domenica 20 maggio 2012

There never was a West


Lo Stato democratico è da sempre  un concetto contraddittorio, La globalizzazione – con la sua spinta a creare nuove strutture decisionali su scala planetaria, che hanno semplicemente reso  grottesco ogni riferimento  alla sovranità popolare o addirittura alla partecipazione – si è limitata a rendere evidente questa contraddizione.
Come di consueto, la soluzione neoliberale è stata di confermare il mercato come l’unica forma di decisione pubblica di cui abbiamo bisogno, riducendo lo Stato alle sue funzioni esclusivamente coercitive. Ed è proprio per questo che la proposta zapatista è assolutamente sensata: bisogna abbandonare l’idea che la rivoluzione significhi impossessarsi dell’apparto coercitivo dello Stato  e innescare invece un processo di rifondazione della democrazia basato sull’auto-organizzazione di comunità autonome. Questa è la ragione per cui una remota insurrezione nel sud del Messico ha provocato tanto entusiasmo in tutto il mondo, sicuramente nei circoli radicali ma non solo.
Sembra quasi che la democrazia stia tornando negli spazi da cui è sorta: negli spazi intermedi, negli interstizi del potere. Se da lì riuscirà ad estendersi all’intero pianeta dipenderà non tanto dalle nostre teorie quanto dalla nostra reale convinzione che la gente comune, seduta insieme a deliberare, sia capace di gestire le proprie faccende meglio delle élites che le gestiscono a loro nome e che impongono le decisioni prese con la forza delle armi. Per gran parte della storia umana, di fronte a queste domande, gli intellettuali di professione hanno sempre preso le parti delle élites.
La mia impressione è che la maggioranza delle persone sia ancora sedotta dagli “specchi deformanti” e non abbia fiducia nelle possibilità della democrazia popolare. Ma forse adesso le cose stanno cambiando.

(Critica della democrazia occidentale di David Graeber  [There never was a West or, Democracy emerges from the spaces in between] -  Elèuthera 2012 - pag.108 –)

Bombe, sangue e capitale, lo spettacolo continua



Brindisi, la nuova strategia della tensione

Le immagini di Brindisi riaprono un incubo e non è quello di Capaci e via D’amelio, bensì un incubo più antico: è lo spettro della Stazione di Bologna, quello di Piazza Fontana che si materializza di nuovo.

L’attentato di Brindisi non ha nulla a che vedere con le strategia mafiose degli anni ’90, appare invece sempre più legato da un filo, che pareva spezzato, alla stagione eversiva che ha segnato la storia della Repubblica sin dalle sue origini. Le organizzazioni criminali, quelle pugliesi o quelle che su quel territorio hanno una qualche presenza, possono certamente aver svolto un ruolo nell’esecuzione dell’attentato, ma non possono averlo ideato e non ne traggono alcun beneficio. L’Italia è un paese nel quale storicamente alcune organizzazioni criminali hanno svolto il ruolo di “agenzie” al servizio di un potere che per semplicità abbiamo definito “occulto”.
Le mafie non hanno mai colpito nel mucchio. Le loro azioni stragiste sono sempre state mirate, soprattutto sono state sempre facilmente identificabili, perché un’azione mafiosa è efficace solo se l’attribuzione all’organizzazione stessa è palese. Così è stato in Sicilia, così è stato in Calabria, dove le bombe la ‘ndrangheta le ha messe contro obiettivi simbolici come il Palazzo di Giustizia. La mafia non rivendica come le Br o i Nar, ma lascia una firma inconfondibile, necessaria per ribadire il suo potere.
Un’azione che punta ad una strage – lo ha ribadito in queste ore il capo della Polizia, Manganelli – colpendo un obiettivo assolutamente indifferenziato, non rientra nel modo di operare né delle mafie e neppure delle organizzazioni terroristiche, come le BR o i gruppi anarco-insurrezionalisti. La mafia siciliana a sua volta non ha un gruppo dirigente capace di ideare e organizzare un attentato di questo livello. La pista legata alle mafie, indicata con faciloneria da osservatori a caccia di scontati collegamenti, appare dunque inconsistente. La storia del Paese è segnata da altre azioni stragiste di matrice oscura: stragi “mascariate”, che hanno punti di assoluto contatto con quanto è avvenuto a Brindisi.
Se non siamo dunque di fronte a un’azione mafiosa, siamo di fronte a qualcosa di ancora più pericoloso. Siamo di fronte all’avvio di una nuova stagione di strategia della tensione. Le vittima cercate erano palesemente maggiori; il soggetto: giovani adolescenti; il luogo: una scuola periferica di una cittadina di provincia. Sono tutti elementi che lanciano al Paese un messaggio di terrore assoluto: nessuno, in nessun luogo può sentirsi al sicuro.
L’obiettivo dei “bastardi”, così li ha giustamente definiti il sindaco di Brindisi, che hanno ammazzato Melissa e ridotto in fin di vita Veronica e ferito decine di altri ragazzi innocenti, è scatenare la paura, il terrore, l’angoscia. Il risultato da raggiungere è come sempre riflesso d’ordine, una contrazione della democrazia, una paura che giustifichi e persino chieda un restringimento delle sedi di decisioni, che tagli radicalmente la democrazia. Il progetto dei nuovi registi della strategia della tensione è, come allora, la costituzione di un potere oligarchico, autoritario. La crisi economica devastante, il terrore, sono due ingredienti essenziali per chi persegue questo disegno, ingredienti che possono, assai più rapidamente di quanto si possa credere, fare saltare il sistema democratico che conosciamo, trasformandolo in un sistema oligarchico nel quale resti in piedi solo una vuota democrazia formale. Un progetto vecchio, che l’Italia ben conosce, che ha contrastato pagando prezzi durissimi. La domanda che l’attentato di Brindisi ci pone in maniera feroce è una sola: questo Paese oggi è ancora in grado di difendersi da questo pericolo? Siamo di fronte solo alla prima prova e purtroppo dovremo aspettarci mesi duri, mesi di sangue e di paura. E in questa stagione siamo, purtroppo, tutti troppo deboli.  


Commento di Sergio Ghirardi:

UNA SOLA COSA È CERTA. CHIUNQUE IMMAGINI E ATTUI DEI VERI E PROPRI ATTENTATI ALLA VITA QUOTIDIANA D’INDIVIDUI INERMI VUOLE CONSERVARE SE NON ACCENTUARE LO STATO DI COSE DOMINANTI.
QUALUNQUE SIA LA GIUSTIFICAZIONE IDEOLOGICA DIETRO LA QUALE SI NASCONDE, CHE RIVENDICHI IL SUO GESTO FOLLE O CHE LO FIRMI COL SILENZIO DELLO STRAGISMO PRIVATO O DI STATO, CHI ATTENTA ALLA VITA DI ESSERI UMANI È OGGETTIVAMENTE, SE NON SOGGETTIVAMENTE, UN COLLABORATORE DEL VECCHIO MONDO DELLO SFRUTTAMENTO E DELL'ALIENAZIONE CHE SI RINFORZA SEMPRE DIFFONDENDO LA PAURA E LA MORTE.
DA PIAZZA FONTANA A BRINDISI, BOMBE E PISTOLE SONO SEMPRE IL FATTO DI UNA LOGICA MAFIOSA E DI NICHILISMI VARI PRODOTTI DA UNA DEMOCRAZIA SPETTACOLARE E TOTALITARIA. CHI SI OPPONE RADICALMENTE AL SISTEMA DOMINANTE NON AMA NÈ GUERRIERI NÈ MARTIRI E ABORRE OGNI FORMA DI PENA DI MORTE - DI STATO O PRIVATIZZATA E LIBERALIZZATA DA PREDATORI SENZA SCRUPOLI O DA IDEOLOGI NICHILISTI PIÙ O MENO PAZZI.
CHI LOTTA PER LA CREAZIONE DI UN ALTRO MONDO SA BENE CHE ESSO DIVENTA POSSIBILE SOLO OPPONENDOSI A TUTTI I MAFIOSI, AGLI 007 MANIPOLATORI E AGLI UTILI IDIOTI IDEOLOGICI CHE NON MANCANO MAI. SA BENE CHE I MANDANTI E GLI USUFRUTTUARI DI TUTTE LE STRAGI SI NASCONDONO SEMPRE, BEN MIMETIZZATI E INTROVABILI, TRA I CINICI CONSERVATORI DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO O TRA I SUOI FALSI OPPOSITORI, I CUI METODI MAFIOSI SONO INDIPENDENTI DALLE RIDICOLE MISERIE DELLE IDEOLOGIE.
LA PAURA PUÒ ESSERE DI DESTRA O DI SINISTRA, LE BOMBE E LA MORTE SONO IL FATTO ASSOLUTO DEL NICHILISMO DI UN QUALUNQUE POTERE AUTORITARIO, PRESENTE O FUTURO, REALE O IMMAGINARIO CON CUI SIAMO DECISI A NON AVERE MAI NULLA A CHE FARE.

NOI popolo




NOI popolo,
subiamo da sempre ferite, e gravi perdite

la nostra memoria si è colmata di ricordi di volti distrutti dalla violenza delle numerose stragi, Piazza Fontana, piazza della Loggia, l’italicus, Ustica, la stazione di Bologna, via dei Georgofili, via Palestro ….

abbiamo atteso anche oltre trent’anni ma tutti i processi per strage sono rimasti senza colpevoli oppure con dei colpevoli improbabili, confezionati per zittirci

abbiamo perso ogni fiducia che possa esserci alcuna giustizia senza il nostro intervento, senza la NOSTRA LIBERTA’ di essere attivi e informati, in questo modo capaci di reagire a questa ennesima insopportabile ferita

Chiunque voi siate, Noi popolo, oggi vi abbiamo già condannato, senza affidarci ai tempi infiniti della magistratura e dello stato, ben consapevoli che proprio nei meandri del vostro potere putrido e marcio si annida chi non attribuisce alcun valore al nostro dolore riconoscendo invece solo importanza al Potere, alla sua perpetuazione

Noi popolo abbiamo figli e figlie che oggi diranno: basta, grazie, di voi Stato della Paura e della Menzogna non abbiamo bisogno, non vogliamo un altro silenzio di tomba a coprire il dolore e l’umiliazione di queste morti incredibili, inutili, perverse …. 

Noi popolo, prenderemo in mano la nostra causa, per  fare luce, riportando la decenza nella vita di noi tutti

Per praticare la verità, occorre prima di tutto spogliare lo Stato del monopolio del segreto , dell’indagine, del giudizio.

Per fare questo,  è indispensabile rompere ogni unità fittizia fra il Popolo e le istituzioni; ma al tempo stesso avere ben chiaro che se anche le istituzioni sono tutte solidali nel difendere l’esistente, non sono tuttavia tutte complici in ogni singolo atto criminale della prepotenza Statale.

 I “non-noi”, sono molti “Loro”, non un unico “Loro”.

Proprio di questa realtà profittano per chiamarci di volta in volta a difendere la tale Istituzione contro l’altra: lo Stato contro la mafia, la laicità contro l’integralismo religioso, la costituzione contro il fascismo, la magistratura contro i corrotti, la legalità contro gli evasori, la pace sociale contro i terroristi, la quiete contro le tempeste .

Mentre occorre opporsi a tutte le facce della prepotenza e della falsificazione, ben sapendo che sono plurime

 “Noi Popolo” adesso ri-vogliamo il nostro Potere rivoluzionario della verità: quella verità  che discende come un fiume dalla libertà conquistata




giovedì 10 maggio 2012

NON COLLABORIAMO PIU'


 


commento l'articolo qui sotto in cui si dicono  cose anche vere..... ma non condivido le conclusioni e forse anche meno le intenzioni: credo che alimentare l'idea di golpe pilotato sia già un modo di farlo avverare.
Siamo circondati da vari tipi di fanatici che purtroppo ancora ragionano di violenza militare.
Abbiamo polizie pronte e allenate a caricare le piazze delle rivolte
Non conviene dare quasi per scontate simili eventualità  perché la irresponsabilità di pochi può perdere noi tutti
Hiroshima e Fukushima sono li a dimostrare che l'umanità può cadere facilmente vittima della violenza cieca 
Ed e' noto quanto cieca possa essere l'obbedienza del boia
Non voglio che i nostri giovani figli vengano ammazzati nelle piazze in nome di qualche pseudo rivoluzione arancione promossa dalla CIA come  sta succedendo in troppi luoghi nel mondo
Dobbiamo riprenderci con fermezza il potere sulle nostre vite a cominciare dalla libertà di rifiutare ogni forma di attacco violento ai cittadini da parte dello stato 
Ricordiamoci che nemmeno il carcere funziona senza la collaborazione dei prigionieri 
Gandhi disse: potranno avere il nostro cadavere ma non la nostra obbedienza.... E vinse scegliendo in modo unilaterale la non-violenza che certo lui non confondeva con la vigliaccheria
Prepariamoci ad essere coraggiosi ma non cadiamo nelle trappole che il potere ha sempre pronte Sappiamo quanto gli stati abbiano sempre dimostrato la loro brutalità senza remore
Quindi la salvezza sta nel non accettare mai uno scontro frontale o simmetrico
Lo Stato non e' più niente...    Noi possiamo essere tutto!
Organizziamoci una vita dignitosa dirottando tutte le energie verso noi stessi e  

lasciamo morire il sistema "di fame e di sete" ovvero 
NON COLLABORIAMO PIU'
con loro 
Costruiamoci una comunità nuova fatta dalle stesse persone innocenti con cui condividiamo la vita ogni giorno e che non vogliono diventare né vittime n'è carnefici... pretendiamo insieme libertà e dignità per tutti ...  con intransigenza 
Forse ci sarà qualche ammaccatura in serbo per qualcuno, ma dobbiamo fare in modo che sia leggera e dobbiamo prestarci  soccorso l'un  l'altro perché c'è bisogno di tutti
Non c'è niente di più bello di un carcere che brucia... ma a patto che prima tutti siano scappati fuori !

  gilda c.

 

ITALIA, “COLPO DI STATO PILOTATO” PER SOFFOCARE I CITTADINI



http://www.meteoservice.it/forum/showthread.php?24989-ITALIA-%E2%80%9CCOLPO-DI-STATO-PILOTATO%E2%80%9D-PER-SOFFOCARE-I-CITTADINI


Lo stato viola le sue leggi? l’oppressione è totale? la sovranità non appartiene più al popolo? Se questi sono i cardini sui quali poggia oggi la Repubblica Italiana – così come alcuni osservatori segnalano e diverse iniziative legali (illustrate anche su L’Indipendenza) fanno intendere -, allora significa che viviamo in un paese che non è più democratico. Quando lo stato e le sue istituzioni legittimamente elette violano le leggi che si sono dati, il popolo dovrebbe poter esercitare il diritto di denunciare il “crimine contro l’umanità” davanti la comunità internazionale. Fino ad oggi, nessuno ha mai esercitato tale diritto, e in assenza di tale denuncia le istituzioni internazionali, garanti del rispetto democratico, non hanno alcuna possibilità di intervento. Tuttavia anche se vi fosse tale volontà, va ricordato cosa fecero le istituzioni Europee e la comunità internazional, all’indomani delle elezioni democratiche avvenute in Austria nel 2000. Gli Austriaci elessero un governo “nero blue” con la partecipazione della destra di Joerg Haider, e il giorno dopo l’Unione Europea denunciò l’Austria per aver eletto un governo non democratico. Come sappiamo, quella storia finì con le sanzioni comminate all’Austria, e il primo a richiederle fu il presidente americano Bill Clinton. Furono nominati quattro saggi per dirimere il “caso Austria” e gli stessi, qualche mese dopo, stabilirono la democraticità del governo Austriaco.
In Italia il capo dello Stato ha dapprima nominato il professor Monti Senatore a vita e successivamente lo ha incaricato di formare il nuovo governo. Se è sufficiente la nomina arbitraria di una o più persone a Senatore a vita per far valere il titolo di legittimità necessario a ricoprire l’incarico di Presidente del Consiglio e membri di governo senza che questi siano stati eletti democraticamente, allora vien da chiedersi se la sovranità appartiene ancora al popolo. Bisognerebbe anche chiedersi perché l’Europa e lo stesso presidente americano siano rimasti in un preoccupante e assordante silenzio, e se tale silenzio non sia invece funzionale a non destabilizzare la già precaria costituzione dell’Europa politica. In qualsiasi paese democraticamente evoluto si sarebbe invocato il reato di “artifizio e raggiro”, in Italia invece i partiti, per non delegittimarsi a vicenda, continuano a sorvolare sui soprusi. Gli aspetti più rilevanti di una situazione ormai fuori controllo sono da una parte la messa in atto di un comune agire politico illegittimo – vessatorio della legislazione, e dall’altra il paventare sistematicamente un rischio di fallimento dello Stato. Sembrano atti finalizzati a giustificare l’aumento della pressione fiscale, invece lentamente si stanno tramutando in qualcosa di ben diverso, ovvero stanno divenendo, sia dal punto di vista legislativo che economico, una vera e propria oppressione, che oltre ad essere fiscale è anche legislativa.
La crisi economica ha denudato tutti i limiti dello stato centrale Italiano e insieme all’irresponsabilità della politica nel pensare di poter sanare una situazione, che oggi sanabile non lo è più, ha condotta a una sorta di punto di non ritorno. Capire che bisognava procedere allo smantellamento di questo Stato unitario non era poi così difficile, come non era difficile immaginare che, proseguendo imperterriti, si sarebbero scavati la fossa con le loro mani. Invece, incuranti che ciò potesse veramente accadere, hanno preferito lasciare che accadesse.
Personalmente ho l’impressione che sia già in corso un colpo di stato strisciante e pilotato, il cui intento è quello di giustificare il mantenimento dell’unità e la centralità, oggi seriamente minacciato dalle insofferenze dei cittadini. La crisi economica ha preso il sopravvento su quella politica, ma nonostante ciò i partiti, invece di riformarsi veramente e riappropriarsi del primato che gli spetta, trovano ancora il coraggio e la spudoratezza di soffocare le istanze dei cittadini.

sabato 5 maggio 2012

PERCHÈ SIAMO SENZA NOTIZIE DALL’ISLANDA?


Islanda - aurora boreale
 
Che le anime belle ferocemente convinte che attualmente non esista censura ci dicano come mai siamo stati abbondantemente informati su quel che è accaduto in Egitto, in Siria e Libia mentre il silenzio radio giornalistico è calato su quel che avviene in Islanda.

In Islanda il popolo ha preteso le dimissioni del governo al completo, le principali banche sono state nazionalizzate e si è deciso collettivamente di non pagare il debito che le banche avevano contratto con le loro colleghe inglesi e olandesi dal momento che questi debiti erano stati generati da una politica finanziaria criminale.
Un’assemblea popolare incaricata di riscrivere la Costituzione è appena stata creata come momento cruciale di una vera e propria rivoluzione pacifica contro il potere che ha condotto a questa crisi.

Bruttissima notizia per la democrazia spettacolare: che succederebbe se i cittadini dell’Europa ne prendessero esempio?

Ecco i fatti salienti:

2008: la principale banca del paese è nazionalizzata. La moneta crolla, la borsa sospende l’attività. Il paese è in bancarotta.

2009: le proteste dei cittadini contro il Parlamento provocano delle elezioni anticipate che portano alle dimissioni del Primo Ministro e di tutto il governo in blocco.
La situazione economica disastrosa persiste, mentre si propone per legge il rimborso del debito a Inglilterra e Olanda al prezzo di 3500 milioni di euri a carico mensile delle famiglie islandesi per una durata di quindici anni al tasso d’interesse del 5%.

2010: la popolazione scende di nuovo in piazza e chiede che la legge sia sottoposta a referendum. Nel gennaio dello stesso anno, il Presidente rifiuta dunque di ratificare la legge e annuncia la decisione di una consultazione popolare.
Il referendum ha luogo in marzo e il rifiuto di pagare il debito vince con il 93% di voti. Intanto il governo ha dato inizio a un’inchiesta per stabilire giuridicamente le responsabilità della crisi.
L’imprigionamento di diversi banchieri e alti dirigenti cominciano. Interpol lancia un’inchiesta e tutti i banchieri coinvolti lasciano il paese. È in questo contesto di crisi che viene eletta un’assemblea per redigere una nuova Costituzione che prenda in conto le lezioni fornite dalla crisi sostituendosi alla vecchia Costituzione copiata su quella danese.
Per fare questo si ricorre direttamente al popolo sovrano. Si eleggono 25 cittadini senza connessioni politiche tra i 522 presentatisi alla candidatura.
Per potersi presentare bisogna essere maggiorenni e ottenere il sostegno di almeno 30 persone.

L’assemblea costituente comincia i suoi lavori nel febbraio 2011 per presentare, tenendo conto degli avvisi diversi raccolti nelle varie assemblee che hanno luogo in tutto il paese, un progetto di Grande Carta. Questa deve essere approvata dal Parlamento ancora in funzione prima di passare al vaglio di quello che sarà costituito dopo le prossime elezioni legislative.

Che cosa abbiamo saputo dai mass media di tutta Europa? Se ne è parlato in dibattiti politici alla radio o alla televisione? Nient’affatto!

Qualche recente informazione circa atti di repressione nei confronti della secessione antitotalitaria in corso, è certamente preoccupante e indica la probabile controffensiva dei poteri forti e delle multinazionali che tessono sul pianeta la loro ragnatela mafiosa, ma l’esempio del popolo islandese resta una lezione di democrazia reale a tutta l’Europa e al resto del mondo.



Sergio Ghirardi

venerdì 4 maggio 2012

Possiamo ancora uscire "a riveder le stelle"



Nessuno ha la verità in tasca però ciascuno è portatore del proprio punto di vista e anche del come se l'è creato, ovvero noi possiamo mettere a disposizione i nostri ragionamenti e le nostre esperienze in modo da unirci per battaglie ed iniziative arricchendo anche la profondità e l'ampiezza del dibattito.
Nulla è vero, tutto è possibile, dice il Saggio della montagna
Dipende dalla capacità di ascoltare e farsi ascoltare, perché certe cose come la Politica sono praticabili solo da singoli individui riuniti per decidere; ovviamente è importante anche decidere chi decide e su che cosa insieme alla questione dell'eseguire.
Non vale dire: armiamoci e partite, ed è anche inutile sperare di obbligare tutti ad eseguire tutti gli ordini.
Le singole iniziative e decisioni vengono attuate direttamente dai decisori sotto la propria responsabilità e portandone le conseguenze.
L'importante è creare uno stile, un metodo, un po' come nel discorso di Pericle: noi ad Atene facciamo così.... E non significa secondo me che quella è una legge giusta ma che è una regola decisa da un NOI, TUTTI ASSIEME.
Infatti la vera democrazia diretta prevede una certa unanimità di base o anche l'esclusione in caso di inconciliabilità conclamata.
E' un minimo comun denominatore che crea la cornice della comunità. Uscire da questa cornice di regole di base significa autoescludersi dalla comunità .... e dover andare in cerca di un altro luogo dove fare a modo proprio, se si riesce.

Però la civiltà ci può essere solo dove per avere un proprio spazio non si praticano genocidi di interi popoli, né in forma di conquista di terre e risorse, né in termini di espulsioni e respingimenti.
Anzi occorre che la comunità riconosca a tutti uguali facoltà di portare il proprio apporto e il proprio sguardo, la propria esperienza da condividere.
E occorre soprattutto che ci sia piena libertà di movimento sul pianeta altrimenti la cittadinanza diventa una specie di bene materiale, o di rendita finanziaria a carico di sempre nuovi schiavi mentre contemporaneamente si impoverisce la cultura e si perdono le nuove occasioni di progresso.
Certo non sarebbe una rivoluzione da poco ma non credo infatti che questo sistema potrà ancora sostenersi a lungo sulle spalle di popoli ogni giorno meno forti e meno dignitosi, in balia di una casta impresentabile e prepotente.
Prima o poi una goccia farà traboccare il vaso.
Forse davvero dobbiamo porci l'evidenza che se non facciamo accadere qualcosa, qualcosa accadrà a noi e non di molto simpatico.
Il mondo va ogni giorno peggio e non si vedono miglioramenti, anzi.
L'unico dato positivo sono proprio le nuove possibilità di superare le barriere e godersi la parte buona della globalizzazione, il fatto che siamo tutti prigionieri ma ogni giorno più consapevoli di quanti siamo e di quanti interessi veri abbiamo in comune, per primo quello della libertà.
Perdere tempo a fare dei "programmi politici" secondo me non vale la pena perché vengono fuori tutti i punti di divergenza se non si ascoltano bene i racconti di tutti, mentre abbiamo bisogno di unirci per crearci la libertà di decidere davvero, non per avere tutti le stesse idee ma per avere tutti un metodo di decisione che ci permetta di esistere politicamente e spiegare in pubblico i nostri ragionamenti sugli argomenti in discussione, rispettando anche il fatto che le azioni saranno comunque decise da chi le deve mettere in pratica (come del resto sempre accade di fatto, ovviamente!)
Non so ancora capire quali cause in fondo abbiano le diffidenze reciproche che continuano ad emergere. Non serve a molto dedicare tutto questo tempo a misurarsi a vicenda.
Direi che possiamo tranquillamente dichiararci un’accozzaglia di persone molto diverse tra loro che hanno alcune cose in comune e che ritengono di potersi sostenere in queste a vicenda.

Se partissimo dai nostri punti di forza (come io ritengo sia anche il nostro essere ciascuno diverso dall'altro) dove e come siamo capaci, per non disperdere le poche energie che questa vitaccia ci lascia a disposizione, potremmo ben essere contenti di quello che ci sta accadendo.
Stiamo cercando di guardarci intorno per vedere se davvero possiamo ancora uscire "a riveder le stelle". 
Direi che le prime stelle, le più importanti siamo tutti noi e dobbiamo prenderci un po' carico delle rispettive nevrosi.
Nessuno è ormai immune ahimè, siamo dei sopravvissuti al disastro che si sta producendo intorno a noi.
Possiamo solo ricominciare dai sentimenti migliori e costruirci sopra, prenderne il nutrimento per unirci in una rete sempre più forte e fitta.
Coraggio ragazzi, non buttiamo via niente, ciascuno ci metta il meglio che può.

giovedì 3 maggio 2012

“I Francesi so’ rivati… …Et voilà, et voilà, calci in culo alla libertà !”*





“I Francesi so’ rivati…

…Et voilà, et voilà, calci in culo alla libertà !”*
*Vecchia canzone reazionaria borbonica antifrancese

Il Marais, dove vince la gauche caviar
articolo di Giacomo Rosso, Il Fatto 2 maggio 2012
Sfoglio con impazienza le pagine del quotidiano Le Monde, che ha appena pubblicato tutti i risultati elettorali del primo turno delle presidenziali, seggio per seggio. Cerco i dati dell’Ile de France, poi mi concentro su quelli di Parigi. I segni premonitori di un’inedita svolta elettorale a sinistra della capitale francese ci sono tutti.
È la prima volta nella storia della quinta Repubblica, infatti, che a Parigi il candidato socialista è in testa al primo turno. Con il 34,8% dei voti totali, François Hollande ha vinto in 13 arrondissement sui 20 complessivi della capitale. In più – altro dato unico e sorprendente – la somma di tutti i voti raccolti dai candidati della sinistra superano il 50% del totale. Non è che per caso la capitale francese si è spostata a sinistra?
Mi metto a spulciare i risultati, arrondissement per arrondissement, quasi fossi un antropologo. È incredibile come geografia e sociologia possano sposarsi a meraviglia all’interno del panorama urbano della capitale francese. Dimmi dove abiti e ti dirò chi sei.
Il quartiere che mi interessa maggiormente è il 3° arrondissement, quello che i parigini stessi definiscono, non senza una nota di disprezzo, il quartierie più “bobo”, ovvero il più radical chic. È il quartiere dei bar e dei “restò” più à la mode, delle gallerie d’arte più di tendenza, degli alimentari rigorosamente “biò” che sembrano delle gioiellerie dell’ortofrutta, delle micro boutique specializzate in tutto ciò che c’è di più superfluo. Da qui la lotta di classe se n’è andata da un bel pezzo: è rimasta soltanto tanta classe. Ai candidati minori della sinistra progressista ed ecologista, come il vulcanico Jean-Luc Mélenchon, ma soprattutto la verdissima Eva Joly, non resta che provare a rastrellare i voti della cosiddetta gauche caviar.
In questo arrondissement, il cui cuore è rappresentato dall’elegantissimo Marais, a due passi dall’Hotel de Ville, dove il prezzo medio delle case sfiora i 10.000 euro al metro quadro, Hollande ha stravinto. Con un impressionante 40,1% di preferenze, il candidato socialista ha staccato alla grande il rivale e presidente uscente Sarkozy, che si è fermato al 28,5%. «Sì, la gente è di sinistra, ma non sono certo dei comunisti», mi conferma Jacques, proprietario della galleria d’arte che porta il suo nome. «Con qualche furbata elettorale – aggiunge, – Hollande è riuscito ad accaparrarsi i voti degli ecologisti e della sinistra più radicale». Infatti sia il Front de Gauche che il partito ecologista non sono riusciti ad andare rispettivamente oltre il 10% e il 5% delle preferenze.
Jacques è un istituzione nel quartiere. Non abita qui, ma è come se lo facesse. Nessuno meglio di lui è in grado di rispecchiare l’essenza stessa del quartiere. Raffinato, colto, benestante e amante dell’arte contemporanea, il mio amico gallerista conosce molto bene gli abitanti del quartiere, che sono prima di tutto suoi clienti: collezionisti forse un po’ snob e dall’aria decandente, ma con un gran gusto. «Da qualche anno a questa parte – mi racconta Jacques, – essere ecologista va di moda. Tuttavia il Ps è riuscito ad attrarre un maggior numero di voti rispetto alla concorrenza più radicale non soltanto grazie alla promessa del voto utile, ma anche a causa dell’immagine di solidità e serietà che il partito e il suo candidato hanno saputo trasmettere». Nemmeno la minaccia annunciata da Hollande di una tassazione al 75% per i super ricchi è riuscita a dissuadere l’elettorato della gauche champagne. Da queste parti non sono pochi quelli che si vergognano di dire di votare a destra, tanto è il disgusto per l’attuale Presidente della Repubblica. «L’80% delle persone che abitano da queste parti – conferma Jacques – sono ricche o comunque benestanti. È tutta gente che oltre ai soldi ha ricevuto un’educazione di altissimo livello. È difficile trovare qualcuno che avrebbe il coraggio di affermare che voterebbe per Sarkozy, o peggio ancora per Marine Le Pen».
I risultati elettorali non cambiano troppo nemmeno quando mi sposto negli arrondissement meno bourgeois e un po’ più “popolari” del 10° e dell’11°, tra place de la République e Bastille. I quartieri tradizionalmente più sensibili alle cause ambientali hanno deluso le mie aspettative di vedere il grande balzo in avanti degli ecologisti, che si sono fermati a un misero 5%. Ma al terzo posto delle preferenze elettorali c’è il candidato del Front de Gauche, Jean-Luc Mélenchon, con il 14%. Una percentuale al di sopra della media nazionale dell’11%.
«Non ci saranno molte sorprese da queste parti, nemmeno al secondo turno», mi confida Jacques. «È matematicamente certo che vincerà Hollande. Anche a destra c’è chi odia talmente tanto Sarkozy che è disposto a votare il Ps piuttosto che dargli un voto in più». Seppur poco entusiastico, sembra un pronostico credibile.
Commento di Sergio Ghirardi:
Finito di leggere l'articolo mi chiedo le ragioni urgenti che hanno motivato l'autore. Forse un pezzo dovuto oppure un'irreprimibile bisogno di dire la sua ad ogni costo.
Chissà perché una gran parte degli articoli che s'occupano della politica in Francia sono per molti italiani giornalisti, blogghisti o commentatori, occasione di mondanità e di turismo ideologico, aria rifritta. Ciò è ovviamente vero nei due sensi ma non con la stessa intensità: mossi da uno sciovinismo da frustrati, in tutti i nazionalismi sfilano i luoghi comuni, la sudditanza culturale e a volte la stizza del maggiordomo di fronte al presunto signore.
Così qualcuno fa diventare l'obesità un sintomo ideologico, oppure la sociologia dell'habitat si trasforma in un sicuro elemento di appartenenza politica, mentre dall'altra gli italiani sono tutti dei berlusconi che s’ignorano o si sognano tali. Nessuno o quasi che obbietti questa banalità di base: nello spettacolo, il vero è un momento del falso. Dovunque.
Purtroppo il giornalista medio è un produttore di falso che accompagna come un kapò gli schiavi salariati nella loro non-odissea organizzata.
In realtà la situazione politica francese, oltre le sue specificità, è posta di fronte allo stesso dilemma planetario: morire di capitalismo o esplorare un altro mondo possibile?
Molti francesi, bibi o bibò che li si definisca, sono ormai stufi dello spettacolo della democrazia rappresentativa e nel paese comincia a svilupparsi un pensiero autonomo dallo spettacolo politico con una densità assai sorprendente. Lo stesso che si avverte, come un fremito rabbioso, anche in Spagna e Grecia, mentre in Italia il povero Grillo, tra una denuncia rispettabile e una cazzata mal detta, sembra destinato alla caricatura di Giordano Bruno. Gli italiani amano vestirsi a festa per veder bruciare gli eretici.
Ecco, lo sguardo italico sulla situazione francese è quello folcloristico dei pezzi di colore, come si diceva in gergo giornalistico in tempi lontani (oggi, per mia fortuna, non sono più al corrente di come parli la casta mediatica).
Qui in Francia, fuori dal folclore, l'objection de croissance è un tema ricorrente, un forte movimento politico riferentesi alla democrazia diretta (o reale) mette in circolo una riflessione che in Italia ha ancora molte difficoltà a esprimersi.
La questione sociale ha in Bourdieu, Latouche, Gorz e altri spiriti aperti che vi risparmio ma che meritano la scoperta (il che non impedisce la critica, beninteso), un respiro nuovo che rimanda al clima dell'illuminismo che ha preceduto la rivoluzione francese.
Eppure, gli addetti ai lavori transalpini (dalla parte della Val di Susa) mettono la loro lente d’ingrandimento sul nulla spettacolare della politica politicienne, auscultano il bobò, il caviale di sinistra e l'andouille di destra cucinata alla Le Pen come se parlassero della Tour Montparnasse, di foulard d'Hermes o di Chanel n° 5.
Quando stavo a Parigi, nella rue André Del Sarte, sotto la butte Montmartre, per anni mi sono divertito a scoprire gli italiani da lontano, guardando la loro scarpe. Non sono per niente un mago, ma ci azzeccavo sempre.
La frime, in politica come nel vestire indica facilmente il livello della coscienza messa in pratica.
PS  Anticipando i rigurgiti: non sono nè antiitaliano né antifrancese; ce l'ho solo con i servitori volontari di tutti i paesi e gli schiavi felici non mi sono simpatici più di quanto io lo sia a loro.