venerdì 31 dicembre 2010

La Favola dei Caldomorbidi



C’era una volta un luogo, molto, molto, molto tempo fa, dove vivevano delle persone felici. Fra queste persone felici ve n’erano due che avevano per nome Luca e Vera. Luca e Vera vivevano con i loro due figli Elisa e Marco.
Per poter comprendere quanto erano felici dobbiamo spiegare come erano solite andare le cose in quel tempo e in quel luogo.
Vedete, in quei giorni felici, quando un bimbo nasceva trovava nella sua culla, posto vicino a dove appoggiava il suo pancino, un piccolo, soffice e caldo sacchetto morbido. E quando il bambino infilava la sua manina nel sacchetto, poteva sempre estrarne un… “caldomorbido”.
I caldomorbidi in quel tempo erano molto diffusi e richiesti perché in qualunque momento una persona ne sentisse il bisogno poteva prenderne uno e subito si sentiva calda e morbida a lungo.
Se per qualche motivo la gente non avesse preso con una certa regolarità dei caldomorbidi, avrebbe corso il rischio di sviluppare dentro una strana e rara malattia. Era una malattia che partiva dalla spina dorsale e che lentamente portava la persona ad incurvarsi, ad appassire e poi a morirne.
In quei giorni era molto facile avere dei caldomorbidi e si incontrava sempre qualcuno che ne chiedeva e qualcuno che ne dava volentieri. Quando uno, cercando nel suo sacchetto, tirava fuori un caldomorbido, questo aveva la dimensione di un piccolo pugno di bambina ed un colore caldo e tenero. E subito, vedendo la luce del giorno, questo sorrideva e sbocciava in un grande e vellutato caldomorbido.
E quando veniva posto sulla spalla di una persona, o sulla testa, o sul petto, e veniva accarezzato, piano piano si scioglieva, entrava nella pelle, e permetteva subito alla persona di sentirsi bene e a lungo.
La gente in quel tempo si frequentava molto e si scambiava reciprocamente caldomorbidi. Naturalmente erano sempre gratis ed averne a sufficienza non era mai un problema.
Come dicevamo poc’anzi, con tutta questa abbondanza di caldomorbidi, in questo paese tutti erano felici e contenti, caldi e morbidi, la maggior parte del tempo.
Ma, un brutto giorno, una strega cattiva che viveva da quelle parti si arrabbiò, perché, essendo così tutti felici e contenti, nessuno comprava le sue pozioni e i suoi unguenti.
A questo punto la strega, che era molto intelligente, studiò un piano diabolico.
In una bella mattina di primavera, mentre Vera giocava serena in un prato coi bambini, avvicinò Luca e gli sussurrò all'orecchio:
“Guarda Luca, guarda Vera come sta sprecando tutti i caldomorbidi che ha, dandoli a Elisa. Sai, se Elisa se li prende tutti, può darsi che a lungo andare non ne rimanga più nessuno per te”.
Luca rimase a lungo soprappensiero. Poi si voltò verso la strega e disse:
"Intendi dire che può darsi che non troveremo più un caldomorbido nel nostro sacchetto tutte le volte che lo cercheremo?".
E la strega rispose: "No, assolutamente no. Quando saranno finiti, saranno finiti. E non ne avrai assolutamente più".
Detto questo volò via sghignazzando fra sé.
Luca fu molto colpito da quanto aveva detto la strega e da quel momento cominciò ad osservare e a ricordare tutti i momenti in cui Vera dava caldomorbidi a qualcun altro.
Da quel momento cominciò ad essere timoroso e turbato perché gli piacevano i caldomorbidi di Vera e non voleva proprio rimanere senza. E pensava pure che Vera non facesse una cosa buona dando tutti quei caldomorbidi ai bambini e alle altre persone.
Cosi cominciò ad intristirsi tutte le volte che vedeva Vera dare un caldomorbido a qualcun altro. E poiché Vera gli voleva molto bene, essa smise dì dare così spesso caldomorbidi agli altri, riservandoli invece per lui.
I bambini, vedendo questo, cominciarono naturalmente a pensare che fosse una cattiva cosa dar via caldomorbidi a chiunque ed in qualsiasi momento venissero richiesti o si desiderasse farlo e, piano piano, senza quasi nemmeno accorgersene, diventarono sempre più timorosi di perdere qualcosa.
Così anch'essi divennero più esigenti. Tennero d'occhio i loro genitori e quando vedevano che uno di loro dava un caldomorbido all'altro anche loro impararono ad intristirsi. E così anche i loro genitori se ne davano sempre di meno e di nascosto perché così pensavano che non li avrebbero fatti soffrire.
Sappiamo bene come sono contagiosi i timori. Infatti, ben presto queste paure si sparsero in tutto il paese e sempre meno ci si scambiava caldomorbidi.
Nonostante ciò le persone potevano comunque sempre trovare un caldomorbido nel loro sacchetto tutte le volte che lo cercavano, ma essi cominciarono a cercare sempre meno, diventando intanto sempre più avari.
Presto la gente cominciò a sentire mancanza di caldomorbidi e iniziò così a sentire meno caldo e meno morbido. Poi qualcuno di loro cominciò ad incurvarsi e ad appassire e talvolta la gente persino moriva. Quella malattia, dovuta alla mancanza dì caldomorbidi, che prima della venuta della strega era molto rara, ora colpiva sempre più spesso.
E sempre più la gente andava ora dalla strega per comprare pozioni e unguenti, ma, nonostante ciò, non aveva l'aria di star meglio.
Orbene, la situazione stava diventando di giorno in giorno più seria. A pensarci bene la strega cattiva in realtà non desiderava che la gente morisse (infatti pare che i morti non comprino balsami e pozioni), così cominciò a studiare un nuovo piano. Fece distribuire gratuitamente a ciascuno un sacchetto in tutto simile al sacchetto dei caldomorbidi eccetto che per il fatto che questo era freddo mentre l'altro era caldo. Dentro il sacchetto della strega infatti c'erano i “freddoruvidi”. Questi freddoruvidi non facevano sentire la gente calda e morbida ma la facevano sentire fredda e ruvida. Comunque fosse, i freddoruvidi un effetto ce l’avevano: impedivano infatti che la schiena della gente si incurvasse più di tanto e, anche se sgradevoli, servivano a tenere in vita le persone che abitavano in questo luogo che una volta era stato felice.
Così tutte le volte che qualcuno diceva: "Desidero un caldomorbido", la gente che era arrabbiata e spaventata per il loro rarefarsi, rispondeva: "Non ti posso dare un caldomorbido, gradisci però un freddoruvido?".
E a volte capitava anche che due persone che passeggiavano insieme pensavano che avrebbero potuto scambiarsi dei caldomorbidi, ma una o l'altra delle due, aspettando che fosse l'altra ad offrirglielo, finiva poi per cambiare idea, ed essi finivano per scambiarsi dei freddoruvidi.
Stando così le cose ormai sempre meno gente moriva di quella malattia, ma un sacco di persone erano sempre infelici e sentivano molto freddo e molto ruvido.
E' inutile dire che questo fu un periodo d'oro per gli affari della strega.
La situazione si complicava ogni giorno di più. I caldomorbidi che una volta erano disponibili come l'aria divennero una cosa di grosso valore e questo fece sì che la gente fosse disposta ad ogni sorta di cose pur di averne. In certi casi i caldomorbidi venivano estorti con un po' d'inganno, in altri con un po' di violenza e quando questo avveniva succedeva una cosa strana, che non sorridevano più e s'illuminavano poco a poco e di un colore amaro.
Prima che la strega facesse la sua apparizione la gente usava stare in gruppi di tre o di quattro o anche di cinque persone senza minimamente preoccuparsi di chi fosse a dare i caldomorbidi. Dopo la venuta della strega la gente cominciò a tenere per sé tutti i propri caldomorbidi, e a darli al massimo ad un'altra persona. Qualche volta succedeva che quelli che davano a persone esterne dei caldomorbidi si sentivano in colpa perché pensavano che il proprio partner molto probabilmente ne sarebbe stato dispiaciuto e geloso. E quelli che non avevano trovato un partner sufficientemente generoso andavano a comprare i loro caldomorbidi e questo gli costava molte ore di lavoro per racimolare il denaro.
Un'altra cosa sorprendente ancora succedeva. Alcune persone prendevano i freddoruvidi, che si trovavano facilmente e gratuitamente, li camuffavano ad arte con un apparenza piacevole e morbida e li spacciavano per caldomorbidi. Questi caldomorbidi contraffatti venivano chiamati caldomorbidi di plastica e finirono per procurare guai maggiori.
Per esempio, quando due persone si volevano scambiare reciprocamente dei caldomorbidi pensavano, è ovvio, che si sarebbero sentiti bene, ma in realtà succedeva che nulla cambiava e continuavano a sentirsi come prima e forse anche un pochino peggio. Ma poiché pensavano in buona fede di essersi scambiati dei caldomorbidi genuini, rimanevano molto confusi e disorientati, non comprendendo che il loro freddo e le loro sensazioni sgradevoli erano in realtà il risultato del fatto che si erano scambiati caldomorbidi di plastica.
Così la situazione peggiorava di giorno in giorno.
I caldomorbidi erano sempre più rari e, a volte, anche guardati con sospetto, perché si confondevano con quelli di plastica, contraffatti. I freddoruvidi erano abbondanti e sgradevoli e tutti pareva volessero regalarli agli altri. C'era molta tristezza, paura e diffidenza e tutto questo era iniziato con la venuta della strega, che aveva convinto le persone che a forza di scambiarsi caldomorbidi un giorno non lontano avrebbero potuto cercare nel proprio sacchetto caldo e scoprire che erano finiti.
Passò ancora del tempo ed un giorno una graziosa e florida donna nata sotto il segno dell'Acquario giunse in quel paese sfortunato portando il suo sorriso limpido e caldo.
Essa non aveva mai sentito parlare della strega cattiva e non nutriva alcun timore che i suoi caldomorbidi finissero. Li dava liberamente anche quando non erano chiesti. Molti la disapprovavano perché pensavano che fosse sconveniente che i bambini vedessero queste cose e temevano dei guasti nella loro educazione
Ma essa piacque molto ai bambini, tanto che la circondavano in ogni momento. Ed anche loro cominciarono a provare gusto nel dare agli altri caldomorbidi quando gliene veniva voglia. I benpensanti corsero ben presto ai ripari facendo approvare una legge per proteggere i bambini da un uso spregiudicato di caldomorbidi. Per questa legge era un crimine punibile dare caldomorbidi ad altri che non alla persona per cui si aveva avuta la licenza. E per maggiore garanzia queste licenze di darsi caldomorbidi si potevano avere per una sola persona e spesso duravano tutta la vita.
Molti bambini comunque fecero finta di non conoscere la legge e in barba a questa continuarono a dare ad altri caldomorbidi quando ne avevano voglia o quando qualcuno glieli chiedeva. E poiché c'erano molti, molti bambini... così tanti forse quanto i benpensanti... cominciò ad apparire chiaro che la cosa era molto difficile da contenere.
A questo punto sarebbe interessante sapere come andò a finire. Riuscì la forza della legge e dell'ordine a fermare i bambini? Oppure furono invece i benpensanti a scendere a patti? E Luca e Vera, ricordando i giorni felici dove non c'era limite di caldomorbidi, ricominciarono a donarli ancora liberamente?
La ribellione serpeggiava ovunque nel paese e probabilmente toccò anche il luogo dove vivete. Se voi volete, ed io sono sicuro che voi vogliate, potete unirvi a loro a dare e chiedere caldomorbidi, e in questo modo diventare autonomi e sani senza più il rischio che la vostra spina dorsale si ripieghi soffrendo e possa appassire.
(Claude Steiner 1969)

martedì 28 dicembre 2010

Cari fratelli e sorelle del popolo Mapuche

Cari fratelli e sorelle del popolo Mapuche siamo tutti ostaggio dello sfruttamento del pianeta: dell'ambiente come della vita delle persone, nell'unico nome del profitto.
Non abbiamo ancora trovato un luogo e un modo comune per dichiarare la fine di questa oppressione e l'inizio di una nuova era all'insegna del'empatia e della collaborazione, per creare finalmente un mondo di signori senza schiavi...
Auguriamoci che il nuovo anno ci regali delle occasioni di rivolta che risuonino come campane a festa per chi ha il cuore generoso e libero e come rintocchi a morte per gli sfruttatori e i loro servi aguzzini.

gc


vedi Il Cile e lo sterminio del popolo Mapuche (dal blog di Beppe Grillo)




La Golondrina

A donde irá veloz y fatigada
la golondrina que de aquí se va.
No tiene cielo, se halla extraviada
buscando abrigo y no lo encontrará.

Junto a mi pecho
Le pondré yo su nido
en donde pueda
la estación pasar.
También yo estoy
en la región perdida
¡Oh cielo santo!
y sin poder volar.

A donde irá veloz y fatigada
la golondrina que de aquí se va
¡Oh, si en el viento, se hallara extraviada!
buscando abrigo y no lo encontrará.
Junto a mi pecho hallará su nido
en donde pueda la estación pasar
también yo estoy en la región perdida
¡oh, cielo santo! y sin poder volar.

Dejé también mi patria adorada,
esa mansión que me miró nacer,
mi vida es hoy errante y angustiada
y ya no puedo a mi mansión volver.

Ave querida, amada peregrina,
mi corazón al tuyo estrecharé,
oiré tus cantos, bella golondrina,
recordaré mi patria y lloraré.

mercoledì 22 dicembre 2010

The Motor City is Burning - John Lee Hooker



History: The Motor City Is Burning



One of the worst riots in American history began on July 23, 1967, at the corner of 12th Street and Clairmount on the west side of Detroit. At the time I was a one-year-old baby living on the east side of Detroit. Luckily for my family, the riot never made it across town.

Caused by racial tensions, the "disturbance" lasted four days. Before it was over, National Guard tanks were rolling down the city streets, thousands of buildings were burned to the ground, and 43 people lost their lives. Read about it at here.

Detroit has never fully recovered. White flight to the suburbs increased dramatically after the riot. I have a friend whose family sold their house in Detroit for $1.00. We were renting at the time and it wasn't long before my family had moved out too. Metropolitan Detroit is now the most segregated population center in the United States.

There are at least two pop songs about the so-called 12th Street Riot:

Motor City Is Burning was recorded by both Detroit-based bluesman John Lee Hooker and Detroit-based punk-rockers MC5.

Lotte Lenya Singing "Seeräuber Jenny" (Pirate Jenny)



Lotte Lenya singing "Seeräuber Jenny" in the original 1931 film Die Dreigroschenoper (The Threepenny Opera)

1
Meine Herren, heute sehen Sie mich Gläser abwaschen
Und ich machte das Bett für jeden.
Und Sie geben mir einen Penny und ich bedanke mich schnell
Und Sie sehen meine Lumpen und dies lumpige Hotel
Und Sie wissen nicht, mit wem Sie reden.
Aber eines Abends wird ein Geschrei sein am Hafen
Und man fragt: Was ist das für ein Geschrei?
Und man wird mich lächeln sehn bei meinen Gläsern
Und man sagt: Was lächelt die dabei?
Und ein Schiff mit acht Segeln
Und mit fünfzig Kanonen
Wird liegen am Kai.

2
Man sagt: Geh, wisch deine Gläser, mein Kind
Und man reicht mir den Penny hin.
Und der Penny wird genommen, und das Bett wird gemacht!
(Es wird keiner mehr drin schlafen in dieser Nacht.)
Und Sie wissen immer noch nicht, wer ich bin.
Aber eines Abends wird ein Getös sein am Hafen
Und man fragt: Was ist das für ein Getös?
Und man wird mich stehen sehen hinterm Fenster.
Und man sagt: Was lächelt die so bös?
Und das Schiff mit acht Segeln
Und mit fünfzig Kanonen
Wird beschießen die Stadt.

3
Meine Herren, da wird wohl Ihr Lachen aufhörn
Denn die Mauern werden fallen hin
Und die Stadt wird gemacht dem Erdboden gleich
Nur ein lumpiges Hotel wird verschont von jedem Streich
Und man fragt: Wer wohnt Besonderer darin?
Und in dieser Nacht wird ein Geschrei um das Hotel sein
Und man fragt: Warum wird das Hotel verschont?
Und man wird mich sehen treten aus der Tür gen Morgen
Und man sagt: Die hat darin gewohnt?
Und das Schiff mit acht Segeln
Und mit fünfzig Kanonen
Wird beflaggen den Mast.

4
Und es werden kommen hundert gen Mittag an Land
Und werden in den Schatten treten
Und fangen einen jeglichen aus jeglicher Tür
Und legen ihn in Ketten und bringen vor mir
Und frage: Welchen sollen wir töten?
Und an diesem Mittag wird es still seinam Hafen
Wenn man fragt, wer wohl sterben muß.
Und dann werden Sie mich sagen hören: Alle!
Und wenn dann der Kopf fällt, sage ich: Hoppla!
Und das Schiff mit acht Segeln
Und mit fünfzig Kanonen
Wird entschwinden mit mir.

domenica 19 dicembre 2010

gli ultras ci avevano avvertito!


Quello che salta agli occhi è che ogni giorno ci sono proteste davanti al Palazzo eppure solo davanti agli studenti i politici chiusi nel bunker hanno messo la polizia schierata e armata: quindi la scelta è diventata di subire l'ennesima ingiuria o dare l'assalto alla zona rossa. Tutto qui. Se hai davanti degli uomini armati che ti impediscono il semplice diritto costituzionale di manifestare e controllare i "tuoi eletti" credo sia inevitabile che a violenza si risponda con violenza.
Tutto il potere attuale si fonda sulla violenza, io non ho guardie armate al mio servizio e mai le ho avute , ma con le tasse sono obbligata a pagarle e loro lavorano a favore solo dei loro diretti mandanti cioè dei partiti politici.
Non raccontiamoci la barzelletta che le forze dell'ordine sarebbero al "nostro servizio". Sono, come sempre è stato, al servizio dei potenti di turno, tutti attentissimi a diffondersi ogni volta in sperticate lodi e solidarietà a questi guardiani della "loro" sicurezza e impunità.
Il popolo semmai ce li ha sempre avuti contro, e a volte questo popolo che subisce di tutto, d'un tratto diventa un popolo rivoluzionario e allora non ce n'è: se li magna!
A proposito della trasmissione di Annozero, oltre a parlare di "apologia di reato (!), Larussa ad un certo punto ha persino parlato di "reato politico" e nessuno ha rilevato quale enorme bestemmia questo sia in un sistema che si vorrebbe definire democratico ......E Di Pietro ha sentito di poter dire quanto fascista fosse l'atteggiamento di questo ministro della repubblica, ormai immemore delle sue manifestazioni di piazza, come lo è Maroni che si spinge a cavalcare per l'ennesima volta la voglia di sicurezza del suo elettorato proponendo il DASPO ai manifestanti come se l'esercizio dei diritti costituzionali fosse la stessa cosa del diritto di accedere allo stadio.... senso della libertà e del diritto ZERO.
Oggi tocca agli ultras domani a tutta la città! gli ultras ci avevano avvertito!

sabato 18 dicembre 2010

Caro Saviano, il problema della violenza è intrinseco alla questione sociale.


Caro Saviano,
Il problema della violenza è intrinseco alla questione sociale.
La stessa esistenza di una questione sociale indica, infatti, l’esistenza di un cattivo funzionamento della società. Palesemente, se nessuno subisse ingiustizie, soprusi, sfruttamento, truffe e imposizioni di vario tipo non ci sarebbe una questione sociale, ma ci sarebbe solo da rinnovare costantemente, correggendola in meglio, l’armonia di una società in cui ognuno troverebbe il proprio spazio per esprimersi e inventarsi forme diverse di felicità.
Nell’assenza programmata, interessata e voluta di quest’armonia sta la radice della violenza nelle sue forme sociali.
La prima violenza sociale è quando un sistema di governo nato da una volontà “quasi”generale si traduce nella gestione dell’interesse di pochi, si impone a tutti contro la loro volontà e si spinge addirittura a prenderli per i fondelli quando la corruzione, il servilismo e l’ignoranza toccano il fondo dell’Italia attuale. Per riprendere, modificandola appena, una riflessione di questi giorni del direttore del Fatto: la prossima volta davanti alla folla incazzata provate a mandare gli scilipoti con l’agopuntura anziché i poliziotti con il manganello.
Qualunque logica di diritto e di giustizia avvalora il diritto alla legittima difesa. Nessuno è scandalizzato dal fatto che un aggredito, un truffato, un violentato si difenda come può, esprima come può il suo dissenso e persino il suo disgusto. Il raffinamento giudiziario introduce soltanto la proporzionalità della risposta all’offesa ricevuta. Il che vale tanto per gli atti individuali che per quelli collettivi.
Qui, però, si entra nell’opinabile, perché non mi pare, a priori, insensato porsi la seguente questione: è più grave, per esempio, distruggere il sistema educativo di un paese, il suo tessuto umano di fraternità, per quanto relativa, in nome della riduzione di tutto a potere e possesso di pochi (e per giunta mostruosi), o frantumare, come selvaggi, qualche vetrina di banche che hanno intrallazzato con gli averi sudaticci di lavoro e di umiliazione dei poveri cittadini ignari? Nel rapporto di proporzionalità, mi pare che, in questo caso, l’offesa sia molto più grave della rabbia per quanto cieca che essa riceve in risposta.
Dal punto di vista dell’etica giudiziaria di un qualunque stato di diritto “modernamente” borghese è evidente che degli individui che hanno subito in quanto popolo quello che le democrazie spettacolari impongono ai loro sudditi, hanno il pieno diritto di insorgere, di ribellarsi e di rivendicare la fine dei giochi che li manipolano e impediscono loro di vivere.
Quale democrazia è quella dove un fascista ottenebrato come La Russa può gargarizzarsi impunemente di un patriottismo da caserma o da birreria, mentre i suoi colleghi parlamentari stanno scappando con l’argenteria?
Il diritto alla rivolta di fronte all’oppressione e al sopruso fa parte dei diritti dell’uomo consacrati da quella stessa borghesia che ha fatto della democrazia rappresentativa il suo modello preferito di governo. Un metodo di governo così utile agli affari che è sopravvissuto alla borghesia stessa, assunta in leasing nella gestione di un capitalismo che considera ormai gli esseri umani - tutti gli esseri umani senza eccezione, pur nell’ineguaglianza redditizia dei ruoli e delle caste - necessari a produrre valore economico, ma superflui, e addirittura nocivi, per l’accumulazione senza fine di questo stesso valore.
Certo, sono sempre degli uomini volgarmente e sprezzantemente privilegiati ad approfittare delle abbondanti briciole di ricchezza inquinata prodotte dalla società globale, ma come non vedere l’autonomizzarsi demenziale del sistema economico al di fuori della logica stessa del vivente che il produttivismo sta distruggendo in maniera sempre più irreparabile?
Lo sfruttamento insensato della natura si è aggiunto, aggravandolo, a quello antico dell’uomo sull’uomo: da Kyoto a Cancun, passando per Copenhagen, lo spettacolo dello sviluppo sostenibile dell’economia programma la reale distruzione insostenibile del vivente.
Su una cosa - mi pare - siamo tutti d’accordo: non va affatto bene. Persino quelli che, come sacre vergini patriarcali di fronte a un coito, si scandalizzano per qualche episodio di violenza nevrotica sulle cose, vorrebbero, però, che degli angeli scendessero dal cielo rendendo gli uomini buoni e ragionevoli. Per una magia sadicamente buonista, tipica del cattolicesimo, il pianeta diventerebbe allora un presepe dove tutti adorano il bue e l’asinello mentre il bambinello, per par condicio, reciterebbe poesie con lo sguardo pericolosamente sdolcinato di Bondi o di Veltroni.
Non va affatto bene, lo dicono tutti i pompieri professionisti di una politica che accende fuocherelli nella prateria che hanno ridotto a un deserto chiamandolo progresso, per poi accorrere a spegnerli intonando viva l’Italia, viva l’umanità, viva la democrazia e più sommessamente viva le società offshore e il nepotismo trionfante.
Non va affatto bene in Italia e nel mondo, al punto che non si contano più quelli che, pur con interpretazioni, metodi e obiettivi diversi, parlano senza mezzi termini di cambiamenti radicali necessari se non addirittura di rivoluzione. Anche tu, se ho capito bene, sia pur con gentilezza squisita, ti esprimi in questo senso: bisogna cambiare!
Allora, in ultima analisi, possono la mia perplessità su un’ortodossia pacifista disincarnata e la mia chiara irritazione per i predicozzi benpensanti alla Telese ( i benpensanti hanno sempre avuto il privilegio di non aver bisogno di pensare molto per formulare i loro sillogismi da omelia domenicale), essere assimilate a un’apologia della violenza? Niente affatto.
Indosso forse, con malaugurata incoscienza, i panni diabolici di un cattivo maestro? Nemmeno per sogno, anzi per incubo. Odio deliziosamente tutte le autorità non autogestite, anche quella del pensiero, dunque, fosse pure per davvero rivoluzionario. Nessun pensiero separato dal corpo cambierà i destini del mondo, nessuna coscienza può venire dall’esterno senza diventare una credenza religiosa col fanatismo che essa implica.
L’icona demoniaca del cattivo maestro è stata inventata dai pedagoghi perversi della servitù volontaria, dagli ignoranti diplomati opportunisti, dagli stragisti di Stato e dalle multinazionali del business e del terrore che infiltrano e utilizzano i terroristi psicotici per far regnare la psicosi affaristica a cui vogliono ridurre il mondo.
Chi è caduto nella trappola nichilista della lotta armata e degli anni di piombo non ha seguito nessun maestro, ma solo una nera disperazione nell’assenza di prospettive.
Dai precari della vita ai precari della sopravvivenza il passo è stato, del resto, assai lesto e sulla paura coltivata dei cattivi maestri, gli sgherri del totalitarismo economicista hanno costruito il neoanalfabetismo dello spettacolo: il più immondo macchinario di alienazione e umiliazione mai visto al mondo, inclusivo di mafie, corrotti, corruttori, assassini, fascisti e puttanieri; un sistema di addomesticamento tale che ogni pecora è diventata il proprio cane.
Senza avere mai fatto la minima concessione ideologica a nessun autoritarismo pseudo rivoluzionario, io mi batto come posso con molti altri da più di quarant’anni per una rivoluzione pacifica - ma non pacifista nel senso cristiano del termine, che se qualcuno spara, secondo me è doveroso difendersi, altro che porgere l’altra guancia - contro i difensori del vecchio mondo e contro il nichilismo di chi gli si oppone con un estremismo suicida senza scalfirlo nella sua struttura, anzi rafforzandolo.
Su quest’ultima parte della mia analisi potremmo, credo, essere d’accordo, ma non per etica o estetica della rivoluzione. Dal punto di vista della rivoluzione necessaria e della democrazia diretta che la può organizzare e rendere operativa, la critica della violenza è semplicemente, e prima di tutto, strategica.
Non si può combattere la società dell’alienazione con forme alienate e la violenza è il sintomo più evidente dell’alienazione, oltre che il suo riproduttore più fedele. Se posso capire la rabbia di chi vuole distruggere i totem di un mondo infetto, non ne condivido affatto la strategia narcisistica, ottusa, nichilista e impotente.
Attenzione però che a fare il gioco del nemico non è solo chi con la violenza fa inconsciamente la pubblicità dello Stato protettore, ma anche chi accetta di dare a manifestazioni magari isteriche di sabotaggio simbolico e di distruzione iconoclasta la parvenza e il significato del terrorismo.
Esistono due terrorismi: quello delle organizzazioni mafiose private - sette di business come la Camorra, non diverse nell’essenziale da sette religiose e politiche come Al Qaida e le Bande Armate di qualunque ideologia putchista e affarista - e quello di un terrorismo di Stato che da sempre ha fatto sua la logica del Principe del Machiavelli.
Il terrorismo uccide volontariamente delle persone, per impossessarsi delle cose, anzi della cosa a cui riduce il senso della vita: il potere di cui il denaro è l’equivalente generale.
Il sabotaggio attacca le cose in nome delle persone e nega in principio il potere nella sua essenza. Si tratta allora di criticarne ogni volta gli effetti perversi, le derive che possono ridurlo a un ricatto utilitaristico. La corruzione capitalista può inquinarlo e deviarlo da quel sindacalismo rivoluzionario che ha in linea di mira l’emancipazione degli individui e dei popoli attraverso il sabotaggio che li comprende tutti: lo sciopero generale.
C’è invece un’asfissia evidente dell’intelligenza sensibile nell’identificarlo a priori con un’immoralità intrinseca e una volontà nociva, come predica chi lo amalgama al terrorismo.
Dovresti, mi sembra, essere particolarmente sensibile a quest’argomento proprio tu che sei stato trattato da disfattista nazionale per aver denunciato la ragnatela camorrista. Il trucco è altrettanto volgare.
Io credo che un buon sabotaggio sia complice di chi subisce il sistema e, per esempio, anziché bloccare gli autobus li faccia circolare gratis.
La gratuità è quanto il mondo degli affari sopporta peggio.
Un cattivo sabotaggio riporta, invece, le masse a rifugiarsi sotto l’ala sadica e paternalista del potere, così come sempre fa il terrorismo.
Se un colpo di fucile potesse mai emancipare per sempre il mondo dal sopruso e dalla sofferenza, varrebbe la pena di spararlo. Ma ogni volta che la rivoluzione si cerca sulle canne dei fucili, essa inventa nuovi mostri che la rendono indesiderabile e nefasta, trasformandola in una controrivoluzione: bolscevismo, maoismo, castrismo e “polpottismo”, per non citare che esempi di sinistra del totalitarismo che impesta il mondo da tutti i lati e con il favore di tutte le ideologie.
Alla fin fine la violenza ottiene sempre lo stesso scopo e anche per questo è una risposta ottusa all’ingiustizia e alla violenza del sistema. Per questo sono da sempre contro la violenza attiva e mi batto contro un uso alienato della propria rabbia senza però pretendere di dare lezioni di stile a quella violenza dei poveri che è il sintomo evidente dell’insopportabilità della loro situazione.
Nonostante i più schifosi rigurgiti fascisti attraversino come fantasmi inquietanti il quotidiano triste degli schiavi produttivi con la protervia degli impotenti avidi di potere, anzi forse anche per questo, il grande compito di questo inizio secolo è di sottrarci al ricatto ignobile che vuole imporci la scelta tra continuità dello sfruttamento e dell’alienazione capitalistica o una controrivoluzione autoritaria che ripristinerebbe l’antica sottomissione come il minore dei mali.
Fino a oggi gli intellettuali hanno fatto la morale al vecchio mondo. Un altro mondo è possibile e si tratta ormai di dimostrarlo oltre le parole, trasformando quello in rovine nel quale ci arrabattiamo con sinistre prospettive.
Salutandoti con la solidarietà e il sostegno che merita chi osa denunciare l’intollerabile a proprio rischio e pericolo, ti invito a leggere il testo di Raoul Vaneigem “Lo Stato non è più niente, sta a noi essere tutto!” che ho di recente tradotto in italiano per le Edizioni Nautilus di Torino, appena prima che il rifiuto di essere sia guerrieri che martiri tornasse, con tanta prepotenza, di attualità.
Sergio Ghirardi

domenica 12 dicembre 2010

Parla per te coglione! - Basta con le menzogne e la falsificazione della storia.



Le pareti della redazione, in Rue Jacob, erano tappezzate di “dazebao”, e sulla copertina della rivista campeggiavano minacciosi ideogrammi. In quell’autunno del 1971, gli uffici parigini di Tel Quel, nel quartiere latino, erano diventati una Tien an men in miniatura. Per mostrare la saldezza delle sue nuove convinzioni lo stesso direttore, Philippe Sollers, si era insaccato in una tuta alla Mao. Non sappiamo se di cachemire come quella che sfoggiava, più o meno negli stessi mesi, il giovane Carlo Rossella per le vie di Milano, ma sicuramente di buon taglio. Sollers, 74 anni, è tuttora uno dei mostri sacri della scena culturale francese, uno di quegli snobboni inossidabili da cui dipendono le sorti dei premi letterari, ospite fisso di festival e talk-show in competizione con la moglie, la psicoanalista di origine bulgara Julia Kristeva. Oggi è approdato sulle sponde di un papismo controriformista.
Dalle guardie rosse alle guardie svizzere, purché alla corte di qualche Grande Timoniere, un po’ come Rossella, che il suo lo ha incontrato ad Arcore. Fa una certa impressione ritrovare questi nomi e queste facce, ormai incanutite e incravattate, negli appelli in difesa del Nobel dissidente Liu Xiaobo, tenuto sotto chiave dai degni nipotini di Mao. Quelli che oggi avallano le storielle berlusconiane sui cinesi mangiabambini (salvo addobbare di lanterne il centro di Roma per la visita di Wen Jiabao) sono talvolta gli stessi che quarant’anni fa sventolavano il libretto rosso. Come sia nata, e da dove venisse quell’infatuazione, che tanta parte ebbe nella storia culturale del Sessantotto e degli anni Settanta, lo ricostruisce lo storico americano Richard Wolin in un bel libro uscito da Princeton University Press: The Wind from the East (Il vento dell’est). La storia comincia con un gruppo di gauchistes cresciuti all’ombra del filosofo marxista Louis Althusser alla prestigiosa Ecole Normale Supérieure. Tutti innamorati della Cina di Mao, convintissimi che la ricetta della Rivoluzione culturale fosse la panacea per curare l’immobilismo politico della Francia gollista, la giusta risposta all’ottusità dei burocrati filosovietici del Pcf.
Nel fatidico maggio del 1968 si contavano almeno millecinquecento maoisti, raccolti sotto le bandiere del Mouvement communiste français marxiste-léniniste (MCF-ML). I compagni “col trattino”. Trentacinque di loro erano concentrati in Rue d’Ulm, sede dell’Ecole Normale. Nessuno di loro parlava o leggeva il cinese, e di informazioni attendibili da Pechino non era possibile averne, con la stampa imbavagliata e il dissenso spazzato via dal regime. Poco importa. Come scrive Wolin, la Cina era diventata “uno schermo di proiezione, un test di Rorschach, per le più recondite speranze e fantasie politiche radicali, che nella Francia di De Gaulle erano state private di uno sfogo nel mondo reale”. Gli althusseriani “puri e duri” si consideravano le incarnazioni francesi delle Guardie Rosse, in rotta di collisione con la borghesia alla quale pure appartenevano, e cercavano nella militanza rivoluzionaria un riscatto dal passato colonialista del paese.
Ma anche in una cerchia più larga, il contagio miete vittime illustri, da Michel Foucault a Roland Barthes: sì proprio loro, lo storico del controllo sociale e il semiologo dell’Impero dei segni, entrambi in diverso modo sedotti dalle sirene maoiste. Nel film La Chinoise Jean-Luc Godard immortala le delusioni dei marxisti-leninisti della Normale. E quando nella primavera del 1970 il governo Pompidou arresta i capi del movimento e mette al bando il loro giornale, La Cause du Peuple, è Jean-Paul Sartre in persona ad assumerne la direzione. Perfino Mick Jagger interrompe un concerto a Parigi per chiedere il rilascio dei prigionieri.
L’intossicazione maoista, secondo Wolin, non si può liquidare come una semplice ondata di demenza collettiva, anche se tale può apparire ora a noi che conosciamo gli orrori della Rivoluzione culturale. È stato piuttosto un rito di passaggio generazionale, una specie di exit strategy dall’ortodossia marxista. Ben presto, le gigantografie di Mao persero ogni connotazione geopolitica, per fondersi con la “critica della vita quotidiana” elaborata dall’avanguardia francese degli anni Sessanta. In realtà, quando i mandarini di Tel Quel, forse anche per scimmiottare Sartre, salgono sul carro del maoismo, le migliori intelligenze del maggio francese, a cominciare dai nouveaux philosophes Christian Jambet e André Glucksmann, hanno già iniziato a prenderne le distanze: hanno scoperto che i diritti umani valgono ben più dell’utopia socialista, in nome della quale troppo spesso quei diritti vengono calpestati. Ma Sollers e compagnia si considerano i soli, veri interpreti ed eredi del Sessantotto. Anche se, come ricorda Wolin, il movimento del maggio era stato dionisiaco, libertario e antiautoritario, mentre le guardie rosse incarnavano il peggiore dogmatismo ideologico, i convertiti di Tel Quel vedono nella Cina maoista il paradiso dei semiologi: per la prima volta una rivoluzione mette al centro la cultura invece dell’economia o della politica. Si infiammano alla lettura del bestseller di un’italiana, Maria Antonietta Macciocchi (Dalla Cina), che presto verrà cooptata al vertice della rivista: “Questa rivoluzione – assicura la Macciocchi – ha eliminato le élite politiche e tecnocratiche, la burocrazia, le gerarchie e i privilegi. Ha riunificato il lavoro manuale e intellettuale, le città e le campagne, ha sostituito i direttori delle fabbriche e delle università con delle direzioni collegiali. L’homo sapiens e l’homo faber qui formano un essere completo, un uomo totale”.
Se l’uomo è totale, ancor più totale è la donna. In un articolo sulla condizione femminile in Cina, Julia Kristeva sostiene che la fasciatura dei piedi delle bambine non sarebbe una pratica barbara, una vera e propria tortura, ma “testimonia il potere segreto delle donne”: l’equivalente, pensate un po’, della circoncisione dei maschi in Occidente! E nella perspicua analisi di un altro cervellone, il fatto che nel paese di Mao non si trovi uno psichiatra dimostra che il socialismo ha abolito l’alienazione e le conseguenti nevrosi, frutto del capitalismo e della proprietà privata.
Ansiosi di vedere questo paradiso, finalmente, nel 1974 i nostri eroi riescono a ottenere il visto per Pechino. Atterrano, in compagnia di Roland Barthes, e i premurosi padroni di casa li conducono in giro al guinzaglio, gli mostrano fabbriche modello, scuole modello, case editrici modello. Un editore di Pechino espone uno striscione di benvenuto col nome della rivista, e il candido Sollers ha quasi un orgasmo pensando che la fama di Tel Quel sia arrivata fin laggiù.
Mentre un rapito Barthes, sempre a caccia di simboli e segni, scrive su Le Monde: “La calligrafia di Mao, riprodotta a ogni angolo, segna lo spazio cinese con un’arte ammirevole, onnipresente… Un popolo (che in 25 anni ha già costruito una nazione straordinaria) viaggia, lavora, beve il tè o fa ginnastica da solo: senza teatro, senza rumore, senza posare, insomma, senza isterie”.
In quegli anni, del resto, i pellegrini politici non vengono solo dalla Francia. Nel 1975 è la volta dei nostri Mario Capanna, Dario Fo e Franca Rame. Al ritorno, il futuro premio Nobel, oggi in prima linea nella battaglia per la liberazione di Xiaobo, così riassume la sua esperienza: “È stato un lungo viaggio verso un nuovo mondo: ospedali perfettamente funzionanti, immense case della cultura, negozi carichi di roba, una miriade di parchi, tanta, tanta pulizia, laghi, canali imponenti, soprattutto gente serena”. La Svizzera, insomma. Se questi erano gli umori che circolavano all’indomani del mitico Sessantotto, non hanno proprio nulla da invidiare ai loro padri e nonni, i ragazzi del movimento anti-Gelmini. Neppure il fatto di non avere maestri. Piuttosto che quei maestri con la tutina di cachemire e la stella rossa sul berretto, meglio nessun maestro. Meglio avere imparato la lezione del secolo breve e lottare per i diritti (tutti i diritti, a cominciare dallo studio e dalla cultura) anziché per un’ideologia sanguinaria. da Il Fatto Quotidiano dell’11 dicembre 2010
Dal movimento per l’autogestione generalizzata:“Parla per te coglione!”
Ghirardi Sergio scrive: il 12 dicembre 2010
Questo articolo è infetto. Non so stabilire la percentuale di ignoranza e di malafede ma siamo di fronte all’ennesimo delirio falsificante di un momento cruciale della storia contemporanea. Non a caso appena nel contesto internazionale riaffiora un leggero tratto di coscienza radicale si ritorna a pescare nel torbido dell’ideologia per far credere che nella notte delle coscienze tutte le vacche sono e sono state nere. Nello specifico rosse del fascismo maoista.
Io c’ero e come molti ho vissuto intensamente e in prima persona quegli anni e quella rivoluzione culturale internazionale che nella cosiddetta rivoluzione culturale cinese ha trovato in realtà un ostacolo reazionario terribile. Certo che sono esistiti i chierichetti sadici del maoismo, in Francia come in Italia – oggi reazionari come allora, ma orfani di Mao -, ma sti zombi sono stati lo scarto della coscienza radicale dell’epoca.
Sollers, mondano da sempre, non ha smesso di leccare il culo di Debord (che lo disprezzava) dopo essere stato uno stupido maoista. In Italia come in Francia e non solo, i situazionisti sono stati al cuore della rivoluzione libertaria che ha attraversato il Maggio contro bolscevismo e maoismo + tutto il confusionismo gauchista che si è riversato sui resti di una rivoluzione incompiuta.
In “Non abbiamo paura delle rovine” ho restituito i fatti di una verità storica che né destra né sinistra di potere e di governo vogliono far circolare.
Leggete i telegrammi inviati dalla Sorbona occupata al Cremlino e alla Porta della Pace Celeste di Pechino per capire il rapporto tra maoismo, bolscevismo e rivoluzione sociale nel’68. Guardate il film di Vienet del 1976 su Mao e la descrizione del fascismo maoista prima e dopo la banda dei quattro. Nel’68 c’era anche il papa, il PCI, Sartre, Padre Pio e la DC ma non hanno partecipato certo alla radicalità della rivolta epocale alla quale il potere ha risposto con le bombe di piazza Fontana.
Basta con le menzogne e la falsificazione della storia.

sabato 11 dicembre 2010

Si salvi chi può







Gianluigi Nuzzi ha pubblicato un libro che riporta le affermazioni del pentito Di Bella a proposito di vari soggetti, tra i quali anche il ministro leghista Castelli, e i loro legami con la famiglia ndranghetista dei Coco Trovato attiva in quel di Lecco.

C'è stato l'Infedele di Lerner lunedì e poi Annozero di giovedì con quasi gli stessi interlocutori coinvolti per illustrarci come il potere tribale delle mafie, e specialmente la Ndrangheta, possano benissimo convivere con lo stato, se ne siano anzi ben impadroniti semplicemente ricattando qualcuno e/o facendone un esecutore fedele per coprire i traffici milionari che ogni giorno affollano le prime pagine e giustificano provvedimenti .
Cambiare sistema si può?
Se il potere politico ha a disposizione la possibilità di stabilire per legge quanto togliere dalle tasche di persone e società per poi organizzare appalti e pagare consulenze, se la metà del PIL entra nelle casse pubbliche e chi gestisce questo immenso flusso di denaro può essere condizionato non si cambierà nulla.
I bravi cittadini onesti quanto disinformati e impotenti possono magari limitare i consumi nocivi e i rifiuti inquinanti, non sprecare l'acqua di rubinetti e sciacquoni ma nello stesso momento non riescono a difendersi né dal fisco né dalla spesa pubblica degli appalti convinti che qualcuno lo stia facendo per loro.
La Lega ha deciso di spendere montagne di denaro per la cosiddetta sicurezza: video-sorveglianza, guardie giurate, carceri, ronde, cancellate attorno ai parchi, corsi di autodifesa, nuove scuole private e convenzioni sanitarie.
Comunione e Liberazione controlla tutti gli accessi alle convenzioni ospedaliere e farmaceutiche e le nomine dei primari.
Tutta la vita delle persone è soggetta a permessi e autorizzazioni, e per ogni permesso è possibile pretendere una mazzetta, o negare una firma.
I piani regolatori decidono quali terreni possono o devono essere espropriati creando plusvalenze immobiliari dal nulla e a danno (irreversibile) del territorio, ogni giorno più cementificato e in pericolo idro-geologico.
I condoni e lo scudo fiscale rendono vana ogni indagine per l'indebito arricchimento di sconosciuti come dei commissari nominati dalla politica degli esperti pagati dalla P.A.
Se un imprenditore subisce attentati e minacce per aver accettato un appalto senza passare dal capo mafia locale nessuno lo aiuta a salvare né la sua azienda o se stesso e i suoi famigliari.
Questo Stato in realtà delinque per primo attraverso le persone che i partiti hanno nominato nei punti da cui si esercita il potere.
Tutti hanno paura per sé e i propri parenti dato che le vendette sanguinose non sono mai cessate e non temono certo di andare in trasferta anche all'estero oltre che al Nord.
Il ministro Castelli e tutti i leghisti in questi giorni se ne vanno in giro con i volantini con cui chiedevano negli anni ‘90 di togliere il soggiorno obbligato al Nord dei mafiosi dicendo che fin da allora combattevano la mafia. Ma forse in realtà non la combattevano affatto, semplicemente i mafiosi non volevano il soggiorno obbligato e la Lega era d'accordo con loro, partito populista per eccellenza quale è....
Combattere la mafia vorrebbe dire combattere la spesa pubblica senza controllo e senza trasparenza, ovvero combattere il funzionamento senza democrazia interna dei partiti politici e gli oscuri "legami col territorio" da cui arrivano i voti "vincolanti" che donano l'accesso alle stanze del potere amministrativo e ai soldi, tantissimi soldi.
Ha ragione Gad Lerner a ricordare come la Lega fece un bel botto con il 19% già allora nel 1990.
Quindi Castelli nega l'incontro con Coco Trovato ma non trova altri argomenti per giustificare quello che gli ha contestato Fava ad Annozero: come mai oggi, in previsione di EXPO 2015, hanno votato contro la commissione antimafia di Milano?
Come mai il prefetto Lombardi ha negato le infiltrazioni mafiose in provincia di Milano e Maroni non l'ha zittito anzi continua ad appoggiarlo tranquillamente?
Invece ha dato addosso a Saviano che ha quasi banalmente richiamato il fenomeno a Vieni via con me con tanto di video a documentare il rito di iniziazione tipico svoltosi proprio nel cuore della Brianza?
Non c'è affatto una guerra alla mafia da parte dello Stato, questa è la semplicissima verità, perché non c'è un vero confine che li divida, da una parte la legge e dall'altra il crimine.
Come ha detto anche il giudice Gratteri che ci lavora da tempo, e ha dato alle stampe un testo molto utile: La Malapianta, ormai abbiamo uomini delle organizzazioni mafiose dentro i gangli fondamentali dello stato e dell'economia come della società in senso lato: insegnanti, preti, medici, commercialisti, notai, magistrati, professori, ingegneri, geometri e artisti, bancari e banchieri, un intero popolo di affiliati e collusi o corrotti.
Il business delle mafie al Nord è incentrato soprattutto dove la fantomatica economia sana manca: le banche non finanziano le imprese e arriva l'usura quasi come un salvagente: chiunque anziché morire oggi preferisce morire (forse) domani, e ogni giorno si abbassa il livello etico generale, non a caso i costumi si rilasciano tanto quanto la morale economica e politica: nel gran decadimento generale ciascuno si comporta secondo la logica del "si salvi chi può"
Un semplice individuo che si sia illuso di non essere determinante per nessuno, dall'oggi al domani si ritrova sotto pressioni insopportabili per chiunque, e cede, anzi magari ritrova un piccolo tornaconto personale - in fondo le mafie sono meno ingenerose dello Stato - un appalto, un lavoro per i figli, un permesso di costruire, tutto quello che politica e mafia insieme possono rendere possibile o invece negare, moneta sonante e ben comprensibile sul tavolo del potere.
Poco ci vuole a capire la natura di questo potere scevro da qualsiasi mondanità, da qualsiasi luce, dove il grande capo è capace di vivere in buchi sotto il pavimento per anni, senza alcun conforto o benessere ma con la consapevolezza di tenere i fili del potere su tutto e tutti, una soddisfazione che non ha prezzo e che diventa il fondamento del Rispetto mafioso, sinonimo di paura e ammirazione in dosi tali che la guerra contro di esso in realtà neppure è mai cominciata.
La volontà di potenza dispiegata, maligna e perversa in una simbiosi del tutto naturale con le leggi economiche dello sfruttamento e del ricatto.

Quella sera a Milano era caldo

una strage che ha segnato un distacco mai più aggiustato tra il potere feroce e oscuro e il popolo di Milano, un delitto tuttora senza colpevoli, con le spese di 40 anni di processi a carico delle vittime, la fine dell'autunno caldo che vedeva saldarsi le lotte di studenti e operai in un'unico fiume di rivolta che proprio quel 15 dicembre fu sospeso dalla fine di Pinelli che è stato suicidato dallo stato

La ballata del Pinelli di Joe Fallisi


Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
Brigadiere apra un po' la finestra
E ad un tratto Pinelli cascò.

"Commissario io gliel'ho già detto
Le ripeto che sono innocente
Anarchia non vuol dire bombe
Ma eguaglianza nella libertà."

"Poche storie indiziato Pinelli
Il tuo amico Valpreda ha parlato
Lui è l'autore di questo attentato
E il suo socio sappiamo sei tu"

"Impossibile" – grida Pinelli –
"Un compagno non può averlo fatto
Tra i padroni bisogna cercare
Chi le bombe ha fatto scoppiar.

Altre bombe verranno gettate
Per fermare la lotta di classe
I padroni e i burocrati sanno
Che non siam più disposti a trattar"

"Ora basta indiziato Pinelli"
– Calabresi nervoso gridava –
"Tu Lo Grano apri un po' la finestra
Quattro piani son duri da far."

In dicembre a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
È bastato aprir la finestra
Una spinta e Pinelli cascò.

Dopo giorni eravamo in tremila
In tremila al tuo funerale
E nessuno può dimenticare
Quel che accanto alla bara giurò.

Ti hanno ucciso spezzandoti il collo
Sei caduto ed eri già morto
Calabresi ritorna in ufficio
Però adesso non è più tranquillo.

Ti hanno ucciso per farti tacere
Perché avevi capito l’inganno
Ora dormi, non puoi più parlare,
Ma i compagni ti vendicheranno.

"Progressisti" e recuperatori
Noi sputiamo sui vostri discorsi
Per Valpreda Pinelli e noi tutti
C’è soltanto una cosa da far.

Gli operai nelle fabbriche e fuori
Stan firmando la vostra condanna
Il potere comincia a tremare
La giustizia sarà giudicata.

Calabresi con Guida il fascista
Si ricordi che gli anni son lunghi
Prima o poi qualche cosa succede
Che il Pinelli farà ricordar.

Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
Brigadiere apra un po’ la finestra
E ad un tratto Pinelli cascò.

venerdì 10 dicembre 2010

Matteo Renzi il giovane vecchio


Romanzo di un giovane vecchio (di Marco Travaglio da Il fatto)

Il libro d’oro dei pellegrini in processione alla villa di Arcore si arricchisce di un nuovo, bizzarro visitatore: Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze che voleva rottamare la vecchia dirigenza del Pd. Giovane si fa per dire: per esserlo, non basta essere nati da poco. In un sol giorno, nel viaggio da casello a casello Firenze-Arcore-Firenze (680 km), è riuscito a invecchiare di 50 anni. E, quando ha cominciato a esternare sul perché e il percome della visita, ne ha presi altri 50. Ora è ultracentenario. “Solo in un paese malato – dice – si può pensare che ci sia qualcosa sotto”.

Già. In un paese sano un sindaco del Pd va a baciare la pantofola al nemico pubblico numero uno del suo partito (o almeno dei suoi elettori). Per giunta a pranzo. Per giunta nella sua residenza privata. Per giunta mentre si scopre che quel luogo – oltre a Mangano, Previti, Dell’Utri, Mora, Fede – ha ospitato anche decine di signorine addette al bunga-bunga. Per giunta di nascosto (la notizia è trapelata dall’entourage di B. e solo un furbo molto ingenuo poteva pensare che la notizia restasse top secret, visto il proverbiale riserbo del padrone di casa). Non è dato sapere se ci sia stato il tempo per una fugace visita al mausoleo di Arcore, ma presto il settimanale Chi di Alfonso Signorini pubblicherà il book dell’incontro (ha presente, Renzi, quel vaso di petunie sul comò del Cavaliere? Ecco, era Signorini in uno dei suoi più riusciti travestimenti).

Beccato col sorcio, anzi col nano in bocca, il giovane vecchio fa il ganassa e dice che lo rifarebbe “per il bene di Firenze”. Perché – spiega – “mi interessa portare a casa una legge speciale per Firenze da 15 milioni. B. me l’aveva promessa”. L’altro giorno a tavola gliel’ha ripromessa. Ora firmerà pure un Contratto con i Fiorentini, alla presenza di Vespa con tanto di scrivania in ciliegio. Poi dirà che, per colpa di Bin Laden e dell’11 settembre, non se ne fa nulla. Su Facebook, i poveri elettori del Pd che – disperati – speravano in Renzi, lo prendono a male parole. Lui assicura che “mi sto divertendo come un matto a leggere i commenti”. Non lo insospettisce neppure il vedersi difendere dal Giornale, da Libero e financo da Daniele Capezzone, uno che quando ti difende sporgi querela a prescindere perché vuol dire che hai torto marcio (il famoso Capezzone fumante). Un barlume di dubbio, in verità, lo sfiora: “Mi colpiscono certe reazioni avvelenate della gente comune: danno il senso del clima che si respira nel Paese”. Ma è un attimo. Anziché domandarsi il perché di quelle reazioni e di quel clima (magari lo sdegno per un premier che da 16 anni distrugge l’Italia facendosi gli affari suoi e per un’opposizione che non si oppone), il Renzi si risponde: “Viviamo da tre lustri in un derby continuo, ci vorranno anni per ripulire le menti”. E chissà quanto ci vorrà per ripulire la sua da quello che Gaber chiamava “il Berlusconi in me” giudicandolo peggiore del “Berlusconi in sé”: cioè dall’insensibilità ai conflitti d’interessi, al galateo istituzionale, a valori antichi e ormai desueti come la dignità, la sobrietà, la reputazione, il senso dell’opportunità e del limite.

Persino il rottamato Bersani, dopo aver detto sciaguratamente “andrei ad Arcore anche a piedi pur di avere una riforma del mercato del lavoro”, fa notare in un lampo di lucidità che un sindaco incontra il premier a Palazzo Chigi, non a villa Bungabunga. Renzi gli risponde con una toppa che è peggio del buco: “Se B. mi invita ad Arcore che devo dirgli: ci vediamo allo svincolo autostradale di Monza?”. Poi peggiora ulteriormente la situazione: “Bastonano me perché parlo con B. e vogliono fare un governo o un’alleanza con Fini”. Dal che si deduce che il presunto avversario delle “ideologie” preferisce la destraccia affaristica del Cainano a quella più presentabile (o meno impresentabile) di Fini. Così chi voleva rottamare il politburo piddino ha regalato ai vecchi marpioni del partito un’arma formidabile per rottamare lui. Il giovane vecchio è anche un furbo fesso.

Ghirardi Sergio scrive: il 10 dicembre 2010 alle 15:58

Quel che mi colpisce di più a guardare l’Italia da lontano (ma non troppo), è che si pensa sempre di avere visto il peggio e che quindi la situazione e i soggetti che la incarnano non possano che migliorare, farsi più decenti. Invece no: miracolo! Pur senza camminare sull’acqua e senza moltiplicare ogni volta pane ogm e pesci al mercurio, c’è sempre un Lazzaro, anzi un grande Lazzaro, un lazzarone che arriva a risorgere dal nulla facendo peggio dei predecessori.

Renzi è solo il miracolato più recente della Lourdes dello spettacolo politico-religioso all’italiana.

La pubblicità s’inventa sempre facce nuove per far passare il vecchio messaggio evangelico ai servi: continuate a porgere l’altra guancia (e più se affinità, ma rigorosamente senza preservativo) e soprattutto a comprare il solito dentifricio politico in promozione affinché sia fatta la volontà della crescita economica.

Renzi, da buon credente moderno e opportunista del vecchio mondo, ha deciso di rottamare il vecchio recipiente ideologico per versare in uno nuovo di zecca di sua immacolata concezione, la vecchia melma ideologica di una sinistra che concorre con la destra per salvare il capitalismo in affanno e con lei patteggia senza remore né pudore. Credenti non si nasce, ma si può morirne senza essere vissuti da esseri umani.

Non si accorgono gli infidi dirigenti clonati dallo spettacolo, fissi sul loro effimero potere ombelicale, che siamo alla fine di una civiltà, non solo di un piccolo governo di corrotti un po’ più schifoso della media.

Venti di tempesta attraversano l’Europa da Londra ad Atene. Prima o poi chi semina tempesta raccoglierà rivoluzioni e stavolta non basterà cambiare squadra.

Non si sa ancora quando, se in meglio o in peggio, ma non c’è dubbio che l’irruzione prevedibile della Storia cambierà il gioco di società ormai desueto della democrazia spettacolare, abolendo di conserva i giocatori che si sono arrogati il diritto di dirigerlo a loro vantaggio personale.