mercoledì 19 maggio 2021

Assange e i limiti volgari della democrazia totalitaria

 



La storia di Assange è un esempio che non ha bisogno di ulteriori commenti. Quel che gli è capitato è una prova dell’instaurazione ormai manifesta del totalitarismo democratico. Questo concetto che dovrebbe essere un ossimoro circola sempre più, in effetti, come una realtà confermata. È un’evidenza storica in sé, una repressione odiosa che la storia del dominio riproduce sempre identica pur se ogni volta in modo diverso.

Ogni epoca è fatta anche di storie che sembrano piccole ma che in realtà l’accompagnano e la identificano. L’epoca in corso volge ormai alla fine, sorpassata dagli avvenimenti che la spediscono nella spazzatura della storia. Tuttavia, oltre la spazzatura, che cosa resta dei nostri amori?

Scaturito da una volontà collettiva diretta dall’alto e messa in mostra dalla fine della seconda guerra mondiale, lo Stato[1] democratico successivo al ventennio fascista che ha ottenebrato il mondo, ha denunciato ogni affronto all’ideologia liberale come una tara contro i valori dominanti, dissimulando sotto un’apparenza ingannevole di giustizia egualitaria la continuità del dominio produttivista sulla comunità umana oppressa e sottomessa.

La società dello spettacolo diffuso ha dominato il mondo durante il cosiddetto periodo del “boom” coprendosi il volto economicista con la maschera dei diritti dell’uomo, della libertà d’espressione e dei diritti del cittadino, tutti, però, sistematicamente irrisi, quasi quanto i diritti delle donne. Era solo una facciata che oggi scricchiola da ogni lato, ma che ha resistito per un buon mezzo secolo, nonostante i segni ricorrenti della sua fiorente ambiguità e la persistenza di un rifiuto di classe e di genere di fronte al dominio – resistenza che in forme diverse è sopravvissuta alla sconfitta storica del proletariato operaio e non è ancora stata definitivamente sepolta nei cimiteri ideologici dell’antifascismo politicamente corretto.

Opposta in una guerra cosiddetta fredda allo spettacolo concentrato dei sedicenti paesi comunisti, la rappresentazione di una società libera – in realtà liberale, che è tutt’altra cosa – è stata sponsorizzata e messa in circolazione sul mercato ideologico da élites che hanno rifondato su questa uguaglianza formale la loro supremazia reale. La truffa di un parlamentarismo che garantiva gli sfruttatori da ogni rivolta radicale degli sfruttati, ha funzionato per un periodo a pieno regime, approfittando del crollo dei fascismi politici che hanno caratterizzato la prima metà del ventesimo secolo.

La sconfitta militare dei fascismi nazionali[2] è stata la base di un’espansione planetaria del capitalismo liberale che ha segnato lo sviluppo della sua invasione internazionale con i fuochi d’artificio criminali d’Hiroshima e Nagasaki[3].

Come sempre, lo Stato dei vincitori (ancora imbevuto di retorica nazionalista ma già in via di globalizzazione mercantile) ha riaffermato il suo diritto assoluto alla violenza “legittima”, bombardando il mondo altrettanto con la pubblicità della merce che con le foto di una barbarie nazista talmente insopportabile che ha fatto ingoiare quella dei vincitori come una liberazione. Liberazione consumistica di un mondo finalmente affrancato dalla disumanità di un fascismo arcaico che ha prodotto il suo peggior effetto: una morale antifascista che dissimulava la vittoria del fascismo strutturale e caratteriale di ogni Stato-nazione, stupratore maschilista di ogni nazione acratica il cui stesso ricordo è stato cancellato dalla storia da tempo immemorabile.

In realtà, in modi diversi, questo gioco perverso non ha mai preso fine da quando il suprematismo patriarcale ha distrutto le società acratiche a centralità femminile dell’inizio di una storia umana violentata e vinta molti millenni fa. Da allora, una continuità sempre rinnovata del dominio produttivista si nasconde dietro la rottura spettacolare con i totalitarismi più arcaici, perfettamente incarnati, nei nostri tempi moderni, dai fascismi politici di un führer o di un duce. È dunque la sconfitta di questi fascismi, deliranti e caricaturali nella loro mostruosità criminale, che ha permesso al fascismo caratteriale della società liberale di dominare il mondo con un feticismo ormai senza limiti della merce.

Questi capitalisti, americani o no, sbarcati direttamente da Omaha Beach fino ai supermercati europei costruiti alla svelta dal 1945, tra le quinte del piano Marshall, erano gli stessi che trafficavano con Hitler fino al 1944, gli stessi immigrati cristiani senza permesso di soggiorno che, appena sbarcati nel nuovo continente dalla loro Europa natale, hanno sterminato, nell’arco di due secoli, il 90% dei nativi americani per instaurare il loro Far West con Dio stampato sul dollaro, una Colt sempre a portata di mano e qualche coperta al vaiolo per sterminare scientificamente e tranquillamente gli improduttivi e selvatici nativi e altri eventuali ostacoli allo sfruttamento dell’essere umano; tutto questo molto prima che i nazisti applicassero la loro soluzione (per fortuna assai poco finale, ma, purtroppo, tragicamente capace di milioni di vittime) in quei campi di concentramento che il loro cinismo ottuso di conquistadores deliranti ha riesumato copiando modelli anglosassoni preesistenti.

Il fascismo non ha una “razza” né un DNA[4] particolare. È sempre e dovunque, qualunque ne sia l’ideologia, l’unione di bande di frustrati, repressi, incolleriti e assassini di un qualunque patriottismo da castrati, indispensabile per la coesione artificiale di una società patriarcale fondata sull’odio suprematista. Fanatismo mistico che inquina tutti gli altri, il fascismo si nutre in ogni luogo della peste emozionale che il produttivismo diffonde come una pandemia. Lo schiavismo d’origine non ha mai abbandonato il produttivismo, si è semplicemente trasformato in salariato dopo aver assaporato la servitù feudale, mentre i cattivi della storia hanno sempre trovato dei censori per punirli, facendo anch’essi altrettanto male se non peggio in nome del bene.

Delle belve di ogni tipo si sono dedicate al gioco perverso di opprimere una comunità umana solidale incompiuta e sistematicamente violentata dai servitori di qualunque Stato, senza preoccuparsi della sofferenza che diffondevano nel mondo. Perché il business – come il denaro che lo porta – non ha più odore che memoria, più stati d’animo che umanità.

Tuttavia, è soprattutto la memoria dei dominati che ha mostrato dei vuoti senza fondo, sapientemente sfruttati dai dominanti. La speranza di un mondo nuovo è stata un motore formidabile per la continuità del vecchio mondo. Il desiderio che si volatilizza in speranza senza soddisfarsi, senza cioè passare dalla distruzione alla costruzione, è soltanto una frustrazione che si traveste da godimento incompiuto per fare di quel che non riesce a cambiare una restaurazione travestita da superamento. Così ci si dice contenti senza esserlo, oppure rivoluzionari senza innescare il superamento, tradendo la dialettica e facendo girare a vuoto la storia.

Tuttavia, un’intelligenza sensibile che nessun imbroglio può definitivamente soffocare negli esseri umani, finisce sempre per emergere qui o là per denunciare la grottesca nudità dei re, mostrandola a tutti, anche a quelli che coprono sempre il sacro monarca con mutande inesistenti. Quanti Assange ancora sacrificati prima che la storia diventi umana?

Se il maggio 68 è stato un segnale rivoluzionario incompiuto di un altro mondo possibile, la sua sconfitta e l’imperialismo capitalista crescente che ne è seguito hanno preparato le condizioni di un totalitarismo democratico ormai in pieno sviluppo. C’è voluta, nel frattempo, la demolizione del fascismo rosso pseudo sovietico per rieditare, sottoforma di un neoliberalismo planetario altrettanto stupido che omicida, la retorica autoritaria che aveva già recuperato e devitalizzato l’antifascismo di un tempo.

Storicamente, quando l’antifascismo appare da potenziale vincitore in assenza di un’autogestione generalizzata della vita quotidiana riuscita, ciò significa sempre che il dominio fascista reale si esercita altrove. L’autenticità storica della lotta antifascista è in montagna quando il fascismo imperversa. La sua ideologia, invece, non può gestire la comunità senza rinnegarsi perché la comunità umana è acratica per natura e solo un’autogestione generalizzata della vita quotidiana può farla vivere senza devitalizzarla nello spettacolo.

L’umanesimo autoritario e contraddittorio dei rivoluzionari che arrivano al potere, significa sempre il ritorno del Leviatano produttivista e la riuscita del suo fenomenale recupero. È stato questo il ruolo della sinistra dall’invenzione del parlamentarismo che l’ha generata: fare peggio della destra deludendo le speranze dei dominati poiché l’emancipazione promessa dall’alto non arriva mai fino in basso. La sinistra è riuscita dunque nell’exploit masochista di spingere i più sfruttati, ma anche i più ignoranti, i più impauriti e i più cattivi (il che fa un numero considerevole e inquietante) a mostrarsi nostalgici dell’autorità dello Stato, diffidando – sotto l’effetto di una paranoia ossidionale – di ogni segnale d’allarme lanciato, di ogni rivolta che inviti a cambiare rotta quando la tempesta imperversa.

Questo meccanismo è la chiave di lettura di ogni rapporto di potere e l’essenza stessa della strategia visibile di ogni dominio. Machiavelli docet: convincere i dominati che un altro dominio è possibile, molto peggiore e terribilmente pericoloso, in modo che i dominati ringrazino i loro signori e boia per la loro “generosa” protezione. Cosi si fabbrica un dittatore, poco importa il suo genere, ma quasi sempre maschio o quel che ne resta. La rivoluzione digitale se ne occupa.

L’acrazia vuole come condizione la pace e non funziona in tempo di guerra. È così che il fascismo ritorna e la sua guerra incivile s’impone come un déjà-vu sconfortante. Questo è il meccanismo che inquina ogni rivoluzione e per evitare che ciò accada bisogna superare (non solo negare, ma superare con i mezzi e con i fini) l’approccio autoritario della radicalità necessaria per la costituzione di un mondo umano: un nuovo mondo solidale e votato all’amore per la vita organica.

L’amore al tempo della pandemia è entrato dappertutto in questo genere di turbolenza. Stiamo attenti! Il meglio è ancora possibile, ma il peggio è in marcia e potrebbe riprendere il passo dell’oca.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 16 maggio 2021



[1] Lo Stato è lo strumento politico del produttivismo mercantile portatore dappertutto della barbara retorica di un nazionalismo predatore passato dalle Città-Stato d’origine allo Stato-nazione e ormai, grazie alla rivoluzione digitale, alla costituzione di uno Stato planetario, mega macchina per l’artificializzazione definitiva di ogni vita organica.

[2] Fascismo tedesco, italiano e giapponese, mentre il Consiglio nazionale della resistenza della Repubblica francese (CNR) ha permesso alla Francia di sedersi al tavolo dei vincitori facendo dimenticare Vichy.

[3] Questo inizio visibile dell’obsolescenza dell’umano è poi proseguita fino a Chernobyl e Fukushima, sintomi planetari maggiori della “pacifica” guerra senza quartiere che l’homo economicus ha dichiarato alla natura e alla vita organica.

[4] Sempre più spesso si fa riferimento al DNA come fosse l’essenza intima della realtà umana di un individuo. Usato a sproposito, un tale riferimento pseudoscientifico mi fa pensare a una formula meccanicista per aggirare l’imbarazzante concetto di “razza” tanto caro alla peste fascista.



Assange et les limites grossières de la démocratie totalitaire

L’histoire d’Assange est un exemple qui n’a pas besoin d’autres commentaires. Ce qui lui est arrivé est une preuve de l’instauration désormais affichée du totalitarisme démocratique. Ce concept qui devrait être un oxymore, circule, en fait, de plus en plus, comme une réalité confirmée. C’est une évidence historique en soi, une répression haineuse que l’histoire de la domination reproduit toujours à l’identique, bien qu’à chaque fois d’une manière différente.

Chaque époque est faite aussi d’histoires qui semblent petites et qui, en fait, l’accompagnent et l’identifient. L’époque en cours touche désormais à sa fin, dépassée par les événements qui l’envoient aux poubelles de l’histoire. Cependant, au-delà des poubelles, que reste-t-il de nos amours ?

Jailli d’une volonté collective dirigée par le haut et affichée depuis la fin de la deuxième guerre mondiale, l’Etat[1] démocratique suivi au « ventennio » fasciste qui a assombri le monde, a dénoncé toute entorse à l’idéologie libérale comme un manque aux valeurs dominants, cachant sous une couverture de justice égalitaire trompeusement affichée la continuité de la domination productiviste sur la communauté humaine opprimée et soumise.

La societé du spectacle diffus a dominé le monde pendant la période des soi-disant « trente glorieuses » couvrant son visage économiste avec le masque des droits de l’homme, de la liberté d’expression et des droits du citoyen, tous pourtant systématiquement bafoués, presque autant que les droits des femmes. C’était juste une façade qu’aujourd’hui grince de tous les côtés, mais elle a tenu bon pendant un demi-siècle, malgré les signes systématiques de son ambigüité fleurissante et la persistance d’une refus de classe et de genre de la domination – résistance qui, en formes différentes, a survécu à la défaite historique du prolétariat ouvrier et n’a pas encore été définitivement enterré dans les cimetières idéologiques de l’antifascisme politiquement correct.

Opposée dans une guerre dite froide au spectacle concentré des soi-disant pays communistes, la représentation d’une société libre – en réalité libérale, ce qui est toute autre chose – a été sponsorisée et mise sur le marché idéologique par des élites qui ont refondé sur cette égalité formelle leur suprématie réelle. L’arnaque d’un parlementarisme qui garantissait les exploiteurs contre toute révolte radicale des exploités, a fonctionné pour un temps à plein régime, profitant de l’écroulement des fascismes politiques qui ont caractérisé la première moitié du vingtième siècle.

La défaite militaire des fascismes nationaux[2] a été la base d’une expansion planétaire du capitalisme libéral qui a marqué l’essor de son invasion internationale par les feux d’artifice meurtriers de Hiroshima et Nagasaki[3].

Comme toujours, l’Etat des vainqueurs (encore embu de rhétorique nationaliste mais déjà en voie de globalisation marchande) a réaffirmé son droit absolu à la violence « légitime » en bombardant le monde autant par la publicité de la marchandise que par les photos d’une barbarie nazie tellement insoutenable qu’elle a fait avaler celle des vainqueurs comme une libération. Une libération consumériste d’un monde finalement libérée de l’inhumanité du fascisme archaïque a mis en branle son pire produit : une morale antifasciste qui cachait la victoire du fascisme structurel et caractériel de chaque Etat-nation, violeur machiste de toute nation acratique dont le souvenir même a été effacé de l’histoire depuis belle lurette.

En fait, de façons différentes, ce jeu pervers ne s’est jamais arrêté depuis que le suprémacisme patriarcal a terrassé les sociétés acratiques à centralité féminine du début d’une histoire humaine violée et vaincue il y a des millénaires. Depuis, une continuité toujours renouvelée de la domination productiviste se cache derrière la rupture spectaculaire avec les totalitarismes les plus archaïques, incarnés si bien, dans nos temps modernes, par les fascismes politiques d’un führer ou d’un duce. C’est donc la défaite de ces fascismes là, délirants et caricaturaux dans leur monstruosité meurtrière, qui a permis au fascisme caractériel de la société libérale de dominer le monde par un fétichisme désormais sans limites de la marchandise.

Ces capitalistes, américains ou pas, débarqués directement de Omaha Beach jusqu’aux supermarchés européens échafaudés à la hâte depuis 1945, dans les coulisses du plan Marshall, étaient les mêmes qui trafiquaient avec Hitler jusqu’en 1944, les mêmes immigrés chrétiens sans papiers qui, à peine débarqués dans les nouveau continent depuis leur Europe d’origine, ont exterminé, en deux siècles de temps, le 90% des natives américains pour instaurer leur Far West avec Dieu imprimé sur le dollar, une Colt toujours à la portée de la main et quelques couvertures à la variole pour exterminer scientifiquement et paisiblement les improductifs « sauvageons » natifs et autres empêcheurs d’exploiter en rond ; tout cela bien avant que les nazis appliquent leur solution (assez peu finale, heureusement, mais énormément meurtrière pour des millions de victimes, hélas) dans les camps que leur cynisme bête de conquistadores délirants a réédités suivant des modèles anglo-saxons préexistants.

Le fascisme n’a pas une « race » ni un « ADN »[4] particulier. Il est toujours et partout, toutes idéologies confondues, l’union de bandes de frustrés, refoulés, colériques et meurtriers d’un quelconque patriotisme de castrés, indispensable à la cohésion artificielle d’une société patriarcale fondée sur la haine suprématiste. Fanatisme mystique qui pollue tous les autres, le fascisme se nourrit partout de la peste émotionnelle que le productivisme répand comme une pandémie. L’esclavagisme d’origine n’a jamais quitté le productivisme, il s’est simplement transformé en salariat après avoir goûte au servage féodal, alors que les méchants de l’histoire ont toujours trouvé des censeurs pour les châtier, tout en faisant aussi mal sinon pire qu’eux au nom du bien.

Des fauves de toutes origines se donnèrent au jeu pervers d’accabler une communauté humaine solidaire inachevée et systématiquement violée par les serviteurs de chaque Etat, sans se soucier de la souffrance qui répandaient dans le monde. Car le business – comme l’argent qui le porte – n’a pas plus d’odeur que de mémoire, pas plus d’états d’âme que d’humanité.

Cependant, c’est surtout la mémoire des dominés qui a montré des trous béants, savamment exploités par les dominants. L’espoir d’un monde nouveau a été un moteur redoutable de la continuité du vieux monde. Le désir qui se volatilise en espoir sans se satisfaire, c'est-à-dire sans passer de la destruction à la construction, n’est qu’une frustration qui se déguise en jouissance inachevée pour faire de ce qui n’arrive pas à changer une restauration déguisé en dépassement. Ainsi on se dit contents sans l’être ou révolutionnaires sans enclencher le dépassement, en trahissant la dialectique et faisant tourner en rond l’histoire.

Néanmoins, une intelligence sensible qu’aucune manigance ne peut définitivement étouffer chez les humains, finit toujours par émerger ici là et dénoncer la grotesque nudité des rois, la montrant à tous, même à ceux qui ajoutent toujours au monarque sacralisé des culottes inexistantes. Combien encore d’Assange sacrifiés avant que l’histoire devienne humaine ?

Si mai 68 fut une alerte révolutionnaire inachevée d’un autre monde possible, sa défaite et l’impérialisme capitaliste croissant qui a suivi ont préparé les conditions d’un totalitarisme démocratique désormais en plein essor. Il a fallu, entre-temps, la démolition du fascisme rouge pseudo soviétique pour rééditer, sous la forme d’un néolibéralisme planétaire aussi débile que meurtrier, la rhétorique autoritaire qui avait déjà récupéré et dévitalisé l’antifascisme d’antan.

Historiquement, quand l’antifascisme apparaît en potentiel vainqueur sans que l’autogestion généralisée de la vie quotidienne aboutisse, cela signifie toujours que la domination fasciste réelle s’exerce ailleurs. L’authenticité historique de la lutte antifasciste est dans le maquis quand le fascisme sévit. Son idéologie, en revanche, ne peut pas gérer la communauté sans se renier car la communauté humaine est acratique par nature et seule une autogestion généralisée de la vie quotidienne peut la faire vivre sans la dévitaliser dans le spectacle.

L’humanisme autoritaire et contradictoire des révolutionnaires qui arrivent au pouvoir, signifie toujours le retour du Léviathan productiviste et la réussite de sa récupération redoutable. Ceci fut, en fait, le rôle de la gauche depuis l’invention du parlementarisme qui l’a générée : faire pire que la droite en décevant les espoirs des dominés parce que l’émancipation promise d’en haut n’arrive jamais jusqu’en bas. La gauche a réussi ainsi l’exploit masochiste de pousser les plus exploités, mais aussi les plus ignorants, les plus apeurés et les plus méchants (ce qui fait un nombre inquiétant) à s’afficher en nostalgiques de l’autorité de l’Etat, se méfiant – accablés par une paranoïa obsidionale – de tout lanceur d’alerte, de tout révolté qui invite à changer de cap quand la tempête sévit.

Ce mécanisme est la clé de lecture de toute relation de pouvoir et l’essence même de ce qu’est la stratégie visible de toute domination. Machiavel docet : convaincre les dominés qu’une autre domination est possible, bien pire et o combien dangereuse, ainsi que les dominés remercient leurs maîtres/bourreaux pour leur « généreuse » protection. Ainsi on fabrique un dictateur, peu importe son genre, mais presque toujours mâle ou ce qui en reste. La révolution numérique s’y emploie.

L’acratie a pour condition la paix et ne fonctionne pas en temps de guerre. C’est ainsi que le fascisme revient et sa guerre incivile s’impose dans un déjà vu désespérant. Ceci est le mécanisme qui pollue toute révolution et pour éviter une telle issue il faut dépasser (pas simplement nier, dépasser par les méthodes et les fins) l’approche autoritaire de la radicalité nécessaire à la constitution d’un monde humain : un nouveau monde solidaire et voué à l’amour de la vie organique.

L’amour au temps de la pandémie est entré partout dans ce type de turbulence. Prenons garde ! Le mieux est encore possible, mais le pire est en marche et il pourrait reprendre le pas de l’oie.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 16 mai 2021



[1] L’Etat est l’instrument politique du productivisme marchand porteur partout de la barbare rhétorique d’un nationalisme prédateur passé des Cités-Etat d’origine à l’Etat-nation et désormais, suite à la révolution numérique, à l’échafaudage d’un Etat planétaire, méga machine pour l’artificialisation définitive de toute vie organique.

[2] Fascisme allemand, italien et japonais, alors que le Conseil national de la résistance de la République française (CNR) a permis à la France de s’assoir à la table des vainqueurs en faisant oublier Vichy.

[3] Ce début visible de l’obsolescence de l’homme a été ensuite poursuivi jusqu’à Tchernobyl et Fukushima, symptômes planétaires majeurs de la « pacifique » guerre sans quartier que l’homo economicus a déclaré à la nature et à la vie organique.

[4] De plus en plus souvent on se réfère à l’ADN comme à l’essence intime de la réalité humaine d’un individu. Utilisée de manière inappropriée, cette reference pseudo-scientifique, me fait penser à une formule mécaniciste contournant le concept embarrassante de « race » si cher à la peste fasciste.