I carri funebri sono in fila di fronte al cimitero
di Bergamo.
Quest’immagine, più di tante altre,
ci mostra in tutta la sua crudezza la realtà. Non si può neppure
lasciare un fiore. Non li hanno neppure potuti
accompagnare verso la fine. Sono
morti soli, lucidi,
affogando lentamente.
Dalle
finestre, ad ore stabilite, la gente
grida, canta, batte le stoviglie e si riunisce in uno spirito
nazionalista evocato da politici e media. “Tutto andrà bene. Ce la faremo”.
Il governo con editti che si sono susseguiti a
ritmo frenetico ha sospeso il dibattito, persino il flebile
confronto democratico, persino il rito esausto della democrazia
rappresentativa e ci ha arruolati tutti. Chi non obbedisce è un untore,
un criminale, un folle.
Intendiamoci.
Ciascuno di noi è responsabile dei propri atti. Noi anarchici lo sappiamo bene:
per noi la responsabilità individuale del proprio agire è il perno di una società di liber* ed eguali.
Avere cura dei più deboli, degli
anziani, di chi,
più degli altri,
rischia la vita è un dovere che sentiamo con grande forza. Sempre. Oggi
più che mai.
Un dovere altrettanto forte è quello
di dire la verità, quella
verità, che chiusi nelle case di fronte alla TV, non filtra mai. Eppure è, in
buona parte, sotto gli occhi di tutti.
Chi cerca una verità nascosta, un oscuro complotto
ordito dal proprio cattivo preferito,
chiude gli occhi di fronte alla realtà, perché chi li apre si batte per
cambiare un ordine del mondo ingiusto, violento, liberticida, assassino.
Ogni giorno, anche oggi, mentre la gente si ammala
e muore, il governo italiano spreca
70 milioni di euro in spese
militari. Con i 70
milioni spesi in uno solo dei 366 giorni di quest’anno bisestile si potrebbero
costruire ed attrezzare sei nuovi
ospedali e resterebbe qualche spicciolo per mascherine, laboratori analisi,
tamponi per fare un vero screening. Un respiratore costa
4.000 mila euro:
quindi si potrebbero comprare
17.500 respiratori al giorno: molti
di più di quelli che servirebbero ora.
In
questi anni tutti i governi che si sono succeduti hanno tagliato costantemente la spesa per la sanità,
per la prevenzione, per la vita
di noi tutti. Lo scorso
anno, secondo le statistiche, per la prima volta
le aspettative di vita si sono ridotte. Tanti
non hanno i soldi per pagare le medicine, i ticket per le visite e le prestazioni specialistiche, perché
devono pagare il fitto, il cibo, i trasporti.
Hanno chiuso i
piccoli ospedali, ridotto il numero di medici e infermieri, tagliato i posti
letto, obbligato i lavoratori della sanità a fare straordinari, per sopperire ai
tanti buchi.
Oggi, con
l’epidemia, non ci sono più code agli sportelli, non ci sono più liste di
attesa di mesi ed anni per un’indagine diagnostica: hanno cancellato le visite e gli esami. Li
faremo quando passerà l’epidemia. Quanta gente si ammalerà e morirà di tumori
diagnosticabili e curabili, quanta gente vedrà peggiorare le proprie patologie,
perché hanno messo in quarantena quello che restava della sanità pubblica? Intanto le cliniche e
gli ambulatori privati fanno qualche
mossa pubblicitaria e moltiplicano gli affari, perché i ricchi non restano mai
senza cure.
Per questo il governo ci vuole ai balconi a cantare
“Siam pronti alla morte. L’Italia chiamò”. Ci vogliono zitti e ubbidienti come
bravi soldati, carne da macello, sacrificabile. Dopo chi resta
sarà immune e più forte. Sino
alla prossima pandemia.
Per questo dai nostri balconi, sui muri delle
città, nelle code per la spesa, diciamo, a voce alta nonostante la mascherina,
che siamo di fronte ad una strage di Stato. Quanti morti si sarebbero potuti
evitare se i governi di questi anni avessero fatto scelte di tutela della
nostra salute?
Non si è trattato di un errore ma di una scelta
criminale.
Gli infettivologi negli anni hanno avvertito del
rischio che correvamo, che una pandemia grave era possibile. Sono rimaste voci
nel deserto.
La logica del profitto non consente cedimenti.
Quando tutto sarà finito le industrie farmaceutiche che non
investono in prevenzione faranno affari. Lucreranno
con i medicinali scoperti dai tanti ricercatori che lavorano per la comunità
e non per arricchire chi è
già ricco.
Ci
avevano abituati a credere di essere immuni alle pestilenze che
affliggono i poveri, quelli che non hanno
mezzi per difendersi, quelli che non hanno
neppure accesso all’acqua
potabile. Dengue, ebola, malaria, tubercolosi erano le
malattie dei poveri, delle popolazioni “arretrate”, “sottosviluppate”.
Poi, un giorno,
il virus si è imbarcato in business class e ha raggiunto il cuore economico
dell’Italia. E niente è più stato come prima.
Non subito
però. Media, esperti, governo
ci hanno raccontato che la malattia
uccide solo gli anziani, i malati, quelli che hanno anche altre patologie. Niente di nuovo.
É un fatto normale: non serve una laurea in medicina per saperlo.
Così tutti gli altri hanno pensato che alla peggio
avrebbero fatto
un’influenza in
più. Quest’informazione criminale ha riempito le piazze, gli aperitivi, le
feste. Non per questo viene meno la responsabilità individuale, che passa anche
dalla capacità di informarsi e capire, ma toglie un pizzico di quell’aura di
santità che il governo sta cercando di
indossare, per uscire indenne dalla
crisi. E chi sa? Magari anche più forte.
Ci raccontano
che la nostra casa è l’unico posto sicuro. Non
è vero. I lavoratori che ogni giorno
devono uscire per andare in fabbrica,
senza nessuna vera protezione, nonostante i contentini offerti da
Confindustria ai sindacati di stato, tornano ogni giorno a casa. Lì ci sono
parenti anziani, bambini, persone deboli.
Solo una piccola
parte di chi esce per fare la spesa o prendere
un po’ d’aria ha delle protezioni: maschere, guanti, disinfettanti non sono disponibili neppure negli ospedali.
Il governo
sostiene che le protezioni non servono se si è sani: è una menzogna. Quello che
ci dicono sulla diffusione del virus lo
smentisce in modo chiaro. La
verità è un’altra: a due mesi dall’inizio dell’epidemia in Italia il governo
non ha acquistato e distribuito le protezioni indispensabili per bloccare la
diffusione della malattia.
Costano troppo. In Piemonte i medici di base parlano
al telefono alle persone che hanno la febbre, la
tosse, il mal di gola, invitandoli a prendere
antipiretici e a restare a
casa per cinque giorni. Se peggiorano andranno poi in ospedale. A nessuno viene
fatto il tampone. Chi vive con questi malati si trova in trappola: non può
lasciare solo chi soffre ed ha bisogno di assistenza, ma rischia di contagiarsi
a sua volta se l’affezione respiratoria fosse dovuta a coronavirus. Quanti si
sono infettati senza saperlo ed hanno poi diffuso la malattia ad altri, uscendo
senza protezioni?
Gli arresti domiciliari non ci salveranno dall’epidemia. Possono contribuire a rallentare la diffusione del virus non a fermarla.
L’epidemia
diventa occasione per imporre condizioni
di lavoro, che consentono alle aziende
di spendere meno e guadagnare di più. Gli editti di Conte hanno previsto lo
smart working ovunque fosse possibile. Le aziende
ne approfittano per imporlo ai propri dipendenti. Si sta a casa e si lavora via
internet. Il telelavoro è regolato da una legge del 2017 che prevede che le aziende
possano proporlo ma non imporlo ai dipendenti. Dovrebbe essere quindi soggetto ad un accordo che
dia ai lavoratori garanzie su orario, forme
di controllo, diritto
alla copertura delle
spese di connessione, copertura in caso di
infortunio. Oggi, dopo il decreto emanato dal governo Conte per fronteggiare
l’epidemia di Covid 19, le aziende possono
obbligare allo smart
working senza accordi
né garanzie per
i lavoratori, che devono anche essere grati per la possibilità di stare in casa.
L’epidemia diventa quindi
pretesto per l’imposizione senza resistenze di nuove forme di sfruttamento.
Per i lavoratori
normati si prevedono cassa integrazione e fondi integrativi, per i precari, le
partite IVA e i parasubordinati non
ci saranno coperture, tranne
qualche briciola. Chi non lavora
non ha alcun reddito.
Chi osa criticare, chi osa raccontare verità
scomode, viene minacciato, represso, messo a tacere.
Nessun
media mainstream ha ripreso la denuncia degli avvocati dell’associazione
infermieri, un’istituzione che non ha nulla di sovversivo. Infermiere ed infermieri sono
descritti come eroi,
purché si ammalino e muoiano in silenzio, senza raccontare quello che
succede negli ospedali. Gli infermieri che raccontano la verità sono minacciati
di licenziamento. A quelli che vengono contagiati non viene riconosciuto l’infortunio, perché l’azienda ospedaliera non sia obbligata a pagare indennizzi a chi
si trova ogni giorno a lavorare
senza protezioni o con protezioni del tutto insufficienti.
L’autonomia
delle donne viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid
19.
La cura dei
bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio,
i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante
dalla precarietà del lavoro. Intanto, in sordina, nelle case trasformate in
domicili coatti, si moltiplicano i femminicidi.
Nel fragoroso
silenzio dei più, durante la rivolta delle carceri sono morti 15 detenuti.
Sulla loro morte non è trapelato nulla, se non le veline della polizia. Alcuni,
già in gravi condizioni, non sono stati portati in ospedale ma caricati sui
cellulari e portati a morire in carceri lontane centinaia di chilometri. Una
strage, una strage di Stato.
Gli altri sono stati deportati altrove. Le carceri
scoppiano, ai reclusi non è garantita la salute e la dignità nemmeno in
condizioni “normali”, sempre che sia
normale rinchiudere le persone dietro le sbarre.
Per salvaguardarli il governo
non ha trovato di meglio che sospendere i colloqui con i parenti, mentre ogni
giorno i secondini possono andare e venire. La rivolta dei reclusi è divampata di fronte
al rischio concreto del diffondersi del contagio in luoghi dove il
sovraffollamento è la norma. Chi ha sostenuto le lotte dei prigionieri
è stato caricato e denunciato. La repressione, complici le misure contenute negli
editti del governo,
è stata durissima. A Torino
hanno
impedito anche un semplice presidio di parenti e solidali all’ingresso della prigione, schierando
le truppe ad ogni accesso alle strade limitrofe al carcere delle Vallette.
I
lavoratori che hanno fatto scioperi spontanei contro
il rischio di contagio, sono stati a loro volta denunciati per aver violato
gli editti del governo,
perché manifestavano in strada per la loro salute.
Niente deve fermare la produzione, anche
se si tratta di produzioni che potrebbero essere interrotte senza alcuna conseguenza per la vita di noi tutti.
La logica del
profitto, della produzione viene prima di tutto.
Il governo
teme che, dopo la rivolta delle carceri, si possano aprire altri fronti di
lotta sociale. Da qui il controllo poliziesco ossessivo, l’impiego
dell’esercito, cui, per la prima volta, sono attribuite funzioni di ordine pubblico, e non di mero
supporto alle varie forze di polizia. I
militari diventano poliziotti: il processo di osmosi cominciato qualche
decennio fa arriva a compimento. La
guerra non si ferma. Missioni militari, esercitazioni, poligoni di tiro vanno a pieno ritmo. É la guerra ai poveri al tempo
del Covid 19.
Il governo
ha vietato ogni
forma di manifestazione pubblica e ogni riunione politica.
Rischiare la vita per il padrone
è un dovere sociale, mentre
cultura e azione politica sono
considerate attività criminali.
Si
tratta del tentativo, neppure troppo velato, per impedire ogni forma di confronto, discussione, lotta, costruzione di reti solidali che consentano davvero di dare sostegno a chi è maggiormente
in difficoltà.
La democrazia ha i piedi di argilla. L’illusione
democratica si è sciolta come neve al sole di fronte all’epidemia. Si accettano
con entusiasmo provvedimenti ex cathedra del presidente del consiglio:
nessun dibattito, nessun passaggio dal tempio della democrazia rappresentativa, ma semplice editto.
Chi non lo rispetta è un untore un assassino, un criminale e non
merita pietà.
In questo modo i veri responsabili, quelli
che tagliano la sanità e moltiplicano la spesa militare, quelli
che non garantiscono le mascherine neppure agli
infermieri, quelli che
militarizzano tutto ma non
fanno i tamponi perché “costano 100 euro” si
firmano l’assoluzione con il plauso dei prigionieri della paura.
La paura è umana. Non dobbiamo vergognarcene, ma
non dobbiamo neppure permettere agli imprenditori politici
della paura di usarla
per ottenere il consenso a politiche criminali.
Noi ci siamo
battuti per impedire che chiudessero i piccoli ospedali, che spazzassero via
presidi sanitari preziosi per tutti. Eravamo in piazza a fianco del lavoratori
del Valdese, dell’Oftalmico, del
Maria Adelaide, dell’ospedale di Susa e di tanti altri angoli della nostra
provincia.
In novembre
eravamo in piazza per contestare la mostra mercato dell’industria aerospaziale
di guerra. Noi lottiamo ogni giorno contro il militarismo e le spese di guerra.
Noi siamo sui sentieri della lotta No Tav, perché
con un metro di Tav si pagano 1000 ore di terapia intensiva.
Noi
oggi siamo a fianco di chi non vuole morire in galera, dei lavoratori caricati
e denunciati, perché protestano contro la
mancanza di tutele contro la diffusione del
virus, con gli infermieri e le infermiere che lavorano senza essere protetti e rischiano il posto
perché raccontano quello che succede negli ospedali.
Oggi tanta parte dei movimenti di opposizione
politica e sociale tace, incapace di reagire,
schiacciata dalla pressione morale, che
criminalizza chi non accetta senza discutere la situazione di crescente
pericolo innescata dalle scelte governative di ieri e di oggi.
Limitare
gli spostamenti e i contatti è ragionevole, ma è ancor più ragionevole lottare
per poterlo fare in sicurezza. Dobbiamo
trovare i luoghi e i modi per lottare contro la violenza di chi ci imprigiona,
perché non sa e non vuole tutelarci.
Da
anarchici sappiamo che la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza nelle nostre
mille diversità si ottiene con la lotta, non la si delega a
nessuno e men che meno ad un governo, la cui unica etica è il mantenimento
delle poltrone.
No. Noi non siamo “pronti alla morte”. Non vogliamo
morire e non vogliamo che nessuno
si ammali e muoia. Non ci facciamo
arruolare nella fanteria destinata al massacro silente. Siamo disertori,
ribelli, partigiani.
Pretendiamo
che le carceri siano svuotate, che chi non ha casa ne abbia una, che la spesa
di guerra sia cancellata, che a tutti siano garantiti gli esami clinici, che ciascuno abbia
i mezzi per proteggere
se stesso e gli altri dall’epidemia.
Non vogliamo
che sopravvivano solo i più forti, noi vogliamo che anche chi ha vissuto tanto, possa
continuare a farlo.
Vogliamo che chi sta male possa avere accanto qualcuno che
lo ama e possa confortarlo: con due cacciabombardieri F35 in meno potremo avere tute, e ogni protezione necessaria perché nessuno muoia più da solo.
Tutto
andrà bene? Ce la faremo? Dipende da
ciascuno di noi.
I compagni
e le compagne della Federazione Anarchica Torinese, riuniti in assemblea il 15 marzo 2020.
Dedichiamo questo
nostro scritto alla memoria di Ennio Carbone,
un anarchico, un medico che ha dedicato la propria vita alla ricerca
scientifica, cercando di sottrarla alla voraci mani dell’industria che finanzia
solo quello che rende.
Lui, in tempi non sospetti, ci parlò del rischio di una pandemia
come quella che viviamo oggi.
La sua voce, la sua esperienza ci mancano in questi
giorni difficili.
RICEVO E PUBBLICO