domenica 17 gennaio 2010

Sciopero Nero!


Ho visto ora che su micromega si parla di “sciopero bianco” del 1 marzo. E c'è un gruppo su face book che si chiama così ...... Che sta succedendo?
Ma che cavolata è questa dello “sciopero bianco”? cosa si stanno ancora inventando ? Se deve essere sciopero che sciopero sia, che davvero ci si accorga di cosa accadrebbe! Mi piacerebbe molto conoscere chi ha avuto la brillante idea di trasformare un'iniziativa chiara e semplice nell'ennesimo contorcimento da ex-gauchistes del cavolo! Ma è mai possibile che se una volta tanto succede qualcosa di politicamente rilevante arriva sempre qualcuno a mettere tutti in ginocchio a pregare e pietire? Basta suppliche e reiterate lamentele alle varie autorità.... qui è ora di lasciar accadere quello che deve accadere. Si prendano le conseguenze delle proprie azioni: tutti. Nel senso che è ora che ciascuno raccolga ciò che ha seminato nelle sue relazioni umane nonché nelle sue scelte politiche. Io non ci sto a proteggere gli schiavisti dagli schiavi in rivolta! Che vengano allo scoperto!

Andiamo in tutti i cantieri ad aiutare i lavoratori in nero a far valere i loro diritti.

E aiutiamo a far sganciare i salari ai lavoratori senza permesso da parte dei datori di lavoro che li denunciano per non pagarli!

Oppure possiamo dare la caccia per insultare chi gli affitta la casa a prezzi esosi e completamente non a norma. O a chi riduce le giovani donne in schiavitù matrimoniale: sposate per fare gratis le colf e le badanti trattate come proprietà dai maschi nostrani frustrati dal femminismo de noantri? Questa legge Bossi-Fini ha fatto troppi danni ormai, occorre eliminarla e subito!

Qui i link dello sciopero che ci sarà in Francia e in Svizzera e anche in Italia....

http://www.zic.it/francia-sciopero-dei-migranti-il-1-marzo/

http://manifestazione.wordpress.com/2010/01/11/mobilitiamoci-contro-la-politica-xenofoba-e-islamofobica-no-al-razzismo-si-a-una-svizzera-solidale/

http://primomarzo2010.blogspot.com/


Che lo sciopero sia .... nero!

domenica 10 gennaio 2010

“L’occhio (e il) vigile” Hans Monderman



Atti del convegno “L’occhio (e il) vigile”

Torino, 30 Novembre 2005

Hans Monderman

Responsabile del Programma integrato di pianificazione del traffico, del territorio e del paesaggio delle Province del Nord dei Paesi Bassi
Un approccio innovativo: l’eliminazione della segnaletica e la qualità ambientale come fattori per la sicurezza stradale e urbana
Buongiorno, ringrazio il moderatore. Non cercherò di convincervi, cercherò di confondervi le idee, mettendo il mondo un po’ sotto sopra. Incomincio dalla prima immagine, che ho scelto deliberatamente perché rappresenta il mio mondo: c’è una grande strada nella quale circolano 6500 veicoli al giorno e a lato una pista ciclabile, nella quale circolano 2425 biciclette al giorno. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto 60 incidenti su questa strada, sedici dei quali hanno visto coinvolte moto di piccola cilindrata. Questo è il mondo di un ingegnere del traffico. Adesso vi mostro un’immagine differente, potreste pensare che sia la stessa foto, ma non lo è. Ritrae un luogo meraviglioso, Sandy Hills, dove un baronetto aveva scelto di vivere. E’ un luogo meraviglioso per il paesaggio; il baronetto desiderava una casa ed è stata costruita. Questa residenza oggi è molto affollata di gente, perché è un luogo che funziona molto bene, in cui tutti gli ambienti sono in armonia tra loro e con lo spazio circostante. È davvero un posto meraviglioso dove stare. Ecco, vi ho raccontato due storie e ora vi spiego il perché. Quello che voglio dirvi è che voi potete vedere una strada in modo oggettivo, attraverso cifre, ma potete vederla anche sotto un’altra prospettiva, potete vederla come uno spazio, un luogo, e di conseguenza non è più un oggetto, ma un soggetto. Lo stesso succede con le persone della seconda immagine: le persone non sono degli oggetti, ma gli ingegneri del traffico trasformano sempre la gente in cifre, ad esempio relative agli incidenti, al livello del traffico. Ma le persone per strada sono anche altro oltre a cifre, ad esempio camminare per strada con i bambini e raccontare dei luoghi che si attraversano è un’esperienza molto bella, questo significa guardare alla strada e alle persone come soggetti. Dobbiamo davvero imparare a guardare le cose non solo in modo oggettivo attraverso cifre, ma in modo più qualitativo, considerandole come soggetti. Questo è quello che cercherò di spiegarvi nelle prossime immagini. Incominciamo dallo spazio pubblico, lo spazio che da sempre si utilizza per le funzioni più diverse. In passato lo spazio pubblico era per tutti, le piazze e le strade pubbliche rappresentavano il momento della condivisione per la società; in particolare le strade erano il luogo dove le persone imparavano ad essere buoni cittadini, attraverso il confronto. Che cosa rimane di questo tipo di spazi oggi? Quest’immagine mostra che cosa è successo: le macchine hanno preso il sopravvento. Le macchine sono diventate l’aspetto dominante delle città; sono arrivato a Torino per la prima volta e le auto sono il primo elemento che ha colpito la mia attenzione. Sono elementi dominanti in tutti gli aspetti della vita e questo ha cambiato i nostri spazi pubblici. L’immagine che segue è per me importante, mi serve a raccontarvi la storia, scritta da Marcel Proust, di una ragazza, Albertine, che vedete nell’immagine sulla destra. Albertine aveva un fidanzato e un giorno lui le disse che voleva andare a trovare uno zio a sud di Parigi e poi nel pomeriggio una nipote che viveva a nord di Parigi. Albertine rispose che era impossibile realizzare quel programma in una sola giornata, quel tipo di tragitto aveva sempre preso almeno tre giorni. La domanda allora è: che cosa era successo nel frattempo? Era arrivata l’automobile, che rendeva possibile lo stesso viaggio in un giorno solo, e quelle persone, che non avevano mai fretta, si ritrovavano improvvisamente ad affrettarsi a destra e sinistra. La spiegazione di che cosa è successo è abbastanza semplice: quando si compra una macchina, la prima cosa che si nota sul cruscotto è l’orologio, che misura il tempo in modo oggettivo. Non appena hai una macchina, la prima cosa che fai è guardare l’ora quando parti, e poi misuri il tempo che impieghi a compiere il percorso. Al giorno d’oggi con la macchina si può anche perdere tempo, ad esempio in un ingorgo. Non si poteva forse perdere tempo nel passato? Noi viviamo in un mondo basato sulla misurazione oggettiva del tempo. Ma il tempo è soggettivo: provate a pensare quando andate a fare shopping con vostra moglie in un negozio di vestiti; mentre per gli uomini è come se il tempo si fermasse, per le donne scorre dannatamente veloce. Le percezioni del tempo possono cambiare e si può vivere in diversi schemi temporali: quando il contesto cambia, anche la percezione del tempo e la velocità cambiano. Questa immagine incomincia senza il casco (due motociclisti senza vestiti su una moto). Come pensate che i due motociclisti potrebbero viaggiare senza caschi? Dopo che avranno indossato i caschi, la velocità aumenterà; poi indosseranno le tute con tutte le protezioni e la velocità aumenterà ancora di più. Tanto maggiori saranno le protezioni, tanto più aumenterà la velocità. In verità, questa è una metafora di come funziona il sistema stradale. C’è una bellissima esperienza che è stata oggetto di una ricerca svolta a Gerusalemme ed è stata descritta all’inizio di quest’anno. A Gerusalemme ci sono due aree ben differenti: il quartiere dei tedeschi, ben organizzato e dove le regole sono molto seguite; e il quartiere dei russi che invece non sono molto ben organizzati. Ma i russi hanno una fede molto forte, attraversano la strada quando vogliono, lasciano andare i bambini per strada da soli e pensano che dio provvederà. E in quale dei due quartieri pensate che avvenga il maggior numero di incidenti? Dobbiamo ripensare a ciò che stiamo regolando, e tenere conto che la normativa ha a che fare con il fattore rischio. Quando la gente percepisce il rischio, si comporta con prudenza. Questa è una maniera fondamentale di osservare lo spazio. Quello che è stato fatto fino ad oggi, a livello di interventi pubblici, è andato nella direzione di eliminare tutti i rischi. Questo è solo un piccolo gioco, uno scherzo (immagine di carretti). Cosa ci è successo? Nel passato c’erano solo i carretti trainati dai cavalli guidati dai contadini, mentre adesso la situazione è cambiata perché si sono trasformati in automobilisti. Ora devono seguire le regole stradali. Il contadino è diventato parte del sistema del traffico; non è più un contadino, adesso è un guidatore. La fotografia successiva mostra la stessa cosa (immagine di una banda su una strada di città): era un gruppo di musicisti, adesso non lo è più; è un plotone civile olandese che segue le regole previste per i grossi carichi con la luce rossa dietro e quella bianca davanti. Abbiamo trasformato gli esseri umani, a mio parere, in zombi, li abbiamo resi anonimi eliminando tutti i caratteri individuali, e potete vedere quanto è ridicolo questo gruppo di musicisti che si comporta come se fosse un veicolo. Vi rivolgo una ora una domanda: pensate che sia permesso entrare con la macchina in un’area come questa (immagine di una strada pedonale)? Questo dubbio ci assale perché non sappiamo quale è la strategia di cui abbiamo bisogno. Sarebbe opportuno entrare in un posto come questo con un’auto? Penso che il cuore del problema sia più semplice: esistono due tipologie di comportamenti differenti, e questa sera, quando uscirete da questo convegno con la macchina, dovrete decidere quale comportamento seguire, se seguire le regole del sistema stradale o quelle del sistema sociale. Cosa è successo quando venne introdotto il sistema del traffico? Io ho iniziato come ingegnere del traffico negli anni Sessanta e a quei tempi tutte le strade venivano costruite seguendo come criterio primario quello dell’accessibilità. Dopo quindici anni ci siamo ritrovati con molti incidenti e quindi gli obiettivi sono stati reimpostati radicalmente, puntando alla sicurezza delle strade; dopo altri quindici anni qualcun altro ha scoperto che esiste l’ambiente e di nuovo l’ingegneria del traffico ha cambiato i suoi obiettivi. Quindi si può dire che non c’è una coerenza costante nel sistema. Quello che sto cercando è l’elemento che tiene uniti i diversi aspetti del sistema. Se visualizziamo il sistema come un triangolo, i politici guardano sempre agli angoli di questo triangolo, mentre penso che noi si debba guardare più al centro del triangolo. Sto quindi cercando questo elemento che sta nel mezzo. L’uomo è misura delle cose, mi pare che ciò suoni ancora abbastanza saggio. Guardiamo quindi al fattore umano all’interno del sistema del traffico. Vi mostro ora una mappa e dovete guardare nel centro. Notate che non ci sono buoni collegamenti nord-sud, tutte le strade finiscono in prossimità del mare e questo ha senso, perché nessuno ha bisogno di proseguire oltre, ma il sistema delle autostrade è piuttosto limitato. Nella prossima immagine vi mostro una mappa degli incidenti degli ultimi 10 anni che ci permette di riflettere sulla relazione tra il sistema delle autostrade e l’andamento degli incidenti. Sembra di poter dire che quando non c’è un buon sistema di autostrade, il flusso di incidenti in campagna lievita. Il modo in cui si costruisce il sistema stradale, la gerarchia tra le strade che compongono la rete, ha un’influenza sugli incidenti. Come vedete, gli incidenti mortali sono tutti concentrati in un unico posto. Ci si domanda perché. La questione su cui riflettere in questo caso è: appurato che quello che è successo non ha nulla a che fare con lo spazio, allora dipende dai comportamenti. Perché la gente si comporta in maniera strana? Come possiamo organizzare lo spazio in modo migliore? Quello che abbiamo scoperto è che bisogna creare il sistema stradale seguendo una gerarchia partendo dalla dimensione umana, caratterizzata da una velocità bassa, e proseguire cercando di raggiungere la massima qualità. E nel mezzo bisogna prevedere del tempo, degli intervalli temporali, bisogna basarsi sul tempo e non sulla quantità di traffico. Quello che vedete è il 20% della rete; il restante 80% non l’ho inserito nella mappa, perché è lo shared space (spazio condiviso), è lo spazio per le persone, è il nostro spazio pubblico. La rete stradale è quella che ci facilita, ma le altre strade, quelle non segnate nella mappa, sono quelle importanti. L’immagine mostra un cartello che indica di prestare attenzione alla strada. Poi c’è un altro segnale, con una cicogna, che indica che è nato un bambino. Come si vede nell’immagine, la strada è piena di fango. Ho avuto discussioni con i miei colleghi perché volevano mettere un segnale che indicava che la strada era piena di fango. Io invece volevo mettere un altro cartello, ad esempio che indica che il dottore passa alle dodici, i vicini vengono alle dieci, la famiglia tornerà forse verso sera. Voglio che ci sia un cartello ogni volta che arriva qualcuno. Perché mettere i cartelli solo dove c’è una minaccia per le automobili? Analogamente anche quando c’è un pericolo per la società c’è bisogno di un cartello. Come siamo stupidi con i cartelli. Osservando la strada si può leggere la storia di questa famiglia, ad esempio che il bambino è nato ieri perché oggi la strada già piena di fango indica che il padre ha ripreso a lavorare. Che cosa c’è da sapere di più? Questo è quello che succede quando il sistema del traffico prende il sopravvento; ci sono così tanti segnali che non si riesce più a leggerli e a capirli. Queste immagini mostrano quello che è stato il mio lavoro in America. Ho realizzato interventi su impianti stradali realizzati negli anni Venti negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra, sistemi in cui si sceglieva di distinguere nettamente le persone dal traffico. Le cosiddette nuove città, ma queste nuove città hanno creato molti problemi. Adesso nelle città dobbiamo fare attenzione ai pedoni, io non avrei mai pensato di dover pensare ai pedoni come ad un “rischio” in una città. L’immagine mostra quanto sono pericolose le città oggi (immagine di traffico), dovrebbero essere un posto dove gli uomini possono vivere bene, e invece guardate in cosa le abbiamo trasformate. Trent’anni fa la mia professione ha dato una risposta: e ora vi mostro il modo in cui quest’idea è stata realizzata. Mi è stato chiesto di risolvere un problema: c’era una strada, con un limite di velocità di 60 km all’ora, un flusso di 6000 macchine e non c’era altro spazio per costruire una pista ciclabile. Hanno chiesto il mio aiuto, e il mio superiore mi ha odiato perché io ho progettato tutte queste brutture (fioriere e altri elementi per separare una porzione di strada per le biciclette)। Ed erano brutture. Quindi, cosa fare? Dovevo trovare una soluzione e non sapevo cosa fare, tutti i normali strumenti per limitare la velocità come le bande rumorose e le gimcane non erano consentiti. Dissi che volevo costruire qualcosa di “folle”. Questo è come appariva (immagine della strada senza separazioni, “condivisa” da auto e biciclette). E improvvisamente la velocità non si è ridotta del 10%, ma si è più che dimezzata. Questo è come appariva e come appare tutt’oggi, è ancora così. Questo per me è stato un cambiamento radicale. La lezione che ho imparato è che il mondo sociale che ci circonda è una fonte enorme di informazioni per il comportamento e quando il contesto si traduce nel comportamento corretto, cambiano i comportamenti. Nel sistema stradale ci dimentichiamo che il contesto sia importante. Ad esempio questo è un campeggio (immagine), nessuno andrebbe veloce in auto tra le tende; il contesto è sufficiente per innescare un comportamento diverso. Questa è l’immagine più minacciosa che posso mostrarvi. Mostra due tipi di comportamenti differenti, che appaiono in contraddizione e incompatibili tra di loro. Bisogna fare delle scelte, non si può agire in due modi diversi o seguendo due strategie differenti. La cosa peggiore che si può fare è di arrivare ad un compromesso tra le due strategie e infatti questo è quello che avviene quando si giunge ad un compromesso. Si può prendere un caffè con un semaforo tra le ginocchia, mischiando i due mondi e accettando il compromesso; oppure si possono mettere cartelli stradali per dire di fare attenzione agli alberi. Tutto questo significa trattare le persone da stupide; mettiamo i cartelli e poi altri cartelli che spiegano cosa significano i cartelli, o cerchiamo di nascondere i pericoli obbligando le persone a percorsi forzati delimitati da ringhiere e cancelli. Questo non si può più chiamare spazio pubblico. Questo è un posto tipico per trascorrere le vacanze estive in Olanda. E’ un posto assolutamente fantastico, e qui le vacanze iniziano nell’assoluto caos. Quando ritorniamo a casa, ci diciamo che quella era qualità. Quindi la qualità e il caos possono quindi coincidere. Dobbiamo però prendere delle decisioni su quali comportamenti vogliamo. Quest’immagine mostra una strada in Danimarca; le persone la usano, la vivono, è la loro strada. Quando vediamo strade di questo tipo, è già chiaro come verranno utilizzate, sono state pensate per essere luoghi multifunzionali. In quest’immagine c’è una delle nostre ultime realizzazioni, una volta ultimato il progetto non abbiamo mai più avuto problemi di velocità. Si può utilizzare l’architettura: prima questa strada divideva il paese, c’era un paese sulla destra e uno sulla sinistra. Oggi abbiamo di nuovo un paese solo, con in mezzo una chiesa. Quest’altra immagine mostra un’area in cui fino a sei anni fa avevamo un flusso di settemila macchine e molti incidenti; noi abbiamo scelto di eliminare i semafori: il flusso di automobili è molto più scorrevole e gli incidenti sono quasi spariti. In Europa ci sono molti luoghi dove si possono trovare esempi di questo tipo: questa è una strada trafficata in un’area commerciale in cui passavano più di settemila automobili, e i percorsi erano separati. L’abbiamo trasformata in una area commerciale con le macchine, un’area condivisa, e adesso tutto lo spazio, anche la strada, è molto più vivace. Anche in questo caso avevamo un incrocio con un passaggio di 7 mila auto al giorno, di cui 5 mila provenienti da una strada laterale. Abbiamo tolto i semafori e creato un incrocio a raso e la situazione è nettamente migliorata. Molte persone hanno criticato questo progetto, hanno dichiarato di sentirsi insicure attraversando il nuovo incrocio. Ecco allora che torniamo all’esempio dei motociclisti senza vestiti che ho fatto prima: quando dai alle persone la libertà di scegliere e decidere il proprio comportamento, devono prendersi le proprie responsabilità e questo avviene solo quando
ci si assume un rischio। La sensazione di insicurezza descritta dimostra proprio che il progetto ha funzionato, le persone sono consapevoli del rischio. In questo schema il rischio è parte integrante del progetto, è un elemento del design. Se le persone accettano di assumere le proprie responsabilità, allora l’amministrazione può tornare a dargli maggiori libertà. Questa immagine rappresenta il centro di Londra, la zona di Kensington street, dove sono stati eliminati tutti i “recinti pedonali” e la strada è stata ridisegnata secondo il modello della strada condivisa; in questo modo si è avuta una riduzione del 60% degli incidenti con i pedoni. È bastato eliminare le ringhiere e poco altro per diminuire la velocità delle auto. Questo è un progetto che deve ancora essere realizzato a Londra, ma è costruito nello stesso modo. Analoghi esempi si trovano a Tokyo, a Barcellona, in Cina, in Danimarca, di nuovo a Barcellona. Questo è l’esempio più estremo che vi posso mostrare: è un incrocio dove ogni giorno passano 22 mila veicoli, circa 3000 biciclette e 1500 pedoni, nel cuore di una città di 15.000 abitanti. L’abbiamo trasformato rendendolo un posto a misura d’uomo. Non ci sono differenze d’altezza tra il marciapiede e il livello stradale. Questo è come appare oggi; se si osserva il flusso del traffico oggi, si vede un movimento completamente naturale e fluido, in cui tutti, persone e mezzi, regolano i loro comportamenti reciprocamente e negoziano lo spazio. Da quando il progetto è stato terminato abbiamo avuto solo tre incidenti di scarsa entità, simili a quelli che potrebbero avvenire nel cortile di una scuola. Nel passato in quest’area c’erano quindici semafori, ne abbiamo rimossi tredici; da quel momento non si sono più verificati incidenti mortali. C’erano due incidenti mortali all’anno, mentre adesso in due anni ne abbiamo avuto solo uno. È chiaro quindi che in questo caso i semafori non erano la soluzione ma il problema. Questa è l’ultima fotografia che voglio mostrarvi; quello su cui voglio cercare di insistere ancora è l’uso dello spazio come fonte di informazione, e come l’usare queste informazioni può influenzare enormemente la qualità dei comportamenti umani. Responsabilizzare le persone è una possibilità con un enorme potenziale. Questi non sono progetti semplici, questo per esempio ha richiesto sette anni di progettazione e molto lavoro di comunicazione con le persone; ancora oggi, giorno dopo giorno, bisogna dare spiegazioni alle persone perché si è attuato davvero un grosso cambiamento. Non sono più le amministrazioni che si prendono carico dei comportamenti delle persone, ma sono le persone stesse responsabili dei propri comportamenti. A molte persone questo cambiamento non piace, ci vuole molta attività di comunicazione e anche un po’ di fortuna nel non aver troppi incidenti quando si mettono in atto questi progetti. Io sono stato fortunato fino ad oggi. Penso che questo modo di vedere lo spazio sia un elemento davvero molto importante, che dobbiamo tenere in considerazione se vogliamo modificare l’aspetto che hanno oggi le nostre città. Il predominio dell’automobile nel sistema stradale può essere modificato; questo è quello che ho cercato di mostrarvi oggi. Grazie per la vostra attenzione.


Monderman :Vorrei fare una riflessione molto breve. E’ molto semplice: il sistema stradale è stato ideato per facilitare il mondo delle persone, ma vediamo che sta erodendo le nostre città, le nostre società, Penso quindi che sarebbe utile ripensarlo e reinterpretarlo. Quando si guarda la velocità media nelle città americane, e si vede che è di circa 60 km all’ora, si vede che la velocità non è un elemento fondamentale, ma è il principio intorno a cui organizziamo tutta la nostra vita. Credo che si debba riorganizzare e ripensare tutto il sistema stradale delle nostre città in base al motto, in cui credo molto, che chi va più piano, va più veloce. Questa potrebbe essere una magnifica soluzione.

“Tanto più sono le regole, meno si sente la responsabilità”.


L'ingegner Monderman non è l'ultimo invasato che passa: è un serio ingegnere tedesco che ha passato decenni di attività professionale nello studio della mobilità e soprattutto della sua sicurezza nei centri urbani. Mentre i segnali proliferano, nessuno gli presta più attenzione. Da molto tempo, gli psicologi parlano dell’assurdità di questo eccesso. Circa il 70% della segnaletica non è nemmeno percepita. La pletora dei segnali rende l’automobilista insensibile e favorisce il suo imbarbarimento. L’automobilista si ferma, forse, davanti alle strisce pedonali, ma per il resto si sente autorizzato a tagliare la strada a qualsiasi pedone. Ogni semaforo è una sfida per riuscire a passare ancora con il giallo. Il risultato: nella morsa del corsetto delle regole, l’automobilista diventa egoista e cerca solo il proprio tornaconto, a scapito delle buone maniere. Secondo i fautori del nuovo concetto, solo più libertà e più responsabilità individuale possono aiutare ad uscire dal circolo vizioso. Pertanto chiedono strade e vie come nel Medioevo, quando le vie delle città erano intasate da carri, cavalli e persone. Nei loro scenari, automobilisti e pedoni si intrecciano in un pacifico flusso. D'altro canto non si vede che problema ci sia, visto che anche nelle iper regolamentate strade urbane italiane, studi seri hanno dimostrato che la velocità media è nell'ordine dei 30 km/h. Ciò che a molti sembra un caos totale, segue in realtà una scoperta della psicologia del traffico: solo laddove è tutto regolato, l’automobilista può premere il pedale dell’acceleratore senza farsi troppi scrupoli. Un ambiente poco chiaro impone invece cautela e circospezione. “Meno sicuro è più sicuro” è il motto dei fautori della nuova corrente che, nell’ottobre scorso, si sono riuniti a Francoforte sul Meno. Questi progetti ricevono una spinta da un esperimento di grande dimensione che si svolge a Drachten, città olandese di 45.000 abitanti. In questa città, le automobili circolano sullo stesso piano di pedoni e biciclette. I ciclisti segnalano con il braccio ogni cambiamento di direzione, mentre gli automobilisti si fanno capire con i gesti della mano e della testa. “Più della metà dei nostri cartelli stradali sono già stati rottamati”, spiega il pianificatore del traffico Koop Kerkstra, “dei 18 incroci muniti di semafori ne sono rimasti solo due, gli altri sono stati convertiti in piazzole a senso rotatorio”. A Drachten, ora valgono solo due regole 1) precedenza a coloro che arrivano da destra; e 2) ciò che ostacola gli altri, sarà rimosso. Esperti provenienti dall’Argentina e dagli Stati Uniti hanno visitato Drachten e persino Londra si è detta interessata all’anarchia stradale. Il modello è attualmente sperimentato nel rione di Kensington. In un anno il numero di incidenti, con feriti, si e' dimezzato e dopo due sole settimane di sperimentazione la velocita' media e' scesa sotto i 30 km/h consentiti.Oltre al vantaggio sociale c'e' anche un risparmio economico: in Germania, ad esempio, l'installazione di un cartello stradale costa 350 Euro. _ Anche Paulo Coelho racconta la sua esperienza a Drachten: Subito dopo la conferenza a L’Aia, in Olanda, si avvicinò un gruppo di lettori. Volevano che visitassi la città dove vivevano, giacché, secondo loro, vi si stava realizzando un’esperienza unica in Europa. Ormai sono vaccinato contro le “esperienze uniche al mondo”, ma allo stesso tempo adoro conversare con gli sconosciuti. Fissammo per l’indomani, visto che il mio volo per Parigi partiva solo alla fine del pomeriggio. I lettori – due giovani donne e quattro ragazzi –, che avevano preso l’impegno di lasciarmi all’aeroporto dopo che avessi visto qualcosa di “unico in Europa”, mi condussero in un quartiere della città di Drachten. Scendemmo dall’auto, loro presero una birra, io un caffè. Mi guardavano sorpresi, ma io non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo. Dopo un po’ di tempo, uno di loro mi domandò: “Non ha notato niente di diverso?” Una città piccola, graziosa, con vari passanti per la strada, in un autunno che sembrava ancora estate. A parte questo, uguale a tutte le altre città che conosco nel mondo. Loro pagarono il conto, attraversammo la strada per andare in un altro bar, mi chiesero di guardare bene di nuovo – e io continuai a trovare Drachten molto simpatica e molto uguale al resto dell’Europa. “Lei mi ha deluso – disse una delle giovani. – Pensavo che credesse di più nei segnali.” “Certo che ci credo.” “E qui, non ha visto nessun segnale?” “No.” “Infatti, è proprio questo! Drachten è una città senza segnali!” Il suo fidanzato completò: “Nessun segnale stradale!” Tutt’a un tratto, mi resi conto che avevano assolutamente ragione: non c’era il famoso “Stop”, non c’erano le strisce pedonali, i segnali di incrocio e di precedenza. Non c’era un solo semaforo, con le sue luci rosse, gialle e verdi! E, con mia sorpresa, non c’era neppure la divisione tra il marciapiede e la strada. Il movimento era ben lungi dall’essere ridotto: camion, auto, biciclette (onnipresenti in Olanda), pedoni, tutti sembravano perfettamente organizzati in un posto dove non c’era niente a mettere ordine nel traffico. In nessun momento udii un improperio, sentii frenate improvvise, o clacson assordanti. Andando verso l’aeroporto, mi raccontarono qualcosa di più su quell’esperimento che, concordo pienamente, è davvero singolare. L’idea era venuta a un ingegnere, Hans Mondermann. Questi lavorava per il governo olandese negli anni Settanta, quando cominciò a pensare che l’unica maniera per ridurre l’aumento degli incidenti era dare all’automobilista la responsabilità di ciò che faceva. Il suo primo provvedimento fu diminuire la larghezza delle strade che attraversavano i paesi, usare mattoni rossi invece dell’asfalto, eliminare la striscia centrale che separa le due corsie, togliere i marciapiedi e disseminare i viali di fontane e paesaggi rilassanti – in modo che le persone imprigionate negli imbottigliamenti potessero distrarsi mentre aspettavano. Subito dopo arrivò la decisione radicale: togliere i segnali stradali ed eliminare il limite di velocità. Entrando in città, i 6000 automobilisti che passavano lì ogni giorno rimanevano disorientati: dove posso svoltare?Di chi è la precedenza? E così raddoppiavano l’attenzione che prestavano a ciò che accadeva intorno a loro. Due settimane dopo, la velocità media era scesa sotto i 30 km/h permessi in località come Drachten. Mondermann puntava forte: “Se un pedone attraversa la strada, è chiaro che l’auto dovrà fermarsi: i nostri nonni ci hanno insegnato le regole di cortesia.” Fino a ora, ha funzionato. Arrivai all’aeroporto pensando che Mondermann non aveva fatto solo un esperimento sul traffico, ma qualcosa di più profondo. In definitiva, è sua la frase: “Se tratti una persona come un idiota, si comporterà seguendo il regolamento, e nulla di più. Ma se le dai responsabilità, saprà usarla.”