Ai tempi in cui Nietzsche lo prendeva in esame, l’ospite
inquietante, il nichilismo, si trovava come il nemico alle porte: oggi si è
accomodato nelle metropoli. Cosa è accaduto nel contempo? Cosa ha reso
possibile che tutto ciò si verificasse?
Nel tentativo di mettere a fuoco la situazione limite cui è
pervenuto il mondo contemporaneo, Ernst Jünger, nel saggio dedicato ad
Heidegger Oltre la linea (Ernst Jünger - Martin Heidegger, Oltre la
linea, Milano, Adelphi, 1989), dà avvio alla sua indagine prendendo spunto
dalla definizione che Nietzsche dà di se stesso nella Volontà di potenza
“primo perfetto nichilista d'Europa” che ha già attraversato
tutte le fasi del nichilismo e che, con il suo pensiero, ha dato la stura ad un
contromovimento che lo sostituirà.
Secondo l’autore, gli anni che ci separano dalla stesura del testo
nietzschiano - progettato nel 1887 - hanno visto all’opera riflessioni che si
sono così riempite di sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori,
replicandosi nella vita reale. Sottoposta all’impietosa critica del tempo e
vista dall’ottica degli osservatori posteriori, la dichiarazione di Nietzsche,
la sua prognosi favorevole, appare a Jünger troppo ottimistica. A
suo giudizio in Nietzsche il nichilismo, invece di essere affrontato come
processo terminale, è visto "piuttosto come fase di un processo
spirituale che lo comprende in sé". Fase che non solo la
civiltà, ma anche l’individuo "può superare in sé medesimo". Il
problema pare, dunque, annidato in questo passaggio, ovvero il salto dal
nichilismo a ciò che gli sta oltre e che al contempo lo comprende. Secondo
Jünger però ci troviamo "nel pieno sviluppo del nichilismo attivo"
e conseguentemente troppo affaccendati ne "gli aspetti in primo
piano del declino", il cui dominio e assorbimento è tale da non
"lasciare ancora spazio a considerazioni che conducano al di là di un
mondo di orrori". A ciò va anche aggiunto che lo spirito in
balia di un presente catastrofico, non ha la forza di innescare nuove tensioni
positive verso il futuro, non è in grado, in ultima analisi, "di
esercitare compiutamente il giudizio".
Proseguendo con Jünger, l’altra grande fonte per la conoscenza del
nichilismo è costituita dal Raskol’nikov di Dostoevskij.
Nietzsche e Dostoevskij, ai fini della esposizione della realtà
spirituale, rappresentano il rovescio della stessa medaglia e concordano nella
prognosi ottimistica. Paradigmatica ed illuminante ai fini di una definizione
del concetto di nichilismo è l’analisi della figura di Napoleone sviluppata dai
due autori. Nietzsche ne porta alla superficie i lati luminosi, la potenza;
Dostoevskij le zone d’ombra, il dolore. In sintesi: per Dostoevskij, preoccupato
soprattutto dei contenuti morali e teologici, il superamento del nichilismo
passa attraverso la via del dolore, per Nietzsche il punto di volta archimedico
è rappresentato dalla volontà. Entrambi, comunque, pur suggerendo rimedi
diversi, concordano nella prognosi ottimistica che è rappresentata, in ultima
analisi, dall’"attraversamento" della linea che funge da spartiacque
tra l’esserci del nichilismo ed il suo superamento, il suo non esserci. Il
nichilismo viene così inquadrato dai due autori "come una fase
necessaria all’interno di un movimento orientato a scopi precisi". Jünger,
nel tentativo di analizzare a che punto è giunto questo movimento, premette che
la risposta "sarà sempre controversa", essendo più
legata al modo in cui ci si dispone nei confronti della vita ed alle nostre
aspettative, che alla realtà data.
Jünger fa notare che la risposta, sia essa in positivo (ottimista)
o in negativo (pessimista), non si fonda su di essa.
L'ottimismo trova le sue radici più sulla volontà, il
principio-speranza, la prospettiva futura, che non sulla forza dei fatti. "Il
suo fulcro è più nel carattere che nel mondo". La forza dell’ottimismo
consiste nella sua capacità di raggiungere strati più profondi e non nella
forza dei fatti, purtuttavia esso è in grado di suscitarli, di evocarli.
"L'ottimismo può raggiungere strati in cui il futuro, ancora assopito,
viene fecondato".
Il contraltare dell’ottimismo non è, dunque, il pessimismo ma il
disfattismo, che alimenta un’atmosfera da prima delle cose ultime; al nemico che
avanza non si ha più nulla da contrapporre, né valori, né forza interiore. "Il
solo spargersi della voce nichilista lo dispone alla sconfitta".
Parallelamente, al crescere della debolezza dell’uomo diminuiscono le sue
resistenze al canto delle sirene del nulla, del nichilismo; il momento, cioè,
in cui tutti i valori si svalutano, per dirla con Nietzsche.
Questo processo di svalutazione dei valori era già stato
affrontato da Jünger nel testo Il lavoratore, ma a quell’epoca Jünger
riteneva "superfluo continuare a occuparsi di una transvalutazione dei
valori, basta vedere il Nuovo e prendervi parte". – Ma cos’è il nuovo
che avanza? – È il mondo della tecnica che emerge, ben visibile, quando si
diradano le nebbie provocate dalle tempeste d'acciaio della prima guerra
mondiale. Nelle voragini provocate dall’artiglieria pesante franano tutti i
valori ed i codici etico-comportamentali in cui aveva trovato la sua ragion
d’essere quell’universo fatto di soldati, ufficiali e funzionari dell’impero,
mirabilmente fissato nei romanzi di Joseph Roth. Il mondo delle fanfare, delle
parate militari, dei duelli d’onore, delle tattiche: in una parola l'arte della
guerra come forma e dispiegamento del contenuto della forma implode sotto il
peso dell’acciaio prodotto dai Krupp. È qui, sui campi di battaglia della prima
guerra mondiale che il mondo della tecnica riceve il suo battesimo di fuoco,
relegando l’uomo, la massa della soldataglia, al ruolo di materiale umano,
carne da macello subordinata all’universo della tecnica, l'astro nascente.
Jünger non tarda a rendersene conto e due anni dopo la
pubblicazione del saggio Il lavoratore (1932), dà alle stampe il celebre
Sul dolore, in cui comincia a campeggiare "l’idea che la tecnica
sia un fattore di nichilismo" (Franco Volpi, Il nichilismo,
Bari, Laterza, 1997).
Alla velocità di trasformazione della realtà impressa dalla tecnica
non corrisponde un adeguamento dell’umanità, delle istituzioni, del mondo delle
idee. Si crea uno squilibrio tra forma senza contenuto (teknè) e contenuto
(l’umanità) che decreta la condanna di quest’ultima all’impari sforzo di
inseguire una forma che corre più velocemente delle gambe umane. La tecnica
stessa viene ad assumere così i connotati di produttrice di nichilismo.
In Oltre la linea, in modo molto originale, ma peccando, a
giudizio di Heidegger, di eccessivo ottimismo, Jünger suggerisce come rimedio
ai mali prodotti dal nichilismo la "strenua difesa dei ristretti ma
inviolabili spazi dell’interiorità individuale" (Volpi ).
Supportato dalla convinzione che anche nei nostri deserti ci sono oasi in cui
"il Leviatano non ha accesso", Jünger scava la trincea
dalla quale è possibile contrastare il fuoco nemico.
In questo deserto che avanza, le oasi, come le chiama
Jünger, sono i territori in cui la libertà – che "non abita nel
vuoto", ma "dimora piuttosto nel disordinato e nell’indifferenziato,
in quei territori che sono sì organizzabili, ma che non appartengono
all’organizzazione" – può trovare un terreno fertile sul quale l’uomo
è in grado non solo di organizzare la resistenza, ma anche di capovolgere la
situazione e vincere.
Queste oasi sono il terreno dal quale fioriscono gli spiriti
liberi: che non temono la morte, contrastano il Leviatano praticando l’amore e
l’amicizia, privilegiano il dominio della forma su quello dell’utensile.
In un saggio dato alle stampe nel 1951, Der Waldgang, Jünger
affronta ancora una volta la questione delle oasi di libertà (il passaggio alla
foresta) e del ribelle (l’anarca). Per equipaggiarsi contro le insidie del
Leviatano, il ribelle "non deve lasciarsi imporre la legge da nessuna
forma di potere superiore, né coi mezzi di propaganda, né con la forza"
e deve essere in grado di proteggersi, sia sfruttando che detournando idee e
tecniche del suo tempo, sia "mantenendo vivo il contatto con quei
poteri che, superiori alle forze temporali, non si esauriscono mai in puro
movimento". Solo a queste condizioni il ribelle potrà intraprendere il
passaggio nel bosco e varcare "con le proprie forze il meridiano
zero".
È necessario, a questo punto, far rilevare che, contrariamente a
quanto pensa Heidegger aprendo nel 1955 il contenzioso sulla linea, varcare il
"meridiano zero", cioè andare oltre la linea di demarcazione
del nichilismo, non vuol dire per Jünger lasciarselo definitivamente alle
spalle.
Detto altrimenti: gettare lo sguardo oltre la linea di demarcazione
del nichilismo che separa l’avvenuto svanimento, la svalutazione e la decadenza
dei valori del vecchio mondo retto dalla metafisica, non significa per Jünger
ritrovarsi hic et nunc nel nuovo mondo. E Jünger lo dice chiaramente: "l’attraversamento
della linea, il passaggio del punto zero divide lo spettacolo; esso indica il
punto mediano, non la fine. La sicurezza è ancora lontana".
Heidegger – che fin dagli anni trenta era stato un attento ed
interessato lettore di Jünger e dal quale, non dimentichiamolo, aveva mutuato
il concetto di tecnica – abbagliato dalla lettura del saggio Il lavoratore,
nel 1955 dedica a Jünger, per il suo sessantesimo compleanno, il saggio
intitolato Zur Seinsfrage (La questione dell’essere). In questo periodo,
Heidegger era appena uscito dall’abisso delle letture e del confronto con
Nietzsche, ed è evidente che il tema del nichilismo lo interessasse in modo
particolare. Il cammino dei due pensatori tedeschi s’incrocia nuovamente.
I due problemi sui quali si era soffermato l'interesse speculativo
di Heidegger per Jünger erano quelli della tecnica e della metafisica
nietzschiana della volontà di potenza. E proprio da questi due punti prende le
mosse, non senza forzature interpretative, la critica heideggeriana alle tesi di
Jünger, rimproverato di non aver compreso appieno né la metafisica nietzschiana
della volontà di potenza, né il carattere totale, planetario della forma del
lavoro che altro non è che la volontà di potenza giunta, attraverso il dominio
della tecnica, al suo stadio di avvenuta maturazione.
Secondo Heidegger – e qui sta la forzatura – Jünger, limitandosi
ad una descrizione letteraria, non riesce a pervenire all’essenza del problema
poiché trascura di metterlo in rapporto con la questione fondamentale: la questione
dell’essere.
Infatti Heidegger, pur riconoscendo che Il lavoratore è
"un’opera di peso", perché "mette in atto ciò
di cui finora la letteratura nietzschiana si è mostrata incapace, ossia
fornisce un'esperienza dell’ente e del modo in cui l'ente è, alla luce del
progetto nietzschiano dell'ente come volontà di potenza”, osserva tuttavia
che naturalmente con ciò “la metafisica di Nietzsche non è assolutamente
capita nel modo del pensiero". In altre parole; secondo
Heidegger ciò che Jünger non riesce a cogliere è proprio l'essenza del
nichilismo.
Per Heidegger l’aver trascurato la questione fondamentale (la
questione dell’essere) condanna la rappresentazione jüngeriana ad essere niente
altro che un'avvincente descrizione letteraria del nichilismo. Descrizione che,
alla stessa stregua dell’opera di Nietzsche, rimane prigioniera del nichilismo
stesso senza oltrepassarlo. Coerentemente col suo punto di vista, Heidegger
contende a Jünger la localizzazione della linea di demarcazione del nichilismo.
"Lei guarda e procede al di là della linea; io mi accontento solo di
volgere lo sguardo sulla linea da lei rappresentata".
Il termine über (oltre) nel titolo Oltre la linea (Über
die Linie), secondo lui, deve essere inteso nel senso di un de linea
(della linea, a proposito della linea) e non di un trans lineam (oltre
la linea, al di là della linea). "Invece di volere oltrepassare il
nichilismo, dobbiamo prima raccoglierci nella sua essenza (Wesen)".
E l'essenza del nichilismo può essere colta solo in rapporto alla storia
dell’essere. Nel fare la storia dell’essere, tuttavia, quest’ultimo non può venire interpretato come
pura e semplice presenza, come esserci dell’essere, come ente. Riducendo
l’essere ad ente il pensiero occidentale, da Platone in poi, commette quel travisamento
dell’essere, in senso metafisico, di cui è espressione la filosofia occidentale
fino a Nietzsche. Quindi: dato che per Heidegger il contenuto essenziale della
storia dell’Occidente è il nichilismo, scrivere la storia del pensiero
metafisico equivale a scrivere la storia del nichilismo occidentale. Storia
che, secondo questa interpretazione, prende le mosse dal travisamento platonico
del vero senso dell’essere e giunge a compimento nel pensiero di Nietzsche.
Alle origini della filosofia l’ente nella sua totalità era
"lasciato-essere" e si scopriva come physis che per i greci
antichi era l'essere stesso che si rivela, si presenta da sé.
A partire da Platone, invece, l'uomo diviene la "figura
che si fa portatrice del progetto di padroneggiamento conoscitivo e operativo
di tutto ciò che è" (Volpi), dando inizio alla storia della metafisica
occidentale.
Il problema, come Heidegger farà notare nella Lettera
sull'umanesimo, è che dai limiti e dalle inadeguatezze del linguaggio della
metafisica – che identifica l’essere con l’ente, con l'oggetto, condannando
l'essere all’oblio metafisico – non ci si libera con un colpo di spugna. Il
linguaggio della metafisica è il "destino" stesso per cui l'essere si
rivela nascondendosi, e quindi esso è qualcosa di più di un semplice
"errore" teoretico. Per Heidegger questo celarsi dell’essere è
riconducibile alla storia stessa dell’essere che a sua volta dipende
dall’essere stesso. Visto da questa angolatura, il mondo contemporaneo, dominato
dalla tecnica, coincide con l’avvenuto compimento della metafisica occidentale.
Per indicare l’essenza della tecnica Heidegger usa il termine
"Gestell" (montatura), inteso come "essenza di ciò che è
posto, artefatto, in contrapposizione a ciò che nasce e cresce spontaneamente,
come gli enti per natura" (Volpi). La tecnica, "in quanto
mobilitazione totale del mondo nella forma del lavoro, è la figura epocale in
cui l’essere si manifesta e al tempo stesso si occulta al termine del destino
metafisico dell’Occidente. Platonismo e nichilismo appaiono quindi a Heidegger
come i due estremi dello stesso paradigma – la metafisica – ed entrambi vengono
considerati come omogenei e funzionali all’essenza della tecnica. Questa è
l’ultima forma di metafisica, cioè di platonismo, così come la metafisica è la
preistoria della tecnica, cioè del nichilismo". (Volpi).
Negli anni '50, gli anni del dopoguerra, del boom economico, della
ricostruzione e della guerra fredda, Heidegger non è l'unica voce a levarsi
contro il dominio della tecnica. Nel 1951 appare il saggio di Günther Anders Kafka.
Pro e contro, in cui il grande scrittore viene tratteggiato come una sorta
di mistico nell’era della tecnica, un poeta sconvolto dalla "prepotenza
del mondo reificato". Dello stesso periodo è anche il famoso romanzo
di Aldous Huxley Il mondo nuovo, in cui il nuovo mondo non è altro che
il vecchio privato della sfera politica e sottomesso al domino della tecnica,
che ormai è in grado di programmare in provetta anche i destini e le
professioni degli uomini. Nel 1953 viene dato alle stampe il saggio La
perfezione della tecnica, scritto da Georg Jünger in risposta a Il
lavoratore, nel quale suo fratello Ernst, non avendo ancora cambiato
fronte, faceva l’apologia della tecnica sostenendo che essa raggiungerà il suo
grado di perfezione quando sarà tecnicizzata anche l'interiorità dell’uomo, il
soldato/lavoratore. Secondo Georg Jünger, invece, è proprio questa
tecnicizzazione dell’interiorità a trasformare radicalmente i bisogni dell’uomo
condizionandoli e limitandoli all’universo della tecnica, che si trasforma in
una sorta di "Deus ex machina" che regge le sorti del pianeta.
L'attuale fase pandemica in cui è coinvolto il pianeta, oltre ad
essere occasione per riflessioni sui
“reali benefici” della tecnica e del sistema capitalistico tout court che ne è
alla base, cosa rappresenta se non una rivincita della natura sulla tecnica? È infatti necessario evidenziare come la pandemia e la
rapidità della sua diffusione siano da ricollegarsi alla “standardizzazione delle
condizioni di esclusione economica”.[1]
È bastato un microscopico virus per rimettere in discussione
qualsiasi linea di superamento del nichilismo e spostarla ad infinitum.
[1]https://barraventopensiero.blogspot.com/2021/05/paradossi-e-aporie-della-pandemia-louis.html?spref=fb&fbclid=IwAR1qbXBPPVQps_BwtrZaA3gwhxDQyKCFpjsnftpnsyLqbT9ZW8DfpMYiVRQ