giovedì 31 gennaio 2019

Appello della prima assemblea delle assemblee dei Gilets jaunes




Noi Gilets jaunes delle rotonde, dei parcheggi, delle piazze, delle assemblee delle manifestazioni ci siamo riuniti questo 26 e 27 gennaio 2019 in un’assemblea delle assemblee comprendente un centinaio di delegazioni che rispondono all'appello dei Gilets jaunes di Commercy.
Dal 17 novembre, dal più piccolo villaggio, dal mondo rurale alle città più grandi ci siamo sollevati contro questa società profondamente violenta, ingiusta e insopportabile. Non ci lasceremo più prendere in giro!
Ci rivoltiamo contro il carovita, la precarietà e la miseria. Per i nostri cari, le nostre famiglie e i nostri figli, vogliamo vivere nella dignità. 26 miliardari possiedono quanto la metà dell'’umanità, è inaccettabile. Condividiamo la ricchezza non la miseria!
Facciamola finita con le diseguaglianze sociali! Esigiamo l’aumento immediato dei salari, dei minimi sociali, delle indennità e delle pensioni, il diritto incondizionato all'alloggio e alla salute, all’educazione e ai servizi pubblici gratuiti per tutti.
È per tutti questi diritti che occupiamo quotidianamente le rotonde, organizziamo delle azioni, delle manifestazioni e dibattiamo ovunque. Con i nostri gilets jaunes ci riprendiamo la parola, noi che non l’abbiamo mai.
Tuttavia, qual è la risposta del governo? La repressione, il disprezzo, la denigrazione. Dei morti e migliaia di feriti, l’uso massiccio di armi che mutilano, accecano, feriscono e traumatizzano. Più di mille persone sono state arbitrariamente condannate e imprigionate.
E ora la nuova legge detta “anticasseurs” mira semplicemente a impedirci di manifestare. Noi condanniamo tutte le violenze contro i manifestanti sia che vengano dalle forze dell'’ordine sia da gruppuscoli violenti. Niente di tutto questo ci fermerà! Manifestare è un diritto fondamentale. Fine dell'impunità per le forze dell'’ordine! Amnistia per tutte le vittime della repressione!
E che imbroglio quel grande dibattito nazionale che è, di fatto, una campagna di comunicazione del governo che strumentalizza le nostre volontà di dibattere e di decidere! La vera democrazia noi la pratichiamo nelle assemblee, sulle rotonde, non sui palcoscenici televisivi né nelle pseudo tavole rotonde organizzate da Macron. Dopo averci insultato e trattato da meno di niente, ecco che ci presenta ora come una folla gonfia di odio, di stampo fascista e xenofoba. Noi siamo, invece, tutto il contrario: né razzisti, né sessisti, né omofobi, noi siamo fieri di essere insieme con le nostre differenze per costruire una società solidale.
Siamo forti della diversità delle nostre discussioni; in questo stesso momento centinaia di assemblee elaborano e propongono le loro rivendicazioni. Le quali riguardano la democrazia reale, la giustizia sociale e fiscale, le condizioni di lavoro, la giustizia ecologica e climatica, la fine delle discriminazioni.
Tra le rivendicazioni e le proposte strategiche più dibattute troviamo l’eradicazione della miseria in tutte le sue forme, la trasformazione delle istituzioni (RIC, assemblea costituente, fine dei privilegi dei deputati...), la transizione ecologica (precarietà energetica, inquinamenti industriali...), l’uguaglianza e la considerazione per tutte e tutti, qualunque sia la loro nazionalità (persone handicappate, uguaglianza di genere, fine dell'abbandono dei quartieri popolari, del mondo rurale e dei territori d’oltremare).
Noi, Gilets jaunes, invitiamo ognuno a unirsi a noi con i suoi mezzi e le sue capacità. Lanciamo un appello a continuare gli atti (atto 12 contro le violenze poliziesche, davanti ai commissariati, atti 13, 14...), a continuare l’occupazione delle rotonde e il blocco dell'economia, a preparare uno sciopero massiccio e reiterabile a partire dal 5 febbraio.
Invitiamo a formare dei comitati sui luoghi di lavoro, di studio e dovunque questo sciopero possa essere attuato alla base dagli stessi scioperanti. Prendiamo in mano i nostri affari! Non restate soli, unitevi a noi! Organizziamoci in maniera democratica, autonoma e indipendente! Quest’assemblea delle assemblee è una tappa importante che ci permette di discutere delle nostre rivendicazioni e dei nostri mezzi d’azione. Federiamoci per trasformare la società!
Noi proponiamo all’insieme dei Gilets jaunes di fare circolare quest’appello. Se in quanto gruppo di Gilets jaunes vi conviene, inviate la vostra firma a Commercy. Non esitate a discutere e formulare delle proposte per le prossime assemblee delle assemblee che stiamo già preparando.
Macron dimissioni! Viva il potere al popolo, per il popolo e attraverso il popolo.
Appello proposto dall’Assemblea delle assemblee di Commercy adottato in seguito in ciascuna delle assemblee locali dei Gilets jaunes

I gilets jaunes emigranti dell'interno





Il potere è sordo al discorso dei Gilets jaunes, li tratta come una nocività e replica alla loro collera con una violenza spettacolare che si pretende legittima ma che attizza delle risposte maldestre e trasforma in propaganda statalista la distruzione che ne consegue. Per l’oligarchia dominante di cui i giornalisti sono il microfono e i politici sono i maggiordomi, i Gilets jaunes sono un problema da contenere, da risolvere, sono i migranti dell'’interno di cui ci si deve sbarazzare.

Così il delirio di potenza dei detentori del dominio ha spinto i Bras-nus del XXI° secolo a scavare nella loro umanità fino ad accorgersi che quel che è in gioco è molto di più di un’elemosina sul potere d’acquisto. Quel che è in gioco (da un sacco di tempo, del resto, e non solo in Francia) è l’emancipazione della specie, la festa rivoluzionaria capace di mettere gioiosamente fine a una società mortifera, a un modo di produzione – il capitalismo – diventato ormai, in nome del profitto economico, un modo di distruzione di ogni socialità umana, fino alla biosfera che rende la vita materialmente possibile. Così la preoccupazione rispettabile e urgente ma minimalista, di lottare per rendere vivibile la fine del mese, si è congiunta naturalmente alla necessità d’impedire la fine del mondo decretando la fine di un mondo che non vogliamo perché non è il nostro.
Una vera democrazia presuppone il potere del popolo; Vale a dire un potere condiviso da tutti che solo la struttura del Consiglio può garantire. Vale a dire un’organizzazione sociale in cui la comunità laica reale si sostituisce allo Stato affinché il popolo, riunito DIRETTAMENTE in assemblea, decida liberamente di tutto quel che lo riguarda trovando, attraverso la discussione, delle soluzioni ai problemi che emergono, avendo come obiettivo l’unanimità (sempre difficile e raramente immediata, ma assai spesso possibile tra individui sociali uguali, liberi e fraterni).
Quando l’unanimità non è all'ordine del giorno, il voto è un metodo decisionale che permette di avanzare, di evolvere nel senso considerato migliore dal più gran numero. Il che non impedisce alle minoranze di esprimere la loro autonomia e la loro differenza nel rispetto della decisione della maggioranza. Sono rare le situazioni in cui l’incompatibilità tra maggioranza e minoranza può spingere a una rottura, ma se le affinità scompaiono, come può succedere in ogni storia d’amore, ognuno e ognuna (e ogni gruppo) deve poter riprendere la sua libertà senza impedire quella degli altri.
Con questa descrizione, certo insufficiente e meritoria di un più ampio sviluppo, sto delineando quel che si chiama una democrazia diretta. Cosciente di ripetermi, aggiungo reale, perché una democrazia non è reale se il popolo non è il soggetto abilitato a decidere direttamente del suo destino (si potrebbe parlare di popolo sovrano, ma questo aggettivo è stato talmente inquinato dagli oscurantismi reazionari che risulta ambiguo).
Grande è la differenza tra il popolo libero che discute e vota nei consigli per decidere e i servitori volontari che eleggono i loro dittatori. Questo è il trucco della democrazia rappresentativa che la rende insopportabile.
In una democrazia reale, i soli rappresentanti plausibili sono scelti come porta-parola della volontà generale stabilita dal Consiglio (da molteplici consigli federati tra loro). La rappresentazione è una necessità pratica di fronte al gran numero, ma non deve mai diventare un alibi per instaurare una verticalità di potere che si traduce sempre in gerarchie e in dominio. Dunque revocabilità costante dei rappresentanti e loro controllo continuo da parte del Consiglio e degli individui che li hanno nominati. Niente più Stato, ma una federazione allargata dei Consigli che hanno come base il locale – il qui e ora – pur restando collegati fino al planetario, passando per regioni, nazioni e continenti senza la minima perdita di autonomia.
La fine dello Stato coincide, del resto, con la fine del nazionalismo poiché l’obiettivo della nazione antropologica è l’internazionalismo che si oppone agli Stati-nazione includendo delle nazioni federate, fraterne e libere da ogni connotazione sciovinista. Così la nostra Europa libertaria cancellerà la loro Europa liberale e mafiosa.
È eludendo quest’esigenza intimamente umana al cuore della comunità incompiuta e martoriata dal patriarcato e dal produttivismo che la lotta di classe e di genere è cominciata parecchi millenni fa, per volontà di potere e perversione narcisista.
I dominanti e le dominate di entrambi i generi sono il risultato di una rottura dell'’orizzontalità comunitaria che è sempre fragile e di una perdita della centralità del femminile che richiede protezione dalla peste emozionale. La quale, prodotta dalle frustrazioni di un ingorgo della passione di vivere che provoca una diffusione mirabolante del carattere fallico-narcisista, favorisce l’irruzione di una mentalità autoritaria, vuoi chiaramente fascista. Così la classe dominante giustifica lo sfruttamento e l’umiliazione della donna “subalterna” e dell'’uomo “inferiore” da parte del maschio dominante e della donna collaborazionista. Hitler, Stalin e Thatcher stessa lotta, ma non sono, certo, stati i primi né gli unici lungo il corso della storia. Le religioni monoteiste e l’economia politica condividono la responsabilità del totalitarismo che monta.
Così, con o senza un piccolo gilet jaune sulle spalle, è il destino umano dell'umanità che potrà forse cambiare rotta.
Sergio Ghirardi, 30 gennaio 2019




 

Les Gilets Jaunes migrants de l’intérieur








Le pouvoir est sourd au discours des gilets jaunes, il les traite comme une nuisance et rétorque à leur colère par une violence spectaculaire qui se prétend légitime mais qui attise des réponses maladroites et transforme en propagande étatiste la casse qui s’en suit. Pour l’oligarchie dominante, dont les journalistes sont le micro et les politiciens les majordomes, les gilets jaunes sont un problème à endiguer, à résoudre, ils sont les migrants de l’intérieur dont on doit se débarrasser.
Ainsi, le délire de puissance des détenteurs de la domination a poussé ces Bras nus du XXIème siècle à puiser dans leur humanité jusqu’à s’apercevoir que ce qui est en jeu, est bien plus qu’une aumône sur le pouvoir d’achat. Ce qui est en jeu (depuis belle lurette, d’ailleurs, et pas en France uniquement) c’est l’émancipation de l’espèce, la fête révolutionnaire capable de décréter joyeusement la fin d’une societé mortifère, d’un mode de production – le capitalisme – devenu désormais, au nom du profit économique, un mode de destruction de toute socialité humaine, jusqu’à la biosphère qui rend la vie matériellement possible. Ainsi le souci respectable et urgent, mais minimaliste, de lutter pour rendre supportable la fin du mois, s’est relié naturellement à la nécessité d’empêcher la fin du monde en décrétant la fin d’un monde dont on ne veut pas car ce n’est pas le notre.
Une vraie démocratie présuppose le pouvoir du peuple. C'est-à-dire un pouvoir partagé par tous que seule la structure du Conseil peut garantir. C'est-à-dire une organisation sociale où la communauté laïque réelle se substitue à l’Etat afin que le peuple, réuni DIRECTEMENT en assemblée, décide librement de tout ce qui le concerne et trouve, par la discussion, des solutions aux problemes qui se posent, en ayant pour but l’unanimité (toujours difficile et rarement immédiate, mais assez souvent possible entre individus sociaux égaux, libres et fraternels).
Quand l’unanimité n’est vraiment pas au rendez-vous, le vote est une méthode de décision qui permet d’avancer, d’évoluer dans le sens considéré le meilleur par le plus grand nombre. Cela n’empêche pas les minorités d’exprimer leur autonomie et leur différence dans le respect des décisions de la majorité. Rares sont les situations où l’incompatibilité entre majorité et minorité peut pousser à une rupture, mais si les affinités disparaissent, comme cela peut arriver en toute histoire d’amour, chacun et chacune (et chaque groupe) doit pouvoir reprendre sa liberté sans empêcher celle des autres.
Par cette description, certainement insuffisante et qui mérite un ample développement, je viens d’ébaucher ce qu’on appelle une démocratie directe. En me répétant volontairement, j’ajoute réelle, car une démocratie n’est pas réelle si le peuple n’est pas le décideur direct de sa destinée (on pourrait parler de peuple souverain, mais cet adjectif a été tellement pollué par les obscurantismes réactionnaires qu’il devient ambigu).
La différence est grande entre le peuple libre qui discute et vote dans les conseils, et les serviteurs volontaires qui élisent leurs dictateurs. C’est en cela que le tour de passe-passe de la démocratie représentative est insupportable.
Dans une démocratie réelle, les seuls représentants plausibles sont choisis comme porte-paroles de la volonté générale établie par le Conseil (des multiples conseils fédérés entre eux). La représentation est une nécessité pratique face au grand nombre, mais elle ne doit jamais devenir un alibi pour instaurer une verticalité de pouvoir qui se traduit toujours en hiérarchies et en domination. Donc révocabilité constante des représentants et leur contrôle continu de la part du Conseil et des individus qui les ont nommés. Plus d’Etat, mais une fédération élargie des Conseils qui ont pour base le local – le ici et maintenant –  tout en se reliant jusqu’au planétaire, en passant par régions, nations et continents sans la moindre perte d’autonomie.
La fin de l’Etat coïncide, d’ailleurs, avec la fin du nationalisme car le but de la nation anthropologique est l’internationalisme qui s’oppose aux Etats-nations en incluant des nations fédérées, fraternelles et libres de la moindre connotation chauviniste. Ainsi notre Europe libertaire effacera leur Europe libérale et leurs Etats mafieux.
C’est en escamotant cette exigence intimement humaine au cœur de la communauté inachevée et meurtrie par le patriarcat et par le productivisme, que la lutte des classes et des genres a commencé, il y a plusieurs millénaires, par volonté de pouvoir et perversion narcissique.
Les dominants et les dominées des deux genres sont le résultat d’une rupture de l’horizontalité communautaire qui est toujours fragile et d’une perte de la centralité du féminin qu’il faut protéger de la peste émotionnelle. Celle-ci, produite par les frustrations d’un engorgement de la passion de vivre, provoque une diffusion inouïe du caractère phallique-narcissique et favorise l’irruption d’une mentalité autoritaire, voire explicitement fasciste. Ainsi la classe dominante justifie l’exploitation et l’humiliation de la femme « subalterne » et de l’homme « inferieur » par le mâle dominant et par la femme collabo. Hitler, Staline et Thatcher même combat, mais ils ne furent certainement pas les premiers ni les seuls tout le long de l’histoire. Les religions monothéistes et l’économie politique partagent la responsabilité du totalitarisme qui monte. Ainsi, avec ou sans un petit gilet jaune sur les épaules, c’est peut-être la destinée humaine de l’humanité qui va pouvoir change de cap.