lunedì 27 aprile 2015

PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI




Questo documento sulla barbarie nucleare di cui vi ho tradotto in italiano la presentazione, viene alla luce proprio quando in Francia Areva (sigla del nucleare transalpino che minaccia il continente coi suoi 59 vecchi reattori in funzione) vede il suo progetto di nuovo reattore EPR condannato per difetti di fabbricazione tenuti a lungo meticolosamente nascosti.
L’Italia non è per ora coinvolta direttamente nell’allucinazione nucleare, ma fino a quando? Come tutti gli Stati canaglia (tautologia), essa partecipa allo stesso delirio produttivistico planetario che sta distruggendo società, ambiente e a termine la sopravvivenza stessa della specie. Inoltre le radiazioni non si fermano alle frontiere e la politica energetica europea concerne dunque tutte le popolazioni al di là delle differenze nazionali.
Tra i molti crimini contro l’umanità in atto in nome del business e del bisogno di energia per una società stupidamente produttivista, il nucleare è il più pericoloso e il più subdolo. Le zone da difendere si moltiplicano ovunque e la lotta contro il nichilismo capitalista non fa che cominciare. Speriamo non sia troppo tardi.
Sergio Ghirardi

Chernobyl: Conseguenze della catastrofe sulla popolazione e l’ambiente.
17 aprile 2015
Il volume 1181 degli Annali dell’Accademia delle scienze di New York, intitolato “Chernobyl: conseguenze della catastrofe sulla popolazione e l’ambiente” e redatto dai professori Nesterenko e Yablokov è stato appena pubblicato in francese.
Perché si dovrebbe leggere questo libro?
Sei decenni di disinformazione istituzionale, internazionale e a un livello molto alto ha privato il mondo intero di un’informazione medica e scientifica particolarmente importante sulle conseguenze sanitarie delle attività nucleari industriali e militari.
Questo libro rende disponibili enormi quantità di prove prodotte da studi indipendenti condotti nel mondo intero e nei paesi più colpiti, dati unici e affidabili che sono stati ignorati e continuano a esserlo da parte dell’organizzazione mondiale della salute. Esso fornisce una visione esaustiva delle dimensioni reali della catastrofe di Chernobyl sulla salute e l’ambiente.
Attraverso le prove che si sono accumulate in Giappone dopo il disastro di Fukushima, un numero crescente di cittadini sospetta le autorità, a livello nazionale e internazionale, di non aver detto tutta la verità. I cittadini hanno ragione di non fidarsi, tanto più che gli esperti di salute pubblica sono stati più o meno esclusi, fin dall’inizio dell’era nucleare, dal compito vitale di valutazione degli effetti dell’energia nucleare sulla salute e dalla funzione di stabilire norme e criteri.
A livello internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Salute ha abdicato al suo ruolo nel dominio critico delle radiazioni e della salute essendo subordinata all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica il cui mandato è quello di promuovere l’utilizzo dell’atomo. Nonostante questo enorme conflitto d’interessi, l’AIEA detta la sua politica all’OMS nel dominio delle radiazioni e della salute. I consigli e le direttive (raccomandazioni) sugli effetti sanitari delle attività nucleari escono dall’istituzione nucleare che non ha né mandato, né competenza sulla salute pubblica e che è dominata da fisici e ingegneri del nucleare e da medici radiologi – in altri termini da coloro che utilizzano questa tecnologia.
Il libro su Chernobyl, pubblicato dall’Accademia delle Scienze di New York, è un antidoto potente contro la pseudo scienza dell’istituzione nucleare e la sua lettura è essenziale per chiunque sia alla ricerca di prove affidabili prodotte da fonti indipendenti sugli effetti dell’energia nucleare sulla salute e l’ambiente.
È ugualmente possibile comprare una versione cartacea di questo libro poiché è pubblicato all’unità da Lulu.com in versione francese a un prezzo di 12,75 euri + 1,50 di Iva e 3,99 di spese di spedizione per un totale di 18,24 euri. Per la spedizione per corriere postale bisogna contare da 4 a 7 giorni una volta terminata la stampa.



Il programma di ricerca Chernobyl+Fukushima
Timothy Mousseau
Articolo comparso sotto il titolo: “Anormalità, deformazioni e resilienza: nuova ricerca sulle radiazioni e la vita selvatica a Chernobyl e Fukushima”.
Eccone il riassunto:
In sintesi questi risultati dimostrano chiaramente che queste catastrofi nucleari hanno avuto conseguenze a livello ambientale sugli individui, le popolazioni e gli ecosistemi; si rilevano numerosi esempi di anomalie dello sviluppo e di difformità che contribuiscono probabilmente alla riduzione dell’abbondanza e della biodiversità osservate nelle regioni radioattive di Chernobyl e Fukushima.
Questi risultati si oppongono nettamente all’ottimismo delle affermazioni senza prove avanzate dal Forum di Chernobyl (ONU) e dai membri del Comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni (UNSCEAR). Gli studi dovranno essere continuati per determinare non solo il tempo di adattamento delle popolazioni e delle comunità a questa perturbazione, ma anche per sapere se queste regioni saranno un giorno di nuovo abitabili e nel caso a partire da quando.

le 10 juillet 2014 sur le site Finding the missing link


Traduction française : Odile Girard (Fukushima-is-still-news

Il programma e le sue attività di ricerca
La sede del programma di ricerca Chernobyl+Fukushima (CFRI) si trova all’Università della Carolina del Sud, a Columbia. Le ricerche sono cominciate ufficialmente in Ucraina nel 2000, e a Fukushima nel luglio 2011. Fino a oggi il gruppo ha condotto più di trenta spedizioni di ricerca a Chernobyl e dieci spedizioni a Fukushima.
In entrambi i siti gli incidenti nucleari hanno emesso enormi quantità di elementi radioattivi che sono andati dispersi a causa delle condizioni meteorologiche dominanti a livello del paesaggio. Circa 200 000 km2 a Chernobyl e 15 000 a Fukushima sono stati pesantemente contaminati. I materiali radioattivi non si sono dispersi in modo uniforme e hanno creato un mosaico di micro-habitat “caldi” e “freddi” disseminati su tutta la regione. Questo patchwork radioattivo ci ha dato un’opportunità unica di osservare gli effetti genetici, ecologici e quelli legati all’evoluzione molto in dettaglio e ripetutamente, dunque con un grande rigore scientifico che non sarebbe stato possibile in laboratorio o tramite studi di terreno tradizionali sottomessi spesso agli obblighi di una gamma limitata e assai poco naturale di eterogeneità ambientale. Si tratta di un aspetto importante perché si può presumere che le interazioni tra i fattori ambientali naturali e i contaminanti radioattivi giochino probabilmente un ruolo determinante nelle conseguenze biologiche delle catastrofi in questione. È dunque indispensabile che gli studi sugli effetti delle radiazioni siano condotti in natura e su scala regionale. Gli studi riguardanti le sole popolazioni umane presentano numerose costrizioni che limitano la loro utilità quando si tratta di capire le conseguenze a lungo termine delle radiazioni.
Il programma di ricerca Chernobyl+Fukushima possiede oggi anche la sola équipe che lavora contemporaneamente a Chernobyl e a Fukushima.
Le nostre fonti essenziali di finanziamento sono la Samuel Freeman Charitable Trust, le CNRS (France), la National Science Foundation et la National Geographic Society. Dei finanziamenti supplementari ci sono stati accordati dalla NATO, dalla fondazione per la ricerca civile e lo sviluppo (CRDF),dall’Istituto nazionale della salute (NIH), Qiagen GmbH, dalla Fondation Fulbright, dal Bureau della ricerca e dalla Facoltà di arte e di scienze dell’Università della Carolina del Sud,dall’Accademia di Finlandia e abbiamo anche ricevuto doni da privati.
Oggi il programma ha al suo attivo più di 60 pubblicazioni scientifiche che nella maggior parte datano degli ultimi sette anni (questi documenti sono disponibili sul nostro sito Internet http://cricket.biol.sc.edu <http://cricket.biol.sc.edu/>).
Le nostre ricerche hanno fatto notizia su numerosi giornali e programmi televisivi in particolare sul New York Times, The Economist, Harpers, la BBC, CNN e la News Hour di PBS (vedi il sito Internet per ulteriori dettagli).
Il gruppo di ricerca è stato uno dei primi a utilizzare delle tecnologie ecologiche, genetiche e dosimetriche per chiarire la questione delle conseguenze sanitarie e ambientali causate dall’esposizione a dosi basse di radioattività diventata cronica dopo le catastrofi di Chernobyl e Fukushima. Tali tecnologie includono in particolare dei censimenti ecologici varie volte ripetuti sulle popolazioni naturali di uccelli, mammiferi e insetti al fine di osservare gli effetti sulla longevità e la riproduzione; la sequenza DNA e i testi di geno-tossicità per valutare i danni genetici a corto e lungo termine sugli individui viventi in natura; l’uso di dosimetri miniaturizzati messi su animali selvaggi e le misure di terreno dell’irradiazione del corpo intero tra gli uccelli e i mammiferi per ottenere una valutazione precisa delle dosi di radiazione esterna e interna ricevute dagli animali liberi in natura. Recentemente il gruppo ha ampliato le sue ricerche agli studi epidemiologici e genetici delle popolazioni umane (in particolare i bambini) residenti nelle regioni ucraine toccate da Chernobyl.
Tra i risultati chiave pubblicati nel periodo 2013-14, si conta la scoperta di tumori, di cataratte e dello sperma danneggiato negli uccelli provenienti dalle zone fortemente irradiate di Chernobyl e delle conseguenze sulla biodiversità a Fukushima. Uno dei risultati estremamente interessanti è la scoperta che qualche specie di uccelli ha sviluppato una forma di resistenza agli effetti delle radiazioni cambiando la disposizione degli antiossidanti, benché molti uccelli siano sterili nelle zone fortemente contaminate. Abbiamo anche scoperto di recente degli effetti sullo sviluppo neurologico di alcuni piccoli mammiferi sia a Chernobyl che a Fukushima.
Le due catastrofi differiscono per il tempo trascorso dal loro accadimento e per la quantità e la diversità dei radionuclidi emessi, anche se la fonte predominante di radiazione è il cesio 137 in entrambi i casi.
I punti essenziali rivelati dalla ricerca
Ecco i punti essenziali delle ricerche pubblicate dal programma di ricerca Chernobyl+Fukushima:
- La taglia delle popolazioni e il numero di specie (cioè la biodiversità) di uccelli, mammiferi, insetti e ragni sono nettamente inferiori nelle zone fortemente contaminate di Chernobyl.
- Presso molti uccelli e piccoli mammiferi, la durata di vita e la fertilità sono ridotte nelle zone di forte contaminazione.
- A Fukushima, solo gli uccelli, le farfalle e le cicale hanno registrato un declino significativo durante la prima estate dopo l’incidente a differenza degli altri gruppi che non hanno sofferto di effetti negativi. Si continuano gli sforzi per notare i cambiamenti che potrebbero colpire tali popolazioni col tempo.
-Si osserva una grande variabilità tra le diverse specie per quanto riguarda la loro sensibilità ai radionuclidi. Qualche specie non è affetta e alcune sembrano persino aumentare di numero nelle zone fortemente contaminate a Chernobyl come a Fukushima. Si presume che ciò sia dovuto alla sparizione della concorrenza (quindi maggior quantità di cibo e di spazio ambientale disponibili), alla riduzione del numero di predatori e forse a un adattamento agli effetti delle radiazioni.
- Molte specie mostrano segni di danni genetici in seguito a un’esposizione acuta; le differenze osservate tra Cernobyl e Fukushima suggeriscono che alcune specie potrebbero mostrare le conseguenze di un’accumulazione di mutazioni su diverse generazioni successive.
- Certi individui e specie non mostrano alcuna evidenza di danno genetico collegato all’esposizione alle radiazioni e alcuni di loro mostrano persino dei segni di adattamento evolutivo agli effetti delle radiazioni grazie a un aumento dell’attività antiossidante che può offrire una protezione contro le radiazioni ionizzanti.
- Le specie di uccelli più suscettibili di registrare una riduzione in numero a causa delle radiazioni, sono quelli che hanno storicamente visto un aumento del loro tasso di mutazione per altre ragioni, legate forse alla capacità di raggiustamento del DNA o al declino delle loro difese contro lo stress ossidante.
- Gli effetti deleteri dell’esposizione alle radiazioni osservati presso le popolazioni naturali di Chernobyl includono un aumento del tasso di cataratte, di tumori, di anomalie della crescita, delle deformazioni degli spermatozoi, dei casi di sterilità e di albinismo.
- Anche lo sviluppo neurologico è stato colpito come mostra una riduzione della taglia del cervello presso gli uccelli e i roditori; delle ripercussioni sulle capacità cognitive e sul tasso di sopravvivenza sono state ugualmente dimostrate presso gli uccelli.
- A Fukushima, i primi segni di anomalie dello sviluppo sono stati osservati nel 2013 tra gli uccelli, ma non abbiamo ancora messo in evidenza dei danni genetici importanti tra uccelli e roditori.
- La crescita degli alberi e la decomposizione microbica nel suolo sono state ugualmente rallentate nelle zone fortemente contaminate dalle radiazioni.

venerdì 17 aprile 2015

Il benessere è un valore Umano e non economico




Intervento di David Graeber alla conferenza “Sfidare la Modernità Capitalista II” Amburgo 3-5 Aprile 2015

All’inizio di dicembre ho fatto parte di una delegazione in visita a un centro di riabilitazione per i combattenti feriti delle YPG/J nella città di Amide, e il co-direttore della clinica, Agir Merdîn, stava descrivendo la filosofia medica che, a suo avviso, giace dietro l’ordine sociale che stanno cercando di costruire nel Rojava. La loro filosofia, ha spiegato, era essenzialmente preventiva. Per capire la prevalenza di molte malattie si doveva iniziare con i fattori sociali (è impossibile prevenire la malattia se non abbiamo una società sana, basata su una visione della vita umana come parte della natura, “se il cuore è malato, lo è anche il corpo”). Il più importante di questi era lo stress: se, per esempio, le città potessero essere ricostruite con il 70% di aree verdi, i livelli di stress si ridurrebbero immediatamente e, con loro, i tassi di malattie cardiache, diabete, persino il cancro.
Ancora, ha insistito che non era solo una questione di integrazione con la natura, ma anche di legami sociali: la solitudine, l’isolamento sociale, sono congegnati nella società moderna come strumenti di controllo sociale. Noi lo definiamo “schiavitù moderna”, ha affermato dato che in passato la schiavitù è stata imposta da spade  ma nel mondo contemporaneo la situazione è in un certo senso più primitiva, perché almeno in passato, quelli tranciati di tutte le connessioni sociali dalla cattura e dalla vendita come schiavi, sapevano di essere schiavi; oggi, si pensa che questa situazione di isolamento sia in realtà la libertà. L’isolamento crea stress, e lo stress ci espone a malattie.
Ma concepire la salute e il corpo in questo senso, come parte di una rete di relazioni sociali, ha richiesto un radicale cambiamento di prospettiva su ciò che la società fosse in realtà. Più tardi, dopo cena, meditando su una sigaretta, ha osservato, “Dopo tutto, si parla sempre di ‘produzione’, come se tutto riguardasse il produrre le cose. Ma in ogni sistema sociale, la cosa più importante che si produce sono pur sempre gli esseri umani. Questo è il modo in cui la pensiamo. Il lavoro riguarda, in ultima analisi, la produzione di persone.”
L’ho trovato un po’ sorprendente, perché anch’io ho scritto un libro intitolato Verso una teoria antropologica del Valore, argomentando esattamente questo punto  sono abbastanza sicuro che praticamente nessuno in Kurdistan l’avesse letto. Permettetemi, allora, di tornare ad alcuni di quegli argomenti, e spiegare perché penso che potrebbero essere utili a coloro che sono impegnati in progetti di trasformazione rivoluzionaria.
In un certo senso, il discorso che facevo proviene direttamente da Marx, anzi, si potrebbe dire che sia l’essenza della critica di Marx al capitalismo, anche se la maggior parte dei marxisti  la maggiore eccezione è di alcuni ceppi di femminismo marxista sembrano averlo completamente dimenticato. In nessuna parte del mondo antico, Marx osservò una volta, qualcuno ha mai scritto un libro sulla questione relativa al “come deve essere organizzata la società affinché produca il più grande benessere complessivo materiale?” Oggi, naturalmente, questa è quasi l’unica domanda che siamo autorizzati a fare, se vogliamo essere presi sul serio nelle sale del potere, ma in realtà gli autori antichi  e lo stesso si può dire di quelli di qualsiasi civiltà diversa dalle nostre contemporanee  assumevano che la vera domanda da porsi fosse “quali sono le circostanze che produrranno le persone migliori”: il genere che si vorrebbe avere come vicini di casa, amici o concittadini. La produzione di ricchezza era considerata un momento subordinato in tale processo più ampio: troppa ricchezza avrebbe causato ozio e opulenza, troppo poca avrebbe significato che gli individui erano troppo impegnati a cercare di sopravvivere per dedicare il proprio tempo ad attività civiche, e così via.
Anche gli antropologi hanno, certamente, constatato che ciò fosse vero. Nella maggior parte delle società che sono esistite nel corso della storia umana, non c’è una cosa simile all’”economia”.
In effetti, questo è uno degli esiti più perniciosi e folli della dominanza dell’economia come disciplina maestra.
In una pausa tra un trito di verdure e l’altro, Cameron ha riferito al suo intervistatore che, mentre era ovviamente entusiasta di essere rieletto e di governare la sesta più grande economia mondiale fino al 2020, non avrebbe cercato di rinnovare poi il suo mandato.
Ecco, questo è ciò che rappresenta la Gran Bretagna per coloro che la governano: un’economia.
Questo tipo di logica assume la sua forma più estrema in quegli economisti formati dalla banca mondiale, in Africa, che di tanto in tanto fanno osservazioni sul fatto che si tratti di un problema reale che la metà della popolazione potrebbe presto morire di AIDS, perché ciò avrà effetti disastrosi sull’economia. Una volta, si riteneva che l’economia fosse la via mediante cui si mantiene la popolazione nutrita e vestita e in abitazioni adeguate, in modo da poter rimanere in vita; ora la ragione migliore che si possa trovare al rammarico che saranno tutti morti è che sia a causa degli effetti sui livelli globali di produzione di beni e servizi.
Si presuppone che l’”Economia” corrisponda a quel dominio in cui si parla di “valore” in particolare, naturalmente, il valore monetario, ma anche il valore di tutto ciò che può essere misurato monetariamente. Essenzialmente, questo può essere visto come il dominio in cui il lavoro è diretto verso l’acquisizione di denaro. Il risultato, come Marx ha dimostrato per primo, è che il denaro assume un duplice ruolo specifico. Da un lato, il denaro rappresenta il valore del lavoro, è come la società concepisce e misura l’importanza delle energie creative attraverso cui creare e modellare il mondo che ci circonda, affermando che questa quantità di sforzo creativo vale tutto questo denaro  questa proporzione della quantità totale di denaro in circolazione e questo importo vale questo altro importo. Ma allo stesso tempo, non è solo un simbolo che rappresenta l’importanza delle proprie azioni, esso è un simbolo che, in pratica, pone in essere proprio la cosa che rappresenta, perché, dopotutto, si lavora solo per ottenere il denaro. Il risultato è una sorta di gioco di specchi in cui lo stesso “lavoro” giunge a essere definito come quello che si fa per ottenere il denaro che, alla fine, è solo una rappresentazione del valore del lavoro.
Come le femministe marxiste hanno a lungo osservato, un altro effetto pernicioso del sistema di valori è nella definizione di ciò che è considerato “lavoro” e ciò che non lo è. Se uno non riceve il pagamento diretto in contanti, in realtà non è del tutto “lavoro” o, in termini di economia politica, “non è produttivo” (cioè, produttivo di valore secondo i capitalisti.) Uno degli effetti più bizzarri della divinizzazione dei testi di Marx, che diventano analoghi a scritture religiose, è che questa logica che Marx intendeva come una critica interna ai termini dell’economia borghese, un modo per dire “ammesso e non concesso che il mondo operi realmente nel modo in cui sostengono i capitalisti, posso ancora dimostrare che esso produrrà le contraddizioni che alla fine lo distruggeranno”  è considerata una realtà, perché Marx lo ha scritto! Il risultato è, ad esempio, che il lavoro “di cura” delle donne, viene trattato come meramente “riproduttivo” (con tutte le sfumature implicitamente biologiche del termine), piuttosto che come forma di lavoro che è in ultima analisi, la più produttiva, dal momento che la società stessa è, in definitiva, semplicemente il processo di reciproca creazione di esseri umani.
Nel 19esimo secolo, la teoria del valore basata sul lavoro che immaginava l’operaio come creatore paradigmatico è stata interiorizzata dalle classi lavoratrici, ed è diventata un mezzo straordinariamente efficace di mobilitazione di massa in tutto il mondo. Eppure è sempre stata segnata da una contraddizione centrale: i membri della classe operaia erano contemporaneamente orgogliosi del proprio lavoro e, allo stesso tempo, in ribellione contro l’idea stessa di lavoro.
Nel corso del 20esimo secolo, i capitalisti, attraverso un’offensiva ideologica sostenuta e determinata, sono riusciti a sostituire gran parte di questi vecchi ethos con una nozione del valore quale, in sostanza, il prodotto del cervello di imprenditori, e del lavoro come essenzialmente meccanico e robotico; esso è così giunto ad essere approvato, invece, come qualcosa di morale, di per sé. Il lavoro è promosso come necessario per natura e, di certo, chi non spende la maggior parte del suo tempo lavorando a qualcosa che non ama particolarmente, è considerato un individuo fondamentalmente cattivo. Questo modo di valutare il lavoro ha creato innumerevoli paradossi, come ho cercato di documentare nel mio pezzo “Sul fenomeno dei Bullshit Jobs”. Dato che l’automazione ha lentamente eliminato gran parte di quello che era il lavoro necessario, l’imperativo di avere comunque una popolazione che lavora sempre di più e più intensamente e la politica di crescita e di occupazione come soluzione a qualsiasi problema, hanno infatti prodotto milioni e milioni di professioni amministrative del tutto inutili e insignificanti: una sfilata infinita di manager della visione strategica, consulenti delle risorse umane, lobbisti, per non parlare di intere industrie, come il telemarketing e il diritto societario, che sembrano esistere per nessun altro motivo che per tenere la gente a lavorare. Allo stesso tempo, sembra una relazione inversa quasi perfetta tra utilità sociale effettiva di un determinato lavoro, dove i compiti ovviamente necessari come l’infermieristica, la cucina, la raccolta dei rifiuti, la manutenzione dei ponti, e simili, o ancora, l’insegnamento sono i meno retribuiti, mentre i più inutili o addirittura controproducenti che, come i dirigenti, si sono sempre vantati delle interminabili ore che trascorrono sul posto di lavoro, anche se non stanno facendo nulla  sono quelli più remunerati.
Inoltre, secondo l’ideologia prevalente, questo, almeno a un livello sottile, è visto come giusto. Proprio come le società presupporranno che se c’è un lavoro che qualcuno voglia fare per qualsiasi altra ragione diversa dal denaro (disegno artistico, persino la traduzione, …) esse non sono tenute a pagare per questo, proprio mentre esse dispensano fortune su legioni di insignificanti burocrati aziendali, così gli insegnanti o persino le case automobilistiche diventano oggetto di risentimento populista quando sono visti come strapagati.
Anche sapere che il vostro lavoro è utile e aiuta gli altri è considerato, in qualche modo perverso, come se fosse più gratificante e lo si sottraesse, così, dal suo valore!
Chiaramente quello di cui abbiamo bisogno qui è una completa inversione di prospettiva, e mi sembra che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sia quello di cominciare sostituendo la vecchia versione della teoria del valore-lavoro con una nuova che appunto, inizia con la produzione sociale, il lavoro di cura, e far diventare questo il paradigma per qualsiasi significativo lavoro produttivo nel senso che anche la produzione di necessità materiali è preziosa proprio in quanto può essere vista come un’estensione del principio di cura per gli altri, e la creazione reciproca degli esseri umani. Appena lo faremo, dovrebbe diventare evidente che, nonostante le continue e assurde dichiarazioni che la classe operaia sia in qualche modo scomparsa con la riduzione del lavoro in fabbrica, le classi lavoratrici sono sempre state anche ai tempi di Marx la “classe di cura”, nella misura in cui esse sono state principalmente composte da badanti, guardiani, per non parlare, dei giardinieri, i custodi, e coloro che sono coinvolti nella creazione di ambienti “protettivi” per consentire alle cose di prosperare e crescere. (Questo è vero soprattutto per le donne della classe operaia, ma lo è anche per una percentuale piuttosto grande di uomini della classe operaia.)
Come potrebbe un movimento dei lavoratori basato su questo concetto di economia umana re-immaginare il mondo? Vorrei concludere suggerendo un modo. Siamo abituati a pensare al “comunismo”, come una sorta di stato idealizzato e futuro, o forse come qualcosa che esisteva in un lontano passato (“comunismo primitivo”) e potrà forse esistere di nuovo un giorno, in futuro. Si presume che la base del “comunismo” saranno necessariamente i regimi di proprietà collettiva. Ma se si spazza via la definizione legalistica piuttosto formale dei regimi di proprietà, e si parla invece di forme di accesso ovvero, si torna di nuovo al concetto originale del “da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo le proprie esigenze”, scopriamo che la maggior parte del lavoro è già organizzato su linee comuniste. Quando qualcuno in un luogo di lavoro sta riparando un tubo, e dice “passami la chiave”, l’altra persona non dice “e cosa ottengo in cambio?”. Dei principi essenzialmente comunisti vengono applicati perché sono l’unica cosa che funziona davvero. Ne consegue che, il vero senso del capitalismo in sé è solo un brutto modo di organizzare il comunismo. Allo stesso modo, esistono rapporti comunisti di questo tipo tra due persone che si trovano in uno stretto rapporto di fiducia, e si trattano l’un l’altro come se saranno sempre lì l’uno per l’altro, e quindi, in cui il conteggio di input e output, il chi ha dato cosa a chi , sarebbe assurdo. E, infine, le forme di comunismo intese come il fondamento di tutta la socialità umana, poiché se uno ha a che fare con una persona che non considera un nemico, anche un estraneo, se la necessità è abbastanza grande (“sto affogando”) o il costo abbastanza piccolo (“potrebbe darmi indicazioni?” “hai da accendere?”) si presume che intervengano principi comunisti e, naturalmente, in molti sistemi sociali, quel fondamento di quello che definirei “comunismo di base” si è esteso ben oltre che, per esempio, diventa impossibile rifiutare una richiesta di cibo, di qualsiasi tipo, o anche di abbigliamento.
Il comunismo di questo genere non è l’unico principio esistente, e penso che sarebbe quasi impossibile immaginare una società in cui sarebbe l’unico principio. Ci saranno sempre gli altri. Ma re-immaginare quello che stiamo già facendo in questo senso, può fornire un punto di partenza per la realizzazione che proprio questo tipo di mutua responsabilità indeterminata, è pure al centro delle relazioni di cura, e che, in questo senso, è il fondamento riconosciuto di tutte le forme di valore sociale. Ciò significa anche che, in un senso importante, stiamo già vivendo in comunismo. La questione è trovare una modalità di coordinamento democratico di quelle forme di comunismo già esistenti, in modo da lasciare le persone quanto più libere possibile di dare forma a quegli impegni che si desiderano reciprocamente, e in ultima analisi, affinché siano in grado di scegliere per se stessi quali forme di valore vogliono perseguire, individualmente o collettivamente.

fonte: UIKI-ONLUS  Sfidare la modernità Capitalista II: Tutte le economie sono essenzialmente economie umane o, quali sono le condizioni materiali che produrrebbero il genere di persone che più vorremmo avere come amici?

VEDI ANCHE  la sintesi di Abdullah Öcalan per il 21esimo secolo

domenica 12 aprile 2015

In Italia come in Francia: dal NOTAV al Sì ZAD


Depuis dimanche soir, les défenseurs de Chambaran dans l'Isère occupent une maison forestière (abandonnée de l'ONF) à 5 km du village de Roybon :


All’indirizzo degli Zadisti* – Quando può, lo Stato s’appoggia sempre su qualche complicità locale.
* Le Zad sono in francese le Zone da difendere (Zones A Défendre) dall’appetito e dall’alienazione produttivista come in Val di Susa, all’Expo e altrove nel mondo.

Prima di tutto, per eliminare ogni ambiguità, noi siamo solidali con le lotte di occupazione sostenute contro diversi progetti industriali e capitalisti che per ristrutturare il territorio, contribuiscono a ristrutturare le nostre vite. Siamo non solo solidali con le ZAD ma vi contribuiamo attivamente anche se non ci definiamo come zadisti. Tuttavia non siamo sempre d’accordo con quel che vi è portato. Il che è logico se si tiene conto della diversità della gente che lotta. Passeremo oltre, per ora sulla questione del mettersi d’accordo e della maniera di farlo, sulla quale torneremo forse in seguito. Abbiamo deciso di redigere questo primo contatto non per impartire delle lezioni che saremmo assai poco legittimate a dare, ma per condividere le nostre osservazioni, i dubbi e le inquietudini.
In questi ultimi tempi ci ha fatto evidentemente arrabbiare il fatto di aver saputo che dei “pro sbarramento” a Sivens o dei “pro Center parcs” a Roybon, si sono organizzati contro gli zadisti: sbarrare le strade per impedire l’arrivo di nuove persone in lotta e ridurre l’approvvigionamento logistico, degradare i veicoli degli zadisti o le capanne di accampamento, minacce, insulti, aggressioni ecc. Solidali con la gente sul posto, le reazioni e i discorsi di alcune/i zadisti ci hanno a volte lasciate perplesse. A Sivens certuni s’indignavano del fatto che la polizia non si sia interposta almeno per proteggere i veicoli amici e le persone. A Roybon certuni s’indignavano del fatto che i gendarmi non prendessero il tempo d’indagare sul sito in seguito al lancio di molotov allorché il fatto stesso che essi potessero penetrare sul sito non dovrebbe apparire come un’evidenza. Anche lì si sospettava e ci si indignava che i poliziotti abbiano lasciato fare senza interporsi... Lo Stato si ritrova di colpo con una nuova legittimità, chiamato a interporsi alla maniera dei caschi blu tra pro e anti e a fare l’arbitro del conflitto per mezzo della sua polizia, la stessa che ha già colpito e che non attende che un ordine per radere al suolo la ZAD, gli stessi che hanno assassinato Rémi Fraisse qualche mese fa. È un errore credere che ci sia la FNSEA o i piccoli padroni di Roybon da un lato e lo Stato con i suoi deputati eletti, i suoi servizi e i suoi poliziotti dall’altro; Vinci e Pierre et Vacances da un lato e lo Stato dall’altro. C’è invece un’unità di interessi convergenti. Del resto le comunità rurali, coinvolte nei progetti in questione non sono delle entità omogenee. Sembrerebbe persino che ci siano degli interessi di classe, delle gerarchie, delle imprese morali, materiali, ideologiche religiose... Stato e capitale trovano dei complici per interesse o adesione ideologica. Non bisogna dunque aspettarsi di vedere solo gente in uniforme a fronteggiarci.
Stato e capitale avanzano insieme. Questi progetti non possono vedere il giorno se non con la complicità dello Stato ma neppure senza il suo appoggio amministrativo, politico, finanziario e attraverso delle infrastrutture che lo Stato è il solo abilitato ad autorizzare. E se necessario con i suoi poliziotti. A Chefresne che doveva essere attraversato da una linea THT, i poliziotti hanno sloggiato un proprietario dal suo campo per permettere alla società industriale RTE di continuare a fare danni allorché l’industria in questione non aveva l’autorizzazione della giustizia, la quale a sua volta ha chiuso gli occhi... “Polizia nazionale, milizia del capitale” e “giustizia complice”. All’occorrenza certi slogan colpiscono giusto, ma a forza di ripeterli per riflesso non si prende più atto di quel che significano realmente.
È curioso che mentre tutto dovrebbe spingere a prendere atto e assumere una lotta contro lo Stato e il Capitale, lo Stato ridiventi d’un colpo una sorta d’entità neutra. Prendere atto, vuol dire anche tentare di organizzarsi al meglio per difendere la zona e le attività di lotta in modo autonomo. Evidentemente, la situazione sul terreno è complicata e l’autodifesa vuol dire porre qualche questione ambiziosa. Tuttavia abbiamo forse altra scelta? Immaginiamo che possa esistere presso certune/i delle strategie mediatiche - “guardate come i professionisti e lo Stato sono cattivi e noi buoni” - che mirano a legittimare la lotta, ma ciò vuol dire, ancora una volta, dimenticare il ruolo dei mass media in queste storie, la loro complicità con quelli che comandano, la loro sottomissione ideologica e materiale all’aria del tempo. Ci sembra più pertinente proporre delle analisi e rispondere a partire da una posizione chiara d’opposizione allo Stato, piuttosto che ridargli un po’ di colore, passando per di più per una comunicazione di cui sarebbe altrettanto necessaria la critica, compreso in seno a una stampa “alternativa” che più si sviluppa meno sembra incarnare la sua dimensione sovversiva. Ridare in tal modo vita allo Stato vuol dire soccombere all’ideale astratto del cittadino in quanto amministrato. Il “cittadinismo” radicale stadio supremo dell’alienazione?
Non è solo che Stato e Capitale marciano insieme. Lo Stato si è sempre impegnato a trovare dei relais, dei notabili locali, delle frange reazionarie fino a lasciarle organizzarsi in milizie. Creare una situazione putrefatta è per lui pane benedetto. Così come lasciare ad altri fare il lavoro sporco. Lo Stato favorisce un clima di tensione poco propizio allo sviluppo del movimento, mantiene la pressione e la paura sulla gente che lotta, semina il dubbio in certune/i in riferimento alla legittimità delle lotte. Aggiungiamo che i primi a subire le pressioni da parte di poliziotti o dei loro sostituti cittadini sono quelli che lottano e abitano già il luogo prima dell’inizio del conflitto. Non è una ragione per vietare di sostenere alcune posizioni e compiere certe azioni, né di rendere asettiche le proprie attività di lotta, ma organizzarsi insieme è innanzitutto prendere coscienza delle realtà differenti di ciascuna e ciascuno, tentando di partorire qualcosa di comune senza tacere le divergenze.
Lo Stato e le industrie s’appoggiano quando possono sulle popolazioni locali. Era già il caso al momento dell’installazione della centrale nucleare di Flamanville, nella Manica, tra il 1975 e il 1977. Molti siti in bassa Normandia erano allora in ballottaggio per ricevere gli effetti benefici dell’atomo. Flamanville è stata l’eletta, meno per ragioni tecniche che per la mobilitazione immediata delle opposizioni negli altri siti (nel Calvados delle macchine di cantiere erano state immediatamente bruciate) e soprattutto per il sostegno della popolazione locale. In effetti, certi notabili erano adepti del nucleare dopo l’installazione dell’impianto di trattamento delle scorie de La Hague a qualche decina di chilometri. Anche dei pretonzoli predicavano la buona parola atomica. Ma soprattutto a Flamanville c’era una popolazione operaia che aveva perduto il lavoro. Una miniera di ferro aveva chiuso le porte qualche anno prima. Evidentemente l’installazione è stata vista di buon occhio da una parte di loro. La falaise sulla quale si arrampicavano per scovare il ferro avrebbe lasciato il posto a un cantiere titanico, poi a una centrale che si sarebbe dovuta ben intrattenere. Ricatto al lavoro. Di fatto gli oppositori/oppositrici che conducevano già un’occupazione del sito non si sono urtati soltanto con lo Stato e EDF, ma anche con cittadini locali arrabbiati e pronti a battersi. Comunque sia, gli industriali e lo Stato scelgono i siti in funzione delle mobilitazioni che incontrano e dei relais possibili in seno alle popolazioni locali.
Il sito di Notre Dame des Landes fa forse eccezione a causa della sua lunga storia di opposizioni. In quel sito ci sono state molteplici lotte in passato, dalle relazioni tra contadini e operai del 68 alle lotte antinucleari contro le centrali di Carnet e del Pellerin. Anche per questo la lotta si è fatta cisti, come direbbe Valls. Non si può, tuttavia, riprodurre dovunque questo contesto in maniera identica senza prendere atto delle situazioni locali. Ciò vuol dire, forse, che far vivere queste lotte e soprattutto amplificarle è più difficile di quanto si creda. Ma non importa. Già a Chooz, all’inizio degli anni ottanta, operai siderurgici e antinucleari avevano capito che un’ipotetica vittoria (quale vittoria?) non era necessariamente il solo scopo della lotta. La loro parola d’ordine era “costerà caro farci saltare”. La stessa lucidità ha percorso la ripresa delle lotte anti THT nella Manica, dopo il campo di Valognes del 2011. In quel caso sembra proprio che dei documenti interni degli industriali coinvolti confermino un certo effetto dei sabotaggi e delle diverse attività di lotta. Che ciò si generalizzi e gli effetti si faranno ancora più sentire.


Caen, Marzo 2015.
Laura Blanchard e Emilie Sievert
Blanchard.sievert@riseup.net