martedì 29 novembre 2011

Un mondo che marcia a testa in giù


Ci sono notizie attraverso le quali si può misurare con raccapriccio l’abisso del delirio produttivista.

Mentre ci si riunisce a Durban per dire quel che andrebbe fatto e assicurarsi dell’altro tempo per non farlo, la bomba a orologeria del nucleare continua la sua marcia trionfale verso l’apocalisse.

Anziché verso l’alternativa assurda tra il nucleare o il ritorno alla candela tanto paventato dai nuclearisti incoscienti, ci si avvia all’offerta speciale per i consumatori fedeli : l’uno e l’altro insieme per non farci mancare nulla.

Sono insomma gli antiproduttivisti dei veri e propri pompieri catastrofisti o sono piuttosto i produttivisti degli apprendisti stregoni?

Nello spettacolo sociale, in cui il popolo - notoriamente sovrano - è, di fatto, quasi sempre un servitore volontario che s’ignora, le scommesse sono aperte.

Intanto la roulette un tempo russa (anzi sovietica) è diventata in trent’anni giapponese e aspetta con ampio margine di probabilità di farsi ben presto francese a meno che qualche sorpresa l’anticipi.

Io in Francia ci vivo e il mio non è certamente un augurio. Siamo le vittime sacrificali di un delirio nichilista programmato in nome del profitto.

L’ineluttabile che verrà, se non lo si ferma a tempo, è già destinato a passare tra gli eventuali domestici sopravvissuti come una tragica fatalità.

Più che mai: irradiati di tutti i paesi uniamoci!

Sergio Ghirardi, 29-11-2011

PS.

A Otsuka Norokazu, presentatore di Tokio che ha mangiato in diretta TV verdure e altri prodotti provenienti dalla zona di Fukushima per dimostrare che malgrado il grave incidente non c’era pericolo di contaminazione radioattiva, è stata diagnosticata una grave forma di leucemia. (Il fatto quotidiano, 27-11-11).

Come al solito il testo che segue è stato tradotto dal francese:

Estratto di ACTU ENERGIE N° 8

La Francia potrebbe mancare dell’elettricità sufficiente per l’inverno che viene. Essa avrà così il nucleare e la candela…

Quest’anno i tedeschi hanno avuto l’intelligenza politica unanime (partiti politici di destra, di sinistra ed ecologisti) di programmare la chiusura delle loro vecchie centrali nucleari entro dieci anni. L’inverno prossimo terranno dunque per loro l’elettricità e smetteranno probabilmente di esportare verso la Francia il triplo dell’elettricità che le comprano. Ciò significa per la Francia tra dieci e dodici miliardi di kWh in meno rispetto al 2010, al 2009 eccetera…!

Dal 2005, la Francia importa dalla Germania una quantità di energia elettrica superiore a quella che le vende (19,2 TWA contro soltanto 7,2 TWA di esportazione dalla Francia nel 2009) [fonte: RTE]

Ecco che anche il Belgio si prepara a interrompere la produzione di elettricità attraverso il nucleare e ne vende anch’esso alla Francia più di quello che le compra!

Declino del nucleare: soltanto 10 reattori sono ancora in attività in Giappone sui 54 esistenti prima di Fukushima.

Pierre Péguin

martedì 22 novembre 2011

Sulla lobby nucleare, Idra planetaria più mortifera che mai




Il nuovo governo Monti ha messo al Ministero incaricato di decidere sull’ambiente un nuclearista convinto. A quando una terza testa dell’Idra da tagliare con la falce del referendum ? Manteniamo per ora alta la vigilanza critica anche perché a quattro passi da questo povero paese disastrato ma denuclearizzato una messe orribile di reattori danza il ballo macabro dell’incidente maggiore statisticamente inevitabile.
Chernobyl, Fukushima ... Bando ai catastrofismi paurosi: non c’è nessun pericolo con il nuovo EPR che lava più bianco di OMO.
Leggetevi comunque questi due articoli transalpini che ho tradotto per voi, valligiani dell’altra parte degli stessi …monti.
Sergio Ghirardi
….Da un mezzo secolo (in Francia) gli interessi economici e strategici del nucleare civile sono così vertiginosi che si confondono con l’interesse superiore dello Stato. Ciò è comprensibile … a condizione, tuttavia, che la potenza pubblica ispiri fiducia e possa rassicurare l’opinione quando capita un problema o un incidente in una centrale. Ora, da diversi lustri il grande balzo dell’energia nucleare riposa su dei non detti, dei silenzi, dei segreti. C’è voluto Chernobyl e la favole della nube radioattiva bloccatasi alla frontiera del Reno perché l’impostura fosse rivelata: “La credibilità degli organismi ufficiali legati al nucleare resta oggi debole, molto debole” nota Frédérick Lemarchand, sociologo del rischio all’università di Caen. Il cataclisma in corso a Fukushima non aggiusta certo le cose…Allora la lobby, avvertendo chiaramente che il patto con i cittadini francesi si degrada, si rifugia nella “comunicazione”. Esempio molto recente: dall’inizio della crisi è apparso su tutti i canali televisivi un “esperto” fino ad allora sconosciuto e reputato indipendente. Il suo nome è Francis Sorin. Presentato come « direttore del polo informativo della Società francese di energia nucleare », mostra una neutralità dall’aria genuina. Peccato che la sua “società saggia” non sia altro, a guardare da vicino, che una filiale associativa della filiera nucleare di cui diffonde fedelmente la dottrina.
La lobby atomica non si espande, tuttavia, soltanto nelle alte sfere. Per tutti coloro che desiderano migliorare la trasparenza del settore e rilanciare il dibattito, i circa 200.000 salariati dipendenti dall’industria del nucleare civile (ingegneria, lavori pubblici, caldaie, turbine, controlli o manutenzione…) costituiscono un ostacolo molto più difficile da sormontare. Per loro i 58 reattori francesi o quello EPR di Flamanville non sono soggetti da talk show ma un modo di guadagnarsi il pane. Ingegneri o operai che siano, ognuno di loro o quasi è spesso un lobbista per convinzione o per necessità. Con il sostegno della CGT (la CGIL francese) e degli ultimi deputati del partito comunista, nel nome dell’impiego e dell’indipendenza nazionale, l’inossidabile Daniel Paul, deputato di Le Havre, in testa. “Senza dimenticare i pensionati di EDF, ancor più numerosi di quelli in attività, sospira il padrone di un’impresa di eoliche, perché sono loro che portano qui e là la buona parola nucleare e consigliano benevolmente le associazioni in lotta per lo smantellamento delle pale eoliche…”. Un popolo del nucleare, insomma, in colletto bianco o in tuta che lavora gomito a gomito e con il quale ogni partito politico deve oggi fare i conti.
Hanno, infatti, vissuto insieme un’avventura senza equivalenti al mondo : la conquista quasi totale della produzione elettrica francese, ormai d’origine nucleare per il 78% contro il 25% del Giappone (prima della catastrofe) e il 20% degli Stati Uniti. Una vittoria sul petrolio senza una vera lotta poiché non c’è mai stato dibattito sulla questione. Per capire questo tour de force bisogna risalire al 1974. In seguito allo choc petrolifero il prezzo del greggio è quadruplicato. Un trauma mondiale. Eccetto a Parigi dove la programmazione di più della metà delle nostre centrali attuali è stata decisa in meno di tre ore. Ascoltate Marcel Boiteux, direttore all’epoca di EDF, raccontare questa pagina poco nota della nostra storia nel programma 'Arrêt sur images' del 1999 su France 5: “Alle 9h30 di un sabato mattina, ho ricevuto nel mio ufficio una telefonata del direttore generale dell’energia, Jean Couture, che mi chiedeva con assoluta urgenza il numero massimo di centrali che potevamo costruire, esigendo una risposta per mezzogiorno”. Dopo rapidissime consultazioni, Boiteux esegue gli ordini. Alle 11h55 propone sei o sette centrali nella speranza di ottenerne almeno tre. “Con mia grande sorpresa, prosegue Boiteux, la risposta fu sette!”. Dieci anni dopo, la dipendenza della Francia dal petrolio passava già dal 74% al 50%.
Decisori dell’atomo
Riuscita formidabile, certo, ma con quale capitano nella classe politica ? Non il presidente George Pompidou, allora in punto di morte, che ha senza dubbio firmato la decisione durante un consiglio interministeriale ristretto all’Eliseo. Non i deputati che il primo ministro Pierre Messmer, preso alla sprovvista dalla morte di Pompidou, non ha mai convocato. Marcel Boiteux è invece assolutamente categorico sull’identità dei veri decisori dell’atomo: “Bisogna lasciare ai tecnici i problemi tecnici. E se quella sul nucleare fosse stata una decisione eminentemente politica, si sarebbero dovuti preparare i politici per un periodo molto più lungo insegnando loro un certo numero di cose …”
Queste “cose” troppo complesse per gli eletti dal popolo sono sempre state e rimangono un’informazione riservata ai grandi architetti del nucleare. I nomi di questi primi “baroni dell’atomo” sono poco conosciuti dal grande pubblico. Si chiamano Pierre Guillaumat, supervisore della bomba atomica, padrone di EDF e ministro delle forze armate alla fine degli anni cinquanta. Poi André Giraud, padrone del CEA (Commissariato all'Energia atomica) negli anni settanta. Ma anche George Besse, presidente di Eurodif nel 1974 poi di Cogema nel 1976, imprese specializzate nell’arricchimento dell’uranio. Infine Michel Pecqueur che succede a George Besse alla testa di Cogema nel 1978. “Queste eminenze, dice il giornalista e scrittore Fabrice Nicolino, hanno concluso un patto con tutti i presidenti della repubblica, incluso Mitterand. Hanno scambiato la potenza conferita dal nucleare sulla scena internazionale con la loro autonomia d’iniziativa e di gestione nella Repubblica.
Un privilegio tanto più esclusivo che i quattro baroni storici che hanno sognato di una “Shell dell’atomo” sono usciti tutti dal Corps des Mines, cioè dall’elite del servizio pubblico (scuola esclusiva dell’alta tecnocrazia francese). Una ventina di cervelli per promozione di cui gli undici più brillanti allievi del Politecnico. “Hanno costituito una sorta di Opus Dei meritocratica alla francese, spiega Mycle Schneider, esperto dell’industria dell’atomo che seleziona da 50 anni le teste pensanti della lobby nucleare e programma le loro carriere nei posti chiave dell’amministrazione e dei gabinetti ministeriali”. Anne Lauvergeon, che ha cominciato nel gabinetto di Mitterrand è come André - Claude Lacoste, gendarme quasi inamovibile della sicurezza nucleare dal 1993 o Jacques Repussard, attuale direttore dell’Istituto di Radioprotezione e Sicurezza nucleare (RSN).
Concorrenza accanita
Un ordine immutabile ? La filiera ha comunque subito un’evoluzione in questi ultimi dieci anni. L’Autorità di Sicurezza nucleare (ASN) ha dal 1996 un’autonomia più ampia e ha talvolta fatto stringere i denti a EDF o Areva durante i controlli. Soprattutto la lobby che ieri era granitica comincia a fessurarsi sotto l’azione della concorrenza accanita che si fanno sui mercati mondiali da un lato Areva e EDf e GDF-Suez dall’altro. “Persino nell’amministrazione il gruppo di pressione dell’atomo si frattura”, confida David Boiley, responsabile dell’Associazione per il Controllo della Radioattività nell’Ovest (Acro).” “Tra l’Agenzia nazionale per la Gestione delle scorie nucleari e EDF è una guerra sul costo dell’interramento”.
Si alzano delle voci all’interno di questo microcosmo per reclamare un aggiornamento. “Se è sempre la stessa mano che gestisce e che controlla non è rassicurante. Non si può lasciare il dibattito sulle energie alla discrezione sola dei tecnici”, stima Michel Destot, deputato sindaco socialista di Grenoble antico ricercatore del CEA. Tuttavia, quando Bertrand Pancher deputato sarkozista della Meuse propone che un organismo indipendente organizzi questo largo dibattito pubblico alla maniera scandinava, il gruppo UMP si solleva. “Mi sono fatto fischiare - confida, afflitto -; non ha senso, non si può continuare così!” Bisogna dire che all’Assemblea Nazionale i guardiani del tempio nucleare di tutti i partiti, da Claude Gatignol (UMP) a Christian Bataille (PS), sono sempre in guardia. Ma fino a quando? La minaccia più seria per la tecnocrazia nucleare francese arriva ora da Bruxelles. Il commissario europeo incaricato dell’Energia, il tedesco Günter Oettinger, aveva già esasperato Nicolas Sarkozy quando aveva utilizzato il termine apocalisse per evocare la catastrofe di Fukushima. Ed ecco che lo stesso commissario domanda la settimana scorsa che si proceda a dei test di resistenza su tutte le centrali dell’Unione Europea. Peggio: precisa che le verifiche devono essere indipendenti. La lobby nucleare francese si mobilita affinché l’Eliseo metta il suo veto sull’ingerenza. Alla fine i nucleocrati francesi hanno ottenuto che le autorità nazionali e non europee procedano a questi test. “La posizione di Parigi era insostenibile”, spiega Michèle Rivasi, deputato di Europa Ecologia a Strasburgo. “Come spiegare alla popolazione che si rifiutano in Francia delle ispezioni serie che riguardano anche, in Europa centrale, dei reattori ormai vecchi e perciò pericolosi?”.
Tratto da un articolo di Guillaume Malaurie - Le Nouvel Observateur
Nucleare- Quante asinerie diffuse! E come si sacrifica la lotta antinucleare per delle ambizioni.
Com’è possibile leggere e intendere tante stupidaggini sul nucleare senza che ciò significhi il formattarsi dei mass media e dei politici all’ideologia dominante sotto il controllo del Corps des Mines e delle Lobby ?
Non è insopportabile assistere alla vendita delle coscienze in cambio di un compromesso miserabile?
Grida d’indignazione di quanti s’inquietano per il « compromesso » PS/EELV (tra socialisti e ecologisti in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo) e della diminuzione a venire della porzione di nucleare che considerano un vero e proprio atto blasfemo nei confronti della sacrosanta religione del nucleare. Non esitano, allora a diffondere false informazioni.
.Gli impegni presi non hanno realmente conseguenze perché rimandano a più di dieci anni, cioè a più di due mandati presidenziali…e la chiusura dei vecchi reattori sarà comunque indispensabile.
Il costo della diminuzione del nucleare: quando il padrone di EDF Henri Proglio pretende che ciò costerà 400 miliardi, viene smentito dall’Unione Francese di Elettricità che cifra questa diminuzione a 60 miliardi di euro in rapporto al mantenimento del nucleare al 70%. E secondo Benjamin Dessus (Global Chance) il costo sarebbe addirittura inferiore.
In realtà si va comunque verso un forte aumento del costo dell’elettricità nucleare dovuto alla presa in conto del costo di smantellamento delle centrali (finora enormemente sottovalutato), della gestione delle scorie e del raddoppio del prezzo dell’EPR. Lo Stato, cioè i contribuenti, continua a finanziare il programma di studi e di ricerca (CEA, Andra)
Sull’impiego, ancora una volta Henri Proglio disinforma annunciando la perdita di un milione di posti di lavoro, cifra contraddetta da quel che accade in Germania e dagli studi (Ademe, Virage-énergie, Quatre Vents du Cotentin) che dimostrano come le rinnovabili e il risparmio energetico creino posti di lavoro in misura otto volte maggiore a quelli della produzione di energia nucleare. Secondo Philippe Quirion, economista al CNRS, 125.000 posti di lavoro andrebbero perduti nel nucleare, mentre lo scenario Megawatt stima a 600.000 il numero di posti di lavoro che possono essere creati da un sconvolgimento della politica energetica verso la sobrietà e le energie rinnovabili (1)
Quel che è in gioco, infatti, è lo sviluppo delle piccole imprese decentralizzate e non de localizzabili di fronte al mostro Areva, vero dinosauro di una tecnologia arcaica e in declino che non rappresenta che il 2,5 % dell’energia consumata nel mondo e che blocca l’economia francese.
Il rischio di carenza di elettricità in Francia a causa della Germania che ferma i suoi reattori è davvero delizioso perché è il riconoscimento del fallimento del piano francese di sovra consumo di elettricità che ci ha fatto dipendere finora dalla Germania per assicurare i nostri picchi di consumo.


Quanto al MOX, è falso annunciare che condizioni il funzionamento dell’EPR e la stessa esistenza dei laboratori de La Hague et di Marcoule.
Si tratta di una miscela di ossido d’uranio e di plutonio, la cui presenza rende ancora più pericoloso il funzionamento dei reattori e la gestione delle scorie.
Secondo il rapporto di sicurezza,il reattore EPR non sarà obbligatoriamente caricato a MOX e dovrà anzi avviarsi solo con dell’uranio arricchito classico, mentre il reattore EPR finlandese sarà sempre caricato in combustibile all’uranio poiché la Finlandia ha scelto di non utilizzare il plutonio.
Quanto all’arresto della fabbricazione del MOX che permette di non dover più ritrattare i combustibili usati, non implica la chiusura dei laboratori de La Hague e di Marcoule. Ci vorranno decine di anni e un numero di posti di lavoro considerevole per smantellare le installazioni e gestire il plutonio esistente (più di 60 tonnellate in Francia, di cui 40 circa a La Hague).
Un accordo comprato. E se tutto questo bailamme mediatico, questo teatro pubblico di negoziati avesse come unico scopo di permettere di siglare un accordo di minima contro delle carriere di deputati offerte ai leader Verdi, come già è successo sotto Jospin con Dominique Voynet? Una carriera sicura merita pure di chiudere gli occhi sui propri principi, anche se la blasfemia di mettere in discussione questa quasi religione solleva l’indignazione del potere e della lobby.
IL nucleare è un cancro della nostra società che ci rinchiude in un vicolo cieco economico. In Francia siamo sempre più isolati su una via dispendiosa che blocca ogni evoluzione verso una politica energetica ragionevole e fa soprattutto pesare su di noi delle terribili minacce.
A che valgono simili arguzie di fronte al rischio di subire una catastrofe sempre più probabile (2), sacrificando come nell’Europa dell’est (3) o in Giappone (4) delle popolazioni per decine di anni? Dopo Fukushima è indecente parlare di costi e risparmio sullo spreco di elettricità. Bisogna tenere in mente che da un giorno all’altro un quarto della Francia può essere contaminato con milioni di persone esposte alla radioattività che non potranno essere evacuate. Del resto ci stanno preparando a ciò (5).
Bisogna fermare il nucleare, anche se di fatto non se ne uscirà poiché le installazioni e le scorie dovranno comunque essere gestite per migliaia di anni.
Il 18 novembre 2011, Pierre Péguin, scienziato in pensione.

(1) Scenario Megawatt 2006 “Per un avvenire energetico sobrio, efficace e rinnovabile” http://www.negawatt.org/
(2) Il rischio di incidente grave in Europa è una certezza” Bernard Laponche, Télérama N° 3205 du 18 juin 2011.
E “Incidente nucleare una certezza statistica" Politis du 8 juin 2011, par Benjamin Dessus, Bernard Laponche.
(4) P. Péguin, Indecenza? Barbarie? Nulla ferma la nucleocrazia, Nature et Progrès n° 84, settembre 2011.
(5) “Ci stanno preparando” http://www.spiritsoleil.com/nonaunucleaire/sud- est
Testo originale in francese
....Depuis un demi-siècle, les intérêts économiques et stratégiques du nucléaire civil sont si vertigineux qu'ils se confondent avec l'intérêt supérieur de l'Etat. Cela peut se concevoir... A condition toutefois que la puissance publique inspire confiance et puisse rassurer l'opinion quand survient un pépin ou un accident dans une centrale. Or, depuis des lustres, le grand bond de l'énergie nucléaire repose sur des non-dits, des silences, des secrets. Il aura fallu Tchernobyl et la fable du nuage radioactif bloqué aux frontières du Rhin pour que l'imposture soit révélée : "La crédibilité des organismes officiels liés au nucléaire demeure aujourd'hui faible, voire très faible", note Frédérick Lemarchand, sociologue du risque à l'université de Caen. Le cataclysme en cours à Fukushima n'arrange rien... Alors le lobby, qui sent bien que le pacte avec les Français se dégrade, se réfugie dans la communication. Exemple très récent : dès le début de la crise, surgissait sur toutes les chaînes de télévision un "expert" jusque-là inconnu et réputé indépendant. Son nom : Francis Sorin. Présenté comme "directeur du pôle information de la Société française d'Energie nucléaire", il affiche une neutralité de bon aloi. Sauf que sa "société savante" n'est, à y regarder de plus près, rien d'autre qu'une filiale associative de la filière nucléaire, qui relaie donc très fidèlement sa doctrine.
Mais le lobby atomique ne se déploie pas que dans les hautes sphères. Pour tous ceux qui souhaitent améliorer la transparence de la filière et relancer le débat, les quelque 200 000 salariés dépendant de l'industrie du nucléaire civil (ingénierie, travaux publics, chaudières, turbines, contrôles ou maintenance... ) constituent un obstacle beaucoup plus difficile à surmonter. Pour eux, les 58 réacteurs français ou l'EPR de Flamanville ne sont pas des sujets de talk-shows. Mais un gagne-pain. Qu'ils soient ingénieurs ou ouvriers, chacun ou presque est souvent un lobbyiste par conviction ou par nécessité. Avec le soutien, au nom de l'emploi et de l'indépendance nationale, de la CGT et des derniers députés du Parti communiste, l'inoxydable Daniel Paul, député du Havre, en tête. "N'oubliez pas non plus les retraités d'EDF qui sont plus nombreux encore que les actifs !, soupire ce patron d'une entreprise d'éoliennes. Ce sont eux qui, ici et là, portent la bonne parole nucléaire et conseillent bénévolement les associations en lutte pour l'éradication des turbines à vent... ." Un peuple du nucléaire, en somme, cols blancs et cols bleus au coude à coude, avec qui tout parti politique doit aujourd'hui compter.
Car ils ont vécu ensemble une aventure sans équivalent dans le monde : la conquête quasi totale de la production électrique, dont 78% est d'origine nucléaire en France contre 25% au Japon et 20% aux Etats-Unis. Une victoire sur le pétrole sans véritable combat puisqu'il n'y eut jamais de débat de fond sur la question. Pour comprendre ce tour de force, il faut remonter à 1974. A la suite du choc pétrolier, le prix du brut quadruple. Un traumatisme mondial. Sauf qu'à Paris, c'est en moins de trois heures que la programmation de plus de la moitié de nos centrales actuelles a été bouclée. Ecoutez Marcel Boiteux, directeur d'EDF à l'époque, qui raconte cette page méconnue de notre histoire dans l'émission 'Arrêt sur images' en 1999, sur France 5 : "A 9h30, un samedi matin, je reçois dans mon bureau un coup de fil du directeur général de l'énergie, Jean Couture, qui me demande toutes affaires cessantes le nombre maximal de centrales que nous étions en mesure de construire. Et il exige la réponse pour midi." Après consultation express, Boiteux s'exécute. A 11h55, il propose six ou sept centrales pour en obtenir au mieux trois. "A ma grande surprise, poursuit Boiteux, la réponse fut sept !" Et dix ans après, la dépendance de la France au pétrole passait déjà de 74% à 50%.
Décideurs de l'atome
Formidable réussite, oui, mais qui en fut le capitaine dans la classe politique ? Pas le président Georges Pompidou, qui était alors mourant et n'a sans doute que paraphé la décision lors d'un conseil interministériel restreint à l'Elysée. Ni les députés que le Premier ministre Pierre Messmer, pris de vitesse par la mort de Pompidou, n'a jamais saisis. Marcel Boiteux est en revanche tout à fait catégorique sur l'identité des vrais décideurs de l'atome : "Il faut laisser aux techniciens les problèmes techniques. Et si le nucléaire avait été une décision foncièrement politique, il aurait fallu pendant beaucoup plus longtemps préparer les politiques et leur apprendre un certain nombre de choses ..."
Ces "choses" trop complexes pour les élus du peuple ont toujours été et restent une information réservée aux grands architectes du nucléaire. Les noms de ces premiers « barons de l'atome » sont peu connus du grand public : ils s'appellent Pierre Guillaumat, superviseur de la bombe atomique, patron d'EDF et ministre des Armées à la fin des années 1950. Puis André Giraud, patron du CEA (Commissariat à l'Energie atomique) dans les années 1970. Mais aussi Georges Besse, président d'Eurodif en 1974 puis de la Cogema en 1976, entreprises spécialistes de l'enrichissement de l'uranium. Et enfin Michel Pecqueur, qui succède à Georges Besse à la tête de la Cogema en 1978. « Ces éminences, dit le journaliste et écrivain Fabrice Nicolino, ont conclu un pacte avec tous les présidents de la République, Mitterrand compris. Ils ont échangé la puissance que confère le nucléaire sur la scène internationale contre leur autonomie d'initiative et de gestion dans la République."
Un privilège d'autant mieux verrouillé que les quatre barons historiques qui ont rêvé d'un "Shell de l'atome" sortent tous du corps des Mines. C'est-à-dire de l'élite du service public. Une vingtaine de cerveaux par promotion dont les onze plus brillants élèves de Polytechnique. "Ils ont constitué une sorte d'Opus Dei méritocratique à la française, explique Mycle Schneider, expert de l'industrie de l'atome, qui depuis cinquante ans sélectionne les têtes pensantes du lobby nucléaire et programme leurs carrières dans les postes clés de l'administration et les cabinets ministériels." Anne Lauvergeon, qui a commencé au cabinet de François Mitterrand est, comme André-Claude Lacoste, gendarme quasi inamovible de la sûreté nucléaire depuis 1993 ou Jacques Repussard, actuel directeur de l'Institut de Radioprotection et Sûreté nucléaire (IRSN).
Concurrence acharnée
Un ordre immuable ? Non, la filière a tout de même évolué ces dix dernières années. L'Autorité de Sécurité nucléaire (ASN) a depuis 1996 une plus grande ample autonomie et fait parfois grincer les dents à EDF ou Areva lors des contrôles. Surtout, le lobby hier granitique commence à se fissurer sous l'action de la concurrence acharnée que se livrent sur les marchés mondiaux Areva d'un côté, EDF de l'autre et GDF-Suez. "Même dans l'administration, le groupe de pression de l'atome se fracture", confie David Boiley responsable de l'Association pour le Contrôle de la Radioactivité dans l'Ouest (Acro). "Entre l'Agence nationale pour la Gestion des Déchets nucléaire et EDF, c'est la bagarre sur le coût de l'enfouissement."
Des voix s'élèvent, à l'intérieur de ce microcosme, pour réclamer un aggiornamento. "Si c'est toujours la même main qui gère et qui contrôle, ce n'est pas rassurant. On ne peut plus laisser le débat sur les énergies à la discrétion des seuls techniciens !", estime Michel Destot, député-maire PS de Grenoble et ancien chercheur au CEA. Mais lorsque Bertrand Pancher, député UMP de la Meuse, propose qu'un organisme indépendant organise ce très large débat public à la manière scandinave, le groupe UMP se rebiffe. "Je me suis fait siffler, confie-t-il, meurtri. C'est n'importe quoi, on ne va pas pouvoir continuer comme ça !" Il faut dire qu'à l'Assemblée, les gardiens du temple nucléaire tous partis confondus, de Claude Gatignol (UMP) à Christian Bataille (PS), veillent toujours au grain. Mais jusqu'à quand ? C'est maintenant de Bruxelles que vient la menace la plus sérieuse pour la technocratie nucléaire française. Le commissaire européen chargé de l'énergie, l'Allemand Günter Oettinger, avait déjà exaspéré Nicolas Sarkozy quand il avait utilisé le mot "apocalypse" pour évoquer la catastrophe de Fukushima. Et voilà que le même commissaire demande la semaine dernière que l'on procède à des tests de résistance sur toutes les centrales nucléaires de l'Union européenne. Pire : il précise que les expertises doivent être indépendantes. Le lobby nucléaire français se mobilise pour que l'Elysée mette son veto à l'ingérence. Finalement les nucléocrates français ont obtenu que les autorités nationales - et non européennes - procèdent à ces tests. "La position de Paris était intenable, explique Michèle Rivasi, députée Europe Ecologie à Strasbourg. Comment expliquer à la population qu'on refuse en France des inspections sérieuses qui vont aussi concerner, en Europe centrale, des réacteurs vieillissants et donc dangereux ?"
Guillaume Malaurie - Le Nouvel Observateur
Nucléaire – Que d’âneries diffusées ! Et comment on sacrifie la lutte antinucléaire contre des ambitions.
Comment est-il possible de lire et d’entendre tant d’âneries au sujet du nucléaire, cela ne traduit-il pas le formatage des médias et des politiques à l’idéologie dominante maitrisée par le Corps des Mines et le Lobby ?
Et n’est-il pas consternant d’assister à l’achat des consciences contre un compromis minable ?
Cris d’orfraie de ceux qui s’inquiètent du « compromis » PS/EELV et de la diminution à venir de la part du nucléaire, c’est un véritable blasphème à la sacro-sainte religion du nucléaire. Il n’hésitent pas alors à diffuser de fausses informations :
Les engagements pris ne portent pas réellement à conséquence puisque ils sont repoussés à plus de 10 ans, soit à plus de deux mandats présidentiels....Et la fermeture des vieux réacteurs sera de toute façon nécessaire.
. Le coût de la diminution du nucléaire : Alors que le patron d’EDF Henri Proglio prétend que cela coûterait 400 milliards, il est démenti par l’Union Française de l’Électricité qui chiffre cette diminution à 60milliards d’€ par rapport au maintien du nucléaire à 70%. Et d’après Benjamin Dessus (Global Chance) cela coûterait même moins cher.
En réalité on va de toutes façons vers un coût fortement croissant de l’électricité nucléaire dû à la prise en compte du coût du démantèlement des centrales (très sous estimé jusque là), de la gestion des déchets, et du doublement du prix de l’EPR. L’Etat -c’est à dire le contribuable- continuant à financer les budgets d’étude et de recherche (CEA, Andra).
. L’emploi, encore une fois Henri Proglio désinforme en annonçant la perte d’un million d’emplois, chiffre contredit par ce qui se passe en Allemagne et des études (Ademe, Virage-énergie,Quatre Vents du Cotentin) qui montrent que les renouvelables et les économies d’énergie créent 8 fois plus d’emploi que la production d’électricité nucléaire. D’après Philippe Quirion économiste au CNRS, 125,000 emploi seraient perdus dans le nucléaire, tandis que le scénario Negawatt estime à 600,000 le nombre d’emplois qui peuvent être créés par un bouleversement de la politique énergétique vers la sobriété et les renouvelables (1).
Ce qui est en jeu en fait, c’est le développement de petites entreprises décentralisées, indélocalisables, face au monstre Areva, véritable dinosaure d’une technologie archaïque en déclin qui ne représente que 2,5% de l’énergie consommée dans le monde, et qui plombe l’économie française.
. Le risque de manque d’electricité en France à cause de l’Allemagne qui ferme ses réacteurs. . Alors là c’est délicieux, c’est la reconnaissance de la faillite du plan français de surconsommation d’électricité qui nous a fait dépendre de l’Allemagne jusqu’à ce jour pour assurer nos pointes de consommation.
Quant au Mox, Il est faux d’annoncer qu’il conditionne le fonctionnement de l’EPR et l’existence des usines de la Hague et de Marcoule.
Il s’agit d’un mélange d'oxydes d'uranium et de plutonium, la présence de Plutonium rendant encore plus dangereux le fonctionnement des réacteurs, et la gestion des déchets.
D’après le rapport de sûreté, l’EPR ne sera pas forcement chargé en MOX, il ne devra même démarrer qu’avec de l’uranium enrichi classique , et l’EPR de Finlande ne sera toujours chargé qu’en combustible uranium, la Finlande ayant choisi de ne pas utiliser de plutonium .
Quant à L’arrêt de la fabrication de MOX qui permet de ne plus avoir besoin de retraiter les combustibles usés, il n’implique pas la fermeture des usines de la Hague et de Marcoule : Il faudra des dizaines d’années et un nombre d’emplois considérable pour démanteler les installations et gérer le plutonium existant. (plus de 60 tonnes en France, dont environ 40 tonnes à la Hague).
Un accord acheté : Et si tout cet emballement médiatique, ce théatre public de négociation n’avait pour seul but que de permettre d’acheter un accord à minima contre des carrières de députés offertes aux leaders Verts, comme cela s’était passé sous Jospin avec Dominique Voynet. Une carrière assurée vaut bien de fermer les yeux sur ses principes , même si le blasphème d’attenter à cette quasi-religion soulève l’indignation du pouvoir et du lobby.
Le nucléaire est un cancer de notre société qui nous enferme dans un cul de sac économique. Nous sommes de plus en plus isolés sur une voie dispendieuse qui bloque toute évolution vers une politique énergétique raisonnable, et surtout qui fait peser sur nous de terribles menaces.
Que valent ces arguties face au risque de subir une catastrophe de plus en plus probable (2) sacrifiant comme en Europe de l’Est (3) ou au Japon (4) des populations pour des dizaines d’années. Après Fukushima, il est indécent de parler coût et préservation du gaspillage d’électricité. Il faut garder à l’esprit que du jour au lendemain, un quart de la France peut être contaminé, et des millions de personnes exposées à la radioactivité qu’on ne pourra pas évacuer. D’ailleurs on nous y prépare (5).
Il faut arrêter le nucléaire, même si de fait on n’en sortira pas car les installations et les déchets sont à gérer pendant des milliers d’années.
Le 18 nov 11 Pierre Péguin, scientifique retraité
.
(1) Scénario negawatt 2006 "Pour un avenir énergétique sobre, efficace et renouvelable" – http://www.negawatt.org/
(2) "Le risque d'accident majeur en Europe est une certitude" Bernard Laponche, Télérama N° 3205 du 18 juin 2011.
Et « Accident nucléaire : une certitude statistique » Politis du 8 juin 2011, par Benjamin Dessus, Bernard Laponche.
(4) Pierre Péguin, Indécence? Barbarie? Rien n'arrête la nucléocratie, Nature et Progrès N°84, sept 2011.
(5) "On nous y prépare". http://www.spiritsoleil.com/nonaunucleaire/sud- est.

mercoledì 9 novembre 2011

Ce n’est qu’un début, commençons le débat

Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio - 9 novembre 2011 IL FATTO

Cambiare, sì. Ma con umiltà e pazienza


Ci sono sempre più persone che, comprensibilmente stanche di questo tipo di sistema e giustamente schifate dalla bassezza raggiunta dal mondo politico e da quello economico, si aspettano che il cambiamento possa avvenire da un giorno all’altro. C’è però da considerare che, seppure tantissime e in costante aumento, queste sono ancora una minoranza rispetto al resto della popolazione del cosiddetto “mondo industrializzato”.

A quanti di voi sarà capitato, anche fra parenti o amici, di essere guardato con aria interrogativa, o addirittura preso per fondamentalista, estremista o pazzo, nel momento in cui vi siete avventurati a parlargli, ad esempio, di risparmio delle risorse, riduzione dei consumi e quindi degli sprechi, decrescita o stili di vita che non impongano la televisione, la scarpetta firmata o i centri commerciali? Basta molto poco a spaventare le persone, soprattutto quando queste hanno subito un lavaggio del cervello lungo più di due secoli. Produttivismo, consumismo, dipendenza dal mercato, carriera ecc. Come ce li si può scrostare di dosso dall’oggi al domani?

Immaginate di essere da sempre convinti che la vostra meritata ricompensa per aver dedicato la maggior parte del vostro tempo al lavoro, un lavoro che magari odiate, è il consumo. Immaginate adesso che qualcuno arrivi e vi dica, o vi faccia più o meno cortesemente notare che il consumo, magari indotto, è proprio fra le cause che vi portano a spendere la maggior parte del vostro tempo alle prese col lavoro di cui sopra. Di sicuro ciò vi potrebbe creare qualche problema, o comunque non vi farebbe sentire a vostro agio. È come credere da una vita a Babbo Natale e sentire qualcuno che vi dice (o vi dimostra) che Babbo Natale non esiste.

Il fatto, e il problema, è che il tempo stringe, sia a livello economico, che sociale, che ambientale. La famigerata recessione dell’economia globale non si farà tanto scrupoli, e imporrà bruscamente a moltissima gente degli stili di vita molto diversi da quelli a cui si è abituata negli ultimi anni, determinando così una serie di reazioni e problematiche sociali sotto certi aspetti inquietanti.

E l’ambiente? Beh, ancor più dell’economia o della società, si saprà regolare e “proteggere” da solo, quando per nostra sfortuna lo vorrà fare. Del resto ha già iniziato a darci espliciti segnali, e non aspetterà che dei minuscoli, giovanissimi, irrispettosi e parecchio presuntuosi esseri come noi “salvino il pianeta”, quando non sono nemmeno in grado di salvare se stessi.

Un importante aspetto da considerare è che però non tutti hanno avuto lo stesso percorso. A quanti amici e/o colleghi provenienti dall’est europeo, dal sud America, dall’Africa e dalla Cina ho parlato della Decrescita Felice! Bene, a quanti credete sia passato per la testa, nonostante in molti abbiano sinceramente condiviso le mie parole e idee, di abbandonare gli stili di vita che avevano sognato da una vita (quelli consumistici occidentali) e che erano appena riusciti a fare propri?

Ci vorrà del tempo prima che si rendano conto, cellulare dopo cellulare, auto dopo auto, debito dopo debito, che la luccicante società dei consumi alla fine non porta a vivere tanto meglio di quanto potessero fare i folli regimi sotto i quali molti di loro sono cresciuti, e che passare da un estremo all’altro non è certo la scelta più saggia.

È per questo che è fondamentale cercare di evitare moralismi o prediche a chi non la pensa come noi, o a chi non può ancora permettersi di farlo. Perché come diceva tempo fa Andy Riley, vignettista dell’inglese Observer, è irritante «leggere sui giornali quanto è bello “rallentare” prima ancora di aver potuto “accelerare”». Per molta gente, anche nei Paesi “sviluppati”, non ha ancora senso parlare di decrescita, o comunque non gliene importa nulla visto che, appunto, non ha ancora avuto modo di “crescere”, secondo i canoni forniti dal nostro tipo di società.

Insomma, è per diversi motivi che, per portare chi ci circonda al cambiamento in cui tutti speriamo, dobbiamo innanzitutto cambiare noi stessi (Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo!), perché sono indispensabili umiltà, costanza, lucidità e tanta pazienza. Ci si può augurare, ma non certo aspettare, che questi cambiamenti avvengano in fretta. Ma così non sarà.

di Andrea Bertaglio

Commento di SergioGhirardi

Da tempo, ormai, partecipo in Francia alla riflessione sull’ipotesi di decrescita (vedi la rivistina LIMITES e incontri, dibattiti del MOC, Movimento degli Objecteurs de Croissance) come cambio di paradigma e uscita possibile e necessaria da una civiltà produttivistica (capitalista, per non dimenticare l’elemento centrale dell’economia politica) al lumicino e sempre più pericolosa per il vivente.

La decrescita però non può essere un obbiettivo, ma un rovesciamento di comportamento teso a un rovesciamento di prospettiva. Parlare di decrescita felice mi sembra favorire l’equivoco di un luogo e di un fine – la decrescita, appunto – dove i problemi sarebbero risolti. Invece la decrescita è una necessità puntuale dei paesi avanzati (verso il baratro) per potersi finalmente porre i problemi della libertà dell’uomo e del suo ambiente vitale, anziché quelli della schiavitù salariata e non.

La decrescita può e deve essere piacevole perché deve caricarsi di un’emancipazione che denunci la truffa del consumismo e proponga quella soddisfazione che il consumismo promette in modo alienato e non può soddisfare mai. Il consumismo è in se un inquinamento, ma la società umana comincerà a decrescere quando in questa decrescita si potrà cogliere un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Chi non è addomesticato dalla servitù volontaria lo ha già capito, ma lo sforzo pedagogico necessario a disipnotizzare gli spettatori/consumatori/elettori è lontano al riuscire nei suoi umanissimi intenti. Soprattutto finché la decrescita si presterà a una mistica del sacrificio e della rinuncia che sono l’altra faccia SPECULARE DELL’EDONISMO CONSUMISTA.

La vostra presenza qui è uno stimolo a una presa di coscienza che mi piacerebbe andasse verso la gioia di vivere praticabile anziché (come avviene nel mensile francese LA DECROISSANCE) annunciarla come sottotitolo della rivista per poi proporre una visione del mondo arcaica, sacrificale e primitivista.

Ce n’est qu’un début, commençons le débat

*****

Mentre orde di comparse di uno spettacolo osceno si inginocchiano davanti alla crisi come un masochista davanti alla frusta (No all’accanimento terapeutico: se l’economia è tanto malata, che crepi in pace, dicevano ancora di recente i critici radicali dell’economia politica sommersi dal brusio degli schiavi salariati imploranti), così è continuato tra pochi intimi, sul Blog dei decrescenti italiani Bertaglio e Pallante, un micro dibattito sulla decrescita:

ALLA FACCIA DELL’OTTIMISMO

Lorenzo La Rosa ha commentato sul Fatto:

Caro Bertaglio, mi permetta di essere in un certo senso più ottimista di lei. Io credo che tutti noi saremo costretti a decrescere molto prima che il desiderio di decrescere si sia diffuso in una parte significativa della società. Sarà quindi una “decrescita infelice”, ma pur sempre una decrescita.

Poi Ercolina ha aggiunto

Bravissimo, Andrea, hai centrato il punto!

I predicozzi, specie se arrivano da qualcuno che “predica bene ma razzola maluccio” servono solo a far girare le scatole, come si dice.

Lorenzo De Rosa dice una gran verità: la decrescita ci sarà, se non ci sono quattrini ci sarà per forza, volenti o nolenti, ma come renderla meno traumatica e magari serena (felice, onestamente, mi sembra un po’ utopistico)?

Non è tanto bello citarsi, vedi “chi si loda si imbroda” ma, non per merito ma per una serie di sfortunate circostanze, questa esperienza ho dovuto farla per forza.

Causa gravi problemi di salute miei e di mio marito, problemi del datore di lavoro (vedi “crisi”) e chi più ne ha più ne metta, siamo stati 2 anni praticamente a reddito 0.

Per fortuna avevamo qualche soldino da parte, ma si sono comunque imposte rinunce che vanno ben al di là del vestito firmato (di cui, a esser sinceri, non mi è mai importato un fico secco) o del cellulare ultimo grido.

Beh… siamo ancora qui vivi e vegeti (e non è solo un modo di dire). Ancora oggi la situazione è alquanto precaria, e di alcuni “consumi” la mancanza si sente (per esempio qualche giorno di vacanza ogni tanto, o poter entrare in una libreria e uscirne stracarichi) ma un modus vivendi l’abbiamo trovato, e non è neanche tanto male. Si possono riscoprire per esempio attività molto piacevoli a costo molto molto ridotto, come vedere gli amici in casa anziché fuori, preparando un buon pranzetto, magari ognuno portando la sua “specialità”.

E ce ne sono tante altre. E tanti trucchetti per risparmiare senza per questo diventar matti.
Finisco qui, altrimenti mi trasformo in uno di quei predicatori “tromboni” tanto aborriti da Andrea.

Saluti e buona giornata a tutti Ercolina

Questo il mio commento a seguire:

Mi sembra evidente che la povertà sia una forma oggettiva di decrescita, ma ancor più lapalissiano è che si tratta di operare per una decrescita che sia liberazione dallo spreco produttivista e non rinuncia del necessario. Solo una cultura masochista fondata sulla valle di lacrime e su mamme sempre vergini come l’olio d’oliva può trovare una voluttà perversa nel sacrificio.

Perché la decrescita sia piacevole e quindi auspicabile, è necessario che s’incontri con l’emancipazione dai desideri alienati legati al feticismo della merce che si sono sostituiti ai veri desideri vitali coperti da tabu e divieti assurdi fino a riemergere nelle trasgressioni patetiche e patologiche del cui vomito è stato fatto uno sport nazionale.

In Italia, in particolare, una società decrescente presuppone una vera e propria rivoluzione culturale, ma ovunque, in un mondo globalizzato dalla religione del denaro e quindi del consumo, bisogna cominciare a identificare gli innumerevoli falsi bisogni che non sono mai stati davvero desideri. Il consumo di cibo per nutrirsi correttamente e piacevolmente -tanto per fare un esempio macroscopico- non è certo, insieme a molri altri “consumi” umani da ridefinire, un nemico da punire.

L’assurdità del consumismo si misura piuttosto con il tasso di spazzatura che la natura ci mette sotto gli occhi dovunque: a Napoli con la gestione camorristica che ne fa un ultimo business mostruoso, durante le alluvioni che trasformano in spazzatura visibile gli ammassi di ferraglia inutile montata su gomma che si ammassano fino al secondo piano delle case di cemento costruite in zone inabitabili ma buone per la speculazione.

Eccetera eccetera…

Sergio Ghirardi