La
storia di Assange è un esempio che non ha bisogno di ulteriori commenti. Quel
che gli è capitato è una prova dell’instaurazione ormai manifesta del
totalitarismo democratico. Questo concetto che dovrebbe essere un ossimoro
circola sempre più, in effetti, come una realtà confermata. È un’evidenza
storica in sé, una repressione odiosa che la storia del dominio riproduce
sempre identica pur se ogni volta in modo diverso.
Ogni
epoca è fatta anche di storie che sembrano piccole ma che in realtà
l’accompagnano e la identificano. L’epoca in corso volge ormai alla fine,
sorpassata dagli avvenimenti che la spediscono nella spazzatura della storia.
Tuttavia, oltre la spazzatura, che cosa resta dei nostri amori?
Scaturito
da una volontà collettiva diretta dall’alto e messa in mostra dalla fine della
seconda guerra mondiale, lo Stato[1] democratico successivo al
ventennio fascista che ha ottenebrato il mondo, ha denunciato ogni affronto
all’ideologia liberale come una tara contro i valori dominanti, dissimulando
sotto un’apparenza ingannevole di giustizia egualitaria la continuità del
dominio produttivista sulla comunità umana oppressa e sottomessa.
La società dello spettacolo diffuso
ha dominato il mondo durante il cosiddetto periodo del “boom” coprendosi il volto economicista con la maschera dei diritti
dell’uomo, della libertà d’espressione e dei diritti del cittadino, tutti,
però, sistematicamente irrisi, quasi quanto i diritti delle donne. Era solo una
facciata che oggi scricchiola da ogni lato, ma che ha resistito per un buon
mezzo secolo, nonostante i segni ricorrenti della sua fiorente ambiguità e la
persistenza di un rifiuto di classe e di genere di fronte al dominio – resistenza
che in forme diverse è sopravvissuta alla sconfitta storica del proletariato operaio
e non è ancora stata definitivamente sepolta nei cimiteri ideologici
dell’antifascismo politicamente corretto.
Opposta
in una guerra cosiddetta fredda allo spettacolo concentrato dei sedicenti paesi
comunisti, la rappresentazione di una società libera – in realtà liberale, che
è tutt’altra cosa – è stata sponsorizzata e messa in circolazione sul mercato
ideologico da élites che hanno rifondato su questa uguaglianza formale la loro
supremazia reale. La truffa di un parlamentarismo che garantiva gli sfruttatori
da ogni rivolta radicale degli sfruttati, ha funzionato per un periodo a pieno
regime, approfittando del crollo dei fascismi politici che hanno caratterizzato
la prima metà del ventesimo secolo.
La
sconfitta militare dei fascismi nazionali[2] è stata la base di
un’espansione planetaria del capitalismo liberale che ha segnato lo sviluppo
della sua invasione internazionale con i fuochi d’artificio criminali
d’Hiroshima e Nagasaki[3].
Come
sempre, lo Stato dei vincitori (ancora imbevuto di retorica nazionalista ma già
in via di globalizzazione mercantile) ha riaffermato il suo diritto assoluto
alla violenza “legittima”, bombardando il mondo altrettanto con la pubblicità
della merce che con le foto di una barbarie nazista talmente insopportabile che
ha fatto ingoiare quella dei vincitori come una liberazione. Liberazione
consumistica di un mondo finalmente affrancato dalla disumanità di un fascismo
arcaico che ha prodotto il suo peggior effetto: una morale antifascista che dissimulava
la vittoria del fascismo strutturale e caratteriale di ogni Stato-nazione,
stupratore maschilista di ogni nazione acratica il cui stesso ricordo è stato
cancellato dalla storia da tempo immemorabile.
In
realtà, in modi diversi, questo gioco perverso non ha mai preso fine da quando
il suprematismo patriarcale ha distrutto le società acratiche a centralità
femminile dell’inizio di una storia umana violentata e vinta molti millenni fa.
Da allora, una continuità sempre rinnovata del dominio produttivista si
nasconde dietro la rottura spettacolare con i totalitarismi più arcaici,
perfettamente incarnati, nei nostri tempi moderni, dai fascismi politici di un führer o di un duce. È dunque la sconfitta di questi fascismi, deliranti e
caricaturali nella loro mostruosità criminale, che ha permesso al fascismo
caratteriale della società liberale di dominare il mondo con un feticismo ormai
senza limiti della merce.
Questi
capitalisti, americani o no, sbarcati direttamente da Omaha Beach fino ai supermercati
europei costruiti alla svelta dal 1945, tra le quinte del piano Marshall, erano
gli stessi che trafficavano con Hitler fino al 1944, gli stessi immigrati
cristiani senza permesso di soggiorno che, appena sbarcati nel nuovo continente
dalla loro Europa natale, hanno sterminato, nell’arco di due secoli, il 90% dei
nativi americani per instaurare il loro Far West con Dio stampato sul dollaro,
una Colt sempre a portata di mano e qualche coperta al vaiolo per sterminare
scientificamente e tranquillamente gli improduttivi e selvatici nativi e altri
eventuali ostacoli allo sfruttamento dell’essere umano; tutto questo molto
prima che i nazisti applicassero la loro soluzione (per fortuna assai poco
finale, ma, purtroppo, tragicamente capace di milioni di vittime) in quei campi
di concentramento che il loro cinismo ottuso di conquistadores deliranti ha
riesumato copiando modelli anglosassoni preesistenti.
Il
fascismo non ha una “razza” né un DNA[4] particolare. È sempre e
dovunque, qualunque ne sia l’ideologia, l’unione di bande di frustrati,
repressi, incolleriti e assassini di un qualunque patriottismo da castrati,
indispensabile per la coesione artificiale di una società patriarcale fondata
sull’odio suprematista. Fanatismo mistico che inquina tutti gli altri, il
fascismo si nutre in ogni luogo della peste emozionale che il produttivismo diffonde
come una pandemia. Lo schiavismo d’origine non ha mai abbandonato il
produttivismo, si è semplicemente trasformato in salariato dopo aver assaporato
la servitù feudale, mentre i cattivi della storia hanno sempre trovato dei
censori per punirli, facendo anch’essi altrettanto male se non peggio in nome
del bene.
Delle
belve di ogni tipo si sono dedicate al gioco perverso di opprimere una comunità
umana solidale incompiuta e sistematicamente violentata dai servitori di
qualunque Stato, senza preoccuparsi della sofferenza che diffondevano nel
mondo. Perché il business – come il denaro che lo porta – non ha più odore che
memoria, più stati d’animo che umanità.
Tuttavia,
è soprattutto la memoria dei dominati che ha mostrato dei vuoti senza fondo,
sapientemente sfruttati dai dominanti. La speranza di un mondo nuovo è stata un
motore formidabile per la continuità del vecchio mondo. Il desiderio che si
volatilizza in speranza senza soddisfarsi, senza cioè passare dalla distruzione
alla costruzione, è soltanto una frustrazione che si traveste da godimento
incompiuto per fare di quel che non riesce a cambiare una restaurazione
travestita da superamento. Così ci si dice contenti senza esserlo, oppure
rivoluzionari senza innescare il superamento, tradendo la dialettica e facendo
girare a vuoto la storia.
Tuttavia,
un’intelligenza sensibile che nessun imbroglio può definitivamente soffocare
negli esseri umani, finisce sempre per emergere qui o là per denunciare la
grottesca nudità dei re, mostrandola a tutti, anche a quelli che coprono sempre
il sacro monarca con mutande inesistenti. Quanti Assange ancora sacrificati
prima che la storia diventi umana?
Se
il maggio 68 è stato un segnale rivoluzionario incompiuto di un altro mondo
possibile, la sua sconfitta e l’imperialismo capitalista crescente che ne è
seguito hanno preparato le condizioni di un totalitarismo democratico ormai in
pieno sviluppo. C’è voluta, nel frattempo, la demolizione del fascismo rosso
pseudo sovietico per rieditare, sottoforma di un neoliberalismo planetario altrettanto
stupido che omicida, la retorica autoritaria che aveva già recuperato e
devitalizzato l’antifascismo di un tempo.
Storicamente,
quando l’antifascismo appare da potenziale vincitore in assenza di
un’autogestione generalizzata della vita quotidiana riuscita, ciò significa
sempre che il dominio fascista reale si esercita altrove. L’autenticità storica
della lotta antifascista è in montagna quando il fascismo imperversa. La sua
ideologia, invece, non può gestire la comunità senza rinnegarsi perché la
comunità umana è acratica per natura e solo un’autogestione generalizzata della
vita quotidiana può farla vivere senza devitalizzarla nello spettacolo.
L’umanesimo
autoritario e contraddittorio dei rivoluzionari che arrivano al potere, significa
sempre il ritorno del Leviatano produttivista e la riuscita del suo fenomenale
recupero. È stato questo il ruolo della sinistra dall’invenzione del
parlamentarismo che l’ha generata: fare peggio della destra deludendo le
speranze dei dominati poiché l’emancipazione promessa dall’alto non arriva mai
fino in basso. La sinistra è riuscita dunque nell’exploit masochista di
spingere i più sfruttati, ma anche i più ignoranti, i più impauriti e i più
cattivi (il che fa un numero considerevole e inquietante) a mostrarsi
nostalgici dell’autorità dello Stato, diffidando – sotto l’effetto di una
paranoia ossidionale – di ogni segnale d’allarme lanciato, di ogni rivolta che
inviti a cambiare rotta quando la tempesta imperversa.
Questo
meccanismo è la chiave di lettura di ogni rapporto di potere e l’essenza stessa
della strategia visibile di ogni dominio. Machiavelli docet: convincere i dominati che un altro dominio è possibile,
molto peggiore e terribilmente pericoloso, in modo che i dominati ringrazino i
loro signori e boia per la loro “generosa” protezione. Cosi si fabbrica un
dittatore, poco importa il suo genere, ma quasi sempre maschio o quel che ne
resta. La rivoluzione digitale se ne occupa.
L’acrazia
vuole come condizione la pace e non funziona in tempo di guerra. È così che il
fascismo ritorna e la sua guerra incivile s’impone come un déjà-vu
sconfortante. Questo è il meccanismo che inquina ogni rivoluzione e per evitare
che ciò accada bisogna superare (non solo negare, ma superare con i mezzi e con
i fini) l’approccio autoritario della radicalità necessaria per la costituzione
di un mondo umano: un nuovo mondo solidale e votato all’amore per la vita
organica.
L’amore
al tempo della pandemia è entrato dappertutto in questo genere di turbolenza.
Stiamo attenti! Il meglio è ancora possibile, ma il peggio è in marcia e
potrebbe riprendere il passo dell’oca.
Sergio Ghirardi Sauvageon, 16 maggio 2021
[1] Lo Stato è lo strumento politico
del produttivismo mercantile portatore dappertutto della barbara retorica di un
nazionalismo predatore passato dalle Città-Stato d’origine allo Stato-nazione e
ormai, grazie alla rivoluzione digitale, alla costituzione di uno Stato
planetario, mega macchina per l’artificializzazione definitiva di ogni vita
organica.
[2]
Fascismo tedesco, italiano e
giapponese, mentre il Consiglio nazionale della resistenza della Repubblica
francese (CNR) ha permesso alla Francia di sedersi al tavolo dei vincitori
facendo dimenticare Vichy.
[3] Questo inizio visibile dell’obsolescenza dell’umano è poi proseguita fino a Chernobyl e Fukushima, sintomi
planetari maggiori della “pacifica” guerra senza quartiere che l’homo economicus
ha dichiarato alla natura e alla vita organica.
[4] Sempre più spesso si fa riferimento
al DNA come fosse l’essenza intima della realtà umana di un individuo. Usato a
sproposito, un tale riferimento pseudoscientifico mi fa pensare a una formula
meccanicista per aggirare l’imbarazzante concetto di “razza” tanto caro alla
peste fascista.
Assange et les limites grossières de la démocratie
totalitaire
L’histoire d’Assange est un
exemple qui n’a pas besoin d’autres commentaires. Ce qui lui est arrivé est une
preuve de l’instauration désormais affichée du totalitarisme démocratique. Ce
concept qui devrait être un oxymore, circule, en fait, de plus en plus, comme
une réalité confirmée. C’est une évidence historique en soi, une répression
haineuse que l’histoire de la domination reproduit toujours à l’identique, bien
qu’à chaque fois d’une manière différente.
Chaque époque est faite
aussi d’histoires qui semblent petites et qui, en fait, l’accompagnent et
l’identifient. L’époque en cours touche désormais à sa fin, dépassée par les
événements qui l’envoient aux poubelles de l’histoire. Cependant, au-delà des
poubelles, que reste-t-il de nos amours ?
Jailli d’une volonté
collective dirigée par le haut et affichée depuis la fin de la deuxième guerre
mondiale, l’Etat[1] démocratique suivi au
« ventennio » fasciste qui a assombri le monde, a dénoncé toute
entorse à l’idéologie libérale comme un manque aux valeurs dominants, cachant
sous une couverture de justice égalitaire trompeusement affichée la continuité
de la domination productiviste sur la communauté humaine opprimée et soumise.
La societé du spectacle
diffus a dominé le monde pendant la période des soi-disant « trente
glorieuses » couvrant son visage économiste avec le masque des droits de
l’homme, de la liberté d’expression et des droits du citoyen, tous pourtant
systématiquement bafoués, presque autant que les droits des femmes. C’était
juste une façade qu’aujourd’hui grince de tous les côtés, mais elle a tenu bon
pendant un demi-siècle, malgré les signes systématiques de son ambigüité
fleurissante et la persistance d’une refus de classe et de genre de la
domination – résistance qui, en formes différentes, a survécu à la défaite
historique du prolétariat ouvrier et n’a pas encore été définitivement enterré
dans les cimetières idéologiques de l’antifascisme politiquement correct.
Opposée dans une guerre dite
froide au spectacle concentré des soi-disant pays communistes, la
représentation d’une société libre – en réalité libérale, ce qui est toute
autre chose – a été sponsorisée et mise sur le marché idéologique par des
élites qui ont refondé sur cette égalité formelle leur suprématie réelle.
L’arnaque d’un parlementarisme qui garantissait les exploiteurs contre toute
révolte radicale des exploités, a fonctionné pour un temps à plein régime,
profitant de l’écroulement des fascismes politiques qui ont caractérisé la
première moitié du vingtième siècle.
La défaite militaire des
fascismes nationaux[2] a été la base d’une
expansion planétaire du capitalisme libéral qui a marqué l’essor de son
invasion internationale par les feux d’artifice meurtriers de Hiroshima et
Nagasaki[3].
Comme toujours, l’Etat des
vainqueurs (encore embu de rhétorique nationaliste mais déjà en voie de
globalisation marchande) a réaffirmé son droit absolu à la violence
« légitime » en bombardant le monde autant par la publicité de la
marchandise que par les photos d’une barbarie nazie tellement insoutenable
qu’elle a fait avaler celle des vainqueurs comme une libération. Une libération
consumériste d’un monde finalement libérée de l’inhumanité du fascisme archaïque
a mis en branle son pire produit : une morale antifasciste qui cachait la
victoire du fascisme structurel et caractériel de chaque Etat-nation, violeur
machiste de toute nation acratique dont le souvenir même a été effacé de
l’histoire depuis belle lurette.
En fait, de façons
différentes, ce jeu pervers ne s’est jamais arrêté depuis que le suprémacisme
patriarcal a terrassé les sociétés acratiques à centralité féminine du début
d’une histoire humaine violée et vaincue il y a des millénaires. Depuis, une
continuité toujours renouvelée de la domination productiviste se cache derrière
la rupture spectaculaire avec les totalitarismes les plus archaïques, incarnés
si bien, dans nos temps modernes, par les fascismes politiques d’un führer ou d’un duce. C’est donc la défaite de ces fascismes là, délirants et
caricaturaux dans leur monstruosité meurtrière, qui a permis au fascisme
caractériel de la société libérale de dominer le monde par un fétichisme
désormais sans limites de la marchandise.
Ces capitalistes, américains
ou pas, débarqués directement de Omaha Beach jusqu’aux supermarchés européens
échafaudés à la hâte depuis 1945, dans les coulisses du plan Marshall, étaient
les mêmes qui trafiquaient avec Hitler jusqu’en 1944, les mêmes immigrés
chrétiens sans papiers qui, à peine débarqués dans les nouveau continent depuis
leur Europe d’origine, ont exterminé, en deux siècles de temps, le 90% des
natives américains pour instaurer leur Far West avec Dieu imprimé sur le
dollar, une Colt toujours à la portée de la main et quelques couvertures à la
variole pour exterminer scientifiquement et paisiblement les improductifs
« sauvageons » natifs et autres empêcheurs d’exploiter en rond ;
tout cela bien avant que les nazis appliquent leur solution (assez peu finale,
heureusement, mais énormément meurtrière pour des millions de victimes, hélas)
dans les camps que leur cynisme bête de conquistadores délirants a réédités
suivant des modèles anglo-saxons préexistants.
Le fascisme n’a pas une
« race » ni un « ADN »[4]
particulier. Il est toujours et partout, toutes idéologies confondues, l’union
de bandes de frustrés, refoulés, colériques et meurtriers d’un quelconque
patriotisme de castrés, indispensable à la cohésion artificielle d’une société
patriarcale fondée sur la haine suprématiste. Fanatisme mystique qui pollue
tous les autres, le fascisme se nourrit partout de la peste émotionnelle que le
productivisme répand comme une pandémie. L’esclavagisme d’origine n’a jamais
quitté le productivisme, il s’est simplement transformé en salariat après avoir
goûte au servage féodal, alors que les méchants de l’histoire ont toujours
trouvé des censeurs pour les châtier, tout en faisant aussi mal sinon pire
qu’eux au nom du bien.
Des fauves de toutes
origines se donnèrent au jeu pervers d’accabler une communauté humaine
solidaire inachevée et systématiquement violée par les serviteurs de chaque
Etat, sans se soucier de la souffrance qui répandaient dans le monde. Car le
business – comme l’argent qui le porte – n’a pas plus d’odeur que de mémoire,
pas plus d’états d’âme que d’humanité.
Cependant, c’est surtout la
mémoire des dominés qui a montré des trous béants, savamment exploités par les
dominants. L’espoir d’un monde nouveau a été un moteur redoutable de la
continuité du vieux monde. Le désir qui se volatilise en espoir sans se
satisfaire, c'est-à-dire sans passer de la destruction à la construction, n’est
qu’une frustration qui se déguise en jouissance inachevée pour faire de ce qui
n’arrive pas à changer une restauration déguisé en dépassement. Ainsi on se dit
contents sans l’être ou révolutionnaires sans enclencher le dépassement, en
trahissant la dialectique et faisant tourner en rond l’histoire.
Néanmoins, une intelligence
sensible qu’aucune manigance ne peut définitivement étouffer chez les humains,
finit toujours par émerger ici là et dénoncer la grotesque nudité des rois, la
montrant à tous, même à ceux qui ajoutent toujours au monarque sacralisé des
culottes inexistantes. Combien encore d’Assange sacrifiés avant que l’histoire
devienne humaine ?
Si mai 68 fut une alerte
révolutionnaire inachevée d’un autre monde possible, sa défaite et
l’impérialisme capitaliste croissant qui a suivi ont préparé les conditions
d’un totalitarisme démocratique désormais en plein essor. Il a fallu, entre-temps,
la démolition du fascisme rouge pseudo soviétique pour rééditer, sous la forme
d’un néolibéralisme planétaire aussi débile que meurtrier, la rhétorique
autoritaire qui avait déjà récupéré et dévitalisé l’antifascisme d’antan.
Historiquement, quand l’antifascisme
apparaît en potentiel vainqueur sans que l’autogestion généralisée de la vie
quotidienne aboutisse, cela signifie toujours que la domination fasciste réelle
s’exerce ailleurs. L’authenticité historique de la lutte antifasciste est dans
le maquis quand le fascisme sévit. Son idéologie, en revanche, ne peut pas
gérer la communauté sans se renier car la communauté humaine est acratique par
nature et seule une autogestion généralisée de la vie quotidienne peut la faire
vivre sans la dévitaliser dans le spectacle.
L’humanisme autoritaire et
contradictoire des révolutionnaires qui arrivent au pouvoir, signifie toujours
le retour du Léviathan productiviste et la réussite de sa récupération
redoutable. Ceci fut, en fait, le rôle de la gauche depuis l’invention du
parlementarisme qui l’a générée : faire pire que la droite en décevant les
espoirs des dominés parce que l’émancipation promise d’en haut n’arrive jamais
jusqu’en bas. La gauche a réussi ainsi l’exploit masochiste de pousser les plus
exploités, mais aussi les plus ignorants, les plus apeurés et les plus méchants
(ce qui fait un nombre inquiétant) à s’afficher en nostalgiques de l’autorité
de l’Etat, se méfiant – accablés par une paranoïa obsidionale – de tout lanceur
d’alerte, de tout révolté qui invite à changer de cap quand la tempête sévit.
Ce mécanisme est la clé de
lecture de toute relation de pouvoir et l’essence même de ce qu’est la
stratégie visible de toute domination. Machiavel docet : convaincre les dominés qu’une autre domination est possible,
bien pire et o combien dangereuse, ainsi que les dominés remercient leurs
maîtres/bourreaux pour leur « généreuse » protection. Ainsi on
fabrique un dictateur, peu importe son genre, mais presque toujours mâle ou ce
qui en reste. La révolution numérique s’y emploie.
L’acratie a pour condition
la paix et ne fonctionne pas en temps de guerre. C’est ainsi que le fascisme
revient et sa guerre incivile s’impose dans un déjà vu désespérant. Ceci est le
mécanisme qui pollue toute révolution et pour éviter une telle issue il faut
dépasser (pas simplement nier, dépasser par les méthodes et les fins)
l’approche autoritaire de la radicalité nécessaire à la constitution d’un monde
humain : un nouveau monde solidaire et voué à l’amour de la vie organique.
L’amour au temps de la
pandémie est entré partout dans ce type de turbulence. Prenons garde ! Le
mieux est encore possible, mais le pire est en marche et il pourrait reprendre
le pas de l’oie.
Sergio Ghirardi Sauvageon, 16 mai 2021
[1] L’Etat est l’instrument politique du productivisme
marchand porteur partout de la barbare rhétorique d’un nationalisme prédateur
passé des Cités-Etat d’origine à l’Etat-nation et désormais, suite à la
révolution numérique, à l’échafaudage d’un Etat planétaire, méga machine pour
l’artificialisation définitive de toute vie organique.
[2] Fascisme allemand, italien et japonais, alors que le
Conseil national de la résistance de la République française (CNR) a permis à
la France de s’assoir à la table des vainqueurs en faisant oublier Vichy.
[3] Ce début visible de l’obsolescence
de l’homme a été ensuite poursuivi jusqu’à
Tchernobyl et Fukushima, symptômes planétaires majeurs de la
« pacifique » guerre sans quartier que l’homo economicus a déclaré
à la nature et à la vie organique.
[4] De plus en plus souvent on se réfère à l’ADN comme à
l’essence intime de la réalité humaine d’un individu. Utilisée de manière
inappropriée, cette reference pseudo-scientifique, me fait penser à une formule
mécaniciste contournant le concept embarrassante de « race » si cher
à la peste fasciste.