giovedì 6 maggio 2021

Problemi di linguaggio e di linguaccia

 





Il linguaggio inclusivo è un’ultima forma di esclusione perché s’illude di sconfiggere il dominio patriarcale senza superarlo. Anziché svuotarlo del potere che lo abita, lo indica al pubblico ludibrio come una vergogna immorale, una sorta di me too grafico che si limita, ossessivamente, al bigottismo di una denuncia esorcistica, senza altro effetto che la repressione confusionista del discorso scritto. Dietro una liturgia egualitaria che non va alla radice, questo esorcismo spettacolare conserva l’essenza del suprematismo maschilista (le parole continuano ad essere maschili o femminili, al massimo neutre, e il loro genere varia secondo le lingue; per l’orale, del resto, come la mettiamo?). Non si tratta di modernizzare il linguaggio ideologicamente, ma di rendere acratico l’uso che se ne fa.

Forse è inevitabile che prima di arrivare a distruggere il mostro che ci perseguita se ne brucino le icone proponendo – religiosamente, di fatto – solo un mostro alternativo al totemismo dominante. La componente binaria della stupidità umana non conosce dialettica, o troppo poco. Si accontenta dell’ideologia che è sempre un B dipendente dall’A che vorrebbe negare, facendo vincere simbolicamente il bene sul male, il paradiso sull’inferno, la merce sulla merce.

Non è stato un caso che gli ideologi del proletariato ne abbiano sognato la dittatura anziché l’auto abolizione emancipatrice, prima che il dominio di classe si pastorizzasse nella schiavitù radicale di un salariato finale che ha sconfitto la lotta del proletariato che la conduceva. La quale lotta, finale non è mai stata e non poteva esserlo visto che il senso della lotta sociale è l’inizio del nuovo e non la fine del vecchio; è il superamento, non la negazione.

Ce n’est qu’un début, continuons le combat” e soprattutto niente barricate spettacolari per far credere che si è già i soggetti carnevaleschi di un mondo nuovo quando lo si immagina sempre, purtroppo, in bianco e nero, come la morale, senza la ricchezza multicolore e festiva delle differenze.

La rabbia e l’insurrezione del femminile sono sacrosante e necessarie, ma meritano meglio di un asfittico linguaggio inclusivo, altro di una collera bi-millenarista, più conformista che impotente ma sintomaticamente maschilista, che si accontenta di storpiare le parole come brucia ogni tanto un po’ dell’abbondante spazzatura del vecchio mondo senza metterlo minimamente in pericolo. Le sparute bande di spazzini rivoluzionari che emergono dal nulla per poi ritornarvi, funzionano anzi da antibiotico che devitalizza il germe fragile della rivolta che si cerca, fino a spingere i servitori non ancora totalmente volontari a diventarlo, unendosi alle schiere dei seguaci idioti dello Stato al servizio del Mercato.

Resi diffidenti dalla rabbia becera e suprematista di qualche infima minoranza che non manca mai nel mondo statico del sopruso e dello sfruttamento diffusi, masse di potenziali individui autonomi ma bisognosi di una mutazione profonda, s’inginocchiano di fronte all’ignoranza coltivata, cercando nel potere dominante un’improbabile protezione da fantomatiche orde di barbari fanatici. In realtà, questi diavoli fantasticati, questi rivoltosi educati dall’oscurantismo capitalista alla competizione permanente, sono spesso soltanto degli arrabbiati spontanei e confusi, dei cosacchi appiedati vittime predestinate dell’alienazione e della reificazione. Spaccando qualche odioso feticcio del totalitarismo finanziario (oltre che, en passant, i coglioni di un popolo disprezzato e cornuto da tutti i poteri, ufficiali o alternativi che siano), finiscono per abbeverare i loro cavalli ideologici nella vita quotidiana disastrata dei sottomessi e degli addomesticati di cui cortocircuitano definitivamente il difficile processo di emancipazione da un super-io che li bombarda e li umilia quotidianamente.

I nemici autoproclamati della “patria” (quando non sono chiaramente inventati machiavellicamente da qualche piccolo Principe di una nazione falsamente democratizzata e ridotta a prostituirsi per lo Stato)[1] sono i suoi migliori alleati insieme ai gendarmi che li manganellano usandoli strategicamente da utili idioti. Non uno dei sovversivi piromani di cassonetti della spazzatura può davvero credere di operare per una rivoluzione sociale che viene solo dal superamento, non da distruzioni simboliche, senza domani e in fin dei conti nocive[2].

La rivoluzione spettacolare è un happening senza futuro laddove “no future” è una tragica constatazione morbosa, non un progetto. Nessun progetto, in effetti, per chi agisce nell’ambito del feticismo o dell’antifeticismo della merce. Non più di quanto ne abbiano le “orde” di tifosi pronti a combattere e a rischiare la vita per il Milan, il Real Madrid, la Juventus o il Paris St. Germain, mentre i loro idoli strapagati, dirigenti, presidenti, allenatori e giornalisti “complottano” per ridurre definitivamente il loro gioco preferito a una partita doppia borsistica senza pallone e senza senso, dove la noia è l’unica emozione che si accoppia con il denaro in un fuorigioco perpetuo.

Lo sport e il calcio in particolare, come la politica (panem et circenses), è un diversivo che occupa gli schiavi voyeuristicamente, escludendoli dalla pratica dell’uno come dell’altra. Che votino ancora o no, che vinca o perda la loro squadra del cuore, a vincere è sempre il portafoglio non dei credenti ma dei dirigenti e degli officianti, dai goleador mitici ai semplici chierichetti dello spogliatoio e della panchina il cui salario minimo si calcola comunque in milioni.

Nessuno dei rivoltosi senza rivoluzione che agitano le bandiere di un partito o di una squadra, arriva neppure a immaginare un mondo umano senza vincitori né vinti. La disumanità di questi sconfitti ai quali l’oligarchia concede ogni tanto quindici minuti di celebrità in un carnevale con la maschera da vincitori, è un’optional della disumanità generalizzata che rimuovono senza combatterla.

Per qualunque servitore volontario, e ancor meglio se caratterialmente fascista di destra o di sinistra, chiunque osi anche solo sognare un mondo umano è un illuso e in fin dei conti un nemico in un mondo di soli nemici. Mors tua, vita mea: viva la muerte! I soli alleati, come in ogni esercito, sono i camerati che combattono lo stesso nemico. Niente di più. La comunità in quanto progetto non esiste e ne prende il posto un comunitarismo fondato su dogmi, divieti, totem, tabù e gerarchie. Esattamente come avviene da sempre nel mondo dominante produttivista e suprematista.

È contro questo magma purulento e ormai diffuso su tutto il pianeta che bisogna battersi; contro questa peste emozionale e sociale che osa chiamarsi civiltà e denomina in francese “sauvageon[3] chiunque le si opponga. A che scopo un linguaggio inclusivo nei nostri mail, SMS o altre sacre ostie ingoiate a ogni ora del giorno e della notte di una sopravvivenza sempre più miserabile per gli uomini quasi quanto per le donne? La coscienza umana in fieri (ma è suo/nostro interesse far presto, prima che sia troppo tardi) è ormai costretta a confrontarsi con la fine programmata della vita organica.

La rivoluzione digitale comporta una dose spaventosa di controrivoluzione perché è portatrice della soluzione finale dell’economia politica. Il potere pandemico di questa teologia economicista va distrutto nelle nostre vite rimettendole al centro di un progetto di società organica autogestita collettivamente e individualmente. In proposito, nessun vaccino è in vista, né probabile o auspicabile. Soltanto la nostra coscienza – di ognuna, di ognuno e di tutti, insieme alle decisioni che essa comporta – potrà risolvere questo problema sociale maggiore che ci impedisce di vivere.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 1 maggio 2021



[1] Se Machiavelli tornasse oggi sarebbe accalappiato nelle spire del complottismo di cui l’anticomplottismo è il peggior prodotto. In realtà è stato un precursore dei lanceurs d’alerte, assolutamente lucido dei meccanismi di potere più che mai attuali, senza bisogno d’inventarsi complotti di nessun genere. Il capitalismo, ultimo figlio del produttivismo, non fa che concludere il processo di artificializzazione della vita iniziato settemila anni fa. Altro che complotto, sette di illuminati, extraterrestri e altri deliri!

[2] Fuggendo una volta di più la logica binaria (pacifismo/lotta armata) sono d’accordo con Raoul Vaneigem quando parla di “guerriglia demilitarizzata”. R. Vaneigem, Ritorno alla base, Nautilus 2021.

[3]) Il termine è usato e abusato con una connotazione di disprezzo paternalista e suprematista, nel senso di ignorante, incivile, primitivo, riprendendo gli schemi classici del bravo colonialista di fronte al cattivo “selvaggio”.




Problèmes de langage et de mauvaise langue

Le langage inclusif est une dernière forme d’exclusion car il cultive l’illusion de vaincre la domination patriarcale sans la dépasser. Au lieu de la vider du pouvoir qui l’habite, il l’indique à la moquerie publique comme une honte immorale, une sorte de me too graphique qui se limite, obsessionnellement, au bigotisme d’une dénonciation exorciste, sans autre effet que la répression confusionniste du discours écrit. Derrière une liturgie égalitaire qui ne va pas à la racine, cet exorcisme spectaculaire garde l’essence du suprémacisme machiste (les mots sont toujours masculins ou féminins, voire neutres, et leur genre change selon les langues ; pour l’oral, d’ailleurs, que faire ?). Il n’est pas question de moderniser la langue de façon idéologique, mais d’en faire un usage acratique.

C’est, peut-être, inévitable, avant d’arriver à détruire le monstre qui nous hante, que ses icônes soient brûlées, en proposant – religieusement, en fait – uniquement un monstre alternatif au totémisme dominant. La composante binaire de la stupidité humaine ne connaît pas de dialectique, ou si peu. Elle se contente de l’idéologie qui est toujours un B dépendant du A qui voudrait nier, en faisant gagner le bien sur le mal, le paradis sur l’enfer, la marchandise sur la marchandise.

Les idéologues du prolétariat n’ont pas rêvé par hasard la dictature de celui-ci en lieu de son auto abolition émancipatrice, avant que la domination de classe ne se pasteurise dans l’esclavage radical d’un salariat final qui a vaincu la lutte menée par le prolétariat. Une lutte qui, en fait, n’a jamais pu être finale car le sens de la lutte sociale est le début du neuf et non pas la fin du vieux ; c’est le dépassement et non pas la négation.

Ce n’est qu’un début, continuons le combat” et surtout pas de barricades spectaculaires pour faire croire qu’on est déjà les sujets du carnaval d’un monde nouveau qu’on imagine, hélas, toujours en noir et blanc, comme la morale, sans la richesse multicolore et festive des différences.

La rage et l’insurrection du féminin sont sacrosaintes et nécessaires, mais elles méritent mieux qu’un langage inclusif étouffant, autre chose qu’une colère bi millénariste, plus conformiste qu’impuissante, mais symptomatiquement machiste, qui se contente de déformer les mots ainsi qu’elle brule, ici là, un brin de l’abondante poubelle du vieux monde sans mettre celui-ci aucunement en danger. Les maigres bandes d’éboueurs révolutionnaires qui émergent de nulle part, puis y reviennent, fonctionnent même comme un antibiotique qui dévitalise le germe fragile de la révolte qui se cherche, au point de pousser les serviteurs pas encore totalement volontaires à le devenir, en rejoignant les rangs des suiveurs idiots de l’Etat au service du Marché.

Rendus méfiants par la colère vulgaire et supremaciste d’une minuscule minorité qui ne faillit jamais dans le monde statique des abus et de l’exploitation généralisés, des masses d’individus potentiellement autonomes mais besogneux d’une mutation profonde, s’agenouillent face à l’ignorance entretenue, en cherchant dans le pouvoir dominant une improbable protection contre des hordes fantomatiques de barbares fanatiques. En fait, ces diables fantasmés, ces furibonds éduqués par l’obscurantisme capitaliste à la compétition continue, ne sont souvent que des enragés spontanés et confus, des cosaques à pied victimes prédestinées de l’aliénation et de la réification. En détruisant quelques fétiches haïssables du totalitarisme financier (et cassant aussi, en passant, les couilles d’un peuple méprisé et cocu par tous les pouvoirs, officiels ou alternatifs qu’ils soient), finissent par abreuver leurs chevaux idéologiques dans le quotidien délabré des soumis et des domestiqués dont ils court-circuitent définitivement le difficile processus d’émancipation d’un surmoi qui les bombarde et les humilie au quotidien.

Les ennemis autoproclamés de la « patrie » (quand ils ne sont pas clairement inventés de façon machiavélique par quelques petits Princes d’une nation faussement démocratisée et réduite à se prostituer pour l’Etat)[1] sont ses meilleurs alliés, pêle-mêle avec les CRS qui les tabassent en les utilisant stratégiquement comme des idiots utiles. Pas un seul des subversifs incendiaires de poubelle peut vraiment croire d’œuvrer pour une révolution sociale alors que celle-ci vient uniquement par le dépassement, jamais par des destructions symboliques, sans lendemain et finalement nuisibles[2].

La révolution spectaculaire est un happening sans futur la où « no future » est un tragique constat morbide et non pas un projet. Aucun projet, en fait, pour ceux qui agissent dans le domaine du fétichisme ou de l’anti fétichisme de la marchandise. Pas plus que pour les « hordes » de tifosi prêts à se battre et risquer leur peau pour le Milan, le Real Madrid, la Juventus ou le Paris St. Germain, alors que leurs idoles ultra payés, dirigeants, présidents, entraineurs et journalistes « complotent » pour réduire définitivement leur jeu préféré à une joute boursière sans ballon ni sens, où l’ennui est la seule émotion qui s’accouple avec l’argent dans un hors-jeu perpétuel.

Le sport et le football en particulier, comme la politique (panem et circenses) est une diversion qui occupe les esclaves de façon voyeuriste, en les excluant de la pratique de l’une comme de l’autre. Qu’ils votent encore ou pas, que leur équipe bienaimée gagne ou perd, à gagner est toujours le portefeuille non pas des croyants mais des dirigeants et des officiants – des mythiques goleadors aux simples enfants de cœur du vestiaire et du terrain dont le smic se calcule toujours en millions.

Aucun des émeutiers sans révolution qui agitent les drapeaux d’un parti ou d’une équipe, n’arrive même pas à imaginer un monde humain sans gagnants ni perdants. L’inhumanité de ces vaincus auxquels l’oligarchie octroie parfois quinze minutes de célébrité dans un carnaval avec le masque du vainqueur, est un optional de l’inhumanité généralisée qu’ils refoulent sans la combattre.

Pour n’importe quel serviteur volontaire, encore mieux si caractériellement fasciste de droite ou de gauche, quiconque ose même rêver d’un monde humain se trompe et est finalement un ennemi dans un monde peuplé d’ennemis seulement. Mors tua, vita mea: viva la muerte! Comme dans toute armée, les seuls alliés sont les camarades combattant le même ennemi. Rien de plus. La communauté en tant que projet n’existe pas et un communautarisme basé sur des dogmes, des interdictions, des totems, des tabous et des hiérarchies prend sa place. Exactement comme cela a toujours été le cas dans le monde productiviste et supremaciste dominant.

C’est contre ce magma purulent et désormais répandu sur toute la planète qu’il faut se battre ; contre cette peste émotionnelle et sociale qui ose s’appeler civilisation et qui dénomme sauvageon[3] quiconque s’oppose à elle. A quoi bon l’invention tordue d’un langage inclusif dans non emails, SMS ou autres hosties sacrées avalées à chaque heure du jour et de la nuit d’une survie de plus en plus misérable pour les hommes presque autant que pour les femmes ? La conscience humaine en devenir (mais c’est son/notre intérêt de faire vite avant qu’il ne soit trop tard) est désormais obligée de se confronter avec la fin programmée de la vie organique.

La révolution digitale comporte une dose effrayante de contrerévolution car elle est porteuse de la solution finale de l’économie politique. Il faut détruire le pouvoir pandémique de cette théologie économiste dans nos vies en remettant celles-ci au centre d’un projet de société organique autogérée collectivement et individuellement. A ce propos aucun vaccin n’est en vue, ni probable ou souhaitable. Seule notre conscience – de chacun, de chacune et de tous, avec les décisions qu’elle implique – pourra résoudre ce problème social majeur qui nous empêche de vivre.

Sergio Ghirardi Sauvageon, 1 mai 2021



[1] Si Machiavel revenait, il serait aujourd’hui pris dans les tentacules du complotisme dont l’anticomplotisme est le pire produit dérivé. En fait Machiavel fut un précurseur des lanceurs d’alerte, absolument lucide à propos des mécanismes de pouvoir plus que jamais actuels, sans besoin de s’inventer aucun complot. Le capitalisme, dernier enfant du productivisme, ne fait qu’achever le processus d’artificialisation de la vie commencé il y a sept mille ans. Rien à faire avec un complot, avec des sectes d’Illuminati, extraterrestres et autres délires !

[2] En fuyant, une fois de plus, la logique binaire (pacifisme/lutte armée), je suis d’accord avec Raoul Vaneigem quand il parle de « guérilla démilitarisée ». R. Vaneigem, Retour à la base, Alterlivres 2021.

[3] Le terme est utilisé et abusé avec une connotation de mépris paternaliste et supremaciste, dans le sens d’ignorant, non civilisé, primitif, en reprenant les schémas classiques du bon colonisateur face au mauvais « sauvage ».