sabato 30 giugno 2012

Un bel calcio nei denti dello spettacolo.




Sfogliando metaforicamente i giornali su internet emergono dei microsatori ovvi e impertinenti.
Il Giornale e Libero, con le loro volgarità antitedesche da machos impotenti, sono le cartine di tornasole di una sottocultura barbara e plebea nettamente maggioritaria in Italia.
L'Italia misura l'abisso esistente tra il plebeo e il proletario. L'uno si genuflette dinanzi al Potere, l'altro si rivolta in nome dell'emancipazione.
Dove sono dunque i proletari d’Italia e d’Europa?
L'Italia è indubbiamente una nazione plebea con meravigliose eccezioni.
Non potrebbe essere altrimenti in un paese corrotto e bigotto, appestato da millenni di ipocrita religiosità.
I tedeschi sono riformati, hanno intriso la loro storia dell'etica protestante che incarna lo spirito del capitalismo.
Sono macchine quasi perfette del frankenstein economicista mentre, per contro, fuori dal mito accondiscendente, gli italiani non sono affatto anarchici, spesso sono solo opportunisti sottomessi, uomini di mano e di malaffare.
Sono cattolici, giocano col peccato e contano sul falso pentimento e sulla confessione.
Gli Andreotti, i Berlusconi, i D’alema e i Formighini sono esempi di una logica da Bravi che appoggiano il loro ridicolo e odioso potere sui vari don Abbondio e sui loro fedeli parrocchiani.
Allora, nella società dello spettacolo integrato, una partita di calcio che potrebbe essere un gioco divertente, diventa una liturgia per folle oceaniche in cerca psicotica di senso e una compensazione miserabile per orde di frustrati di tutta Europa.
Il calcio scommesse è una scommessa perduta sulla gratuità della felicità.
La Comune d'Europa resta la sola alternativa allo sviluppo insostenibile del capitalismo planetario.
La democrazia diretta (tautologia necessaria) è la sola alternativa all'oclocrazia dominante (oclocrazia: forma di governo in cui la plebe sceglie - ma mica sempre, tra mari e monti - i propri dittatori interscambiabili).
Sono cosciente che un tale commento sembrerà inevitabilmente un delirio a tutti coloro che sono stati educati a giudicare la storia con una morale da camerieri.

Sergio Ghirardi

giovedì 28 giugno 2012

LA SOLITUDINE DELL'UOMO MERCE



Credo che questo post del 14 settembre 2009,  tratto da "Contrappunto, l'avamposto degli incompatibili " valga la pena di essere ri-pubblicato e letto, non c'è nulla di nuovo infatti  che lo renda "datato", grazie Vittoria, e buona lettura


Invece del motto conservatore, "Un giusto salario giornaliero per una
giusta giornata lavorativa!" dovrebbero scrivere sulle loro bandiere la
la parola d’ordine rivoluzionaria: "Abolizione del sistema del lavoro salariato!" (da Salario, prezzo e profitto, 1865)"
"Eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se
non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia
per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda
degradazione. (da Salario, prezzo, profitto)"
Continuando a produrre merci cosa si ottiene?
Si ottiene che la forma monetaria che poi fa marciare il valore delle merci sul mercato sfocia in quella che Marx chiama reificazione o,termine fantastico, "cosificazione"(Verdinglichung) dei rapporti sociali, ovveroil FETICISMO INERENTE AL MONDO MERCANTILE.

L’alienazione non è il semplice sfruttamento sociale, è ben altro l’alienazione è TOTALE,: nel regno della merce l’uomo diviene estraneo a se stesso e di se stesso. "il denaro" dice Marx " riduce l’uomo a non essere che una astrazione": non l’essere ma l’avere, non la qualità ma la quantità sono il valore, e quindi i valori.
Il denaro diventa il mediatore di ogni scambio non solo quello mercantile, la sua potenza è TOTALE e così succede che rispetto al denaro, per quanto contrapposti, lavoratore e padrone, sono entrambi alienati: chi non ha denaro è prigioniero di questa privazione ed è costretto a divenire merce che
produce merce per la sopravvivenza, chi possiede il denaro ha il possesso anche di questa merce umana, ma nel contempo è posseduto dal denaro.
E da questa analisi nasce la necessità di abbattere definitivamente il
sistema della INFELICITA’ TOTALE DELL’ALIENAZIONE TOTALE.
Non ci sono mediazioni possibili, più o meno democratiche perché nessuna mediazione scardinerà il sistema della merce e del valore della merce, e in qualsiasi mediazione..del migliore dei modi possibili
la questione sostanziale resterà immutabile.
E’ strano che più questa infelicità diviene totale e meno se ne ha coscienza? No non è strano perché i meccanismo di produzione attuali fanno vivere questa infelicità in solitudine.La coesione, l’unione in certe manifestazioni, in certi scioperi, in certe forme di lotta sono solo epidermiche giacché si è persa la cognizionevera e profonda del valore reale della propria infelicità: non ci si riconosce più nell’appartenenza alla classe che nella sua INTEREZZA è merce umana che produce merce, e solo in quello sta il suo valore, sempre più scadente fra l’altro, ma ci si riconosce in questa o quella porzione sociale e per questa o quella porzione o parte si rivendicano "diritti", rivendicando così il diritto di restare merce umana che produce merce nel mercato totale delle merci e del denaro… mentre si maledicono i banchieri e si ripete noi la crisi non la paghiamo, come? continuando a chiedere di lavorare? un lavoro pubblico magari in una società più giusta? più compatibile? più ecologicamente corretta?
Si è talmente alienati, talmente infelici che invece di lottare per abbattere il sistema del capitale, si lotta per la sua prosecuzione, invece di dire diamogli la mazzata finale, rifiutando il lavoro salariato,
si…lotta perché si continui ad essere merce umana in questa o quella forma.
E così accade che non solo si muore per il lavoro, ma talmente il lavoro è diventato la ragione di… vita che si arriva al suicidio quando si resta senza lavoro.
NON SONO PIÙ MERCE UMANA NON VALGO PIÙ NULLA.
Perché non si lotta più su queste basi chiarissime:
"L’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori dal lavoro, e fuori
di sé nel lavoro. Il suo lavoro non è volontario, bensì forzato, è lavoro
costrittivo. Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è
soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso. La sua
estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione
fisica o d’altro genere, il lavoro è fuggito come una peste. Il lavoro
estemo, il lavoro in cui l’uomo si espropria, è un lavoro-sacrificio, un
lavoro-mortificazione. Infine l’esteriorità del lavoro al lavoratore si
palesa in questo:il lavoro non è cosa sua ma di un altro; che non gli
appartiene, e in esso egli non appartiene a sé, bensì a un altro.[...] Il
risultato è che l’uomo(il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle
sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere, nel generare, tutt’al più
nell’avere una casa, nella sua cura corporale etc., e che nelle sue funzioni
umane si sente solo più una bestia. Il bestiale diventa l’umano e l’umano il
bestiale. Il mangiare, il bere, il generare etc., sono in effetti anche
schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell’astrazione che le separa dal
restante cerchio dell’umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici"
Marx manoscritti economici filosofici 1844.
Per il restante cerchio, per il restante cerchio della libera attività umana bisogna lottare per non essere bestiali senza nemmeno la grazia innocente della bestia!
Non è da oggi che gli operai si suicidano in Francia incominciarono nel 2007 con sei suicidi in pochi mesi alla Renault.
Del resto anche in Italia abbiamo visto i lavoratori dell’Alcatel Lucent di Battipaglia che minacciavano di darsi fuoco.Un giovane di 32 anni della Chloride di Bologna si è impiccato perché in mobilità il 24 luglio del 2009.Si è detto e non detto di presunti suicidi in Alitalia.
Solo questo?
Ultimamente i casi di "cronaca nera" in cui precari, disoccupati uomini e donne, arrivano al punto di sterminare la famiglia e alla fine, riuscendoci o meno, a tentare il suicidio si moltiplicano.
Ah questa infelicità, questa infelicità della solitudine alienata che sale come una marea nera di petrolio e tutti ci contamina a tutti toglie la ragione e le ragioni della lotta definitiva totale!
E voi compagni colonnelli di ferro  col vostro ottimismo a tutti i costi! quanto quanto siete lontani da questa infelicità, ne siete lontani eppure alla faccia del vostro ottimismo ci state dentro fino al collo, ci
state dentro fino al punto di non vederla!
cantate VICTRORY, cantate, e mentre cantate VICTORY fatevi il conto dei morti.
E FATE UN PRIDE FUNERALE PER UNA VOLTA!!!
Non vissero, non viviamo, non vivremo? solo per il pane solo per il sogno delle cose non per il sogno di una rosa, di una rosa bella.
Non vissero, non viviamo , non vivremo? solo per l’accumulo delle merci, perché poi siano arse e la merce umana arsa come le altre merci, senza il sogno di una rosa, di una rosa bella.
Oh la rosa bella arsa insieme alla solitudine della merce umana per il camino della storia che non si ha il coraggio di travolgere! si travolgere la storia!
E’ ORA!
Ci sono dei limiti che il padrone e i traditori dicono  NON OLTREPASSARE!
NO! IL LIMITE DA NON OLTREPASSARE E’ QUELLO DELLA INFELICITA’ SENZA RITORNO!
"Ogni goccia di rugiada nella quale si rifletta il sole brilla in un gioco infinito di colori, ma il sole spirituale dovrebbe generare un solo colore, e cioè il colore ufficiale, senza tenere conto dei tanti individui, dei tanti oggetti nei quali l’uomo si riflette. La forma essenziale dello spirito è allegria, luce, e la legge fa dell’ombra l’unica espressione che le corrisponde: dovrebbe andar vestita solo di nero, eppure tra i fiori non ce n’è alcuno che sia nero." (da Osservazioni di un cittadino renano sulle recenti istruzioni per la censura in Prussia 1842)

I QUATTRO PILASTRI DELL'IMPERIALISMO NATO





ricevo dal Comidad e inoltro




Con espressione del tutto incongrua, ci si riferisce spesso alle "bugie" del potere, come se si trattasse di birichinate di bambini. In realtà, si tratta non di semplici bugie, ma di frodi. L'aggressione NATO contro la Siria viene spacciata per emergenza umanitaria e, dato che ormai l'emittente del Qatar, Al Jazeera, ha perso ogni credibilità, tocca adesso ad Amnesty International farsi carico di alimentare la propaganda interventista. Viene il sospetto che si sia permesso che venisse prodotto un film come "Diaz", solo perché nella locandina del film Amnesty International potesse ancora accreditarsi come ultimo baluardo dei diritti democratici. [1]    
Con l'incidente dell'abbattimento del proprio caccia, anche il governo turco ha aggiunto un ulteriore mattone all'edificio fraudolento montato attorno all'aggressione NATO contro la Siria. Ci si potrebbe chiedere quale legittimo interesse nazionale possa accampare Erdogan nel cercare di destabilizzare un Paese vicino con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi, persino nel periodo della guerra fredda, quando i due Stati confinanti stavano in schieramenti opposti.
La massoneria militare che ha dominato la Turchia per ottanta anni - nonostante la sua sudditanza all'imperialismo britannico prima, ed all'imperialismo statunitense poi -, non aveva mai manifestato gli atteggiamenti avventuristici che oggi invece esibisce Erdogan. Meno di due anni fa, Erdogan rappresentava ancora una speranza per settori dell'antimperialismo, mentre ora è diventato un fantoccio della NATO.  Si tratta di un'ulteriore smentita del mito dell'antiamericanismo islamico, dato che l'islamismo "moderato" di Erdogan dimostra la stessa sudditanza agli USA dell'islamismo "radicale", rappresentato da quella accozzaglia di milizie etichettata come "Al Qaeda".
Il punto è che l'islamismo politico, in qualsiasi versione, risulta troppo dipendente nelle sue fortune, sia elettorali che militari, dal denaro delle monarchie petrolifere del Golfo. L'islamismo politico è un prodotto del denaro, e quindi segue il denaro. Ciò deve costituire un invito alla prudenza anche per coloro che si fanno illusioni per la vittoria elettorale dei Fratelli Mussulmani in Egitto.
Nulla di strano quindi che Erdogan abbia trasformato il suo Paese in una base per le aggressioni delle milizie islamiche contro la Siria, poiché il denominatore comune sia di Erdogan, che dei cosiddetti al-qaedisti, è il denaro del Qatar, la monarchia che oggi fa da punta di diamante delle aggressioni della NATO nel Mediterraneo ed in Medio Oriente.
Dal 2009 la collaborazione tra il Qatar ed il Pentagono è diventata strettissima. In un libro del 1970, "Pentagon Capitalism", Seymour Melman illustrava come il Pentagono dagli anni '60 sia diventato un vero e proprio ministero delle Partecipazioni Statali, che finanzia, indirizza ed organizza la produzione bellica di varie multinazionali. Questo capitalismo di Stato è ovviamente finalizzato anche all'esportazione di armi. Il Pentagono è infatti il maggiore esportatore di armi del mondo, ed il Qatar, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ne sono i maggiori acquirenti. [2]
Seguendo il denaro ci si spiega Erdogan, ma anche la strategia NATO di cui egli fa parte. La Siria non può essere sconfitta sul piano militare, poiché ha comunque risorse tali da infliggere all'aggressore dei danni irreparabili. In un'area desertica è sufficiente un'artigliera a proiettili chimici per rendere insopportabilmente dispendiosa qualsiasi avanzata di eventuali aggressori. La guerra permanente, la "guerra infinita" degli USA e della NATO contro gli innumerevoli "nuovi Hitler" di turno, rappresenta un nonsenso dal punto di vista militare; poiché una guerra infinita richiederebbe uno sforzo bellico infinito, che neppure le gigantesche spese militari statunitensi potrebbero assicurare.  
Infatti la NATO, ancora una volta, punta solo in parte sulla carta militare per vincere, mentre è la frode a diventare la carta vincente. Occorre prima aggredire, per poi spingere l'aggredito a intavolare trattative, che per la NATO non sono altro che l'occasione fraudolenta per stabilire gli agganci utili per corrompere qualcuno della controparte. Si tratta di prendere Damasco così come sono state prese Belgrado, Baghdad e Tripoli: comprandosi i funzionari governativi e i generali. Si spende tanto denaro per produrre e comprare armi, per poi scoprire che l'arma principale è il denaro stesso. Nell'attuale situazione del Medio Oriente, i soldi del Qatar costituiscono la vera arma letale.
Le trattative servono anche a corrompere gli alleati della Siria, come la Russia. Il problema non è quello di corrompere Putin - che più corrotto di com'è non potrebbe essere -, ma di riuscire ad agganciare i generali e gli ammiragli che sinora lo hanno costretto a non mollare del tutto la Siria. 
 
L'Islam ha cinque pilastri, invece l'imperialismo NATO ne ha quattro: l'aggressione, la frode, la corruzione e, non meno importante, la mistificazione. Infatti la cosiddetta "lotta alla corruzione" rappresenta un elemento essenziale della mitologia imperiale del sedicente Occidente.
La corruzione viene rappresentata come il male che frena l'economia e falsa le sane regole del mitico "libero mercato". Dalle colonne de "l'Espresso" il noto econo-comico Luigi Zingales ci ammonisce che la crisi è colpa dei corrotti, che non si cresce perché si ruba, e che non se ne esce senza una rivoluzione morale; e, come al solito, indica come faro e come via di salvezza il modello statunitense. [3]
Le spericolate intuizioni di Zingales però non fanno altro che ricalcare le veline giornalistiche fornite dal Consiglio Atlantico della NATO. In una di queste si prende a pretesto il caso Ucraina solo per poter assegnare il primato morale della lotta mondiale alla corruzione agli Stati Uniti, considerati superiori persino alla già "moralissima" Gran Bretagna. [4] 
Gli Stati Uniti sembrano prendere molto sul serio questo ruolo di guida morale del pianeta. Il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, fa la morale anche alla Nigeria, colpevole di essere troppo corrotta e di mortificare la "meritocrazia".[5]
Quanto a meritocrazia, neppure il clan dei Clinton scherza, a giudicare dalla irresistibile carriera nei media della figlia di Hillary e Bill, la diletta Chelsea.  Chelsea è anche moglie di un ex alto dirigente di Goldman Sachs, Marc Mezvinsky, un pregiudicato per frode bancaria, che ora gestisce la 3G Capital, una società di investimenti messa su per aggirare la legislazione di controllo sulle banche. Del resto sarebbe ormai una scoperta dell'acqua calda constatare che negli USA il potere si riproduce per via familiare, e che i matrimoni dinastici servono a rafforzarlo. [6]
Un espediente polemico tipico della destra consiste nell'accusare gli oppositori del sistema di non essere affatto moralmente "puri". In questo periodo è Beppe Grillo a fare le spese di questo tipo di propaganda della destra. [7]
In realtà, sia Grillo che i suoi detrattori del "Giornale" berlusconiano, poi mostrano di condividere il mito della moralità pubblica statunitense, che pur non essendo del tutto immune dalla corruzione, almeno sarebbe inflessibile nel perseguirla. Non c'è imperialismo senza razzismo, ed il mito della superiorità morale del mondo anglosassone è alla base del sedicente Occidente. 
In realtà la "moralità pubblica" statunitense è basata su una sfacciata legalizzazione della corruzione e del nepotismo, istituzionalizzati nella forma del lobbying.  Secondo un reportage della ABC, un qualsiasi deputato americano può permettersi il lusso di non intascare mazzette, poiché gli basta far assumere i propri familiari dalle aziende con la qualifica di lobbisti, in tal modo questi familiari possono percepire, del tutto legalmente, stipendi e premi. Il "ci ho famiglia" funziona benissimo, anzi meglio, anche oltre oceano. Visto che in Italia si intende adottare il modello statunitense, è probabile che il governo Monti, dopo il Ddl anti-corruzione, proceda anche ad una legalizzazione del lobbying. [8] 


28 giugno 2012

domenica 24 giugno 2012

La caduta degli idoli



Ubu Roi Enrico Baj
Non sappiamo se verrà mai un tempo in cui dei miti si sarà capaci di fare a meno.
Per quanto si scavi nel passato, parrebbe di scoprire che abbiano accompagnato sempre le primitive aggregazioni umane, le comunità, le nazioni e ora la società mondiale, in cui tutti siamo compressi e ammassati. Pare che sia sempre stato necessario disporre di una cornice di riferimento in cui inscrivere le pretese più o meno bizzarre di conferire un senso alla presenza umana sulla Terra.
Perché a questo sono sempre serviti i miti, a distrarre e a consolare e a sublimare esistenze confrontate con la profonda futilità dell’esserci e con la totale irrealtà dell’essere: ma questa pretesa di imporre un senso collettivo cui sottomettere le singole esistenze individuali, se forse risponde a una passione del singolo, che infantilmente cerca fuori di sé la cagione della propria presenza, risponde tuttavia sicuramente a una necessità di quella parte di società che desidera detenere il senso dell’esistenza collettiva, al fine di manipolarlo a proprio vantaggio.
Infatti, individui consapevoli della sostanziale impermanenza di tutto ciò che esiste, dell’inesistenza di qualsivoglia disegno indipendente da loro, che verrebbe da lontano e proseguirebbe dopo la loro morte, risulterebbero difficilmente disposti a sacrificare questo breve periodo di esistenza.
Uno dei sintomi più eloquenti dell'assunzione del potere da parte della borghesia, lo si può scorgere nella progressiva migrazione del mito dall'ambito religioso all'ambito economico.
L'affermarsi delle due moderne religioni del libro, il cristianesimo e l'Islam, aveva già provveduto a introdurre nelle società europee e mediterranee il concetto di popolo di Dio, e del suo procedere nel tempo dalla creazione verso il Paradiso. La vita del singolo percepita come percorso di esperienza, di purificazione, di messa alla prova, si trovava così inscritta in un percorso collettivo. La storia in questo modo cessa di essere la cronaca degli eventi, quale la si era ereditata dai pagani, per convertirsi in un grande disegno intelligente, il vero ambito dell'adesione del singolo al progetto divino.
Quando nel Settecento la borghesia rampante principia a configurare una propria filosofia della storia e una propria visione di progresso, affrancate dalla religione, agisce in ogni caso su una società già profondamente segnata dall'idea che esisterebbe un senso nelle umane vicende indipendente dalle decisioni e dal giudizio del singolo.
La storia come religione, il mito della storia come disegno dotato di una propria autonomia e di proprie leggi, è precisamente il ponte che fa transitare la vecchia mitologia della creazione, della valle di lacrime, del paradiso da meritare nella mitologia moderna del progresso illimitato e permanente.
Poiché la brevità stessa della vita mina la pretesa di costruire aggregazioni durevoli che da questa brevità possano prescindere, è precisamente il tempo l’ambito in cui l’alienazione deve radicarsi. Perché il mito è semplicemente questo: una fonte di alienazione.
Per conseguenza, i suoi territori di elezione sono tre: il passato, il futuro e non già il presente, che è esattamente ciò che di diabolico deve essere estromesso dall’esperienza, ma il processo che dal passato procede verso il futuro: é accaduto qualcosa, accadrà qualcosa, sta accadendo qualcosa: in ogni caso una forza esterna ci trasporta. Per la libertà non rimane posto.
Beninteso, molte religioni e moltissime filosofia della storia (due a caso: il cristianesimo e l’idealismo) parlano della libertà, come fondamento dell’azione umana. Peccato che, come in tutti monologhi del potere, la falsificazione risieda non tanto nella risposta ma nella domanda. In questi casi infatti, viene attribuita al singolo una fantomatica “libertà” semplicemente per poterlo incolpare di ciò che accade, e particolarmente di ciò che GLI accade. Poiché gli è concesso di scegliere senza costrizione alcuna fra i veleni che gli vengono offerti, allora quando muore, la colpa è stata sua. Mentre il bene appartiene a Dio, oppure alla storia, questo dio impersonale tirato fuori dal cappello degli illusionisti borghesi; il male va tutto sul conto del singolo, chiamato a pagare il debito collettivo, personalmente, con l’unica vita che ha e della quale non è autorizzato a disporre mai.
In realtà, non è difficile osservare che il modulo di riferimento tanto dei miti in veste religiosa, tanto di quelli recenti di tema socioeconomico, è sempre il medesimo: in passato c’è stata la caduta (Adamo ed Eva che mangiano la mela, l’introduzione della divisione del lavoro, l’accumulo dissennato del debito pubblico), in futuro ci sarà la redenzione (il paradiso, il comunismo, la realizzazione del benessere per tutti…). In mezzo c’è il sacrificio, simbolico o comunque contemplato nella sua forma più cruenta (la crocifissione, i nostri morti, il default dei popoli sfortunati), reale nella sua forma grigia e quotidiana di militanza nel lavoro, nel consumo, nell’obbedienza, nella rinuncia. Il tutto scandito dalla parola dei grandi profeti morti e dei piccoli sacerdoti vivi
In questo modo, le panzane più inverosimili, che non resisterebbero all’osservazione di un bambino che avesse da poco imparato a leggere, vengono viceversa ammannite e scambiate senza vergogna, in quantità talmente smisurate che anche i più avvertiti faticano a sottrarsi totalmente al delirio. Tralasciamo pure di commentare le vecchie assurdità delle religioni, le transustanziazioni, le assunzioni in cielo, le immacolate concezioni: hanno già provveduto i nuovi mentitori a farsene beffe. Ma per meglio qualificare la nuova ondata di sproloqui, la storia, la lotta di classe, la dialettica materialista, l’abolizione dello Stato attraverso la dittatura del proletariato. Oppure, visto che anche le ideologie presentano la stessa deperibilità accelerata che caratterizza sempre di più tutte le merci, l’attuale mito adatto per quest’epoca di accresciuto disincanto: lo sviluppo permanente, la democrazia, il benessere da conseguire attraverso i sacrifici connessi con il saldo di un debito che nessuno ricordava di avere mai contratto.
La modernità è essa stessa un mito, per molti aspetti uguale e contrario a quelli dell’antichità. Se un tempo si era fissata l’età dell’oro nel passato (siamo nani sulle spalle di giganti: il presente come inarrestabile decadenza dalla grandezza dei predecessori) e in seguito, sulla spinta della cultura ebraica, nel futuro (l’anno venturo a Gerusalemme, i vari paradisi, non escluso quello socialista), oggi lo sgretolarsi miserando dello sviluppo e delle sue illusioni triviali, indica chiaramente di volerci condannare al presente.
Ma ad un presente “senza sogno e senza realtà”, in cui l’alienazione da giustificatoria come nella classicità oppure consolatoria come nella modernità, diviene una mescolanza di tedio e di angoscia dal momento che l’intera giornata è divenuta tempo di produzione (o, per meglio precisare: di consumo produttivo), essa ha finito per essere risucchiata dal karma disgraziato del capitalismo, quello che Marx aveva definito “la caduta tendenziale del saggio di profitto”. Tradotto in altre parole: la necessità di investimenti ogni giorno più imponenti per realizzare gli stessi profitti del giorno prima.
Anche nell’esistere quotidiano l’esperienza è la medesima: lo sforzo non basta mai e l’esito è sempre più evanescente. Come su un tapis-roulant, si deve correre a perdifiato per non esser portati via dal vento mefitico delle immagini. Che dobbiamo scambiarci ad un ritmo sempre più parossistico, senza respiro alcuno.
Mentre vi è una sovrapproduzione di merci rispetto non tanto alla necessità quanto piuttosto alle capacità di acquisto, la fame di illusioni rimane insaziata, perché ciascun nuovo feticcio si presenta ad un pubblico ormai inguaribilmente deluso, che dietro i lustrini già occhieggia la data di scadenza. Pur radicalmente disillusi, si pasteggia ad illusioni tuttavia, ma senza riuscire più a pervenire ad un soddisfacimento ragionevole.

il fantasma della libertà - Luis Bunuel 1974
Ma avere smascherato, in ritardo ma con sempre maggiore tempestività, i falsificatori di caratura mondiale, non basta a ristabilire la verità. Che potrà essere conseguita solo attraverso un radicale processo di decrescita esteso anche al consumo e alla produzione di ideologie, come già si è compreso, in molti, di dover fare per le merci materiali.
Infatti, il meccanismo di produzione, circolazione e consumo di miti è talmente radicato nella nostra esperienza quotidiana da indurci ad avvalercene per conferire tratti carismatici e arcani alla nostra azione, per renderla capace di competere sul mercato delle apparenze e per valorizzare le nostre vite reali, dando loro i tratti mistici della militanza e, una volta ancora, del sacrificio. E così anche coloro che si dichiarano, e si dipingono ai propri stessi occhi, come immuni dalle illusioni collettive, che fonderebbero la propria azione unicamente su sé stessi, non rinunciano spesso a costruire nuove gabbie del pensiero e dell’azione, e nuovi feticci verso cui porsi ginocchioni, come a qualcosa che sfuggirebbe al giudizio del singolo.
E si tratterà di volta in volta di idealizzazioni della natura e della storia, del manipolo dei vari anti- (antifascismo, antisessismo, antispecismo, antirazzismo, ma di sicuro se ne aggiungeranno di nuovi), di ipostatizzazioni di condotte (si pensi all’ossequio per il concetto di “azione diretta”, reso elastico fino a comprendere un gran numero di azioni che non hanno nulla di diretto), fino alla magica stessa idea di “rivoluzione”.
Per quanto ci sia sforzati, si è ancora lontani dall’avere definitivamente accettato che esistono unicamente i singoli e le loro brevi e transitorie presenze, nell’ambito delle quali ciascuno può, se crede, cercare di agire secondo le proprie passioni nel modo che ritiene il migliore, per il solo piacere di evadere per qualche momento dal nulla, cui in ogni caso faranno tutti ritorno. Per il piacere di tracciare, alla maniera di uno sberleffo, un confine visibile fra la vita e la non-vita 

Paolo Ranieri per “La melma dei giorni n. 6 - giugno 2012”