giovedì 29 marzo 2012

Abbasso la democrazia: un Sistema da perdere, la vita da guadagnare




Credo che siamo alla verifica di quanto sia dannoso un sistema democratico in una società capitalista; l'atomizzazione degli individui, spogliati di qualsiasi coscienza di classe o di appartenenza culturale, regrediti alle differenze etniche, razziali, sessuali o religiose, impauriti come animali davanti a qualsiasi potere che non riescono a comprendere né tantomeno a fronteggiare, chiamati alle urne direttamente dal televisore, decidono per se stessi e per gli altri con la stessa banalizzazione che se dovessero scegliere il colore del divano.
Cullati nella beata ignoranza di qualsiasi minima regola economica o giuridica, si affidano al primo viso reso noto dallo schermo come ad un parente, giudicano e votano con la pancia e il portafogli, analfabeti che non reggono nemmeno un dialogo di un film, o la lettura di un testo che superi le venti righe.
Questa massa amorfa e incosciente è la zavorra che rischia di portarci tutti a fondo in nome del diritto di voto che pure loro pretendono, e noi forse scioccamente continuiamo a difendere, ben sapendo che il corrispondente dovere lo lasceranno a qualcun altro, uno degli ultimi arrivati, un diverso, un ribelle, magari solo uno meno "fortunato". 
Abilmente si spostano sul gradino meno vicino all'orlo del precipizio e semmai ci spingono qualcun altro in modo da non essere mai “il prossimo”.
Giudicano se stessi e i propri sodali, con un metro diversissimo da quello che usano per gli altri.
Allevano la prole con questa furbizia e tracotanza.
Quindi diciamocelo chiaramente, questa massa non è rivoluzionaria, anzi è nemica di qualsiasi cambiamento che sarebbe per costoro foriero di perdite di privilegi immeritati (pensioni o stipendi a sbafo, agevolazioni e uso di fondi e beni pubblici ottenuti con la frode).
E temo di non sbagliarmi se dico che saranno ancora capaci di portare in Parlamento il peggio che c'è, pur di non fare mai i conti con il proprio reale ruolo nella società che proprio sulla loro passività si è costruita e quindi mai li abbandonerà o li vorrà svegliare dal sonno profondo.
A mio avviso ci rimane solo una strada: non confidare più nelle istituzioni, controllarle e sputtanarle il più possibile da fuori e costruire alternative di sopravvivenza e solidarietà con persone libere e responsabili, scrivendo un nuovo patto in tal senso, uno+uno+uno+uno+++++, offrendo al sistema ogni sorta di non-collaborazione più ancora che di disobbedienza, diventando invisibili e sconosciuti allo stato e i suoi scagnozzi. 
Gandhi diceva: potranno avere il nostro cadavere ma non la nostra obbedienza
La vera guerra sarebbe lo sciopero totale delle imposte e quindi la scelta del lavoro totalmente in nero e senza padrone, nessun bene patrimoniale, mobile o immobile, nessuna carta di credito, nessun conto corrente, (un po’ come fanno i preti o gente come Formigoni intestando tutto alle fondazioni e i trusts) e imparando a costruire una solida felicità senza i soldi.
E facendo saltare il sistema dell’informazione non dandole più alcun peso, alcun ascolto, alcuna collaborazione.
Il mondo marcio che ci obbligano a sostenere deve finire e chi lo ama lo segua.
Finché dura questo sistema noi ormai abbiamo da perdere solo la vita e non sono e mai sarò disposta ad ammazzarmi per pagare le loro cartelle esattoriali.
Però abbiamo anche da guadagnare la libertà e non mi sembra così poco!


mercoledì 28 marzo 2012

LA TERZA VIA




La situazione politica attuale concerne ormai tanto ogni diversa situazione locale che la dimensione planetaria. Ognuno può leggerla a partire dalla sua situazione particolare ma alcuni insegnamenti generali ci riguardano tutti e comunque.
Ciò pone secondo me, la questione di un altro approccio alla politica, all’organizzazione della resistenza e alla questione sociale che abbiamo forse perduto di vista nel trasloco forzato e ininterrotto fin dalla sconfitta vittoriosa del maggio 68 e dintorni.
Le considerazioni seguenti vengono da lontano, ma mi sembrano oggi più centrali che mai:

1) La democrazia rappresentativa è l’appropriazione del potere politico degli individui, ribattezzati elettori da parte di chi ha deciso di  rappresentarli. Il voto funge da legittimazione formale dei “padroni” e garantisce al contempo la separazione permanente tra la soggettività individuale e ogni potere politico.
La democrazia rappresentativa segue il corso dello sviluppo borghese originario passando dalla funzione di compromesso e di arbitrato tra borghesi in conflitto aperto tra loro al ruolo di strumento di uno Stato centralizzato (“è la mia natura” direbbe lo scorpione di Orson Welles) nelle mani di una burocrazia che esercita il potere nel quadro formale della democrazia rappresentativa (In Italia del quadro formale non resta che la cornice risicata per mari e monti dalle termiti mafiose).

2) La burocrazia, oltre che del lavoro di stabilizzazione e mantenimento dell’economia come forza separata, si occupa di livellare politicamente le classi sociali per garantirne la permanenza formale. Essa razionalizza la riduzione di ciascuno, in seno all’economia, a delle variazioni del ruolo di consumatore.
Non c’è miglior modo di preservare la povertà che piangere i poveri.

3) Siccome la burocrazia maschera questa vita vergognosa opponendole un discorso retorico d’emancipazione, la povertà dell’esistenza diventa visibile e tabù nello stesso tempo. La denuncia di un tale misfatto è accusata subito di mancanza di pragmatismo dai credenti eccitati che s’accontentano del pragmatismo spettacolare di girotondi militanti.

4)Il ruolo storico dei proletari che siamo è di realizzare il progetto dell’ultima classe della storia in una fase terminale del capitalismo ancorato all’interclassismo dello spettacolo e all’opposizione di caste integrate nel totalitarismo produttivista.
Gli operai favorevoli al nucleare non sono niente se non una funzione morbosa del capitale.

5) Che sia borghese o burocratica, di destra o di sinistra, la classe dominante fa l’esperienza della parcellizzazione dell’esistenza come una conferma della sua esistenza: la parcellizzazione è il suo potere ed è questo potere che dà ai dominanti l’apparenza di un’esistenza umana. Mentre i “socialisti” di ogni bordo ne gestiscono la miseria, il proletariato fa l’esperienza della parcellizzazione come realtà di un’esistenza disumana e conferma della sua impotenza.
Proletario è chi non ha nessun potere sulla propria vita e LO SA.

6) Il potere del proletario s’esprime nella democrazia diretta. Il delegato di una democrazia diretta appare quando il potere politico dell’individuo non è più separato dal suo potere sociale. Nessuno detiene il potere sociale o politico altrui.



7) I Consigli operai sono stati mistificati storicamente dalle controrivoluzioni del comunismo autoritario. Diventati Consigli di autogestione generalizzata della vita quotidiana nel maggio 68, sono stati abbandonati dal gauchismo seduto sulla sconfitta permanente del proletariato, da una sinistra alternativa all’altra.
La ripresa del movimento verso l’emancipazione ricomincerà là dove il vecchio movimento si è fermato.

(Tra riflessione, traduzione e détournement) Sergio Ghirardi

martedì 27 marzo 2012

Roba da blog!




Purtroppo il ritardo che lo spettacolo ci ha fatto accumulare sul processo storico è forte anche in Francia. Non basta aver laicizzato l'economia uscendo dall'ancien régime per ritrovarsi nella storia contemporanea.
Se in Italia si è in ritardo di due rivoluzioni, in Francia un solo ritardo basta per perdere il treno della storia: in Italia si sogna la terza repubblica, in Francia la sesta mentre i banksters dirigono cinicamente la messa in scena.
Oggi l'ipotesi della democrazia diretta come rottura di paradigma politico resta ancora utopica nell'immaginario colonizzato dei cittadini addomesticati, ma è già la sola alternativa possibile all'obsolescenza dell'umano.

4 agosto 1789


In attesa che la storia bussi alla porta la notte di un 4 agosto* qualunque, 








i francesi sono chiamati a scegliere tra l'EPR** socialo-comunista e l'EPR liberal-fascista.



Choisi ton camp camarade!



Hélas, le retard que le spectacle nous a fait accumulé sur le processus historique est fort en France aussi. Le fait d’avoir laïcisé l’économie en sortant de l’Ancien Régime ne suffit pas pour se retrouver dans l’histoire contemporaine.
Si en Italie on est en retard de deux révolutions, en France un seul retard suffit pour rater le train de l’histoire. En Italie on rêve d’une troisième République, en France de la sixième, pendant que les banksters dirigent cyniquement la mise en scène.
Aujourd’hui, l’hypothèse de la démocratie directe en tant que rupture de paradigme politique reste encore utopique dans l’imaginaire colonisé des citoyens domestiqués, mais elle est déjà la seule alternative possible à l’obsolescence de l’humain.
En attendant que l’histoire frappe à la porte la nuit d’un 4 août quelconque, les français sont appelés à choisir entre l’EPR socialo-communiste et l’EPR libéral fasciste.
Choisi ton camp camarade !



Sergio Ghirardi




*   La notte del 4 agosto 1789 furono aboliti i privilegi mettendo fine al sistema feudale.

** Nuova centrale nucleare in fieri che nessuno mette in discussione da destra a sinistra.

sabato 24 marzo 2012

Canto dei malfattori






Celeberrima canzone del 1892. Si tratta di uno dei canti anarchici più conosciuti ed eseguiti, vero e proprio "manifesto" dell'anarchismo. Conosciuto anche come "Inno di Panizza" (da Attilio Panizza, autore del testo) o "Inno dei malfattori", è senz'altro uno dei più conosciuti canti anarchici in lingua italiana. Di seguito il testo e gli accordi:

La
Ai gridi ed ai lamenti Mi7
di noi plebe tradita,

la lega dei potenti La
si scosse impaurita;

e prenci e magistrati
La7 Re
gridaron coi signori Mi7
che siam degli arrabbiati, La
dei rudi malfattori!


Folli non siam né tristi
né bruti né birbanti,
ma siam degli anarchisti
pel bene militanti;
al giusto, al ver mirando
strugger cerchiam gli errori,
perciò ci han messo la bando
col dirci malfattori!

La
Deh t'affretta a sorgere Re
o sol dell'avvenir: La
vivere vogliam liberi,
Mi7 La
non vogliam più servir.

Noi del lavor siam figli
e col lavor concordi,
sfuggir vogliam gli artigli
dei vil padroni ingordi,
che il pane han trafugato
a noi lavoratori,
e poscia han proclamato
che siam dei malfattori!

Natura, comun madre,
a niun nega i suoi frutti,
e caste ingorde e ladre
ruban quel ch'è di tutti.
Che in comun si viva,
si goda e si lavori!
tal è l'aspettativa
ch'abbiam noi malfattori!

Deh t'affretta a sorgere
o sol dell'avvenir:
vivere vogliam liberi,
non vogliam più servir.


Chi sparge l'impostura
avvolto in nera veste,
chi nega la natura
sfuggiam come la peste;
sprezziam gli dei del cielo
e i falsi lor cultori,
del ver squarciamo il velo,
perciò siam malfattori!

Amor ritiene uniti
gli affetti naturali,
e non domanda riti
né lacci coniugali;
noi dai profan mercati
distor vogliam gli amori,
e sindaci e curati
ci chiaman malfattori!

Deh t'affretta a sorgere
o sol dell'avvenir:
vivere vogliam liberi,
non vogliam più servir.

[Divise hanno con frodi
città, popoli e terre,
da ciò gli ingiusti odi
che generan le guerre;
noi, che seguendo il vero,
gridiamo a tutti i cori
che patria è il mondo intero,
ci chiaman malfattori!]

Leggi dannose e grame
di frodi alti strumenti
secondan sol le brame
dei ricchi prepotenti;
dàn pane a chi lavora,
onor a sfruttatori,
conferman poscia ancora
che siam dei malfattori!

La chiesa e lo stato,
l'ingorda borghesia
contendono al creato
di libertà la via;
ma presto i dì verranno
che papa, re e signori
coi birri lor cadranno
per man dei malfattori!

Deh t'affretta a sorgere
o sol dell'avvenir:
vivere vogliam liberi,
non vogliam più servir.

Allor vedremo sorgere
il sol dell'avvenir,
in pace potrem vivere
e in libertà gioir!



 

venerdì 23 marzo 2012

Politicamente scorretto



Premesso che le parole possono diventare pietre, che slogan come “La Fornero al cimitero” sono da condannare, che nessun problema è mai stato risolto con l’odio, che questo Governo va costretto a modificare le proprie politiche non con le minacce ma con l’informazione, la protesta, il confronto, le modalità con cui è stata trattata la vicenda della signora con la maglietta sono state quasi peggiori dello slogan stesso.
Politici e media hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa, perfino più grossa dello slogan; ho letto di “rischi di esplosione di una stagione pesante”, di “soffiare sul fuoco”, di “vile attacco al Ministro”, di “sentimento di questa donna condiviso da molti”, di “propaganda preoccupante a carattere tipicamente eversivo, che può sfociare nel terrorismo” e ci sarebbe da riempire pagine intere con dichiarazioni altisonanti del genere.
Signori, vogliamo ricondurre le analisi e le dichiarazioni nell’ambito del buon senso e smetterla di strumentalizzare gli eventi?
Perché voler far credere alla opinione pubblica che una signora di mezza età con famiglia (e che risulta abbia già inviato una lettera di scuse al Ministro) avesse intenzioni eversive, volesse soffiare sul fuoco della rivolta o che comunque volesse incitare qualcuno a realizzare l’incauto auspicio dello slogan, mi sembra contrario al buon senso e anche gravemente aggressivo nei confronti di una persona che ha commesso una leggerezza ma non può essere gratuitamente criminalizzata. Così come è ignobilmente falso che lo slogan sulla maglietta fosse la parola d’ordine della manifestazione, trattandosi invece della protesta di pensionati e pensionandi che tutto pensano di fare, fuorché del terrorismo.
Comprendo che, da parte di coloro che ritengono l’attuale Governo al di sopra di qualsiasi critica e le misure prese giuste a priori senza se senza ma, l’occasione fosse ghiotta: squalificare l’interlocutore serve a squalificarne le idee ed è molto più semplice ed efficace che non controbatterle argomentando, ascoltando, incontrando, magari recependo qualche suggerimento, ma anche fatta questa pragmatica considerazione il contrasto tra le immagini della signora e la sequela di urla e di stracciamenti di vesti resta fortissimo.
Fornero al cimitero: brutto slogan, deprecabile; ma da qui alla criminalizzazione del dissenso dovrebbe passarcene; è chiedere troppo di esaminare il problema nel suo contesto? Il contesto è quello di una signora esasperata dalla riforma “overnight” delle pensioni, dalla assenza di ascolto dei problemi che la stessa ha generato, dalla omertà dell’informazione sui problemi di chi si trova senza lavoro e senza pensione dopo 40 anni di contributi e che con leggerezza scrive uno slogan dando corpo a un pensiero che non ha e che non esprimerebbe se si prendesse una pausa di riflessione prima di scriverlo.
Salvo eccezioni estreme, nessuno desidera la morte di nessuno; farlo significherebbe la perdita della propria umanità; chi allo stadio grida al giocatore della squadra avversaria “devi morire” urla, senza riflettere, una cosa abietta della quale non valuta la portata, ma non ha nessun reale desiderio che ciò accada; pertanto vorrei tranquillizzare il Ministro, i politici urlanti e i loro portaborse: se esiste un pericolo di terrorismo non nasce certo dalla maglietta esposta a Roma né da essa viene accentuato e sarebbe il caso di smetterla di lasciarlo credere.
So che le vestali del politicamente corretto mi assaliranno per questo,dopo essersi strappati i capelli per l’orrore, ma vorrei sostenere qui che il modo migliore per evitare che la protesta legittima si esprima sopra le righe (verbalmente, perché di atti non ne vengono compiuti) sarebbe quello di dialogare con il dissenso, tratto che a questo Governo del “prendere o lasciare” manca completamente.
In assenza di qualsiasi tipo di rappresentanza, pensionati e pensionandi in ordine sparso hanno mandato le proprie richieste di essere uditi, di poter spiegare le loro difficoltà al Ministro, ai parlamentari, ai media: il silenzio delle risposte è stato, questo si, cimiteriale. Al disagio delle misure subite, così, si sono sommate e si sommano la frustrazione dell’oblio, la rabbia del non potere esprimere, il senso dell’abbandono da parte della comunità.
Alcuni non ce la fanno e (loro si) finiscono al cimitero; i suicidi quasi quotidiani di disoccupati, piccoli imprenditori, pensionati alla disperazione non fanno più notizia ed infatti i media non ne danno praticamente notizia; altri canalizzano, talvolta malamente, quei sentimenti e quelle emozioni e magari scrivono uno slogan sbagliato del quale fanno giustamente ammenda ma per il quale non dovrebbero essere crocifissi come terroristi che non sono.
Si può aprire una pagina nuova, di ascolto e confronto? Secondo me daremmo un taglio preventivo a qualsiasi slogan scorretto. Però occorre volerlo e poi farlo; più facile gridare al lupo.

Commento di Sergio Ghirardi:
Criticare gli slogan idioti dal punto di vista del loro nonsenso, del gusto dubbio e della loro psicologia macabra è una cosa. Ognuno può prendere le distanze dal becero e dall'insulso come meglio crede, ma sono quisquilie. Siamo oggi, e l'articolo mi sembra rendersene conto senza, però, affondare radicalmente la denuncia, di fronte a una ben più subdola perversione da parte di capi e capetti politici la cui infamia vergognosa è venuta alla luce su tutto il pianeta.
Come nel caso di Bersani del Servizio pubblico di qualche settimana fa o di un qualunque pseudo benpensante liberale di qualunque partito o cosca, lo svilimento della politica a piccolo cabotaggio carrieristico e/o camorristico ha bisogno di mitologie forti per sembrare meno risibile. Così fanno a gara da destra a sinistra nell'evocare minacciosamente anni di piombo che nobilitino tragicamente gli anni di cacca nei quali ci hanno immerso e ci siamo lasciati affogare.
Ho esplicitamente criticato per orale e per scritto, all'epoca, la lotta armata come una tragica illusione controrivoluzionaria e un nichilismo perverso, vedo oggi con preoccupazione gli stessi che frequentano le messe solenni dedicate ai morti venuti e a venire invocare il timore di un ritorno della violenza quando la violenza è già ovunque e gli sgherri capitalisti ne sono le levatrici ciniche e subdole dalla Val di Susa al Chiapas, alla Siria.
Potrebbe sembrare un miracolo che il tasso di umiliazione imposto oggi ai cittadini consenzienti non produca più grandi deliri violenti, ed è, invece, il segno confortante che l'ipotesi di un rovesciamento di prospettiva sociale altro da quello arcaico del ventesimo secolo, impregnato di una violenza fascista di vario colore, circola non come un’innocua speranza ma come un vero progetto di cambiamento radicale. Un numero crescente di individui sociali orfani di una società in decomposizione non vuole e neppure può più perdere la vita a guadagnarsela ma non sembra per questo cadere nella trappola recuperatrice di una rivolta nichilista in nome di un macabro viva la muerte! Lasciamo quest'errore mostruoso ai credenti rimasti di qualunque stolida ideologia.
Dalle rivoluzioni in nordafrica agli indignados, alle occupazioni di Wall Street e a quelle che verranno, il movimento sociale apartitico ma profondamente politico del secolo nascente indica la strada: ci impedite di sognare vi impediremo di dormire. Lo faremo con musica, discorsi e volontà di vivere, costruendo situazioni e inventando nuovi rapporti sociali, di produzione e di comunicazione. L'economia è malata? Che  crepi, ne reinventeremo un'altra fondata sul dono e non sulla predazione.
Stiamo già lasciando questo mondo in rovina nelle nostre vite vissute e pure nei blog di una comunicazione soltanto virtuale. Lasciamo il vecchio mondo del potere e dello sfruttamento agli ultimi zombi integralisti delle religioni e altre ideologie sorpassate. Non ci riguarda né il sapore amaro della violenza né il rumore macabro delle armi che gli Stati vendono ingrassandosi su un terrorismo e un bellicismo solo ipocritamente esecrati.

Nè guerrieri né martiri. Quando saremo abbastanza per dimenticarci di voi potrete continuare le vostre beghe impotenti di corrotti e di violenti nel parco della barbarie di un'epoca archiviata nella spazzatura della storia. La volontà di vivere può essere più forte della rabbia e dei calcoli nichilisti dei cultori della morte. Questa è la scommessa su cui si giocano i destini del mondo.



giovedì 22 marzo 2012

RITRATTO DI UN NICHILISTA NORMALE




Qualche ora fa, Mohamed Merah è morto sotto le raffiche dal RAID, corpo speciale di intervento della polizia francese.
Quest’uomo era un mostro. Ha ucciso sette fra uomini e bambini come si sgozza un capretto, nemmeno per mangiarlo, ma nell’ottica patogica, assurda di un’ideologia sacrificale.
Di fronte a lui un gruppo di specialisti della violenza di Stato pagati per questo e per questo addestrati. Addestrati in patria come il ragazzo francese mahgrebino era partito in Afghanistan e Pakistan per imparare a uccidere in nome di una causa. Due cause in guerra tra loro, ma il RAID protegge la gente normale da tutte le devianze indistintamente.
Per la gente normale è la fine di un incubo, ma in una società di miserabili signori e poveri schiavi, dei fatti come questo favoriscono subdolamente l’apoteosi dell’incubo.

Da quando la società mercantile è diventata spettacolare, nessuna violenza può più essere rivoluzionaria. Tutti i guerrieri e tutti i martiri servono la causa planetaria dell’alienazione, dell’umiliazione e della schiavitù al totalitarismo economico trionfante.
L’estremismo è sempre e comunque l’ultima ratio di un potere dominante che piega le paure dei suoi schiavi alla sottomissione.
Il nichilismo moderno di una società pronta a distruggere il vivente in nome del business nucleare, si moltiplica nel nichilismo arcaico della perversione religiosa e politica che canta con rabbia fanatica un identico viva la muerte.
La radicalità è andare alla radice delle cose e la radice dell’uomo è l’uomo stesso, l’amore per la vita, la lotta per ridarle uno spazio che il cinismo economicista sta abolendo. Il capitalismo e il fanatismo ideologico condividono un comune programma estremista contro il quale non può che insorgere l’umanità dell’uomo.
Guardate come gli zerbini del potere che sono i giornalisti si affannano subdoli a chiamare “radicalismo” ogni mostruoso estremismo nichilista, guardate come nelle ore d’attesa dell’ineluttabile conclusione, a Toulouse, il mostro è stato sociologicamente definito più volte come beneficiario dello RSA (sussidio per nullatenenti che esiste in Francia per poveri e marginali solo a partire dai 26 anni mentre il killer in questione ne aveva 23)!
Perché tali menzogne a prima vista involontarie ma solo apparentemente anodine? Perché i normali devono essere tutti lavoratori o disoccupati sottomessi, oppure diavoli terroristi e odiosi parassiti in attesa di diventarlo.
I giornalisti sono gli untori della peste emozionale su cui si regge il capitalismo.
Appena eliminato il killer, che effettivamente avrebbe potuto continuare ancora a nuocere agli esseri umani (non certo al sistema né alla Repubblica che ha, anzi, trovato nella sua orribile demenza un rinnovato splendore), la campagna elettorale del Presidente di tutti i francesi normali è ripresa a tambur battente con l’enunciazione di alcune leggi speciali che in nome dell’antiterrorismo accarezzano nel senso del pelo il fascismo esagonale e spazzano via il diritto alla libertà d’opinione alla base di una società democratica.
Il totalitarismo economico apre sempre più generosamente la porta dello spettacolo al despotismo dei suoi uomini di mano. La democrazia non esiste e ora neanche la sua rappresentazione ha più molta importanza.
Nella società dello spettacolo c’è un’oggettiva complicità tra i despoti democratici e i vari regicidi del popolo sovrano.
Laddove, un tempo, l’arcaismo degli anarchici se la prendeva direttamente con il re di diritto divino, i regicidi dello spettacolo s’attaccano agli individui anonimi di un popolo che è sovrano soltanto nella retorica redditizia dei loro dirigenti.
Se i terroristi non esistessero, il sistema li inventerebbe. E più volte lo ha fatto.
Ora, come spesso accade in periodo elettorale, per l’eccitazione dei complottisti di ogni parrocchia, un orribile terrorista è stato servito dagli arcaismi più macabri della psicopatologia religiosa sul piatto della crisi che impazza, richiamando i confusi, i vigliacchi e i servitori volontari a genuflettersi di fronte allo Stato capitalista, padre padrone.
Purtroppo non è il terrorista che è morto (il suo volto sarà ossessivamente rievocato e in fondo rispettato come antagonista mostruoso della bontà del potere cui si chiede genericamente di assoggettarsi terrorizzati) ma un ragazzo fallito, umanamente ignorante e mostruoso, nato e cresciuto in una società cinica e crudele; un ragazzo schizofrenizzato tra i miasmi della manipolazione religiosa e di quella mercantile, eliminato dopo che aveva cinicamente e mostruosamente tirato su bambini e uomini reali non vedendo in loro che simboli che la sua follia ha trasformato in diavoli e la sua telecamera in orrendo spettacolo.
Ha cominciato a sparare con le armi del cui commercio gli Stati si ingrassano, su soldati musulmani, ma non ha ucciso soldati né quelli che il suo nichilismo salafista doveva considerare traditori, solo dei poveri cristi maomettani in preda anch’essi a una sopravvivenza miserabile.
I soldati sono stati sepolti con gli onori che una società perversa concede a tutti coloro che uccidono in suo nome, mentre tutti i ragazzi, i bambini e gli uomini cui è stata tolta la vita, resteranno solo nel dolore e nelle lacrime dei loro cari.
Io non ho lacrime per lo spettacolo né per i ruoli, ma piango tutti gli esseri umani morti travestiti da soldati, da studenti di una scuola ebraica, da rabbini, da terroristi e, eventualmente, da poliziotti.

Sergio Ghirardi