mercoledì 11 novembre 2015

Riflessione sull’accoglienza degli emigranti e altro ...



 
'Odysseus as a Guest of the Nymph Calypso', Oil by Hendrick Van Balen (1575-1632, Belgium)


Siamo di fronte all’arrivo massiccio di popolazioni in fuga dall’orrore quotidiano della guerra e delle lotte mafiose che la geopolitica delle imprese multinazionali coltiva dappertutto. Il fenomeno delle ondate d’immigrazione fa, infatti, parte della politica del caos dettata dalle esigenze del capitalismo finanziario che colonizza e distrugge il pianeta per trarne un profitto a breve termine. Si tratta di un’evidenza che salta agli occhi di tutti. Non basta però capire i meccanismi di una realtà per farvi fronte e rimediare alle sue deplorevoli conseguenze.
L’urgenza con la quale si confrontano i poteri statali e regionali incita innanzitutto a trovare e organizzare rapidamente delle strutture di accoglienza. Ora, a scadenza più o meno lunga, questa soluzione rischia di smettere di esserlo poiché pone il problema di un’accoglienza puramente caritativa. Si accolgono i rifugiati con belle parole dalle quali spunta rapidamente l’ipocrisia dei poteri pubblici messi in crisi dal numero e dalla disorganizzazione. Non ci vuole molto prima che  crescano le resistenze degli autoctoni fino a nutrire reazioni di rifiuto, di esclusione, di odio. (Lo stesso succede nel caso di amici che si ospitano e che oltrepassano il “limite dell’ospitalità” con la durata del loro soggiorno).
Come potrebbe essere altrimenti? La pauperizzazione crescente ha generato un mercato della carità dal quale i clientelismi di destra e di sinistra sanno trarre profitto. Chi dice mercato dice concorrenza. Già esisteva l’argomento: “I disoccupati guadagnano di più a non far niente che io a lavorare” oppure “perché aiutare degli stranieri piuttosto che i nostri connazionali?”. Coltivare il risentimento e puntare su di esso a fini elettoralistici è il prodotto di punta della destra estrema o moderata. Certo, ma a “sinistra” regna l’ipocrisia umanitaria. Una solidarietà che non trova i mezzi per attuarsi non fa che portare dell’acqua sporca al mulino del calcolo egoista tanto conforme ai comportamenti predatori e all’affarismo che regnano a tutti i livelli della società. La politica caritativa dell’accoglienza passiva provoca delle reazioni di paura bestiale, di odio, di esclusione, di ripiegamento comunitaristico (clan religiosi, etnici, regionalisti) e attizza il risentimento del povero di fronte a chi è più povero di lui.
Come uscire dal caritativo e dall’accoglienza passiva? Cominciamo col non vedere negli esiliati una mandria scacciata dalla distruzione del loro ambiente e della loro esistenza. Certamente ci sono uomini e donne e bambini che hanno perduto tutto. Tuttavia, sono anche degli individui pronti a ricominciare un’esistenza, delle persone che arrivano con i loro talenti, il loro sapere, il loro desiderio di vivere.
Gli spiriti buoni parlano d’integrazione, ma integrarli a che cosa? Ai meccanismi delle nostre democrazie corrotte, a valori democratici che ubbidiscono alle leggi del denaro e del consumo? Se teniamo a una democrazia, non è sicuramente questa, ma quella che rinasce dall’apprendimento di una via dove la felicità di ognuno è inseparabile da quella di tutti. Anche noi siamo in preda a una guerra, meno brutale ma più sorniona, una guerra che distrugge le nostre conquiste sociali e le nostre aspirazioni a un mondo più “accogliente”.
Puntare sulla fraternità e sulla creatività dei diseredati è un progetto di società. Contrapporsi all’egoismo di quanti hanno ancora l’illusione di essere benestanti, è il solo mezzo per sradicare alla radice (e non PER MEZZO di belle parole) l’ostracismo, il comunitarismo, i razzismi multicolori. La creazione di condizioni di vita dove ciascuno si sente coinvolto non significa affatto appesantirsi di etichette e di segni d’identificazione etno-geografica. Quel che conta è soltanto l’essere umano.
L’esperienza dei collettivi libertari in Grecia mi sembra esemplare in proposito. Essa ha creato in numerose città una base suscettibile di offrire agli emigrati, ai senza domicilio, ai disoccupati, agli esclusi della società mercantile più di una semplice struttura di accoglienza, più di un rifugio contro i tempi duri. Ci sono là le condizioni richieste per disporre di un centro di apprendimento dove le capacità di ognuno possano darsi libero corso.
Penso a due modelli conosciuti (non dubito che ne esistano altri). L’università della terra a San Cristobal (nel Chiapas) e l’università dei piedi nudi nel Rajastan in India (Barefoot University). É anche l’occasione per propagare le piccole scuole zapatiste: chiunque possieda un sapere in un settore particolare ha così l’occasione d’insegnare non aspettandosi dagli “allievi” che una cosa sola: che insegnino a loro volta il sapere che hanno acquisito. Insegnamento collettivo, giardini coltivati collettivamente, atelier di creazione scientifica, artistica, letteraria, fabbricazione di beni indispensabili formano le condizioni pratiche di una solidarietà nello stare meglio, l’unica capace di mettere fine alla nocività consumistica, ai settarismi religiosi, ai conflitti etnici e comunitari.
In un’epoca in cui lo Stato, qualunque sia il colore politico che sventola, non è più che uno strumento delle mafie bancarie e affaristiche, noi andiamo a ricordare al mondo assurdo del profitto e della perdita che tutto si può vendere tranne l’essere umano.


Collettivo solidarietà senza frontiere


A proposito di un cugino (Francis Cousin) che non è nostro fratello
Caro Sergio,
avevo già inviato in Grecia il testo del Collettivo solidarietà senza frontiere, qui sopra trascritto, quando ho dato un’occhiata al discorso di Francis Cousin. Lo trovo piuttosto terrificante. Il discorso è coerente e lucido, ma hai notato come vi scivolino degli argomenti di stampo fascista alla Le Pen (il Comune che paga mille euro per ogni emigrante accolto e non dà niente ai senza tetto). Sono contento di aver previsto il pericolo nel testo per i greci, ma Marx e Debord al soccorso di Soral mette i brividi alla schiena. Dopo di che si annovererà nel conto delle mie manie il mio rifiuto dell’atteggiamento intellettuale. Ebbene, ora è chiaro dove scivolano e s’installano gli intellettuali da destra a sinistra.
A presto, un abbraccio

Caro Raoul,
dopo il nostro scambio telefonico, puoi immaginare quanto io condivida il tuo stupore e la caduta della temperatura della schiena in seguito alla stravagante cucina di Cousin.
Questo sofista dalle buonissime letture e dalla sensibilità acuta di una radicalità soltanto intellettuale, parla di te in un altro intervento su Internet (Incontro con F. Cousin, intervento diverso dalla conferenza del febbraio 2015 in cui questo sinistro sconosciuto ma con parecchie idee chiare, offre la critica radicale del capitalismo ai seguaci francesi dell’ideologia rosso-bruna minoritaria ma piuttosto in auge). Pretende che tu sia malamente documentato sull’esistenza del Cristo (si gargarizza di un Cristo radicale veramente esistito affermando come prova di ciò i testi del Talmud che lo criticano duramente senza mai metterne in dubbio l’esistenza).Mi sembra un galoppino leviatanesco del pensiero tradizionalista radicalmente rinnovato. Del resto, a proposito di Cristo manca totalmente della poesia luminosa e visionaria di W. Reich che aveva descritto un cristo generico portatore dell’energia vitale nel suo L’Assassinio di Cristo del 1948.
Un’ultima nota su questo dossier secondo me sensibile: con l’utilizzo del termine sacrale, Cousin vuole esorcizzare la visione alienante del sacro perpetuando invece la separazione che esso implica. Si appropria così della critica dell’alienazione religiosa riservandosi il ruolo di prete laico (inclusi i copyright dei suoi discorsi sul mercato della cultura) di una chiesa dialettica dove officia la sua filo analisi mercantile.
Oltre le sue contraddizioni evidenti ma ben ricucite intellettualmente, credo che un chiarimento sui passaggi all’origine dell’umano, sul concetto di sacro, sul “situazionismo” acuto ma confusionista (vedi Debord sul terrorismo) più quel che nel mio testo Occupare la vita è già sottolineato (l’antifascismo insufficiente e ambiguo ma la necessità della resistenza, il concetto di Leviatano che questo cugino (Cousin) che non è nostro fratello soccorre e rinnova con il suo ruolo di cavallo di Troia rosso-bruno) sarebbe un buon modo per cucinare questo nuovo prodotto della continuità ideologica leviatanesca senza mangiare i suoi piatti d’intellettuale separato e/o di provocatore perverso.
Un abbraccio sergio