domenica 24 maggio 2009

Barravento si comincia!!!

UN PUNTO NELLO SPAZIO

In uno spazio che attende di essere sgombrato, che ha necessità di essere sgombrato, mentre tutti i giorni, viceversa, vi è chi ulteriormente lo ingombra e lo sovraccarica.
Lo spazio è la condizione della libertà, il suo naturale habitat, nella distanza che allo stesso tempo separa e raccoglie i soggetti distinti nella loro autonomia.
Lo spazio è ugualmente quello in cui, uno per volta, gli eventi possono presentarsi per essere giudicati dalla dialettica degli sguardi convergenti di tutti coloro che hanno piacere ed interesse di guardarli.
Lo spazio è condizione per l’esistere del mondo: quel mondo che oggi, ricoperto da quella spessa disgustosa patina che ha nome “società”, si stenta sovente a credere persino che ancora esista.
Nel corretto evolvere delle vicende umane, dovrebbe essere questo spazio a preesistere e a richiamare gli sguardi: poiché, per molte ragioni, da molto tempo le vicende umane si sono evolute alla rovescia, e ogni sguardo possibile è perennemente intralciato dalla proliferazione ignobile della paccottiglia mercantile, abbiamo deciso – allestendo Barravento, la tempesta che non lascia scampo nel linguaggio dei pescatori di Bahia – di provare a evocare questo spazio grazie al convergere caparbio degli sguardi, un poco alla maniera in cui, costruendo lo spazio del pentacolo, si invocava la visita di Satana, il primo di coloro cui fu fatto torto.
Barravento perciò, nella nostra volontà, NON E’ UNO SPAZIO, ma un punto di vista. Per essere più precisi, due punti di vista, solidali eppure non sovrapposti, che osservano la società cercando di scoprire il mondo (e le sue possibilità, come canta il poeta – cfr Ballerini) celato sotto il pantano sociale. E che, guardando, rispecchiano e rilanciano altri sguardi, che procedono da diversi e magari remoti punti di vista.
In fin dei conti, ciascuno è anche uno specchio, che rifrange all’infinito le luci che lo illuminano. Noi vorremmo però distinguere, scegliere, ad una ad una, queste luci: come nella creazione dei vini più rari, ancora in vigna, la prima, decisiva, operazione, è quella di riconoscere, acino per acino, ciò che giova al proprio disegno. Così, spesso, si scarta non solo ciò che è guasto o superfluo, ma anche solo ciò che è sovrabbondante, o semplicemente non consono con il progetto.
Questo per intendere due punti decisivi: qui verrà pubblicato quel che ci garba, secondo criteri solo nostri, che ci derivano precisamente da quel punto di vista di cui scrivevamo sopra. Questo comporterà che ci potrà apparire opportuno rilanciare scritti presenti o passati che non condividiamo, o di persone che né amiamo né stimiamo: ma che avremo giudicato utili per nutrire le nostre ragioni. Se qualcuno ritenesse di giudicare le nostre affermazioni, sarà opportuno che si riferisca all’uso che avremo fatto di testi non nostri, e non già ai testi stessi, meriti e demeriti dei quali andranno in ogni caso ascritti ai loro autori e non a noi.
Ugualmente, non abbiamo assolutamente intenzione di pubblicare testi, interventi o altro materiale unicamente perché ne condividiamo il senso; e meno ancora per il motivo che, a spedircelo, sono state alcune fra le tante persone che ci sono care.
Per conseguenza, nessuno potrà validamente sollevare il tema della censura: Barravento non nasce perché ci venga pubblicato tutto, salvo quanto avremo censurato. Ma perché vi venga pubblicato unicamente quel poco o quel tanto che ci sarà parso utilizzabile per consolidare e precisare i NOSTRI punti di vista. Il materiale che verrà inviato, quindi, non rilascia il menomo diritto, non solo alla pubblicazione, ma neppure a una motivazione, foss’anche privata, della mancata pubblicazione. Lanci chi vuole, dal luogo del suo naufragio, quante bottiglie crede, con i messaggi che meglio gli si attagliano. Ma si astenga dal pretendere che qualcuno li raccolga. Qui vige da cima a fondo il nostro arbitrio. Il nostro suggerimento, che non va letto come una formula di cortesia, ma come un preciso e caloroso invito, è che chi vuole avere un luogo da cui diffondere senza limitazioni il punto di vista suo, se lo costruisca senz’altro, su un piano, se crede, di reciprocità con questa nostra impresa. E con le mille altre analoghe.
Noi, infatti, riteniamo che in rete sia impossibile dare vita a uno spazio pubblico, se non altro per la banale ragione che la rete manca delle caratteristiche distintive dello spazio; ma riteniamo con uguale forza che, tramite la rete, sia possibile creare degli strumenti che ne aiutino l’apparizione. E’ evidente che tale apparizione potrà realisticamente darsi solo sulle macerie della società, della società presente e di ogni società possibile. Intendendo qui per società quel processo che privatizza totalitariamente ogni spazio e socializza ogni momento, rendendo parallelamente impossibili sia la luce pubblica, sia il suo indispensabile rovescio, l’ombra privata, sostituendo a entrambe un perpetuo crepuscolo artificiale. Intendendo, per esprimersi chiaramente, la società come la negazione della libertà, per il banale motivo che ne occupa abusivamente lo spazio. Poiché la società in cui siamo imprigionati è pervenuta già da alcuni decenni alla fase di una bulimica autofagia, si può serenamente affermare che, se qualcosa ci farà difetto, non saranno di sicuro le macerie (1). Delle quali, viceversa, esiste un’angosciosa sovrabbondanza. Ciò che manca è, invece, lo spazio sgombro, il tempo affrancato dal galoppo macabro delle merci e del loro riflesso spettrale. A partecipare alla creazione di questo spazio dove possano liberamente incrociarsi, davvero “lampi di luce nel regno delle tenebre”, le passioni di molti, invitiamo coloro che ci leggono.
Scrivete, dunque, e moltiplicatevi. (citazione da Sade)


Voi siete qui....


(1) Sulla questione delle macerie vedi anche la Arendt su Benjamin del pescatore di perle