giovedì 30 agosto 2012

LA TEORIA RIVOLUZIONARIA È ORMAI NEMICA DI OGNI IDEOLOGIA RIVOLUZIONARIA E SA DI ESSERLO!


Un cinese guarda un quadro del leader comunista Mao Zedong che dichiara la formazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949


Destra e sinistra: senza non c’è più politica


Se non c’è più destra e sinistra, non c’è più la politica. Resta, allora, il pensiero dominante – che oggi è quello dell’economia liberista e del capitalismo finanziario – al di fuori del quale non è possibile andare. Il governo della cosa pubblica si riduce ad amministrazione dell’esistente, al fare i compiti a casa che ci detta l’Europa. La politica viene espulsa, in quanto rissoso spazio inefficiente e dannoso. Ad essa subentra la tecnica dei presunti esperti o dei professori, che decidono solo come percorrere strade già tracciate. La democrazia stessa non serve più a nulla, additata ad elemento di disturbo dei “mercati”, che assurgono come unico metro valutativo dell’amministrazione tecnica.
La politica è lo spazio delle scelte, della possibilità di governare il cambiamento e – per chi è di sinistra (io sono comunista!) – di trasformare la società.
La politica, il governo della cosa pubblica, non è il perseguimento del “bene comune”. È un durissimo scontro di interessi – quasi sempre contrapposti – tra le diverse componenti della società. Mettere una patrimoniale o aumentare le tasse ai lavoratori dipendenti sono entrambe misure che fanno crescere le entrate dello Stato, ma colpiscono soggetti sociali diversi. Bisogna scegliere. In questi anni di crisi la scelta è sempre stata di far pagare i soggetti sociali più deboli (lavoratori, disoccupati, precari, pensionanti) e di salvare e aiutare le banche e i detentori di grandi redditi, rendite e capitali.
La sinistra è – dovrebbe essere – quella forza politica che sceglie di stare dalla parte dei lavoratori, ovvero dei soggetti sociali (delle classi) più deboli – più deboli poiché non dispongono del medesimo potere contrattuale del datore di lavoro, perché non posseggono grandi mezzi d’informazione, perché sono fuori dai palazzi che contano. La sinistra è – dovrebbe essere – la parte politica che sceglie di redistribuire la ricchezza, ridurre gli squilibri, perseguire la giustizia sociale, aumentare – non ridurre – i diritti. Per fare ciò deve – dovrebbe – battersi contro le ingiustizie della società, enormemente accresciute dopo decenni di neoliberismo.
Più in particolare i comunisti italiani: da Togliatti a Berlinguer – sono quelli che hanno sempre cercato di trasformare la nostra società, per rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini (come recita la nostra Costituzione).
Le destre, per contro, sono il partito delle idee dominanti al servizio della classe dominante. Sono le forze che difendono le élite al potere e, al contempo, cercano di accrescere per esse gli spazi di potere politico, economico e sociale. Nella politica del ‘900, della contrapposizione bipolare, le destre – in Europa e in Italia – erano sulla difensiva, costrette a fare concessioni per scongiurare il “pericolo rosso”. Negli ultimi vent’anni – all’indomani della fine della prima Repubblica, non a caso coincidente con l’ascesa di Berlusconi – sono passate all’attacco e hanno sostanzialmente smantellato – una per una – tutte quelle “concessioni” che avevano fatto (dalla scala mobile alle pensioni, dai diritti per i lavoratori allo stato sociale, e così via, di controriforma in controriforma).
Nella foga della retorica nuovista si dice che destra e sinistra siano distinzioni che non hanno più senso. I populismi fingono di attaccare l’una e l’altra parte con l’argomento del “tanto sono tutti uguali”: sono i migliori alleati (inconsapevoli?) delle destre, di coloro che, appunto, difendono e fanno avanzare le idee dominanti. Perché criticando tutti eliminano la possibilità di scegliere da che parte stare. Il nuovo finisce, così, per essere funzionale al vecchio, a chi detiene le redini del potere nella società, alle idee fallite del neoliberismo e del capitalismo finanziario.
Ciò non significa che la sinistra in Italia non sia stata e non sia esente da errori. O che parte della sinistra non abbia assecondato in modo acritico il pensiero dominante. Ricostruire la sinistra in Italia è il nostro cimento e in essa tenere viva l’esperienza dei comunisti in Italia.
Si può uscire dalla crisi neoliberista da sinistra – stando dalla parte del lavoro e dei diritti – o da destra, con la definitiva vittoria dell’economia sulla politica, del privato sulla democrazia.  

Commento di Sergio Ghirardi:

Il suo idealismo (io sono comunista!) zoppica quanto il suo manicheismo che riduce la politica alla logica binaria destra - sinistra. Nessuno dubita ( almeno non io) che lei sia di sinistra e che sogni sinceramente una società comunista. Solo che da Freud in poi (un borghese terrorizzato dal movimento operaio ma che ha avuto alcune idee rivoluzionarie, dall'inconscio al super io) i sogni vanno interpretati sia sul piano individuale che su quello sociale.
Il vostro comunismo è stato storicamente controrivoluzionario in Russia, in Ucraina, in Spagna ecc. Voi avete ereditato dai bolscevichi il gusto di appropriarsi delle idee precedentemente combattute (i bolscevichi sono stati ferocemente contro i soviet fino al 1917 per poi recuperarli nella macabra caricatura autoritaria del PCUS e del suo Comitato centrale).
Nel 68, in particolare in Francia ma non meno in Italia, avete combattuto il movimento delle occupazioni e il progetto di democrazia diretta che le animava, tacciandolo di avventurismo e opponendogli l'elefantismo burocratico di un PCF/PCI tronfiamente stalinisti. Via via i migliori comunisti sono usciti dal partito dopo Budapest, altri, accompagnati dal santino di Berlinguer, dopo Praga poi a ondate successive molti altri - dal Manifesto a diversi altri gruppuscoli postsessantottini, ininfluenti ma non completamente obnubilati dal clericalismo alla Peppone di cui Napolitano è un ultimo sopravvissuto -, adepti ormai consci che la burocrazia pseudocomunista stava diventando storicamente impraticabile.
Mentre i rivoluzionari della vita quotidiana denunciavano lo scandalo di un vecchio mondo fondato sull'alienazione del lavoro salariato, i più devoti hanno tuttavia trovato ancora il tempo di fare l'occhietto al fascismo rosso maoista o all'invasione dell'Afganistan, ma riconosco che non so esattamente quando la sua biografia l'ha svegliata dall'incubo spettacolare dell'ideologia pseudocomunista per lanciarla verso il lavoro salariato di comunista parlamentare fatto di opposizione ultraminoritaria ai Talk Show o di partecipazione a governi capitalistici di centrosinistra, magari ancora nella fede che la coscienza si porti dall'esterno.
La cultura dominante è sempre la cultura della classe dominante di cui i burocrati fanno parte integrante, mentre in Italia e in Europa la fine del comunismo ideologico non ha ancora prodotto e depositato la critica teorica definitiva dell'ideologia comunista funzionale al vecchio mondo in decomposizione e al capitalismo che lo domina.
LE RICORDO, in proposito CHE IL PENSATORE STORICO DELLA TEORIA DEL PROLETARIATO - Karl Marx - AMAVA RIPETERE: "Una cosa è certa io non sono marxista".
Viva dunque la dialettica, compagno, che va OLTRE I SOGNI CHE POSSIAMO CONDIVIDERE, coscienti, però, che nella prassi storica i filosofi dovranno decidersi in fretta a smettere di interpretare il mondo per cominciare a cambiarlo a partire dalla vita quotidiana. Purtroppo siamo all'urgenza, e la prego di non cogliere niente di personale nella mia critica di proletario che si nega a un proletario che si afferma...
Credo sinceramente che la POLITICA, tra l’altro, ricominci proprio dalla denuncia della falsa opposizione tra destra e sinistra e dalla riapertura degli spazi per un'utopia concreta ANTIPRODUTTIVISTICA che nessun burocrate, nessun prete, nessun consumista e, in sintesi, nessun capitalista potrà eliminare senza eliminare al contempo l'umanità intera.

mercoledì 29 agosto 2012

CONTRO OGNI SINISTRO MANICHEISMO AMBIDESTRO



Un "sabato comunista" - 1920

 
Chi ti dice che la mafia non esiste, o non esiste più, in genere è sicuramente un mafioso o amico dei mafiosi. E il diavolo fa di tutto per far credere che non c’è. Vecchia saggezza di confessori, vecchia come la convinzione che esista ancora una differenza tra destra e sinistra?
A me pare solo una questione di parole, a meno che si creda che non c’è più la differenziazione sociale tra vincitori e vinti a cui alludeva questa vecchia terminologia. Non c’è più conflitto di classe, si dice, perché con la scomparsa della grande industria tayloristica non c’è più (coscienza di) classe. Ma nel mondo i poveri sono sempre più numerosi, il 99 per cento che Occupy Wall Street ha pensato di rappresentare e svegliare nella metropoli Usa. Il vero conflitto sarebbe ormai tra noi mondo industrializzato e il mondo degli slums, degli esclusi, che ci minacciano tutti con la loro pressione e il crescente terrorismo? Persino questa idea dapprima formulata diversamente da Marcuse è diventata un’arma della conservazione sociale in Occidente: siamo tutti impegnati a difendere l “mondo libero”, meglio non fare tanto casino all’interno di questo mondo, siamo tutti nella stessa barca, dobbiamo salvare le banche perché se no saremo tutti rovinati, affidiamoci a tecnici che sappiano riparare questo sistema capitalistico che è il solo possibile, provvisoriamente messo in crisi (da chi? Dal terrorismo internazionale?).
Chi parla di concordia nazionale per salvare l’Italia, o l’Europa, o il “mondo libero” è come chi nega l’esistenza della mafia. E’ amico del giaguaro, non so se si chiami destra o sinistra, so solo che il conflitto tra poveri e ricchi, tra esclusi e inclusi o garantiti c’è ancora eccome, e che dunque il senso originario delle parole destra e sinistra non è sparito del tutto. Certo, se si continua a chiamare sinistra il Pd e centro-sinistra il programma di governo che esso propone ai suoi ormai stremati elettori – continuità garantita con l’agenda Monti-Fornero cioè un governo Berlusconi con l’appoggio del Pd, niente di più – allora le parole destra sinistra perdono senso.
Insomma, temo che abbiano ragione i miei confessori di un tempo: chi pretende di farti credere che i termini destra e sinistra non hanno più senso è solo chi non vuole schierarsi, che pensa di lasciar fare ai tecnici, la cui “neutralità” è funzionale soltanto alla sopravvivenza del sistema com’è, e che si intende restaurare fino alla prossima crisi. Heidegger (il maledetto, nazista, che abbandona la torre d’avorio dei tanti neutrali neokantiani per impegnarsi nella lotta politica, certo sbagliando fronte) insegna che la sola emergenza è l’’assenza di emergenza. Il solo pericolo è che ci si faccia credere (con le buone o con le cattive:vedi i NoTav demonizzati e incarcerati) che il conflitto non c’è e non deve esserci, che la salvezza consiste nel non ostacolare le manovre di “risanamento”, anche se costano sacrifici ingenti (distribuiti assai poco equamente,ma questo è già tentazione conflittuale, non si deve nemmeno pensare).
Per abitudine, e anche per non confondermi con i tanti che vogliono solo un miglior funzionamento di QUESTO sistema, continuo a usare i termini destra-sinistra, persino a dispetto dei tanti comunisti-mai –comunisti che non hanno difeso nemmeno un momento Stalin dalle calunnie di Krusciov. Si vuole una definizione concettualmente rigorosa dei de termini? Ebbene, si ricordi la tanto vituperata egemonia culturale della sinistra in Italia nel dopoguerra. Cominciamo a riconoscere che destra è naturalismo – far leva sulle differenze “naturali” (a cominciare dall’eredità giù giù fino alla razza) per produrre sviluppo e ricchezza: competizione , concorrenza, agonismo estremo – mentre la sinistra è sempre stata culturalista: correggere le differenze “naturali”, non accettare come normale la lotta per la vita, promuovere un mondo dove buongiorno voglia dire veramente buongiorno. E perché, alla fine, non ritrovare, insieme alla parola sinistra, persino la parola “comunismo? Ratzinger, si ricorderà, nella sua prima enciclica (se non sbaglio) ha detto che le comunità cristiane primitive erano comuniste; poi, “naturalmente” (!) questo fenomeno finì. Ma elettrificazione (sviluppo economico, non solo mercato) più soviet (e cioè controllo democratico di base) non vi pare un programma ancora del tutto proponibile?

Commento di Sergio Ghirardi :

Se con destra si può intendere la reazione, il conformismo e la personalità coatta da un superio imperiale, il termine sinistra è piuttosto legato a una concezione meccanicistica, moralistica e, in sintesi, giacobina della società e della rivoluzione sociale.
Per un lungo periodo storico (fino al terremoto epocale durato dal maggio 68 alla caduta del Muro) la cosiddetta sinistra, parlamentare o no, voleva la fine del capitalismo e dello sfruttamento che esso comporta. Poi la sinistra ha cominciato a vergognarsi del suo autoritarismo diventato ufficiale con il mea culpa imprevisto e subitaneo dei bolscevichi pseudo sovietici.
Allora, anziché abbandonare il fascismo rosso in nome di un comunismo dei consigli che ha materializzato per almeno un secolo la pratica possibile seppur effimera di un'utopia comunista libertaria, molti antichi compagni di strada e di merende si sono riciclati nella politica spettacolare diffusa, cancellando nella foto di gruppo diffusa dallo spettacolo sociale la loro precedente partecipazione alla controrivoluzione statalista dell'URSS e altri fascismi rossi.
Perché il verme del fascismo rosso (altro e diverso da quello nero legato ai grandi complessi industriali dell'occidente liberale e da quello bianco dei clericalismi, ma altrettanto reazionario) era già nella giovane mela di una rivoluzione tradita agli albori storici del proletariato con l'annichilimento dei consigli (soviet vuol dire “consiglio” in russo e i suoi partigiani coraggiosi hanno lottato fino allo sterminio, da Kronstadt alla Machnovcina in Ucraina). Il trionfo del socialismo autoritario dei bolscevichi, da Lenin a Stalin e altri troskismi, ha poi innescato la sua decadenza con regolamenti di conti a picconate come in una qualunque storia di cosche.
Da destra a sinistra, è il capitalismo che ha tirato la buona carta superando la falsa opposizione tra spettacolo concentrato (statalista, autoritario e collettivista) e spettacolo diffuso ( adoratore del mercato, del liberalismo e della competizione cannibale dove il più ricco mangia il più povero). Il capitalismo festeggia ora la sua vittoria di Pirro, tra riscaldamento climatico e inquinamento nucleare, omogeneizzando il pianeta in uno spettacolo integrato dove stalinismo statale e mercantilismo liberale, fusi in un cinico delirio, stanno riducendo l'umanità a un enorme proletariato incosciente e succubo. La Cina è vicina ed è il modello a cui aspirano segretamente tutti gli Stati canaglia più o meno Uniti.
Non mi stancherò di ripeterlo: non si tratta di dire o fare qualcosa di sinistra, come in un film mille volte già visto, ma di inventare un nuovo internazionalismo a cominciare dalla Comune d'Europa da opporre all'Europa del business imposta dalla democrazia spettacolare del totalitarismo economicista.

domenica 26 agosto 2012

AVVISO AI CIVILIZZATI SULLA MORTE CHE LI GOVERNA


REUNIÓN DE LAS TRIBUS  DE LA TIERRA


Viva l’ignoranza

In una sala di riunione di un liceo professionale, due classi disposte in cerchio sono riunite insieme a tre dei loro professori e un invitato. I sessanta allievi hanno visto il film “I nostri figli ci accuseranno”. La discussione mira a far risaltare le questioni e le soluzioni emerse dal film: l’ecologia dell’avvenire. Solo un pugno di allievi partecipa agli scambi. Dopo un’ora l’invitato propone un giro d’interventi: “Secondo voi, si può cambiare qualcosa in relazione al degrado dell’ambiente, si può evitare il riscaldamento climatico?”.
I primi cinque studenti biascicano un “non so” che li dispensa dal prendere partito e posizione. Il sesto risponde chiaramente “no”. Perché? “Perché sono gli Illuminati che decidono del clima.” La discussione è lanciata; gli allievi hanno di colpo delle cose da dire. Uno di loro spiega persino come gli Illuminati hanno rovinato il clima dell’Alaska. I professori sono interdetti; non hanno mai sentito parlare degli Illuminati e finito il dibattito, scoprono costernati le informazioni consacrate dall’enciclopedia Wikipedia a questa leggenda contemporanea.

Nel Migliore dei mondi, Huxley spiegava che la felicità arriva facilmente: basta essere condizionati. Un “epsilon-meno” clonato per vivere nella polvere e nel calore della miniera non sarà felice che in fondo alla miniera! Si trattava di fantascienza, ma nel 2012, nell’Impero dell’illusione, Chris Hedges descrive come l’illusione venga distillata, proposta, imposta (mai con la forza) al posto della realtà. Secondo lui, gli americani stanno già vivendo quest’accoppiamento mostruoso tra reale e illusione che li rende semplicemente incapaci di pensare la loro esistenza. Non parliamo neppure di “ritrovare ognuno il monopolio sull’impiego della propria vita”, programma degli anni ‘70 ormai davvero eccessivamente rivoluzionario; basterebbe, in tutta modestia, accontentarsi di capire il mondo nel quale viviamo.

Nel suo best-seller (dell’altra sponda dell’Atlantico) The Dumbest Generation, Mark Bauerlein traccia un ritratto terribile del livello d’incultura dei suoi studenti, questa “generazione stupidissima”. Nella nostra epoca, non si sa più granché, ma ciò non è grave di per sé poiché, anche non sapendo granché, si può lavorare, consumare e talvolta arricchirsi - vuoi diventare presidenti della Repubblica Francese o degli Stati Uniti d’America. Noi chiamiamo “vivere” ogni traversata dell’esistenza attraverso e per il consumo; e così sia.
Il problema è ormai, oggi, per Hedges o per Bauerlein come per Huxley e Orwell mezzo secolo fa, che le stesse élite sono incapaci di prendere le decisioni di cui il mondo ha bisogno. La situazione attuale, tuttavia, è ben più preoccupante che quella di Huxley e Orwell: loro due avevano scritto dei romanzi, mentre noi ormai viviamo nei loro romanzi!

Perché salvare un sistema che ci stritola?

Non serve a nulla designare dei colpevoli, assegnare medaglie e assestare bastonate a degli individui particolari. Ognuno di noi può farlo, ma i responsabili sono più numerosi degli innocenti poiché tutti o quasi cercano ancora di salvare il sistema che li stritola.
Non usciamo fuori, non prendiamo in mano il nostro destino al di fuori delle linee tracciate dagli Stati, dai sistemi sociali, dalle imprese globali…

La posta in gioco sta nel caratterizzare gli errori più che i colpevoli. Siamo giunti a questo punto per un concatenarsi di decisioni, di rinunce e di obblighi più o meno forti. Non abbiamo trovato molti decisionisti capaci di capire quel che succedeva fino a opporvi un rifiuto e orientare il nostro avvenire e la nostra cultura collettiva in un’altra direzione. Non serve a niente recriminare un tempo venuto meno : neanche il passato è stato molto positivo e ha finito per sfociare su questo presente che portava in germe. Dov’era dunque questo germe? Come estirparlo per partorire un futuro diverso?

Come notava Hanna Arendt in Crisi della cultura, dobbiamo proteggere le nuove generazioni in arrivo pur se non sono portatrici d’idee positive, di un’etica umanista, di una concezione ben salda dell’unità dell’umanità. Ora, quelli che sono oggi al potere fanno parte di queste ex-giovani generazioni alle quali, forse per la prima volta da lungo tempo, mancano queste idee, quest’etica, queste concezioni positive e umanistiche.

Non sarebbe più contestabile che il capitalismo sia il migliore di tutti i sistemi economici. Ora, nello spazio di qualche decennio, quest’idea ha comportato un crollo dei valori che avevano fondato la democrazia repubblicana - la quale non ha nulla a che vedere con il capitalismo e il reciproco è più vero ancora: il capitalismo si accomoda agevolmente di un sistema dittatoriale, fatto sul quale non meditiamo abbastanza, convinti che il totalitarismo sia un orrore del passato che non tornerà.
Fino agli anni 60/70 la contestazione funzionava e senza essere riconosciuta istituzionalmente - il che non avrebbe senso -, essa riusciva ad esprimersi anche in seno alle istituzioni e in particolare alla scuola. In quegli anni la sola grande istituzione muta era l’esercito. Ormai bisogna aggiungergli l’Università e gli ospedali che non contestano affatto…e domani senz’altro anche l’intero sistema scolastico - in Francia ciò non è ancora del tutto vero ma negli Stati Uniti la frittata sembra fatta. Allora, tutto quel che costituisce la res publica avrà smesso di esprimersi…perché ridotto alla logica del capitalismo, pardon del mercato.
Salute ed educazione pubbliche sottomesse al mercato? Guarda un po’, ciò ricorda i piani d’aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale al terzo mondo negli anni 80…L’Europa starebbe dunque terzomondizzandosi?

Fino agli anni ‘70, la contestazione era almeno riconosciuta come la mosca cocchiera, il perno essenziale e indispensabile alla riflessione, alle messe in discussione necessarie e al progresso. Perché la contestazione si esercitasse, c’era solo bisogno di esprimersi e il resto funzionava: tutti capivano che cosa era in gioco e si facevano un’opinione. Quel che offriva il capitalismo agli individui era innanzitutto un certo livello di vita, ma non era tutto. C’era un ascensore sociale non ancora in panne e si sapeva perfettamente che senza studi era difficile salire su quell’ascensore. Inoltre elevarsi nella società non aveva l’obiettivo di guadagnare di più ma di avere un miglior livello generale di vita, tanto culturale che pecuniario. Tutti avevano una cultura, popolare o d’“élite” e parecchi tentavano e riuscivano a stabilire delle passerelle tra le due. Non si trattava affatto del “bel tempo andato”. La prova: l’intensa agitazione andava fino alla contestazione rivoluzionaria, verso la distruzione e il superamento del capitalismo, la sovversione. Il problema è che anziché verso un superamento positivo, tutto è andato di male in peggio.

Senza dubbio il sistema non è ancora agli sgoccioli. Dopotutto la caduta di Roma è durata quattro lunghi secoli. Tuttavia il capitalismo è un sistema che ci sta già divorando e nel quale s’impongono la stupidità più che l’intelligenza, la paura più che l’audacia, il conformismo più che l’immaginazione, il consenso più che la libertà di parola e d’opinione. Per far rientrare nell’ordine e nel silenzio gli straripamenti e i malesseri, la repressione s’impone dappertutto in tutte le sue forme. Contro la repressione non conosciamo, nella storia recente dell’umanità, che un solo antidoto in grado di superare la stupidità, il trionfo della forza, della violenza, degli eserciti, dei mercenari: la cultura e la conoscenza.

Mettere al cestino la cultura e la scuola!

Per imporre una politica di repressione a 360 gradi risulta  molto efficace rendere inoperosa qualunque alternativa. Ora, la migliore alternativa alla repressione è l’educazione; per questo i dirigenti tentano di renderla inutile e obsoleta.
In questa variante molle del totalitarismo che stiamo subendo, la politica è sottomessa all’economia (sempre munita della ruota di scorta dell’ipotesi inversa, dittatoriale classica e dura, nella quale l’economia passa interamente nelle mani del politico come nei sistemi fascisti, nazisti, maoisti o stalinisti). Per assuefarci a questo diniego integrale della democrazia basta conservarne le apparenze svuotandola del suo contenuto. È quanto s’è proposto di fare Sarkozy per dieci anni con qualche riuscita, purtroppo, al suo attivo.

Il ruolo della cultura come perno dei rapporti sociali scompare; la scuola stessa non sarà ben presto che il luogo di formazione di futuri adulti a un lavoro adattato alle sole realtà economiche.
La ricerca del denaro, del potere e della celebrità sono le illusioni con le quali si drogano tanto i giovani dei centrocittà che delle periferie, insieme ad altri disperati pronti ad accettare le varianti più mediocri. Si cerca il denaro, anche disonestamente, oppure la celebrità anche se si deve passare attraverso l’umiliazione televisiva di non essere che il fusibile effimero di un reality show.

Che cosa abbiamo tentato contro una tale evoluzione? A scuola ci siamo accontentati di un surrogato di cultura politica da mordere, l’educazione civica, diventata col tempo un insegnamento apolitico per non dire antipolitico, visto che non si può non essere disgustati dalla politica quando ci si rende conto, di lezione in lezione, che le leggi non sono fatte che per essere trasgredite dai potenti e per reprimere invece i deboli senza sconti ?
Non abbiamo fatto nulla per spingere la presa di coscienza politica dei giovani, coscienza che non ha nulla a che vedere con l’adesione a un partito. Tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra, abbiamo lasciato la gioventù all’abbandono, l’abbiamo privata del politico per non rischiare una presa di coscienza troppo precoce. Risultato: non c’è presa di coscienza che di grandi idee astratte (l’antirazzismo, la fraternità…), e meno male, ma mai dei diversi mezzi da mettere in atto per realizzarle.

Come dire che l’impotenza politica è stata organizzata. Se si reclama, infatti, a gran voce l’uguaglianza, la libertà e la fraternità senza avere la minima idea concreta della maniera di realizzarle e neppure di come condurre la lotta, allora non solo “si ha nella bocca un cadavere”, secondo l’espressione degli anni ‘60, ma si sotterra soprattutto l’idea stessa di una lotta politica rimpiazzandola con dell’umanesimo vuoto e con un associazionismo militante nel quadro della società civile.
Purtroppo, la società civile non è in sé l’espressione delle migliori tendenze dell’umanità; essa raggruppa troppo spesso dei professionisti che fanno dell’antipoliticismo una virtù e dell’efficienza la condizione del successo. Ora la dittatura, sotto il capitalismo, può risultare anche più efficace della democrazia. La prova : la Germania hitleriana o la Cina contemporanea…
L’antipoliticismo e il culto dell’efficienza lastricano il pavimento dell’inferno dittatoriale con le buone intenzioni della società civile.

Per rovesciare la tendenza esiste qualche dinamica su cui faremmo bene a meditare. La principale sta nella ripoliticizzazione dei giovani poiché non è aspettando di andare a votare a 18 anni che essi prenderanno coscienza come per miracolo dei problemi del mondo.
Ripoliticizzare i giovani significa dare loro del pensiero politico da dibattere, della riflessione da decorticare, delle idee da far circolare. Non si tratta di far aderire a questa o quella dottrina. Al contrario, il miglior modo per evitare l’indottrinamento settario è di mostrare il ventaglio delle idee sottomettendole alla discussione e alla critica : in un mondo in perdizione quale lo descrivono i media nei loro telegiornali, ciò eviterebbe che i giovani affidino le loro voci al primo demagogo venuto. Per non subire il populismo, l’elettoralismo, la demagogia politicante…


Testo di Elisée Personne tradotto da Sergio Ghirardi