giovedì 25 marzo 2021

MINIMA AMORALIA - Briciole di pensieri notturni del cuore e della testa, confinati senza capo né coda ma non domi

 




Vivere o sopravvivere

Alla poco venerabile età di settantatré anni, è ineluttabile rendersi conto che il corpo perde poco a poco le sue belle capacità di godere della vita, rompendosi e deteriorandosi pezzo per pezzo e coinvolgendo dunque anche lo spirito che in gran parte ne dipende. A causa del mio carattere gioioso ma angosciato, umorista ma tragico, gaudente ma ansioso, affettuoso ma selvatico (eccetera, eccetera) ho tendenza a drammatizzare questo fatto oggettivo effettivamente spiacevole consapevole di commettere un errore che rischia di pesare, per di più, su quelli e quelle che amo e mi amano, i quali hanno pure loro le proprie gatte (e gatti) si spera da amare più che da pelare.

Bisogna imparare a volare, provare a vivere fino all’ultimo con leggerezza, incuranti dell’evidenza che per tutti la morte si avvicina, annunciata a volte con clamore e sofferenza dalla malattia senza neppure bisogno di pandemie psicodrammaticamente manipolate. Ogni momento orgastico ancora vivibile, intimo o sociale (con quella stupenda peculiarità del sessuale di mescolare l’intimo e il sociale in una danza gioiosa), sarà un carpe diem fuori dal tempo che ignora saggiamente il futuro.

Altrimenti non sarà. Peggio di No future, No present!

In fondo è sempre stato così fin dalla giovinezza e chi può esser lieto sia. Con il passar del tempo non tutto se ne va come dice Leo Ferré, ma diventa più raro, più difficile; e comunque non esiste altro modo di essere umani che godere di ogni momento piacevole del nostro destino, contribuendo a forgiarlo anziché subirlo. Poi, alla fin fine, si fa quel che si può, prima di fare la riverenza a un mondo e a un tempo che purtroppo – lo confesso con tristezza alla vita che amo tanto – mi piacciono sempre meno.

Penso a Lafargue, a Gorz, e molto spesso a Monicelli, ai suoi film che hanno riso e fatto ridere della tragicommedia umana con l’intelligenza leggera e la sensibilità profonda della presa in giro di sé e del mondo. L’umorismo senza limiti è sempre stato per me il livello più alto della poesia vissuta e quest’uomo l’ha incarnato semplicemente, con radicalità e intelligenza sensibile. Mi commuove la profondità del suo amore per la vita, quel ridere di tutto senza limiti né tabù, ma mai osceno, che ha messo in scena un ultimo scherzo ai suoi amici con un ultimo volo dal quinto piano a novantacinque anni, prendendo in giro la prostata!

Il crollo dello Stato e la coscienza di specie

Passando dall’individuale al sociale, le controrivoluzioni sono spesso delle rivoluzioni mancate portatrici della tirannia di una novella élite autoproclamata. La radicalità profondamente laica della rivoluzione umanitaria esplosa nel 1968 è stata rimossa e falsata dalla peste emozionale della sinistra antifascista altrettanto che da quella dei vari fascismi della destra sadica neri, grigi, bianchi o tricolori. Durante mezzo secolo, tutti questi falsi nemici hanno messo a nudo le loro complicità diverse con il totalitarismo democratico spettacolare la cui logica binaria oscilla dalle destre più reazionarie alle sinistre più autoritarie (i fascismi rossi denunciati da W. Reich). Tutti gli ideologi della politica sottomessa al feticismo della merce che domina il mondo, hanno mostrato una profonda paura aggressiva verso quel “sessantotto” che contribuiscono a mitizzare. Falsandone la storia e rimuovendone la specificità di Movimento delle occupazioni (della vita), ne amplificano, infatti, la risonanza nei cuori e nelle teste di chi non ha dimenticato che la pratica attiva di desiderare senza fine rifiutando la corvè della sopravvivenza nella vita quotidiana – poesia che fu al cuore di quei giorni – è il vero motore dell’emancipazione umana.

Poco importa che si faccia di quella rivolta epocale, dissoltasi nel quotidiano prima di poter essere concretamente tradita, un mito ideologico socialista che legge l’avvenimento come il ritorno del proletariato rivoluzionario sacralizzato, oppure che si calunnino, con becera falsificazione reazionaria, “i sessantottini” come promotori della società dei consumi e dell’odioso individualismo narcisista che essa provoca. Due falsità opposte non fanno una verità ma, come sempre, calunniando perversamente, qualcosa resterà, soprattutto nelle teste più confuse e nei cuori più timorosi dei servitori volontari.

In ogni epoca, questi ultimi si sono inventati qualche ideologia “maccartista” diversa per giustificare l’impostura suprematista con cui gli individui avidi di potere tessono le loro trame. Questo fenomeno ricorrente rinvia ogni volta alla favola antica del lupo e dell’agnello con qualche variazione sul tema. La forma attuale di questa morale gerarchizzante ha avvolto le antiche classi sociali di dominanti e dominati in un’unica logica concentrazionaria che riduce la vita a una sopravvivenza macabra vissuta all’ombra del totem onnipresente del feticismo della merce.

Alla propaganda dei preti comunisti che hanno cambiato mille nomi senza estinguersi nonostante la caduta fracassante del muro che il maggio 68 aveva abbondantemente minato, risponde il delirio passatista degno di uno slogan di altri tempi: “I comunisti mangiano i bambini”. Mescolando rabbia, sottomissione, rivolta e cattiveria inacidita in un coacervo confusionista e semianalfabeta in cui il rumore costantemente ripetuto occupa il posto della verifica scientifica dei dati, tutte le ideologie sono grigie nella notte dell’intelligenza sensibile.

Così i socials che aspiravano a costituire una libera assemblea di opinioni critiche, sono diventati oggi un’imitazione pietosa e insopportabile di una comunità di schiavi psicotici imprigionati nel virtuale. Come tutte le manifestazioni dell’addomesticamento riuscito, essi servono a rinforzare lo spettacolo dominante eccitando le emozioni più sordide, dalla delazione alla vendetta sadica, facendo paura agli spettatori confusi e indigenti di una democrazia rappresentativa soltanto della sua assenza, la cui sopravvivenza dipende ormai soltanto dalla paura sempre più diffusa del caos.

Il crollo dello Stato nell’imbarbarimento del Mercato sta dando forma a una feudalità numerica arrogante e più suprematista che mai, peggiore del potere centralizzato e pseudo democratico che l’ha preceduta. Annunciata come pratica di libertà, fraternità e uguaglianza inesistenti, la messa officiata quotidianamente dai sacerdoti politici e dai chierichetti mediatici dell’economia politica tiene le masse in ginocchio. I credenti più devoti di una teologia materialista che officia per schermo interposto televisione, computer, telefonino o altre diavolerie similari ingoiano tutto, almeno per ora, come i bigotti del passato. Il progresso della tecnica nelle mani dei GAFAM rimbecillisce gli individui orfani dei monoteismi religiosi, pur sempre in circolazione come superstizioni di scorta, spauracchi per gli schiavi più arcaici e ignoranti.

Dai troni e dagli altari virtuali del capitale finanziario che gonfia la sua bolla speculativa destinata a scoppiare, l’ABC dell’economia politica educa i greggi rinchiusi nei recinti digitalizzati a delegare con un clic il potere che non hanno e a elemosinare tutti i giorni per mail, e molto più raramente con il voto elettorale (rituale destinato all’estinzione per mancanza di credenti, come certe religioni del passato finite nel folklore di liturgie scomparse), la protezione patriarcale del sistema dominante. Essa offre in promozione la rassicurazione, tanto maschia che fittizia, dei timori onnipresenti e svariati che tormentano gli schiavi nei loro ghetti consumistici.

Eredi del cinismo erudito dei gesuiti, i teologi di quell’apocalisse chiamata economia politica cavalcano lo Stato che crolla, le rivoluzioni tradite, le guerre totali e le pandemie che circolano, lasciando il segno del loro passaggio come in un dipinto di Dürer diventato realtà. Emanciparsi da tutto questo è la conditio sine qua non di una vita reinventata a partire dalle radici organiche della specie umana.

Ci avevamo già provato. Volevamo rovesciare il mondo e mezzo secolo dopo ci troviamo ancora nel mondo a rovescio. Più a rovescio che mai perché i processi in atto di reificazione e alienazione sociale si sono particolarmente accentuati con la rivoluzione digitale che ha trasformato il vissuto soffocato degli individui e dei popoli in un virtuale impalpabile ma onnipresente. Quel che prima si toccava con mano è ormai molto facilmente a portata di ogni dito, ma a mille leghe da ogni cuore, da ogni intelligenza sensibile.

L'indiscussa verità evoluzionista darwiniana applicata a spettatori e comparse della società dello spettacolo, ci dice che il non uso del proprio corpo organico e l'abuso del proprio ego virtuale stanno facendo degli uomini degli imbecilli programmati, felici di apparire quindici secondi sullo schermo gigante di uno stadio in cui sono (erano con il covid 19/84) spettatori del nulla che maschera la totalità assente.

Imbecilli ma sempre più spesso anche bestie cattive, per esempio quando intervengono nei socials con un’insensibilità mostruosa, prova che la socialità dei corpi non esiste quasi più, sostituita dalla materialità virtuale degli insulti e delle paranoie multiple che colpiscono l'ignoranza sadica digitalizzata.

Siamo arrivati a un punto cruciale in cui solo il disumano è redditizio. L’umano è ormai strutturalmente proletarizzato perché sempre meno necessario al processo astratto di valorizzazione. Solo il disumano virtuale, calato nella realtà come una barbarie tecnologica travestita da progresso, dà accesso a una ricchezza anch’essa sempre più virtuale e totalmente reificata, economizzata, miserabile. Il nuovo proletariato vittima della controrivoluzione digitale non è più una classe dominata contrapposta a una classe dominante, ma una specie schiavizzata da un’oligarchia disumanizzata al servizio dell’economia politica autonomizzata, il cui strapotere burocratico-tecnologico impone un sistema che essa stessa subisce, arricchendosi, però, avidamente, di privilegi da kapò nel ghetto del consumismo concentrazionario.

Il dominio del capitale sull’uomo, da reale che era diventato appropriandosi direttamente della forza lavoro produttiva, si è fatto ancora più intimo nel mondo virtuale nel senso che si rapporta ormai all’individuo organico come a un malato da curare o da eliminare perché economicamente inutile. La classe dominante di un tempo si presenta ormai come l’azionista di un capitale simbolico feticizzato, accumulato con un semplice clic sul computer in purgatori fiscali che non hanno nulla di paradisiaco, ma misurano la riuscita e il fallimento, la ricchezza e la povertà calcolandole in denaro astratto, neppure più materiale, in un’orgia alienata e alienante di economia politica divinizzata.

Ne scaturisce un conflitto sociale radicale tra l’animale umano non ancora estinto e il suo clone spettacolare addomesticato, umiliato, servitore volontario della sparizione programmata della specie; è in questo contesto di guerra totale, mai dichiarata ma onnipresente, che la coscienza di specie sta emergendo come l’ultima difesa possibile dell’umano di fronte alla disumanizzazione galoppante. Essa non può che contrapporre direttamente e radicalmente l’umano al disumano come ultima scelta possibile della coscienza pratica.

Tutto ciò che mi sforzo di ripetere senza stancarmi, è ribadito con parole semplici, precise e convincenti da Raoul Vaneigem in un suo scritto molto recente:”Ora, nella misura in cui la cupidigia del profitto a breve termine distrugge la vita e il pianeta, il progetto proletario di società senza classi scompare in quanto forma e riappare in quanto progetto che ne costituiva la sostanza: l’emancipazione della donna e dell’uomo e la realizzazione della loro specificità umana”.

Prende campo dunque, in questo presente sinistrato, un’ultima lotta totale per l’affermazione dell’umano in cui la coscienza di specie si fa carico di tutte le coscienze sociali passate per realizzarne la sostanza radicale rimasta incompiuta.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, Le Idi di marzo 2021




MINIMA AMORALIA

Fragments de pensées nocturnes du cœur et du cerveau, confinées sans queue ni tête, mais pas vaincues

 

Vivre ou survivre

A l’âge assez peu vénérable de 73 ans, c’est inéluctable de se rendre compte que le corps perd peu à peu ses belles capacités de jouir de la vie, en se cassant et détériorant coup à coup et en y mêlant l’esprit aussi qui en dépend en grande partie. A cause de mon caractère joyeux mais angoissé, humoriste mais tragique, jouissif mais anxieux, affectueux mais sauvageon (etcetera, etcetera) j’ai tendance à dramatiser ce fait objectif, effectivement déplaisant – conscient que je suis de commettre un erreur qui risque de peser, en plus, sur ceux et celles que j’aime et qui m’aiment, lesquels ont eux aussi leurs chattes (ou chats) à aimer, on espère, et non pas à fouetter.

Il faut apprendre à voler, essayer de vivre jusqu’au bout avec légèreté, insouciants de l’évidence que pour tous la mort s’approche, annoncée parfois avec clameur et souffrance par la maladie, sans besoin même de pandémies psycho dramatiquement manipulées. Chaque moment orgastique encore vivable, intime ou social (avec cette merveilleuse particularité du sexuel de mélanger l’intime et le social dans une danse joyeuse), sera un carpe diem en dehors du temps qui ignore sagement le futur.

Sinon il ne sera pas. Pire que No future, No present !

Finalement, ça a toujours été comme ça depuis la jeunesse et qui peut jouir le fasse. Avec le temps tout s’en va pas, contrairement à ce que pense Leo Ferré, mais tout devient beaucoup plus rare, plus difficile ; et cependant, il n’y a pas une autre manière d’être humains que de jouir de chaque moment agréable de notre destinée en contribuant à la forger et non pas la subir. Puis, à la fin, on fait ce qu’on peut, avant de tirer sa révérence à un monde et à un temps qui, hélas – je l’avoue avec tristesse à la vie que j’aime tant – me plaisent de moins en moins.

Je pense à Lafargue, à Gorz et très souvent à Monicelli et à ses films qui ont ri et fait rire de la tragicomédie humaine avec l’intelligence légère et la sensibilité profonde de la moquerie de soi même et du monde. L’humour sans limites a toujours été pour moi le niveau le plus haut de la poésie vécue et cet homme l’a incarné simplement, avec radicalité et intelligence sensible. M’émeut la profondeur de son amour pour la vie, ce rire de tout sans limites ni tabous, mais jamais obscène, qui a mis en scène une dernière blague à ses amis par un dernier vol du cinquième étage à 95 ans, en se moquant de la prostate !

L’écroulement de l’Etat et la conscience d’espèce

En passant de l’individuel au social, les contrerévolutions sont souvent des révolutions ratées, porteuses de la tyrannie d’une nouvelle élite autoproclamée. La radicalité profondément laïque de la révolution humanitaire éclatée en 1968 a été refoulée et faussée par la peste émotionnelle de la gauche antifasciste autant que par celle de differents fascismes de la droite sadique – noirs, gris, blancs ou tricolores. Pendant un demi siècle, tous ces faux ennemis ont mis à nu leurs complicités diverses avec le totalitarisme démocratico-spectaculaire dont la logique binaire balance entre les droites les plus réactionnaires et les gauches les plus autoritaires (les fascismes rouges dénoncés par W. Reich). Tous les idéologues de la politique soumise au fétichisme de la marchandise qui domine le monde, ont montré une peur profonde et agressive envers ce « soixante huit » qu’ils contribuent à mythifier. En faussant son histoire et en refoulant sa spécificité de Mouvement des occupations (de la vie), ils amplifient, en fait, sa résonance dans les cœurs et dans les têtes de ceux qui n’ont pas oublié que la pratique active de désirer sans fin, en refusant les corvées de la survie dans la vie quotidienne – poésie qui fut au cœur de ces jours –, est le vrai moteur de l’émancipation humaine.

Peu importe qu’on fasse de cette révolte historique, dissoute dans le quotidien avant de pouvoir être concrètement trahie, un mythe idéologique socialiste où on lit l’avènement comme le retour du prolétariat révolutionnaire sacralisé, ou qu’on calomnie, par une sordide falsification réactionnaire, les « soixante-huitards » comme promoteurs de la société de consommation et de l’haineux individualisme narcissique qu’elle dégage. Deus mensonges opposés ne font pas une vérité mais, comme toujours, en calomniant de façon perverse, quelque chose va rester, surtout dans les têtes les plus confuses et dans les cœurs les plus apeurés des serviteurs volontaires.

Dans chaque époque, ceux-ci se sont inventé des idéologies « maccartistes » diverses pour justifier l’imposture suprematiste par laquelle les individus avides de pouvoir tissent leurs intrigues. Ce phénomène recourant renvoie à chaque fois à la fable ancienne du loup et de l’agneau avec quelques variations sur le thème. La forme actuelle de cette morale hiérarchisant a enveloppé les anciennes classes sociales des dominants et des dominés dans une logique concentrationnaire qui réduit la vie à une survie macabre, vécue à l’ombre du totem omniprésent du fétichisme de la marchandise.

A la propagande des prêtres communistes qui ont changé mille fois de nom sans disparaître, malgré la chute fracassant du mur que le joli mai avait abondement dynamité, répond le délire passéiste digne d’un slogan de temps révolus : « les communistes mangent les enfants ». En mêlant rage, soumission, révolte et méchanceté aigrie dans un chaudron confusionniste et semi analphabète où la rumeur incessamment répétée se substitue à la vérification scientifique des données, toutes les idéologies sont grises dans la nuit de l’intelligence sensible.

Ainsi, les réseaux sociaux qui aspiraient à constituer une libre assemblée d’opinions critiques, sont devenus aujourd’hui une imitation pitoyable et insupportable d’une communauté d’esclaves psychotiques, captifs du virtuel. Comme toutes les manifestations de la domestication réussie, ils servent à renforcer le spectacle dominant en excitant les émotions les plus sordides, de la délation à la vengeance sadique, en faisant peur aux spectateurs confus et indigents d’une démocratie représentative uniquement de son absence dont la survie dépend désormais seulement de la peur de plus en plus répandue du chaos.

L’écroulement de l’Etat dans le barbarisme du Marché donne forme à une féodalité numérique arrogante et plus suprematiste que jamais, pire du pouvoir centralisé et pseudo démocratique qui l’a précédée. Annoncée comme pratique de liberté, fraternité et egalité inexistantes, la messe officiée quotidiennement par les prêtres politiciens et par les enfants de cœur médiatiques de l’économie politique, maintient les masses à genoux. Les croyants les plus dévots d’une théologie matérialiste qui officie par écran interposé – télévision, ordinateur, portable ou autres diableries similaires – avalent tout, pour le moment, autant que les bigots du passé. Le progrès de la technique aux mains des GAFAM rend stupides les individus orphelins des monothéismes religieux, pourtant toujours en circulation comme des superstitions de secours, épouvantails pour les esclaves les plus archaïques et ignorants.

Depuis les trônes et les autels virtuels du capital financier qui gonfle sa bulle spéculative destinée à exploser, le b.a.-ba de l’économie politique éduque les troupeaux enfermés dans les enclos numériques à déléguer par un clic le pouvoir qu’ils n’ont pas et à quémander tous les jours par mail, et beaucoup plus rarement par le vote électoral (rituel destiné à la disparition par manque de croyants, comme certaines religions du passé finies dans le folklore de liturgies disparues), la protection patriarcale du système dominant. Elle offre en promotion le réconfort, aussi mâle que fictif, des craintes omniprésentes et variées qui tourmentent les esclaves dans leurs ghettos consuméristes.

Héritiers du cynisme érudit des jésuites, les théologiens de l’apocalypse qu’on nomme économie politique, chevauchent l’Etat qui s’écroule, les révolutions trahies, les guerres totales et les pandémies qui circulent, en laissant le signe de leur passage comme dans un dessein de Dürer devenu réalité. S’émanciper de tout cela est la conditio sine qua non d’une vie réinventée à partir des racines organiques de l’espèce humaine.

Nous avions déjà essayé. On voulait renverser le monde et un demi-siècle après on se retrouve encore dans le monde à l’envers. Plus à l’envers que jamais car les processus en action de réification et aliénation sociale ont particulièrement empiré avec la révolution numérique qui a transformé le vécu étouffé des individus et des peuples en un virtuel impalpable mais omniprésent. Ce qu’avant on touchait de la main est désormais très facilement à la portée de chaque doigt, mais à mille lieues de chaque cœur, de toute intelligence sensible.

L’indiscutable vérité évolutionniste darwinienne appliquée aux spectateurs et aux figurants de la societé du spectacle, nous dit que le manque d’utilisation de son propre corps organique et l’abus de son ego virtuel sont en train de faire des hommes des imbéciles programmés, heureux d’apparaître quinze secondes sur l’écran géant d’un stade où ils sont (ils étaient à cause du covid19/84) spectateurs du rien qui masque la totalité absente.

Imbéciles mais toujours plus souvent aussi bêtes méchantes, par exemple quand ils interviennent dans les réseaux sociaux avec une insensibilité monstrueuse, preuve que la socialité des corps n’existe presque plus, remplacée par la matérialité virtuelle des insultes et des paranoïas multiples qui accablent l’ignorance sadique numérisée.

Nous sommes arrivés à un point crucial où seulement l’inhumain est rentable. L’humain est désormais structurellement prolétarisé car de moins en moins nécessaire au processus abstrait de valorisation. Seul l’inhumain virtuel, tombé dans la réalité comme une barbarie technologique déguisée en progrès, donne accès à une richesse elle aussi toujours plus virtuelle et totalement réifiée, économisée, misérable. Le nouveau prolétariat victime de la contrerévolution numérique n’est plus une classe dominée opposée à une classe dominante mais une espèce réduite en esclavage par une oligarchie déshumanisée à la botte de l’économie politique autonomisée, dont le pouvoir bureaucratique-technologique sans limites impose un système qu’elle-même subit, en s’enrichissant, néanmoins, avidement, de privilèges de kapo dans le ghetto du consumérisme concentrationnaire.

La domination du capital sur l’homme, de réelle qu’elle était devenue en s’appropriant directement de la force de travail productive, est maintenant encore plus intime dans le monde virtuel, en ce sens qu’elle concerne désormais l’individu organique, traité comme un malade à soigner ou à éliminer car économiquement inutile. La classe dominante d’antan se presente désormais comme l’actionnaire d’un capital symbolique fétichisé, qu’un simple clic sur l’ordinateur accumule dans des purgatoires fiscaux qui n’ont rien de paradisiaque mais qui mesurent la réussite et la faillite, la richesse et la pauvreté en les calculant en argent abstrait, même plus matériel, dans une orgie aliénée et aliénante d’économie politique divinisée.

De cela jaillit un conflit social radical entre l’animal humain pas encore disparu et son clone spectaculaire domestiqué, humilié, serviteur volontaire de la disparition programmée de l’espèce ; c’est dans ce contexte d’une guerre totale, jamais déclarée mais omniprésente, que la conscience d’espèce est en train d’émerger comme la dernière défense possible de l’humain face à la deshumanisation galopante. Elle ne peut qu’opposer directement et radicalement l’humain à l’inhumain comme dernier choix possible de la conscience pratique.

Tout ça que je m’efforce de répéter sans me lasser, est exprimé dans un écrit tout récent par les mots simples, précises et convaincantes de Raoul Vaneigem : « Or, à mesure que la cupidité du profit à court terme détruit la vie et la planète, le projet prolétarien de société sans classes disparaît en tant que forme et reparaît en tant que projet qui en constituait la substance : l’émancipation de la femme et de l’homme et la réalisation de leur spécificité humaine ».

 

Ainsi, dans ce present sinistré, prend du terrain une dernière lutte totale pour l’affirmation de l’humain où la conscience d’espèce se charge de toutes les consciences sociales passées pour en réaliser la substance radicale restée inachevée.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, Les ides de mars 2021