanda di prima -, dimostra come il perché questi incontri che non si risolvano in un consumo superficiale che brucia tutto, bisogna che si trasformino in lunghi lavori, lavori lunghi, ma lavori di anni, per generare effettivamente una cultura che poi produca una visione del mondo e capacità di gestire i problemi degli uomini.
STUDENTESSA: Buongiorno, noi oggi in Occidente cerchiamo tanti modi di cura alternativa, anche per quanto riguarda le malattie mentali. Io vorrei sapere com'è la situazione, appunto per quanto riguarda la cura delle malattie mentali, nelle civiltà passate, non so, in Egitto?
Coppo: E' vero che noi oggi ci rivolgiamo molto alle medicine alternative, qui in Occidente, per ogni tipo di problema, non solo per i disturbi che chiamiamo psichici. Nelle medicine e negli altri sistemi, nei sistemi tradizionali, nei sistemi antichi i disturbi psichici erano curati prevalentemente da degli specialisti che erano un po' a cavallo tra i technitai, cioè tra gli uomini delle arti, tra gli artigiani, e i sacerdoti, cioè le persone che erano competenti da una parte sulle tecniche e dall'altro sul mondo dell'invisibile sul mondo del sacro. E questo è un po' ancora la figura del guaritore, specialista in disturbi che noi chiamiamo psichici, in culture tradizionali, per esempio africane orientali, sono sempre persone che sono un po' a cavallo tra i due mondi, quello degli artigiani e quello dei sacerdoti.
STUDENTESSA: Professore, prima avevamo parlato di improvviso distacco fra mondo occidentale e mondo orientale, soprattutto perché il mondo occidentale, abbiamo visto, aveva cominciato a distaccare e a rinnegare quei determinati dogmi del passato e li abbiamo visti in determinati lati negativi. Ma non è forse vero che, comunque sia, tramite questo distacco e questo rinnegare questi dogmi, il mondo occidentale è arrivato a quell'eclatante progresso, a cui abbiamo assistito negli ultimi secoli?
Coppo: Sì è vero. E' stato molto doloroso, voglio dire, dentro il processo di sviluppo dell'Occidente, amputare tutta questa parte, che invece altre culture hanno portato avanti. E' chiaro che, attraverso questa specializzazione, portata all'estremo, che punta, appunto, sulle tecniche dell'Occidente, son stati fatti degli enormi progressi. Ora però la questione, a mio parere, è quella che c'è un limite a questo percorso, diciamo così indirizzato, così a punta, così accelerato, in una sola direzione, c'è un limite. Forse questa cosa non potrà portare più di tanto, più di tanto benessere per le persone, pacificazione per il rapporto tra le persone e l'ambiente. Forse è il caso di ringraziare il percorso fatto fino adesso, perché ci ha dato enormi possibilità. Ma forse è il momento di cominciare a vedere come articolarlo con altre sapienze, altre conoscenze, in una logica di pacificazione del pianeta e non più di ricerca, di "assalto al cielo", come si diceva una volta. E credo che, in questo senso, sarà la vostra generazione che dovrà andare avanti, attraverso lo studio, attraverso il lavoro e attraverso una posizione di non rinnegamento delle proprie origini, ma di apertura verso gli altri sistemi e gli altri mondi non svalutati, ma considerati eguali. Se riuscite a fare questo, avrete fatto davvero tantissimo.
Coppo: Sono un medico, un neuro-psichiatra. Lavoro in altri paesi, all'estero, studiando sistemi di cura non occidentali e in Italia come medico e psicoterapeuta. Mi sono laureato trent'anni fa, più o meno, e in questi trent'anni ho visto cambiare i modelli di riferimento dell'uomo, che la scienza occidentale usa. Prima vi era un modello neurologico, materialista, tutto era nel cervello nei neuroni, nei sistemi, nei neurotrasmettitori, poi è entrato il modello psicologico e poi è entrato il modello sociale. Oggi si usa un modello che si dice multiplo, psico-bio-sociale. Però nel frattempo, in questi anni, è anche entrato, attraverso i viaggiatori migranti e quelli di noi, che sono andai a lavorare fuori, sono entrati modelli di uomo, che venivano da altre culture. Si è creata così un'esposizione della nostra idea di come è fatto un uomo, che si ibridata, in qualche modo contaminata, con degli altri modelli che venivano da altrove.
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INTRODUZIONE: L'idea che la cultura occidentale dell'Ottocento e del Novecento aveva degli esseri umani era il prodotto di due principali fattori, del vizio euro-centrico e gerarchico, che li collocava su una semiretta ascendente, al cui punto più alto stava il maschio bianco, cristiano, ricco e dell'influenza della meccanica, che spingeva a pensare gli uomini come le macchine: individui costituiti da un insieme di organi che, funzionando bene, determinano la salute, se no la malattia. Quel modello, oggi improponibile, anche per il progresso delle scienze umane applicate - antropologia, etnologia, psicologia - si incontra e si scontra ovunque con quelli di altre culture. Da molte culture africane, per esempio, gli individui non sono considerati autonomi e isolati, contenenti un interno di loro proprietà, ma come nodi di una rete, traversati da vettori che costituiscono insieme il loro e il resto della comunità. Lì la salute è segno di buone relazioni con gli altri umani, con la natura circostante, col mondo invisibile: antenati, spiriti, forze diffuse ovunque. Lì la malattia può non essere un guasto interno alla persona, ma segno di una cattiva relazione tra individuo, il suo gruppo, il suo ambiente. In molte culture amerindiane e orientali la salute pensata e cercata come equilibrio tra forze di segno opposto: per essere costruito e mantenuto dentro la persona deve essere costruito e mantenuto anche fuori di lei.
Oggi sempre più numerosi sono i tentativi di integrare modelli provenienti da varie culture. Ovunque concezioni dell'uomo e del mondo e ideali di salute sono tra loro intrecciati e esposti a particolari ibridazioni e trasformazioni. Per le popolazioni africane, la malattia può nascere da un cattivo rapporto con la società, con l'ambiente. Ma che tipo di malattie sono? Sono malattie mentali oppure qualsiasi tipo di malattia?
Coppo: I guaritori africani pensano che qualunque tipo di malattia sia il risultato di qualche cosa che non funziona, non dentro la persona, ma nelle relazioni tra la persona e il suo gruppo, in particolare quelle cosiddette, che noi chiamiamo "psichiche". Ma, per capire questo, bisogna riferirci all'idea che molte culture africane hanno di come è fatta una persona. Una persona è, secondo queste culture, una specie di coagulo attorno a degli assi che la collegano con altri, con il lignaggio, per esempio - gli antenati -, con il mondo della natura, - gli esseri invisibili, che vivono il mondo della natura -, oppure anche con quelli, i pari di età, cioè quelli che hanno lo stesso gruppo, che sono nello stesso gruppo di età, che condividono le stesse occupazioni giornaliere. E allora, quando qualcosa non funziona, che la persona presenta il segno di qualcosa che non funziona, questo non è considerato come un guasto interno alla persona, ma questo è considerato come un segnale di allarme di qualche cosa che si è guastato e non funziona nelle relazioni tra le persone e tutti questi livelli del mondo.
Quali sono i gruppi che in Occidente si battono per l'integrazione tra medicina all'europea, medicina classica, e medicina alternativa, come possono essere quelle delle altre culture?
Sta succedendo adesso, in Occidente, una grande ebollizione, in questo campo. Ci sono tantissimi attori, cioè persone attive o gruppi attivi in questo campo, e ci sono anche diversi approcci, diversi punti di vista, ci sono degli scienziati, dei ricercatori, delle persone che studiano queste cose, ci sono delle persone che fanno queste cose. Basta che voi andiate in giro in un punto qualunque dell'Italia, della Francia, della Germania e trovate una quantità di ambulatori, di pratiche, di medicine diverse.
E poi ci sono le persone che vengono dall'esterno, quelli che noi chiamiamo gli "immigrati", che stanno, che si organizzano per portare qui i loro sistemi di cura. Questi sono organizzati in qualche modo parallelamente ai sistemi di cura delle aziende sanitarie o degli ospedali: cioè loro portano, assieme alla loro cultura, anche i loro sistemi di cura. Quindi ci sono molti attori diversi, che lavorano in quest'area adesso.
Nell'ambito della cultura occidentale, adesso stiamo assistendo a questa ibridazione della medicina. Quanto può essere preso di originale rispetto ad altre culture, quanto invece deve essere integrato e cambiato, nell'ambito della società occidentale, perché queste pratiche alternative siano efficaci?
C'è un lavoro di ibridazione. L'ibridazione è un fenomeno naturale, quasi biologico.
E' successo che, con l'estensione delle comunicazioni dei trasporti, le culture umane sono entrate ciascuna in contatto con l'altra, cioè tutte queste cose - gli oceani, le montagne -, che una volta erano degli ostacoli naturali alla comunicazione, si sono dissolti. Allora in questo momento tra tutte le culture del mondo c'è questo fenomeno spontaneo e positivo di contaminazione, di ibridazione. Questo riguarda tutto. Riguarda gli oggetti, riguarda le merci, riguarda i pensieri, riguarda i vestiti, riguarda gli stili di vita, riguarda tutto, e riguarda anche le modalità di cura ovviamente. Non riguarda solo le modalità di cura, cioè la terapia. Riguarda anche i modelli di uomo, che stanno dietro le terapie, che regolano, diciamo, le terapie. Allora secondo me è impossibile pensare che questi sistemi entrino così come sono e restino così come sono, ma credo che si debba più pensare a una specie di lavoro, di mescolanze e di rielaborazione.
Per quello che riguarda le malattie, le malattie quindi sono viste come un problema, cioè in questa società, in questo gruppo - perché ogni persona fa parte di un gruppo - sia in Africa - cioè può essere in Africa -, ma magari diversamente in altre culture, come quella cinese o sudamericana.
Quindi la morte è vista come una liberazione, per il gruppo, di un certo male, o qualcosa di simile?
No, non necessariamente la morte è vista come una liberazione del gruppo, del male che è entrato nel gruppo. La morte è vista come una sconfitta del gruppo nel suo lavoro di cercare di tenere in mezzo a sé la persona che è andata in crisi. Se - per esempio, nel sistema africano -, se la persona va in crisi, perché qualche cosa non funziona nelle relazioni tra il gruppo e l'ambiente, può non essere colpa sua, può essere il fatto che qualcuno del gruppo ha fatto qualcosa che non doveva nella sua relazione con l'ambiente esterno, l'ambiente geografico. Allora la persona che si ammala diventa un po' il capro espiatorio, se vuole, di questa situazione e il gruppo intero si muove per recuperarla, per risolvere il problema e recuperare la persona al suo interno. Se la persona muore, è considerato un fallimento di questo lavoro del gruppo. In altre culture, cioè, ci sono delle culture più o meno fataliste, rispetto a questa. Ma ogni gruppo umano vuole tenersi i suoi membri, cioè considera gli individui come delle parti importanti di se stesso.
Quindi una concezione completamente diversa da quello che noi pensiamo della morte.
Sì, è una concezione diversa della nostra morte, ma soprattutto una concezione diversa della nostra vita. Cioè in situazioni di tipo ancora comunitario, l'individuo è considerato una parte integrante del gruppo. Cioè il gruppo è considerato un macro-organismo, costituito da tutti i singoli individui, e ogni singolo individuo è fondamentale per l'esistenza del gruppo. Quindi siamo al di là della, anche, della solidarietà o dell'umanitarismo, della nostra cultura, perché organicamente è così, è, diciamo, una cosa quasi fisica. Cioè ciascuno di noi è collegato all'altro, ciascuno di noi fa parte di un insieme di cui ogni parte è indispensabile. Quindi c'è, diciamo, un diverso atteggiamento soprattutto rispetto alla vita, dove gli individui non sono considerati delle persone che possono esserci o non esserci, ma sono considerati degli elementi fondamentali per l'esistenza del gruppo e che il gruppo deve difendere e proteggere.
Dal momento che abbiamo parlato di malattie, come mali sociali e quindi anche interne al gruppo, volevo chiederLe come vengono accolti i medici occidentali, che si propongono a loro per curare le loro malattie e se queste persone, queste persone, che appunto vivono in questi gruppi e quindi intendono la malattia come un male all'interno del gruppo, come accolgono la medicina occidentale e se sono disposti ad accogliere la medicina occidentale.
Sa, in rapporti tra i gruppi umani, ogni gruppo sta a vedere che cosa l'altro ha d'interessante, che cosa l'altro gli può portare, a cosa l'altro può servire. Quando i nostri medici, noi, io per esempio o i miei colleghi, andiamo a lavorare in queste situazioni, in culture non occidentali, la prima cosa che la gente guarda è che cosa noi abbiamo di interessante, di utile da portare. E prendono ciò che è utile, ciò che noi portiamo, che effettivamente serve loro. Rifiutano quello che a loro non serve e che anzi va a, diciamo, contrastare quella che è la loro visione del mondo, se questo contrasto non porta qualche cosa di immediatamente utile. Per esempio, nella relazione con le culture islamiche, passa dalla nostra medicina - penso al Nord-Africa, per esempio, ma non solo -, passa dalla nostra medicina tutta la parte - gli antibiotici, la chirurgia -, tutte le parti che sono, le cose tecniche, che si vedono immediatamente efficaci, ma non passa nulla della psichiatria, cioè della nostra concezione dello spirito, di che cosa è fatto..., di come è fatta una persona, di quali sono le sue relazioni col mondo, perché loro nelle culture islamiche, nel sistema islamico, hanno un loro sistema, contro il quale il sistema psichiatrico, che viene dall'Occidente, dalla scienza occidentale, dalla religione occidentale, eccetera, va a sbattere. e questo loro non serve. Quindi c'è un filtro, diciamo: vengono accettate, vengono lasciate passare le cose che servono e che non sono in contrasto con la visione del mondo. Per modificare delle visioni del mondo, occorrono dei tempi storici, occorre un lungo lavoro e occorrono dei tempi storici.
C’è un proverbio asiatico che dice: "Dio dorme nella pietra, sogna nel fiore, si desta nell'animale e sa di essere desto nell'uomo". Perché c'è questa differenza fra: "si desta nell'animale" e "sa di essere desto nell'uomo"? Perché, secondo questo, secondo questo tipo di concezione l'uomo è la creazione più perfetta di un Dio? No, io non credo che sia così, personalmente, poi ognuno ha le sue idee, in proposito, no? Cioè, io non credo che sia così. Io credo che l'uomo sia un animale, molto particolare biologicamente, molto particolare, che ha avuto una storia e un'evoluzione, uno sviluppo molto particolare, per cui ha un aspetto specifico, che è la consapevolezza, la coscienza e la consapevolezza, che è legata al linguaggio, il linguaggio è legato al pensiero, il pensiero è legato a un tipo di struttura fisica che noi abbiamo, cioè un cervello che può essere così perché siamo dei bipedi, perché se no, eccetera eccetera, eccetera, eccetera.
Allora credo che lo specifico dell'uomo sia: ha questa cosa diversa dall'animale, che è la sua dannazione, poi, da un certo punto di vista, è il suo grande successo biologico, perché, voglio dire, abbiamo colonizzato il mondo, adesso, se non stiamo attenti ci casca sulla testa, però l'abbiamo colonizzato, siamo forti, in questo, però è anche la dannazione dell'uomo, perché è una complicazione in più.
Prima stava parlando degli apporti che noi abbiamo dato alle medicine di altri paesi, come, ad esempio, quella africana, eccetera. Volevo sapere se concretamente le medicine dei loro paesi hanno dato degli aiuti alla nostra medicina, che noi, europei, almeno consideriamo come molto avanzata, se loro, con le loro tecniche, che magari sono, non dico più arretrate, però molto diverse dalle nostre, hanno potuto contribuire a un miglioramento della nostra medicina.
Guardi, poco, un po' di tempo fa stavo parlando con dei nordafricani, e parlavo della nostra medicina come di medicina europea; Mi hanno sgridato moltissimo perché è una medicina arabo-europa, cioè l'impianto della nostra medicina scientifica viene da un centro culturale che non è europeo. E' mediterraneo. Poi a un certo punto noi abbiamo espulso tutta la parte, diciamo, non europea, però le matrici sono mediterranee. Nel Mediteranno si affaccia il Nord Africa, c'è tutta la parte del Medio Oriente. No? Poi, pensi, per esempio, le dico solo due esempi. Cioè molti farmaci che noi usiamo sono prodotti di sintesi, molecole, prodotti di sintesi, a partire da molecole naturali, scoperte in piante, usate dai guaritori africani o amerindi, nelle loro terapie. Cioè noi li abbiamo studiati questi rimedi e abbiamo visto cosa c'è che è attivo dentro e abbiamo ricostruito queste molecole e adesso vengono sfornate dall'industria sotto forma di compresse, nei blister Bristol che voi comprate in farmacia quando siete malati. Oppure pensi al tempo della conquista dell'America da parte degli Spagnoli, quando - siamo nel 1500 -, quando gli Spagnoli vanno in America, scrivono , mandano un messaggio alla corona spagnola, dicendo: "Non mandateci medici, non mandateci medici, ma dateci soldati, maniscalchi, mandateci..., ma non medici, perché qui ci sono degli indiani, dei guaritori, che sanno fare assolutamente tutto quello di cui noi abbiamo bisogno". Hanno preso tutte le piante che i guaritori sapevano usare, se le son fatte dare, le hanno importate in Europa, e da lì, da questo innesto, nel 1500-1600, nella medicina spagnola, che non era molto diversa da quella amerindiana - a quel tempo non c'era stata, diciamo la rivoluzione scientifica della medicina -, allora da questo innesto, la farmacopea, i rimedi disponibili nei paesi europei sono aumentati tantissimo, si sono arricchiti tantissimo. Quindi abbiamo un continuo innesto, solo che, fino poco fa, erano dei rimedi, cioè delle tecniche degli strumenti. Adesso sta entrando anche la visione del mondo e la visione dell'uomo e questa è molto più grossa come cosa.
Secondo quello che ha detto Lei, i medici occidentali adesso non cercano di imporre la loro medicina, ma cercano di, insomma, creare un parallelismo fra la medicina appunto occidentale e quella che invece occidentale non è. Le volevo chiedere: voi personalmente come vi rapportate un po' con i medici, insomma non occidentali, e un po' con le persone che vedono invece voi, appunto occidentali, che entrano nel loro paese e insomma in un certo modo cercano di curarli con cure per loro magari anche incomprensibili.
Guardi bisogna fare una pausa..., delle distinzioni nell'ambito medico, perché ci sono dei medici che non impongono e dei medici che impongono. Pensi a quella che è la pressione di tutta l'industria farmacologica e tecnologica che ha l'interesse a diffondere nel mondo farmaci, apparati medici. Quindi c'è. E invece c'è una parte dell'area medica che è più interessata a vedere come - anche perché ha fatto dei conti e si rende conto che forse economicamente non è immaginabile che ovunque ciò siano delle strutture tecnologicamente attrezzate ad altissimo costo - e invece sta cercando di lavorare per sviluppare le risorse spontanee, le risorse locali che ci sono nei paesi, no, che sono culturalmente più idonee e meno dispendiose e indebitano meno i paesi rispetto ai paesi occidentali, all'industria occidentale. Allora, quest'area, che potremmo chiamare - quest'area, diciamo, aperta della medicina, non legata a degli interessi economici - sta cercando di dialogare con altri sistemi medici, senza obiettivi speculativi, economici, ma cercando di capire e di migliorare i diversi saper fare. Quando andiamo a lavorare in situazioni di questo tipo, abbiamo due obiettivi: uno, quello di stabilire delle relazioni con i medici locali, con i guaritori. E questo è quello che richiede più tempo, perché in genere sono diffidenti, hanno paura, sanno che cosa i bianchi e gli occidentali hanno fatto ai loro paesi, cioè questo aspetto predatorio della nostra cultura rispetto a tutte le altre culture, lo sanno, quindi sono molto protette e molto sicure. L'altro aspetto è quello della cura, del curare le persone. E allora lì vengono dietro, vedono, studiano, cercano di capire quello che noi facciamo e poi ci chiedono di poter usare gli stessi strumenti - a volte molto potenti -, che noi abbiamo nella cura e che a loro mancano. Per esempio, un caso specifico, in Mali, i guaritori che si occupano degli studi psichici, ci hanno chiesto di insegnare loro ad usare alcuni psicofarmaci, perché loro non ne hanno. Hanno delle erbe, ma che non hanno la potenza di alcuni psicofarmaci, che pure a loro servirebbe, servirebbero per trattare alcuni disturbi. Quindi c'è da un lato una posizione di diffidenza, giustificata, che va superata col tempo e nella relazione, e dall'altro lato c'è un tentativo di imparare, di prendere ciò che noi abbiamo e che loro non hanno.
Quindi, se voi vedete che i guaritori insomma sono diffidenti nei vostri confronti non è che abbandonate, insomma, il progetto, ma restate lì a cercare di far capire ai guaritori che la vostra medicina può aiutarli?
Sì, a cercare di far capire ai guaritori che loro sono dei guaritori, noi siamo dei guaritori e abbiamo tutto l'interesse a scambiarci ciò che sappiamo e a trovare insieme un miglioramento delle nostre pratiche. Questo è.
In che modo questi guaritori africani curano i loro malati di mente: con la magia, con la religione, con che cosa?
Ci sono molti diversi sistemi, cioè, poi, tra l'altro, i guaritori africani appartengono a tante diverse famiglie e scuole, e quindi ci sono sistemi molto diversi. C'è un registro di azioni molto vasto - azioni terapeutiche, intendo -: uno, si va dalla negoziazione con l'intero gruppo alla famiglia, il tentativo di capire che cosa è successo e perché la persona è in crisi, usando spesso anche delle tecniche divinatorie. Per esempio le conchiglie, che vengono gettate per interrogare il mondo invisibile sulla ragione della sofferenza della persona, poi si va a dei riti particolari, cioè ci sono dei riti che vengono fatti su dei feticci in luoghi particolari, dei sacrifici di animali, poi ci sono dei riti collettivi, per esempio delle, delle musiche, delle danze, che vengono fatte collettivamente. Ci può essere l'uso di libri sacri, come per esempio Il Corano, oppure ci può essere anche la somministrazione di piante, sia in infusione che in altre forme. Cioè, quindi c'è tutto un ventaglio di opzioni terapeutiche che il guaritore usa secondo la sua tradizione e del caso specifico.
Come la cultura orientale dell'uomo, la visione dell'uomo orientale, ha cambiato, diciamo, la visione occidentale della psicologia dell'uomo e anche della figura dell'uomo stesso.
Ci sono dei gruppi di lavoro, in particolare uno a Palo Alto, in California, che stanno cercando proprio di mettere insieme queste due cose. Sono delle voci... c'è una rivista internazionale che lavora su questo. Quindi è un lavoro in corso. Grosso modo potrei dirle che, per esempio, alcuni ricercatori occidentali stanno pensando all'uomo - lei sa che in Oriente la visione è prevalentemente di tipo energetico, cioè noi siamo delle condensazioni di energia, la nostra salute è legata al fatto che questa energia, di cui ci sono prevalentemente due tipi - in e yang -, deve stare in equilibrio, lo scompenso di questo equilibrio, per cui domina un aspetto energetico piuttosto che l'altro, produce la malattia. Questo, grosso modo, è la visione, diciamo. Per cui, per esempio la terapia orientale si rifà a questa visione dell'uomo. L'agopuntura va a cercare di rimodificare i canali energetici eccetera. Allora, per esempio, dialogando con questo aspetto energetico e questo bisogno dell'uomo come un caso dell'energia diffusa, gli psicologi occidentali si rifanno ai modelli della fisica, sia ai modelli olografici che ai modelli dei frattali. Cioè voi sapete che nei frattali, ogni singolo pezzettino riporta la figura dell'insieme. E nello stesso modo, nei modelli olografici, ogni punto dell'ologramma contiene tutte le informazioni dell'insieme. Quindi stanno cercando di tradurre in termini, diciamo, occidentali, nella lingua della scienza occidentale, la visione orientale in cui ogni persona contiene in sé tutto il cosmo, diciamo concentrato nel suo specifico equilibrio energetico. Quindi ci sono dei tentativi, diciamo, di traduzione che sono l'inizio - perché questo lavoro è cominciato seriamente non molto tempo fa, qualche anno fa.
Io volevo chiedere quale difficoltà aveva incontrato nel conciliare questi due metodi scientifici, cioè quello occidentale e quello africano, che sono così diversi, e come c'era riuscito, data anche la sua specializzazione, che magari, essendo quella di psichiatria, e vista la concezione così diversa nella cultura africana, che magari lega la psiche allo spirito, quindi anche alla religione, quindi volevo sapere se era stato maggiormente difficile per Lei rispetto a un medico specializzato in un altro campo.
Quello che è importante secondo me è riuscire a veder le cose dal di fuori, tutto dal di fuori. Se noi vivessimo solo in una stanza, stessimo nella stanza tutto il giorno, sarebbe, avremmo una visione molto limitata del mondo e della nostra posizione. Potremmo pensare che questa stanza è il mondo, non avremmo nessun elemento per pensare che c'è qualcosa al di fuori. Qui ci sono due cose, due oggetti, di cui uno è una retta e l'altro è una vaschetta coi pesci rossi. Non servono le reti per pescare i pesci rossi, ma sono due oggetti per dire che il pesce, rifacendoci a una frase di un antropologo, Linton, il pesce vede attraverso l'acqua, ma non vede l'acqua. Cioè il pesce non sa che è nell'acqua, il pesce usa l'acqua come ..., per viverci naturalmente, e attraverso l'acqua vede gli oggetti. Allora noi, attraverso la nostra cultura, la nostra formazione vediamo il mondo, ma non vediamo la nostra cultura e la nostra formazione, la sua limitatezza, la sua specificità, anche la sua bellezza, finché non andiamo fuori. Allora la difficoltà che io ho vissuto, per esempio, nell'incontro con le culture africane, che tra l'altro è stata la difficoltà ad accettare l'idea che gli uomini sono dei nodi dentro delle reti, cioè che gli uomini non sono ... Cioè io, la mia formazione mi faceva pensare che noi siamo degli individui, ciascuno come delle palline, buttate in giro, per cui ognuna è indipendente, va per conto suo. Gli Africani, i miei amici africani, guaritori del Mali, in particolare, Dogol, mi hanno insegnato, mi han fatto vedere, mi ha fatto sperimentare che gli individui sono dei nodi di rete. Allora la difficoltà che io ho provato immagino sia quella che qualunque persona vive in queste... L'importante è riuscire a sperimentare un posto altrove, fuori, da cui vedere chi noi siamo. Cioè è questa distanza, questa presa di prospettiva, che è possibile solo nel momento in cui in qualche modo ci si affida davvero all'altro, perché allora si va nel terreno dell'altro e dal terreno dell'altro si vede chi noi siamo.
Questa distanza permette le cose di cui lei parlava, cioè questa dottrina ..E usano altre culture?
E' molto difficile per me pensare al futuro in questo senso, anche perché io non sono uno specialista delle culture, dei processi sociali, eccetera, della storia. Credo che ci siano persone che studiano queste cose qui. La mia impressione è che si vada da un lato verso una cultura del mondo, globale, dove tutte le cose che servono, in particolare la tecnica, si mettono insieme. Quindi da un lato c'è un movimento, diciamo, di globalizzazione, che mette insieme le cose che servono, dall'altro lato c'è un movimento di riaffermazione delle proprie radici, quindi delle proprie specificità culturali, ambientali, eccetera, quindi c'è, anche qui, un doppio movimento dialettico. Io credo che il futuro sarà il risultato di questo doppio movimento, quale il risultato però non sono proprio in grado di pensarlo. So che sia lavorare per una cosa - per esempio per rendere disponibili tutte le cose utili a tutti, nel mondo -, sia lavorare per l'altra - cioè trovare, risentire le nostre matrici culturali, i nostri collegamenti con il territorio e la nostra storia -, tutte e due le cose mi sembrano molto importanti e urgenti.
Le volevo fare una domanda più specifica a proposito dell'AIDS, in quanto in Occidente è vista come una causa- effetto, se è un male sociale, quindi di una società che va pian piano in un degrado più profondo, se è come un male fisico, in quanto è una malattia che si manifesta in modo fisico. Ecco, io volevo sapere come questa malattia viene vista e in un certo senso affrontata in paesi, tipo come l'Africa, che è un male molto diffuso.
Io conosco la parte del Mali, che è una parte dell'Africa, un pezzetto dell'Africa. Lì l'AIDS è arrivato negli ultimi anni. La gente non lo conosce, nelle campagne. - nelle città c'è da più tempo -, ma nelle campagne è arrivato negli ultimi anni. I guaritori non lo conoscono. E infatti ci sono delle attività della disinformazione dei guaritori sull'AIDS, cioè bisogna spiegare loro quello che noi sappiamo. Anche perché ci sono delle pratiche tradizionali, per esempio di scarificazione, che loro usano nelle varie malattie, per cui fanno dei taglietti sulla pelle, bisogna che sappiano che, quando fanno questo taglietto, devono disinfettare prima di farlo a un'altra persona. Quindi c'è, è in corso . Ecco, questo è un esempio, secondo me, di reale diciamo collaborazione, ibridazione di saperi, perché noi abbiamo un'idea approssimativa, perché c'è grande discussione. E' una malattia virale, sicuramente, ma è anche una malattia che si impianta su una caduta delle difese dell'organismo, su una fragilità dell'organismo, quindi, diciamo, su una ridotta capacità vitale dell'organismo. Quindi è da un lato una malattia specifica virale, ma dall'altro lato è anche una malattia sociale, come dice lei. Quindi noi portiamo quello che noi sappiamo e cerchiamo di dare a loro gli elementi perché loro possano migliorare le loro pratiche. In Dogon, in Mali, abbiamo anche dovuto con loro costruire un nome per questa cosa, che non è mai esistita lì, e il nome che abbiamo trovato è la Madre di tutte le malattie, cioè la malattia che facilita - perché lei sa che nell'AIDS poi ci sono quelle che vengono chiamate le infezioni opportuniste, che loro vedono, no, cioè la diarrea, le forme dermatologiche, eccetera -, allora è una situazione che genera tanti diversi tipi di malattie. E su questo l'Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando con i guaritori in tutta l'Africa per cercare di dare le informazioni necessarie. Nel processo di mondializzazione, che stiamo vivendo in questi anni, come è possibile che le medicine, che non sono europee, non vengano completamente schiacciate o vissute solo come folklore da parte del mondo occidentale, cioè qual' è la via da seguire affinché queste vengano parallelizzate al mondo nostro. E' un bel problema questo, perché comunque e qualunque cosa noi facciamo il dispositivo, diciamo, mercantile, che origina dall'Occidente, e la produzione di immagini, che origina dall'Occidente, tende a schiacciare le diversità. Però ... Quindi è vero c'è questo rischio e c'è questo movimento, diciamo spontaneo e automatico. L'unica via però d'uscita, che è un po' quella di cui abbiamo discusso, oggi, che è un po' diciamo il senso della nostra conversazione di oggi, è il fatto che ci sono persone, come per esempio me, come le persone che lavorano al campo dell'etnopsichiatria, amici, colleghi, antropologi, etnologi, cioè c'è una fetta della scienza e degli operatori occidentali, che si sta muovendo per recuperare queste conoscenze, per sostenerle, per dare loro, nei luoghi in cui sono nate, spazio e dignità, di conoscenza e di sapienza. Quindi è solo nella misura in cui noi riusciamo a criticare questa tendenza espansiva e distruttiva dell'Occidente da un lato e dall'altro lato riusciamo a sopportare, a sostenere, a dare forza agli altri saper fare, che c'è la possibilità che questi saper fuori possano continuarsi ..., continuare a svilupparsi. Cosa per noi fondamentale, perché o abbiamo degli altri oppure siamo finiti, o siamo in grado di dialogare con dei sistemi altri, realmente diversi, e lasciarli entrare, oppure ci sterilizziamo. Qualunque sistema biologico e culturale è fatto così: se non c'è il dialogo con l'altro, finisce col seccare. Questo è stato un po' il senso della conversazione di oggi: questa tensione di apertura verso l'altro. Questo credo che sia una cosa che va tenuta in evidenza.