mercoledì 6 aprile 2016

La Banda di Benevento - 6 Aprile 1877




preso da: qui
... e grazie

Nevesck
«Ai primi dell'Aprile 1877, una trentina di persone, venute non si sa donde, si riuniva tutte le sere in una casa di San Lupo, villaggio perso nelle gole del Beneventano. La notte del 6 Aprile i carabinieri che sorvegliavano la casa furono ricevuti a colpi di fucile e due tra essi rimasero sul terreno gravemente feriti.
 Dopo queste prime avvisaglie la banda, lasciata la casa, si dirige al vicino villaggio di Letino preceduta da un orifiamma rosso e nero. Occupa il palazzo del Comune e ne caccia il Consiglio Municipale a cui rilascia pel debito scarico la seguente dichiarazione: "Noi sottoscritti dichiariamo d'aver preso possesso del Municipio, di Letino a mano armata, in nome della Rivoluzione Sociale".

E i banditi pongono in calce, l'un dopo l'altro, le proprie firme.
Si portano in piazza, a piedi della croce che vi troneggia, i registri del catasto, quelli dello stato civile, e se ne fa una fiammata.

I contadini accorrono in folla e ad essi uno degli insorti [*] rivolge la parola: "il movimento è generale, il popolo è affrancato, il re decaduto, la Repubblica Sociale proclamata". Si applaude. Le donne chieggono che si proceda subito alla ripartizione delle terre. "Voi avete delle armi, voi siete liberi, fate tra voi le ripartizioni" risponde la banda. Il curato Fortini — che è anche Consigliere comunale — monta sul piedestallo della croce e dice che gli uomini della banda sono venuti a ristabilire sulla terra l'uguaglianza, come vuole il vangelo, e che si debbano quindi accogliere come gli apostoli del Signore, e gridando: "Viva 
la Rivoluzione Sociale!" si pone a capo del drappello e lo guida al prossimo villaggio di Gallo.

A Gallo il parroco Tamburini si fa loro incontro, li accoglie bene e li presenta ai suoi parrocchiani con queste semplici parole: "sono buona gente! non abbiate paura di essi. Il governo è mutato e si dà il fuoco alla cartaccia". La folla, rapita ed entusiasta, riceve i fucili della guardia nazionale. I registri della locale agenzia delle imposte sono recati in piazza ed arsi tra gli evviva, mentre ai molini si tolgono e si distruggono gli odiosi contatori del macinato. L'entusiasmo è al colmo. Il parroco abbraccia il capo della banda, le donne piangono di gioia: non più imposta! non più affitti! eguali tutti, emancipazione generale.

Se non che.... si apprende dopo qualche giorno che le regie truppe accorrono. La banda si rifugia nella foresta del Matese e, disgraziatamente, il cielo è meno clemente dei contadini. Neve dappertutto, il freddo orribilmente intenso, i liberatori muoiono di fame.

Sono arrestati in blocco e nell'Agosto del 1878 compaiono dinnanzi alla Corte d'Assise di Capua...

La catastrofe giudiziaria non è meno strana degli incidenti che l'hanno indotta: gli avvocati sostengono che si tratta di delitto politico coperto dall'amnistia accordata da Umberto I salendo al trono, ed i giurati assolvono...».
 
Fin qui il socialista cristiano Emilio De Laveleye nel suo Socialisme contemporaine (Parigi, Felix Alcan Editeur, 1902) laddove parlando dell'Alleanza Universale della democrazia e di Bakunin apostolo del nihilismo, sintetizza gli episodi e le vicende di quella che i giovani compagni ignorano, ed i vecchi ricordano sempre con ammirazione ed affetto: la banda di Benevento, di cui oggi abbiamo voluto nel trentesimo anniversario suscitare pei lettori della Cronaca il simpatico ricordo.

Perché a costituire la trentina di persone, piovute non si sa di dove, come dice il rugiadoso De Laveleye, che il 6 Aprile 1877 ritentarono nel Beneventano l'eroica iniziativa che sulla terra di Sapri aveva condotto vent'anni avanti i Pisacane, i Nicotera, i Rota, l'eroica iniziativa di dare ad un popolo di ombre il pensiero e 
l'animo dei vivi, di dare ad uno strupo d'iloti un bagliore di coscienza, di verità, di diritto, di speranza e di libertà erano Carlo Cafiero, Alvino, Covelli, Errico Malatesta, Sergio Stepniak e cento altri che la morte ha falciato poi, e che le persecuzioni, le delusioni, le miserie hanno reso superstiti a se stessi, fatta la dovuta parte a coloro che sulla breccia rimasero e rimangono, come Errico Malatesta, immutati, tenendo il loro posto di battaglia coraggiosamente, gloriosamente.

Era insomma il fior fiore dell'intelligenza e dell'energia libertaria germogliato sotto l'alito ardente della parola e dell'esempio di Michele Bakunin nel campo irrequieto della grande Internazionale.

Quarantottate! ghignano in coro i piccioletti ladruncoli bastardi del socialismo scientifico e palancaiolo; e, nello stesso dispregio per le vittime e nella stessa adorazione pel successo: quarantottate! gridano nel sarcasmo nietzschiano gli apologisti eunuchi del dominatore e del superuomo.

Quarantottate? può essere; ma intanto contro gli arnesi da forca dell'antico regime superstite, l'Internazionale ergeva temeraria i postulati del nuovo diritto umano ed i suoi vessilli sanguigni.
Quarantottate? evidentemente: ma intanto il nuovo regno, il primo regno d'Italia si conchiudeva senza le sintomatiche carneficine proletarie, che sono la gloria del secondo e del terzo.

Quarantottate? non v'è il minimo dubbio; ma sotto la ferula cantelliana della vecchia destra non s'accucciava — anestetizzato dal cloroformio delle conquiste graduali e soprattutto pacifiche; avvilito e castrato dalle fervide obiurgazioni modernissime sulla schiavitù degli umili, perenne ineluttabile e necessaria — il proletariato della patria con cui, allora, vivevamo la vita, il palpito, il pensiero di ogni ora.
Ora siamo grandi e... furbi.

Abbiamo detto un grande addio alle quarantottate ed abbiamo messo giudizio.

Il quarantotto imperversa, è vero, nella reazione: sazia di piombo i ventri vuoti, sazia di menzogne i cervelli vergini; rifugia in galera i vecchi tronchi da cui non può più spremere né sudore né lavoro né quattrini; ci affoga nella strozza la libertà di pensiero e di parola e lo statuto; mitraglia per le risaie, per le miniere, per le
 brughiere il diritto alla vita, il diritto di associazione, il diritto di coalizione... 
Ma è la reazione.

Possiamo essere reazionari noi, e ricorrere al quarantotto dell'insurrezione, delle barricate, delle rivolte sguaiate perché le classi dominanti tornano al quarantotto del crimenlese, della tortura e della forca?
Ohibò! noi siamo, oggi, tutti filosofi.

Noi non comprometteremo coi moti inconsulti della ribellione primitiva le libertà consolidate onde sorride benigno dai cieli benedetti della terza Italia il regime liberale al nostro ravvedimento addomesticato; e se v'è ancora in mezzo a noi qualche semi-selvaggio che raccogliendo nel cuore ingenuo e primitivo i dolori e le onte del volgo ne temperi una folgore pei simboli dell'onnipotenza borghese, noi gli mozzeremo le unghie e le temerità in nome della fatalità darwiniana per cui spetta ai forti il dominio per cui sono retaggio ineluttabile degli umili la miseria e la vergogna.

Noi pieghiamo il groppone, la coscienza, la viltà, la bandiera, maestri di raccoglimento e di rassegnazione...

E i banditi di Benevento li ricordiamo tutt'al più per la nostra... mortificazione.

 
[*] Carlo Cafiero
 
[Cronaca Sovversiva, anno V, n. 14, 6/4/1907]

Comprendere Debord dialetticamente











 "Le idee situazioniste, senza dubbio, andranno molto al di là di questa delimitata organizzazione, per quanto indispensabile debba essere riconosciuto il suo ruolo, e proprio perché essa si è sempre pronunciata per l'autonomia di tutti" Asger Jorn 1971

 *****

grazie a Van Thuan Nguyen
Versione italiana di Understanding Debord Dialectically


I


[Risposta ad una lunga serie di domande su Debord e i situazionisti]
Le tue domande sono piuttosto lunghe e complesse. Spero che mi perdonerai se non cercherò di rispondere a tutte le tue domande in maniera dettagliata, poiché questo risulterebbe alquanto dispendioso e richiederebbe molto tempo.

Mi sembra che le tue domande riflettano ciò che io ritengo essere una concezione errata fondamentale (e molto comune): ossia, considerare “lo spettacolo” (e vari altri concetti — per esempio, “il soggetto”, “la merce”, “il capitale”) come categorie logiche rigidamente fisse. Se fai questo, automaticamente incapperai in ogni sorta di dilemmi apparenti, o addirittura di paradossi — Debord crede che lo spettatore sia totalmente dominato dallo spettacolo, o solo in parte? Se totalmente, allora come potrà mai avvenire la rivolta?  Se solo in parte, allora come mai Debord formula sempre le questioni in modi così apparentemente totalistici?

Credo che tali problemi risiedano nel modo in cui ti relazioni col libro. (Per semplicità mi riferirò a “te”, ma per favore non prenderla sul personale. Le tue domande e le tue perplessità sono abbastanza ragionevoli, e sicuramente sono più serie delle sciocche reazioni della maggior parte delle persone alla teoria situazionista. Le stesse critiche si potrebbero applicare praticamente a tutti quelli che discutono di Debord.)

A mio parere, il libro di Debord — come gli scritti di Marx e la teoria dialettica in generale — viene generalmente frainteso quando viene visto “oggettivamente”, come se fosse una descrizione ordinaria della realtà, usando le categorie ordinarie del pensiero. Invece, credo che possa essere giustamente compreso solo se viene utilizzato. Utilizzato non in un modo imitativo e meccanico come un libro di cucina o un manuale per la riparazione dell’auto, ma comunque utilizzato in un modo pratico.

Considera il famoso graffito del Maggio del ’68, “Siate realisti, chiedete l’impossibile”.

Se interpreti quella frase da un punto di vista logico di comune buon senso, ti sembrerà insensata. Per definizione, l’impossibile non può mai accadere, quindi come può essere realistico chiederlo? Probabilmente è effettivamente così che era sembrata quella frase a molte delle persone che l’avevano vista per la prima volta su un muro nel 1968. Ma molte altre persone la capirono perché in seguito furono coinvolte in azioni pratico-critiche. A causa di tale coinvolgimento, poterono quindi osservare come il solito concetto apparentemente pratico per cui ci si dovrebbe limitare a lottare per ciò che è “realisticamente possibile” fosse, in realtà, parte del problema, in quanto presumeva l’esistenza del sistema che invece necessitava davvero di essere trasformato radicalmente. Le cose desiderate dai ribelli erano in effetti impossibili all’interno del contesto del sistema attuale, ma potrebbero diventare possibili se qualcuno andasse oltre quel sistema. E in una certa misura, anche mentre il sistema persisteva, la semplice azione di opporsi al sistema aveva già creato un nuovo spazio mentale, liberando l’immaginazione delle persone in modo che esse potessero immaginare cose che in precedenza sarebbero sembrate impossibili. (La stessa idea, facendo lo stesso ironico gioco con l’apparente paradosso, è stata espressa da Oscar Wilde nell’epigramma al capitolo 4 di “The Joy of Revolution”.)

Un altro graffito simile dello stesso periodo, dice: “In una società che ha distrutto ogni avventura, l’unica avventura possibile è la distruzione di questa società”.

Anche in questo caso, se prendi questa frase troppo rigidamente alla lettera, ti sembrerà in sé una contraddizione (un’avventura rimane ancora possibile, quindi evidentemente non proprio “ogni” avventura è diventata impossibile). Ma se alleggerisci e prendi lo slogan solo un po’ più liberamente, non avrai nessun problema a capire quello che vuol dire.

Questi esempi possono essere un po’ semplicistici, ma penso che più o meno valga lo stesso per molti fraintendimenti sulle tesi del libro di Debord, anche se i suoi aspetti sono in genere più complessi e sottili.

A un certo punto dici: “Mi sembra che la natura stessa delle descrizioni di Debord dello spettacolo, il soggetto e la situazione escludono in modo efficace qualunque tipo di interazione tra queste due figure (lo spettacolo e la sua opposizione) che potrebbe consentire la generazione di qualcosa di nuovo.”

Se fosse davvero così, la teoria di Debord sarebbe stupida e assurda, e pochissime persone avrebbero prestato ad essa qualche attenzione. In realtà, le descrizioni di Debord non hanno a che fare con quasi nulla eccetto tali interazioni. Sono esattamente ciò che viene esaminato e analizzato in tanti modi diversi in tutte le sue opere.

Di nuovo, dici: “Se qualcosa è sorretto dallo spettacolo, non è esso stesso spettacolo?”

La risposta è che, guardando da un angolo potrebbe esserlo, ma da un altro potrebbe non esserlo.

E ancora: “lo spettacolo e i soggetti al suo interno sono effettivamente bloccati in un circolo vizioso.”

Potrebbe essere così se li guardi in modo puramente schematico, come se si trattasse di una formula matematica che dice: “A causa B, e B causa A.” Ma devi tenere a mente che entrambi, sia lo spettacolo che i vari soggetti, sono “più confusi” di ciò, più complicati, più variabili e mutevoli e multidimensionali. La Tesi # 3, per esempio, dice che lo spettacolo si presenta sia come la società stessa, sia come una parte di questa società. Molte altre tesi considerano la questione da molte altre angolazioni apparentemente contraddittorie reciprocamente. C’è abbastanza “continuità” che ha senso parlare di “spettacolo” (cosicché, invece di un insieme caotico di fenomeni disparati, è più una questione di analizzare i vari sviluppi e le mutazioni di una singola, più o meno coerente, tendenza sociale sottostante), e ci sono già abbastanza variabili che è necessario che tu sia consapevole del fatto che “lo spettacolo” non rappresenta un’unica “entità” distinta ed eterna.

Ancora una volta, dici: “Penso che le tesi come questa, che emergono in tutto il libro, mostrano che lo spettacolo deve penetrare lo spettatore. Con ’penetrare’ intendo: suggerire qualcosa di diverso da un soggetto che oppone resistenza in maniera totale — un soggetto che non è invulnerabile agli effetti dell’ambiente. La base di un rifiuto situazionista dello spettacolo è l’importanza primaria di un soggetto che è nella sua essenza assolutamente distinto dalla struttura che vincola le sue possibilità”.

Perché “assolutamente” distinto? (Non potrebbe essere solo parzialmente diverso?) Perché un soggetto deve opporre resistenza “in maniera totale”? (Non potrebbe essere semplicemente un po’ ribelle in determinate circostanze e relativamente sottomesso in altre?) Non vedi che ti stai solamente incasinando la vita con queste affermazioni estreme su “pure” entità fantasticate? L’acqua può inondare un “intero” paese senza necessariamente trasformare il paese in acqua al 100%. Le persone possono resistere all’inondazione, o cercare di rimanere sopra il livello dell’acqua nuotando o salendo su una barca, senza necessariamente opporre resistenza all’acqua “in maniera totale”. In realtà, lungi dall’essere “assolutamente distinti e separati” dall’acqua, i corpi delle persone sono composti in gran parte d’acqua, e morirebbero subito nel giro di poco tempo se venissero privati di essa. Questo può sembrare un esempio stupido — non ho la pretesa che l’analogia sia esatta — ma sto cercando di farti notare che il problema risiede in gran parte nel modo in cui ti poni verso di esso — questa fantasia di entità pure, antagoniste assolutamente.

Questa sorta di manicheismo è ereditata dalla religione e dalle ideologie politiche come l’anarchismo che inconsciamente continuano ad andare avanti con lo stesso punto di vista rigido e dualistico. L’idea, per esempio, che l’umanità sia “intrinsecamente buona”, mentre qualcos’altro (il diavolo, il capitalismo, lo Stato, lo spettacolo) siano totalmente malvagi. In realtà le cose sono solitamente molto più sfocate. “Lo spettacolo” non è un’entità totalmente malvagia, è semplicemente un processo storico-sociale che è sfuggito di mano negli ultimi secoli (o, più precisamente, si tratta di un sintomo dell’estremo sviluppo di un altro processo storico-sociale: il capitalismo). Di per sé non c’è niente di intrinsecamente sbagliato se le persone guardano le cose passivamente (come se “attivo” fosse sempre un bene, e “guardare” e “passivo” fossero sempre un male). Debord — come Hegel e Marx prima di lui — utilizza semplicemente dei termini/concetti molto taglienti per chiarire e rendere incisive le questioni. Egli non sta cercando di costruire una “filosofia” o di fornire una descrizione “scientifica” della realtà.

Queste osservazioni non rispondono alle tue domande, semplicemente equivalgono a dire che le cose sono più complesse di quanto possano sembrare se ti attieni troppo rigidamente alle parole di Debord (trattandole, di fatto, come uno spettacolo). Ma spero che possano aiutarti a fare un passo indietro (e/o andare “avanti”) e a vedere le cose da una prospettiva leggermente diversa, come se dovessi provare ad affrontare tali questioni.

Per esempio, è vero che Debord nella Società dello spettacolo è un po’ più “ottimista” riguardo alle possibilità della rivoluzione, e più pessimista nei suoi successivi Commentari [Commentari sulla Società dello spettacolo]. Ma anche in quest’ultimo libro, se leggi con attenzione, vedrai che egli non vede le cose in maniera poi così tanto totalistica come potrebbe apparire a prima vista. Credo che i passaggi a cui ti riferisci, che sembrano indicare una sconfitta “totale”, siano più che altro un modo di dire. Nel contesto più ampio, c’è stata davvero una grande sconfitta in quanto molte possibilità aperte fino a pochi decenni fa, sono ora (più o meno) chiuse (per il momento). Ma qua e là nei Commentari ci sono degli indizi che ci dicono che questa sconfitta potrebbe non essere definitiva, e che anche il sistema ha ancora le sue proprie gravi contraddizioni. Anche se lo spettacolo integrato “permea tutta la realtà”, ciò non significa che esso domini totalmente e permanentemente tutto o tutti.

Il punto, a mio avviso, è che questo problema possa essere meglio dibattuto in maniera più libera e più aperta, mettendo in considerazione ogni sorta di dati ed esperienze, piuttosto che farsi coinvolgere da noiosi dibattiti accademici-ideologici su tali vaghezze come “la natura del soggetto” o come la “posizione” di Debord sul “soggetto come un processo generativo” che si differenzia da Althusser ecc.

La stessa cosa si potrebbe dire dei problemi “psicologici” che hai menzionato. Sono problemi reali, e si possono trovare un sacco di intuizioni proficue nel Trattato del saper vivere di Vaneigem e nei primi lavori di Reich. Il breve testo di Voyer su Reich è interessante (anche se non ho una buona opinione degli altri scritti di Voyer), e inoltre in Double-Reflection e Case Study e in alcune parti di The Joy of Revolution discuto di alcune questioni correlate. Ma ti suggerisco di non prendere troppo sul serio “i punti di vista opposti” apparentemente  — come per esempio, fantasticando una scissione tra i King Mobbers presumibilmente più Reichiani-Vaneigemisti  e i Debordisti  presumibilmente  più “rigidi” o “dogmatici”. (Come spesso accade in queste scissioni, i problemi reali sono stati in larga misura più banali — vedi il resoconto dell’Internazionale Situazionista nel fascicolo #12 delI’ I.S.: “Le ultime esclusioni”)

Senz’altro, in tale analisi è compreso un attento studio degli scritti di Debord. Ma ti suggerisco di prenderli in maniera solo un po’ più leggera di quanto mi sembra che tu stia facendo, tenendo presente che sono stati scritti da un essere umano vero e molto vivace che si aspettava che i lettori fossero anch’essi esseri vivaci che sperimentano, affrontano e vivono esperienze, e che di conseguenza (anche se non sempre lo dice in modo così esplicito come fa Vaneigem) presuppone sempre che la vita, la rivolta, ecc siano sempre in gioco, nonostante le apparenze superficiali. Le sue dichiarazioni apparentemente pessimistiche sono in qualche misura soltanto dei colpi diretti (jabs) per destare le persone su qualche problema o altro. “Svegliati! Guarda la realtà! Abbiamo perso in quella battaglia laggiù, smettila di fingere il contrario! Fatti coraggio e cerchiamo invece di capire dove andremo da qui in avanti (tenendo conto dei seguenti fattori . . .)!” Questo è veramente ciò che gli scritti di Debord fanno da sempre, non importa quanto astrusi e complessi possano sembrare.
[Gennaio 2005]

II


[Risposta ad una domanda su Debord e i situazionisti da parte di un ammiratore dei pensatori accademici come Theodor Adorno, Jean Baudrillard e Jean-Luc Nancy]

Apprezzo il tuo impegno apparentemente serio con queste domande, quindi anche se non ho tempo per risponderti in dettaglio, ho comunque intenzione di provare a dare una risposta ad alcuni dei tuoi punti.
Forse sono io l’unico a pensarlo, ma sembra che ci sia una tendenza molto “assolutistica” in queste prospettive [situazioniste], in quanto ogni spettacolo è cattivo, non importa quale. Ogni spettacolo deve essere abbandonato. Questo è precisamente quello che Nancy sottolinea che sia impossibile (questo è il modo in cui mette in discussione l’adesione dei situazionisti ad una metafisica delle verità più profonde e dell’autenticità rivelatrice, a scapito di pensare attraverso “apparenze” in quanto tali).
I situazionisti non hanno la prospettiva assolutistica che tu gli stai attribuendo. Non ritengono che ogni spettacolo sia “cattivo” o che “deve essere abbandonato”. Il fatto che Nancy pensi questo, indica solamente la sua ignoranza su di loro. Citare fuori contesto alcune frasi liriche dalle opere situazioniste non dimostra nulla sulla loro fantasticata “metafisica”. Devi valutare tali frasi nel loro contesto, che nella maggior parte dei casi è piuttosto concreto.
Si tratta solo di capire realmente cosa significhi azione rivoluzionaria pratica quando ogni tentativo è ridotto a spettacoli (penso che questo sia ciò che Debord sta intuendo quando scrive di “possibilità di alienazione costantemente ricorrenti che sorgono all’interno della lotta stessa contro l’alienazione” e quindi la necessità di affrontare questo dialetticamente).
Debord non dice che “ogni tentativo è ridotto a spettacoli”, ma che il sistema tende a fare questo. Ciò non significa che tutti questi tentativi siano destinati ad essere sconfitti, bensì che dobbiamo esaminare i molti modi in cui il sistema ha sconfitto o corrotto tali tentativi, in modo da scoprire i metodi che saranno più efficaci. Ovvero, come dici tu, abbiamo bisogno di affrontare queste questioni in maniera dialettica. La Società dello spettacolo non si occupa di nient’altro che di questo.
Ancora, non è la “situazione” più efficace che Debord aveva costruito attraverso la sua opera scritta e mediante l’archiviazione di filmati di film e sceneggiature  —  e di radici filosofiche che stanno alla base di essi?
No. La situazione più significativa che Debord aveva costruito (in collaborazione, ovviamente, con innumerevoli altre persone in vari modi e a vari gradi) fu la rivolta del Maggio del 1968. Tra l’altro, durante lo stesso periodo, Baudrillard, lungi dall’avere alcuna idea di quello che stava succedendo, era un Maoista (cioè uno Stalinista), e Adorno si era dimostrato un completo idiota (scioccato e turbato all’idea che la gente potesse realmente tentare di mettere in pratica tutte quelle sue idee perspicaci, chiamò la polizia).
La mia più grande domanda è dove potresti indirizzarmi specificamente per quanto riguarda le “strategie” che sarebbero in contrasto con le “filosofie” —  finora tutto quello che vedo è un grave castigo della società, un tentativo di “dimostrare” che il tempo di pendolarismo, i film popolari , ecc. sono tutte cose “cattive”.
Gli articoli nell’ Antologia dell’I.S. sono pieni di esempi concreti. Per citarne solo uno, vai a vedere I nostri fini e i nostri metodi nello scandalo di Strasburgo. Dove sta la “filosofia” in questo articolo? È un’analisi concreta di un tentativo molto concreto e di grande successo per minare l’istituzione in cui persone come Adorno, Baudrillard e Nancy sono così comodamente sistemate. “Noi vogliamo che le idee tornino a farsi pericolose. Non è possibile permettere di sopportarci, non possiamo accettarci nella codardìa di falsi interessi eclettici, come se fossimo dei Sartre, Althusser, Aragon o Godard”.
Mi chiedo che “intervento” reale sarebbe  — poiché concordo con l’idea che ci sono modalità di inautenticità che possono essere modificate, modalità di consumo/svago che possono essere liberate in ambiti più creativi/trasformativi.
È un bene che tu abbia posto questa domanda. Ma per trovare la risposta, devi spingerti oltre e iniziare a sperimentare tali interventi. Per fare ciò, dovrai uscire fuori dal tuo guscio lasciandoti alle spalle i tuoi soliti preconcetti e le abitudini usuali. E dovrai avere il coraggio di rischiare di renderti ridicolo e di fare la figura del fesso. È l’unico modo per imparare veramente cosa significa tutta questa roba.
Questa, perlomeno, è stata la mia esperienza. (Vedi Come diventai situazionista.)


[Ottobre 2010]

 

Versione italiana di Understanding Debord Dialectically, traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.
No copyright.