giovedì 30 ottobre 2025

ULTIMA RATIO - Sulla fine probabile, per il rovesciamento di prospettiva ancora possibile




O l’umanità troverà un modo di vivere su una terra sovrappopolata e un modo di governarla in comune, oppure perirà”.

Hannah Arendt Le origini del totalitarismo,

mia traduzione da “Testi complementari in guisa di conclusione”, Gallimard, 2002.


In tutta sincerità, sono pessimista. Mi sembra impensabile che l’umanità esca dalla trappola sociale che ha costruito nei millenni e nei secoli, giorno dopo giorno, senza confrontarsi alla catastrofe che ne deriva. Ma quale? Ma come? È questa, molto probabilmente la questione più pertinente e sempre più urgente che si presenta all’umanità.

Le manovre militari e i commenti sempre più invadenti sulla guerra che c’è già e quella che si preannuncia in arrivo, mostrano che il sistema sociale dominante è di fronte a un’ennesima impasse e si prepara a superarla come al solito: se vuoi la pace della servitù volontaria prepara la guerra tra gli schiavi prima che si rivoltino.

Con la violenza e il sopruso si azzerano di solito i conflitti facendoli pagare ai più deboli restaurandone l’addomesticamento. Stavolta però non c’è più alcuna certezza che il solito sarà sufficiente. Stavolta è la sopravvivenza stessa della specie umana che entra in gioco per una soluzione che non potrebbe presentarsi più finale di così perché inclusiva dell’armamento nucleare.

Fin dagli albori del produttivismo, la sottomissione dei popoli è una condizione ottimale per i dominanti, ma presenta un limite: non è più proponibile e ancor meno sostenibile quando l’umiliazione e la sofferenza sopportate entrano in conflitto con la sopravvivenza stessa dei sottomessi fino a minacciare lo stesso privilegio dei dominanti. Il dominio in crisi deve allora accentuare la tragedia delle sue mandrie di pecore consumatrici, minacciandole di ulteriore sofferenza e di una morte ancor più prematura e dolorosa che il suo nichilismo prepara.

La situazione attuale è inedita e le giovani generazioni stanno prendendo coscienza di essere al cuore di questa tragedia: la storia della civiltà produttivista e dell’umanità che ne ha approfittato, imponendola a una parte di se stessa con sentimento cannibale, è arrivata a un punto critico. Redde rationem: in un mondo finito la crescita non può essere infinita, dunque neppure il potere che sacralizza il mito del sempre di più è in grado di durare ancora a lungo senza far emergere spontaneamente Gilets jaunes o genZ. Dalla Francia alla Serbia, passando per il Madagascar e il Nepal. Ed è solo l’inizio!

Il fascismo è un suprematismo assoluto. Una volta fucilato l’ultimo antifascista, non rimarrà più granché del fascismo da imporre, se non l’eliminazione, uno dopo l’altro, dei camerati fascisti sopravvissuti in un pogrom senza fine. Si arriva allora allo spettacolo dell’unico e la sua proprietà: derisoria ricchezza di una miseria assoluta. Quando il vampiro ha totalmente dissanguato il cadavere, è destinato a morire di sete insieme alla sua vittima, come lo scorpione annega insieme alla ranocchia che ha ucciso in Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin) di Orson Welles.

L’umanità è abituata alla sindrome di Stoccolma che ha finito per inquinare tutte le rivoluzioni emancipatrici, rendendo impossibili le evasioni dai campi di concentramento, riciclati con macabra gioia redditizia in supermercati di merci velenose, alienanti, mortifere.

Credere che sapremo rivoltarci al nostro destino ormai programmato di obsolescenza dell’umano è un diritto inalienabile per gli alienati che siamo. Di fronte all’assurdo orripilante, l’umano non può che rivoltarsi.

Nella mia vecchiaia, solidale più che mai con i giovani in rivolta, propendo in tutta modestia e senza proclami rivoluzionari che nuocciono alla rivoluzione ad amare chi ci ama e lasciar perdere gli altri, condividendo collettivamente la resistenza contro ogni fascismo di Stato e di mercato. Prediligo l’idea pratica di coltivare il mio giardino affettivo senza odio ma con selettiva rabbia umanista, dedicandomi nello stesso tempo alla coltura di un prezioso pezzetto di terra senza pesticidi né altri veleni se non quelli che vagano nell’aria e da cui non possiamo difenderci. Senza amore, senza terra e senz’acqua non c’è salvezza possibile. L’aiuto reciproco in amore come in agricoltura è oggettivamente rivoluzionario. È l’antidoto indispensabile contro l’odio patologico per gli altri e contro l’avvelenamento dei cuori, dei corpi e della terra perpetuato dall’ossessione della redditività che impregna multinazionali, Stati, oligarchi e mafiosi, fino all’ultimo opportunista suprematista, cinico e baro.

Alla fine sarà la natura a decidere se una più o meno piccola porzione di umanità sopravvivrà alla catastrofe ineluttabile. Viviamo fino in fondo la nostra umanità residua. La vita è capace di rinascere anche da un solo seme dopo che la foresta è bruciata. La vita può risorgere contro la morte anche quando la fine sembra imminente e probabile.

Difficile stabilire quando e come questa crisi radicale s’imporra definitivamente dappertutto, ma è ormai certo che l’umanità finirà per confrontarsi con il crollo della civiltà produttivista i cui primi segni sono chiaramente visibili. Evitare questo fenomeno ormai innescato pare impossibile e persino ritardarlo è difficile, tanto più che la coscienza di specie degli umani è in ritardo, intimamente inquinata e falsificata dalla propaganda onnipresente del dominio reale del capitale[1].

Presto la menzogna di Stato in perdizione non potrà più coprire la rottura di ogni equilibrio con la natura del vivente. Si tratta dunque di prevedere le mosse possibili una volta manifestatasi concretamente la catastrofe.

Vasto programma, radicalmente necessario cui nessuno potrà sfuggire!

Sergio Ghirardi Sauvageon, fine ottobre 2025





[1] Vedi in proposito: SGS, La Falsificazione del mondo, Ortica editrice, Roma, 2024; SGS, Terra incognita – Notes pour l’exploration psichogéographique d’un nouveau monde, Amanuensis éditions, Paris 2025.

 


 

ULTIMA RATIO

Sur la fin probable,

pour le renversement de perspective encore possible

Soit l’humanité trouvera une façon de vivre sur une terre surpeuplée ainsi qu’une façon de la gouverner en commun, soit elle périra”.

Hannah Arendt, Les origines du totalitarisme,

“Textes complémentaires en guise de conclusion”, Gallimard, 2002.

En toute honnêteté, je suis pessimiste. Il me paraît impensable que l'humanité s’émancipe du piège social qu'elle a construit au fil des millénaires et des siècles, jour après jour, sans affronter la catastrophe qui en découle. Mais laquelle ? Mais comment ? Voilà, sans doute, la question la plus pertinente et la plus urgente à laquelle l'humanité est confrontée.

Les manœuvres militaires et les commentaires de plus en plus intrusifs sur la guerre déjà existante et sur celle qui se profile montrent que le système social dominant est confronté à une nouvelle impasse et se prépare à la surmonter comme d'habitude : si vous voulez la paix de la servitude volontaire, préparez la guerre entre les esclaves avant qu'ils ne se révoltent.

La violence et les abus éliminent habituellement les conflits en les faisant payer aux plus faibles en rétablissant la domestication. Cette fois, cependant, il n'est plus certain que l'habituel suffira. Cette fois, la survie même de l'espèce humaine est en jeu pour une solution on ne peut plus finale, car incluant l’armement nucléaire.

Depuis l'aube du productivisme, l'assujettissement des peuples a été une condition optimale pour les dominants, mais il a une limite : il n'est plus viable, et encore moins soutenable lorsque l'humiliation et les souffrances endurées entrent en conflit avec la survie même des assujettis, au point de menacer jusqu'au privilège des dominants. La domination en crise doit alors accentuer la tragédie de ses troupeaux de moutons consuméristes, les menaçant de nouvelles souffrances et d'une mort encore plus prématurée et douloureuse que son nihilisme prépare.

La situation actuelle est inédite et les jeunes générations sont en train de prendre conscience d’être au cœur de cette tragédie : l'histoire de la civilisation productiviste et de l'humanité qui en a profité, l'imposant à une partie d'elle-même avec un sentiment cannibale, a atteint un point critique. Redde rationem : dans un monde fini, la croissance ne peut être infinie, donc même le pouvoir qui sanctifie le mythe du toujours plus ne peut perdurer bien longtemps sans faire spontanément jaillir Gilets jaunes ou génération Z. De la France à la Serbie, en passant par Madagascar e le Népal. Et ce n’est qu’un début !

Le fascisme est un suprématisme absolu. Une fois le dernier antifasciste fusillé, il ne restera plus grand-chose du fascisme à imposer, sinon lélimination, un à un, des autres « camerati » fascistes dans un pogrom sans fin. On touche alors au spectacle de l'unique et sa propriété : richesse dérisoire d’une misère absolue. Lorsque le vampire a entièrement vidé le cadavre de son sang, il est voué à mourir de soif avec sa victime, comme le scorpion se noie avec la grenouille qu’il vient de tuer dans Dossier secret (Mr. Arkadine) d'Orson Welles.

L'humanité est habituée au syndrome de Stockholm qui a fini par polluer toutes les révolutions émancipatrices, rendant impossibles les évasions des camps de la mort, recyclés avec une joie macabre et rentable en supermarchés de produits toxiques, aliénants, mortifères.

Croire que nous pourrons nous rebeller contre notre destin désormais programmé d'obsolescence de l’humain est un droit inaliénable pour les aliénés que nous sommes. Face à l’absurde et au lugubre, l’humain ne peut que se rebeller.

Dans ma vieillesse, plus que jamais solidaire avec les jeunes en révolte, je penche – en toute modestie et sans proclamations révolutionnaires qui nuisent à la révolution – pour aimer ceux qui nous aiment et laisser aller les autres, en partageant collectivement la résistance contre toute forme de fascisme d’État et de marché. J’entretiens l’idée pratique de cultiver mon propre jardin émotionnel sans haine, mais avec une sélective rage humanitaire, en me dédiant aussi à la culture d’un précieux lopin de terre sans pesticides ni autres poisons, à l'exception de ceux qui flottent dans l'air et dont nous ne pouvons nous défendre. Sans amour, sans terre et sans eau, point de salut. L’entraide en amour comme en agriculture est objectivement révolutionnaire. Il est l’antidote nécessaire contre la haine pathologique envers les autres et contre l’empoisonnement des cœurs, des corps et de la terre perpétué par l’obsession du profit qui imprègne les multinationales, les États, les oligarques et les mafieux, jusqu’au dernier opportuniste suprématiste, cynique et tricheur.

Finalement, la nature décidera si une plus ou moins petite partie de l'humanité survivra à l'inévitable catastrophe. Vivons pleinement notre humanité résiduelle. La vie est capable de renaître même d'une simple graine après l'incendie de la forêt. La vie peut se dresser contre la mort, même lorsque la fin semble imminente et probable.

Il est difficile de déterminer quand et comment cette crise radicale s’imposera définitivement partout, mais il est désormais certain que l'humanité finira par se confronter à l'effondrement de la civilisation productiviste, dont les premiers signes sont clairement visibles. Éviter ce phénomène, déjà amorcé, paraît impossible, et même le retarder est difficile, d'autant plus que la conscience d'espèce des humains est à la traîne, intimement polluée et falsifiée par la propagande omniprésente de la domination réelle du capital[1].

Le mensonge d'État en perdition ne pourra bientôt plus masquer la rupture de tout équilibre avec la nature du vivant. Il s'agit donc de prévoir les actions possibles, une fois la catastrophe concrètement entamée.

Vaste programme, radicalement nécessaire, auquel personne n’échappera !

Sergio Ghirardi Sauvageon, fin octobre 2025

 



[1] Voir à ce propos : SGS, La falsification du monde, Amanuensis éditions, Paris, 2025 ; SGS, Terra incognita – Notes pour l’exploration psichogéographique d’un nouveau monde, Amanuensis éditions, Paris, 2025.

mercoledì 17 settembre 2025

Giusti Zuccato




Giusti Zuccato è partito dopo una lunga lotta coraggiosa.

Un saluto e un grande abbraccio a Giusti con cui ho condiviso amicizia, coscienza e rabbia transalpina da tempi lontani fino al presente.

Sergio Ghirardi

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En te saluant, cher Giusti, je veux rendre hommage à un homme qui n’a cessé de se battre à la fois pour une vie libre et pour une émancipation sociale qui fasse du bonheur d'un seul le bonheur de tous et de toutes.

Il est rassurant de savoir que parmi les enfants qui naissent en ce moment précis beaucoup te porteront le même hommage et te remercieront comme le font tes amis d’aujourd’hui.

 

 

Raoul Vaneigem

 

(Nel salutarti, caro Giusti, desidero rendere omaggio a un uomo che non ha mai smesso di lottare sia per una vita libera che per un'emancipazione sociale che trasformasse la felicità di uno solo nella felicità di tutti.

È rassicurante sapere che tra i bambini che nascono in questo preciso momento molti ti renderanno lo stesso omaggio e ti ringrazieranno come fanno oggi i tuoi amici. Raul Vaneigem)


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Un addio anche da me, ci siamo incontrati a Sauve ormai sono anni, ma ricordavo con piacere quei giorni che abbiamo trascorso tra la tua bella libreria e le trattorie del villaggio tutti sempre appassionati dal desiderio in comune di un mondo che sia finalmente il luogo dove fondare una vita felice per tutti.

Gilda Caronti

Rencontre avec Giusti Zuccato, Libraire et éditeur à Sauve  

https://fb.watch/CarQ4US4V3/





venerdì 12 settembre 2025

Il rock nel suo contesto

 



Oggi, a più di quarant'anni dalla creazione della Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland e di MTV, è luogo comune affermare che il rock è morto. I loro resti sono al massimo oggetto di archeologi musicali, pezzi da museo o materiali di fusione con altri stili più adatti al consumo giovanile. Il rock non rappresenta affatto la musica delle generazioni attuali; non è un elemento significativo della loro vita quotidiana, né un'arma della loro ribellione. Infatti, il pop contemporaneo non è fatto dai giovani; è fatto per i giovani. Chi sceglie la musica che i giovani vogliono ascoltare, non sono loro, ma i manager dell'industria musicale. In breve, se ci atteniamo esclusivamente ai paesi del capitalismo tecnologico di massa, non esiste più una cultura o una sottocultura specificamente giovanile staccata dalla cultura dominante, come negli anni Sessanta, né un vero e proprio divario generazionale rappresentato dalla musica pop, che si chiama techno, hip hop, house, dance, K-pop, trap o reggaeton. Oggi la giovinezza è un fenomeno universale, oggetto di un mercato enorme: la cosiddetta cultura giovanile è quella dominante. La caratterizzazione delle generazioni è sempre più imprecisa. Con la moltiplicazione della loro capacità di consumo, la durata della giovinezza si è allungata e il confine con l'età adulta si è spostato ben oltre i ventiquattro anni stabiliti dalle Nazioni Unite. Dopotutto, il sistema dominante è stato riconfigurato ideologicamente, incorporando le abitudini, i valori e gli atteggiamenti dei giovani degli anni Sessanta nel suo capitale culturale. Grazie a Internet e ai social media, l'adolescenza è stata resa eterna nel mercato e l'età adulta gravemente svalutata. Se l'esperienza non era più di moda, l'età non era più un argomento di vendita. Nello stesso processo di alienazione, le differenze basate sull'età sono state cancellate. Il divario generazionale si è colmato, non grazie alla comunicazione e alla definizione di obiettivi comuni, ma perché gli adulti vogliono rimanere giovani a tutti i costi e ai giovani non importa di loro e del passato.

Il testo "Rock for Beginners" analizza il rock nei suoi esordi e nel suo apogeo, collegandolo alle circostanze storiche – sociali e culturali – che ne hanno determinato lo sviluppo, l'espansione e l'universalizzazione. Il rock appartiene al suo tempo, un tempo in cui il piacere era sovversivo e il sesso tabù, e perde il suo vero significato al di fuori di esso. Gli anni del dopoguerra furono anni di prosperità che permisero l'emergere nelle città di uno spazio giovanile autonomo, in una certa misura lontano dalle pressioni economiche. Paradossalmente, e nel caso specifico degli Stati Uniti, dove tutto è cominciato, fu un periodo in cui insoddisfazione, noia e decadenza politica penetrarono profondamente i giovani di ogni classe sociale, una situazione che li portò a cercare rifugio nel mondo delle emozioni, dell'erotismo, della cannabis e della musica nera. Il risultato di tutto ciò fu il rock. Un'espressione musicale che, radicandosi ed espandendosi accanto al soul e al folk, e opponendosi alla guerra e alla discriminazione razziale, facilitò il cammino verso la coscienza e l'utopia. "I tempi stanno cambiando", canterà Dylan. Il divario generazionale portato alla luce era solo l'inizio di un nuovo tipo di conflitto di classe, in cui il poetico, il ludico e il gratuito assumevano maggiore importanza. Divertirsi era trasgressivo, così come portare i capelli lunghi, fare l'amore o fumare marijuana: modi irriverenti di esercitare la libertà e di affrontare l'ipocrita puritanesimo del sistema. Secondo questo punto di vista non abituale e innovativo, la rivoluzione nel "primo mondo" sarebbe una festa, un gioco comunitario pacifista, una danza cerimoniale senza fine. Jerry Garcia, chitarrista dei Grateful Dead, rilevava che, più che di una protesta, si trattava di una celebrazione.

Un flusso costante d’invenzioni e miglioramenti tecnici – il giradischi, gli amplificatori, il microfono, il basso elettrico Fender, il transistor, il disco da sette pollici, la Hit Parade e così via – contribuì a far entrare la musica pop nella vita quotidiana e accendendo l'interesse per la musica nera, dove il ritmo era l'elemento dominante. L'accentuazione ritmica l’ha reso più ballabile, e proprio di questo si trattava. Le prime tracce di quello che molto più tardi sarebbe diventato il rock si trovano nel fraseggio pianistico sovrapposto a un ritmo quattro per quattro scandito dal sassofono nel brano di Roy Milton del 1945 "R.M. Blues". Questo tipo di musica ha finito per essere chiamato "Rhythm & Blues" in quanto rifiuto della sua definizione come "musica razziale" (race music) ed è stato la base su cui si è sviluppato il rock & roll per tutti i primi anni '50. L'R'n'B non era una musica omogenea e si può dire che ogni grande città avesse il suo stile. É così che il rock'n'roll è apparso simultaneamente in diversi luoghi – New Orleans, Chicago, Memphis, Los Angeles – con caratteristiche distinte mutuate dal Rhythm 'n' blues, più o meno mescolato al boogie, all'hillbilly, al country, allo swing o al blues elettrico, dando la precedenza al pianoforte e al sassofono tenore, così come alle chitarre e alla batteria o alle armonie vocali e alla coreografia. Il successo di questa "musica brutale, laida, degenerata e viziosa che non ho mai amato ascoltare", secondo Frank Sinatra, ha rivoluzionato lo "Show Business", cancellato i confini tra la musica "bianca" e quella degli afroamericani, ma allo stesso tempo ha portato all'espansione dell'industria musicale, con conseguenze negative sulla ribellione giovanile. La distrazione, divertirsi con i fiori tra i capelli, una sessualità disinibita, non erano un segno di disobbedienza se tutto questo rientrava nell’ingranaggio industriale, come nel caso del twist e degli altri balli alla moda. L’affluenza evasiva dei concerti e dei festival potrebbe essere il più gran segno di accordo con il dominio.

Circostanze particolari hanno fatto sì che il rock si è rifatto a nuovo in Inghilterra e da lì, grazie soprattutto ai Beatles e ai Rolling Stones, ha "invaso" gli Stati Uniti, proiettandosi poi in tutto il mondo attraverso i dischi e la televisione. Milioni di giovani hanno sentito che "la loro anima era stata psichedelizzata", come dicevano i Chambers Brothers in "Time Has Come Today". Un fenomeno di massa di tale portata fu immediatamente sfruttato dal capitale come produttore di profitti e dalla politica come nuova cultura permissiva dell'ordine. Fuori controllo, potrebbe diventare una minaccia per l'ordine e, opportunamente canalizzato, un importante fattore di rinnovamento. Dopo l'impeachment di Nixon e la sospensione del percorso repressivo americano, evento che ha lasciato dietro di sé una serie di morti e di belle canzoni, i ministeri della Cultura e l'industria dello spettacolo hanno optato per la modernizzazione (la sospensione della minaccia di espulsione di John Lennon potrebbe fungere da data). I canali e le televisioni offrirono al rock ampi spazi. Apparecchiature hi-fi sofisticate furono messe al servizio dei nuovi melomani. In un modo o nell'altro, il rock si è installato sul divano. Per tutti gli anni Settanta, il rock è diventato sempre più teatrale, più sinfonico, più narcisistico e sempre meno sovversivo. Più Queen, più Bowie, più Pink Floyd e più New Wave. Ci furono reazioni: il punk, il rap delle origini, l'heavy metal e il reggae erano alternative importanti, ma non hanno mai fatto debordare i loro ghetti senza essere recuperati, ma tutto ciò è un'altra storia.

La perdita di autenticità del rock avvenne prima, quando è entrato negli studi di registrazione. Era musica da ascoltare alla radio, nei jukebox, in auto o alle feste, ma soprattutto da ascoltare dal vivo in spazi ristretti. Le sessioni di registrazione in genere non duravano a lungo. Gli Animals hanno registrato "House of the Rising Sun" in una sola ripresa. I Led Zeppelin realizzarono il loro primo album in un giorno. Tuttavia, il muro di suono di Phil Spector e il registratore a quattro tracce degli Abbey Road Studios hanno cambiato la prospettiva. In seguito, l'ingegneria del suono ha introdotto numerose modifiche ed effetti speciali impossibili da riprodurre dal vivo. Con eccezioni come Jimi Hendrix, gli artisti suonavano meno bene dal vivo. Infatti, molte canzoni non furono mai eseguite in pubblico così com’erano su disco.

L'industria discografica e la televisione ignoravano le esibizioni nei club e nelle sale, favorendo così la trasformazione della musica in merce e degli artisti in idoli. Le esibizioni in playback in televisione hanno anticipato la spettacolarizzazione dei video musicali promozionali, che, con l'aiuto di YouTube, sarebbero diventati lo strumento più efficace per instillare nei giovani gli obiettivi, i desideri e i valori della dominazione. I concerti in massa nei campi da calcio o in grandi spazi recintati, con i loro impianti audio super-potenti e i loro grandi schermi, più propizi alla celebrità e alla passività, accentuarono il declino. Il rock poteva facilmente attrarre decine di migliaia di persone nello stesso posto, ma non per scatenare una rivolta, bensì per addormentarle. Non sorprende che l'autenticità sia stata concomitante all'autodistruzione: Lou Reed, Syd Barret, Sly Stone, Brian Wilson... Infine, la gioventù è stata confinata in macro-discoteche e stadi dove DJ alla moda suonavano musica senza musicisti, con mix, drum machines e semplici vinili. Con la tecnologia digitale alle porte, il rock, anche nelle sue forme più conservatrici “orientate” verso gli adulti – per esempio come Status Quo, Dire Straits o Foreigner – era destinato al fallimento. Si è aperta un'altra era, in cui la musica è passata dai LP analogici alla codifica binaria dei CD, e tutto è diventato più matematico, più regolare, più prevedibile e più noioso. Oggi, tutti i suoni strumentali sono elaborati da "architetti" meccanici e ricostituiti in un copia-incolla in grado di simulare una band dal vivo. La performance – a parte gli orpelli visivi di luci e ballerini – è puro karaoke.

La sconfitta delle rivolte anticapitaliste in tutto il mondo si è riflessa culturalmente nella postmodernità, una fase caratterizzata dalla decadenza delle ideologie progressiste, dalla perdita di valore del passato, dalla diffidenza verso il futuro, dal consumo di massa, dalla riduzione della vita a immagine e dall'individualismo estremo. In questo periodo, la categoria “gioventù” non spiegava nulla. La festa, il divertimento, l’animazione e lo spettacolo sono diventati percorsi universali, per tutti i pubblici, perfettamente integrati nella società e incoraggiati dalle istituzioni. Perdendo la loro specificità, i giovani hanno cessato di fungere da riferimento identitario distinto. Non rappresentano più un pericolo. Non solo per la loro presunta perennità, per la diffusione capillare di cliché giovanili, ma anche per l'inclusione dei giovani nel mercato del lavoro, per la loro sottomissione forzata alle leggi economiche nelle condizioni più precarie possibili. Cioè, per la loro proletarizzazione. La durezza delle crisi economiche ha distrutto le loro possibilità di autonomia e, di conseguenza, la loro imprevedibilità. I giovani non erano altro che un elemento neutro in un mercato in cui tutto, e ovviamente la musica, segue le regole stabilite dalla logica spettacolare del denaro. Un mercato importante che li ha catturati e ha offerto loro prodotti etichettati come propri. La musica, ad esempio, qualsiasi genere musicale, perché ognuno ha i suoi gusti particolari e tutte le canzoni sono disponibili online. In un certo senso, tutti gli stili – più esplicitamente nel gangsta rap, l'hip-hop mainstream o il reggaeton – si caratterizzano per l'esaltazione sessista del consumismo. La musica non cambierà certo il mondo.

Gli anni Ottanta del secolo scorso hanno segnato l'inizio della globalizzazione, una fase in cui commercio e finanza si sarebbero fusi con la cultura, il piacere gregario, la nostalgia e la musica pop. Il lavoro dei gruppi di produttori prevaleva sulle personalità isolate dei musicisti; l'arrangiamento normativo ha trionfato sull'improvvisazione, il collage sull'originalità, l’affare sicuro sulla creatività... Nessun dettaglio sarebbe stato trascurato da quella che à chiamata "la produzione". Sintetizzatori, sequencers e video saranno strumenti di una maggiore legittimazione dello spettacolo. Alla fine, i gusti, le mode e gli stili dei giovani saranno in gran parte gestiti attraverso vari canali e piattaforme di streaming. Tuttavia, il pubblico giovane diventerà inevitabilmente una riserva di manodopera sotto pressione, le cui prospettive d’impiego e di vita saranno più che problematiche e, musicalmente parlando, difficili da formulare. L'enorme contrasto tra lo stile di vita frivolo, feticista e accelerato del messaggio commerciale e la reale povertà di coloro che non riescono a salire sul treno edonistico offre un buon richiamo alla realtà e, si spera, a un gusto musicale migliore. La disillusione aprirà nuove crepe e genererà nuovi conflitti che, in generale, tenteranno, come sta accadendo ora, di fare andare il dominio altrove con la sua musica. Così sia.

Miguel Amorós, Presentazione del libro "Breve storia sociale del rock" il 6 settembre 2025 al Petit Festival de Puylaurens, in Occitania.





LE ROCK DANS SON CONTEXTE

 

Aujourd'hui, plus de quarante ans après la création du Rock and Roll Hall of Fame à Cleveland et de MTV, il est banal de dire que le rock est mort. Leurs vestiges sont tout au plus l'objet d'archéologues musicaux, de pièces de musée ou de matériaux de fusion avec d'autres styles mieux adaptés à la consommation des jeunes. Il ne représente pas du tout la musique des générations d'aujourd'hui ; ce n'est pas un élément significatif de leur vie quotidienne, ni une arme de leur rébellion. En fait, la pop contemporaine n'est pas faite par les jeunes, elle est faite pour les jeunes. Ceux qui choisissent la musique qu'ils veulent écouter ne sont pas eux, mais les managers de l'industrie musicale. Bref, si l'on s'en tient exclusivement aux pays du capitalisme technologique de masse, il n'y a plus de culture ou de sous-culture spécifiquement jeune détachée de la culture dominante, comme dans les années soixante, ni de véritable fossé générationnel représenté par la musique pop, qu'on l'appelle techno, hip hop, house, dance, K-pop, trap ou reggaeton. À l'heure actuelle, la jeunesse est un fait universel, objet d'un immense marché: la culture dite de la jeunesse est celle qui domine. La caractérisation des générations est de plus en plus imprécis. Au fur et à mesure que leur capacité de consommation s'est multipliée, la durée de la période de jeunesse s'est allongée et la frontière avec l'âge adulte s'est éloignée bien au-delà des 24 ans fixés par l'ONU. Après tout le système dominant a été reconfiguré idéologiquement, intégrant les habitudes, les valeurs et les attitudes de la jeunesse des années soixante dans son capital culturel. Grâce à Internet et aux réseaux sociaux, l'adolescence s'est éternisée dans le marché et la vie adulte a été sérieusement dévaluée. Si l'expérience n'était plus à la mode, l'âge cessait d’être un argument de vente. Dans le même processus d'aliénation, les différences âgistes ont été effacées. Le fossé entre les générations s’est comblé, mais non pas à cause de la communication et de l'établissement d'objectifs communs, mais parce que les adultes veulent rester jeunes à tout prix et les jeunes s’en foutent d’eux et du passé.

Le texte « Rock pour les débutants »  parle du rock dans ses débuts et son apogée, en le mettant en rapport avec les circonstances historiques - sociales et culturelles - qui ont déterminé son développement, son expansion et son universalisation. Le rock appartient à son époque, celle où le plaisir était subversif et le sexe tabou, et perd son vrai sens en dehors d’elle. Les années d'après-guerre ont été des années de prospérité qui ont permis la parution dans les villes d’un espace de jeunesse autonome, dans une certaine mesure à l’écart de la pression économique. Paradoxalement, et dans le cas spécifique des États-Unis, où tout a commencé, c'était une époque où l'insatisfaction, l'ennui et la décadence politique pénétraient profondément les jeunes de toutes les classes, une situation qui les a amenés à chercher refuge dans le monde des émotions, de l'érotisme, du cannabis et de la musique noire. Le résultat de tout cela a été le rock. Une expression musicale qui, en s'enracinant et en se déployant en compagnie de la musique soul et du folk, et en s’opposant à la guerre et à la ségégation raciale, a facilité le chemin de la conscience et de l'utopie. « Les temps changent », chantera Dylan. La séparation entre les générations mise au grand jour n'était que le début d'un conflit de classe d'un type nouveau, où le poétique, le ludique et le gratuit acquéraient une plus grande importance. S'amuser était transgressif, tout comme porter les cheveux longs, faire l'amour ou fumer de la marijuana, des façons irrévérencieuses d'exercer la liberté et de se confronter au puritanisme hypocrite du système. Selon ce point de vue inhabituel et novateur, la révolution dans le « premier monde » serait une fête, un jeu communautaire pacifiste, une danse cérémonielle sans fin. Jerry Garcia, le guitariste des Grateful Dead, soulignait que, plus qu'une protestation, c'était une célébration.

Une série constante d'inventions et d'améliorations techniques – le tourne-disque, les amplificateurs, le microphone, la basse électrique Fender, le transistor, le disque de sept pouces, le Hit Parade, etc. – ont favorisé la pénétration de la musique pop dans la vie quotidienne et ont suscité l'intérêt pour la musique noire, où le rythme était la partie dominante. L'accentuation rythmique l'a rendu plus dansant et c'est bien de cela qu'il s'agissait. Les premières traces de ce qui deviendra bien plus tard le rock se retrouvent dans le phrasé pianistique superposé à un rythme quatre par quatre marqué par le saxophone de la pièce « R.M. Blues », composée en 1945 par Roy Milton. Ce type de musique a fini par être appelé « Rhythm & Blues » en tant que rejet de sa dénomination de « musique raciale » (race music) et a été la base sur laquelle le rock & roll a été construit tout au long du début des années cinquante du XXe siècle. Le R'n'b n'était pas une musique homogène et on peut dire que chaque grande ville avait son propre style. C'est ainsi que le rock'n'roll apparaît simultanément dans plusieurs lieux – Nouvelle-Orléans, Chicago, Memphis, Los Angeles – avec des caractéristiques distinctes empruntées au rhythm'n'blues plus ou moins mêlé de boogie, de hillbilly, de country, de swing ou de blues électrique, donnant la prépondérance au piano et au saxophone ténor, ainsi qu'aux guitares et à la batterie ou aux harmonies vocales et à la chorégraphie. Le succès de cette « musique brutale, laide, dégénérée et vicieuse que je n'ai pas aimé écouter », selon Frank Sinatra, a révolutionné le « Show Business », effacé les frontières entre la musique « blanche » et celle des Afro-Américains, mais en même temps conduit à l'expansion de l'industrie de la musique, ce qui a eu des conséquences négatives pour la rébellion de la jeunesse. La distraction, passer des bons moments, les fleurs dans les cheveux, la sexualité décomplexée, n'étaient pas un signe de désobéissance si tout ça entrait dans l'engrenage industriel, comme c’était le cas du twist et des autres danses à la mode. L'affluence évasive des concerts et des festivals pourrait être le plus grand signe d'accord avec la domination.

Des circonstances particulières ont fait que le rock s'est refait à nouveau à l’Angleterre et de là, grâce surtout aux Beatles et aux Rolling Stones, il a « envahi » les États-Unis pour plus tard se projeter dans le monde entier à travers des disques et de la télévision. Des milions de jeunes ont ressenti que “leur âme avait été psychédélisée” comme ont dit les Chambers Brothers dans “Time has come today.” Un phénomène de masse d'une telle ampleur a été immédiatement exploité, en tant que producteur de profits, par le capital, et en tant que nouvelle culture permissive de l'ordre, par la politique. Hors de contrôle, il pourrait devenir une menace pour l’ordre et, bien canalisée, un facteur de renouvellement important. Une fois que Nixon a été destitué et que la voie répressive américaine a été suspendue, événement qui a laissé derrière lui une série de morts et de bonnes chansons, les ministères de la Culture et l’industrie du spectacle optent pour la modernisation (la suspension de la menace d’expulsion de John Lennon en pourrait servir de date.) Les chaînes et les televiseurs acordèrent au rock de grands espaces. Un equipement hi-fi sophistiqué a été mis au service des nouveaux mélomanes. D’une manière ou d’une autre le rock s’est installé sur le canapé. Tout au long des annés soixante-dix le rock devient de plus en plus théâtral, plus symphonique, plus narcissique et de moins en moins subversif. Plus Queen, plus Bowie, plus Pink Floyd et plus New Wave. Il y a eu de réactions: le punk, le rap des débuts, le heavy metal et le reggae étaient des alternatives importantes mais elles n’ont fait jamais déborder leurs ghettos sans être récupérés, mais tout cela est une autre histoire.

La perte d'authenticité du rock s'est produite plus tôt, lorsqu'il est entré dans les studios d'enregistrement. C'était de la musique à écouter à la radio, aux juke-box, à l’interieur de la voiture ou dans les parties, mais surtout, à entendre en direct dans des espaces pas trop grands. Les séssions d’enregistrement ne duraient généralement pas longtemps. Les Animals ont enregistré “House of the Rising Sun” en une seule prise. Led Zeppelin a fait son premier album en une journée. Cependant, le wall of sound de Phil Spector et l’enregistreur de quatre pistes d’Abbey Road Studios ont changé la perspective. Après cela, l'ingénierie sonore a introduit de multiples modifications et effets spéciaux impossibles à jouer en direct. À des exceptions comme Jimi Hendrix, les artistes sonnaient moins bien en live. En fait, beaucoup de chansons n’ont jamais été interpretées en public tel comme elles étaient en disque. Le commerce de la vente de disques et la télévision ignoraient les représentations dans les clubs et les salles, favorisant du mëme coup la conversion de la musique en marchandise et des artistes en idoles. Les performances en playback à la télévision ont anticipé le traitement spectaculaire des clips vidéo promotionnels, qui, avec l'aide de YouTube, deviendraient l'outil le plus efficace lorsqu'il s'agit d'inculquer aux jeunes les objectifs, les désirs et les valeurs de domination. Les concerts multitudinaires dans des terrains de foot ou dans des grands espaces clôturés, avec leur équipement sonore hiperpuissant et leurs grands écrans, plus propices a la védéttisme et à la passivité, accentuent le déclin. Le rock pouvait attirer facilement au même endroit à douzaines de milliers de personnes mais pas pour les emeuter, mais pour les endormir. Il n’est pas surprenant que l’authenticité ait côtoyé l’autodestrution: Lou Reed, Syd Barret, Sly Stone, Brian Wilson... Enfin, la jeunesse a été confinée dans les macrodiscothèques et stades oú les DJ’s à la mode diffusaient de la musique sans musiciens à partir de mixes, de boîtes à rythmes et de simples vinyles. Avec la technologie numérique qui frappe aux portes, le rock, même sous les formes les plus conservatrices « orientées » vers les adultes -comme par exemple Status Quo, Dire Straits ou Foreigner- était condamné. Une autre ère a été inaugurée où la musique est passée des microsillons analogiques au codage en langage binaire des CD et tout est devenu plus mathématique, plus régulier, plus prévisible et plus ennuyeux. Aujourd'hui, tous les sons instrumentaux sont traités par des « architectes » á la machine et reconstitués en un copier-coller capable de simuler un groupe jouant en direct. La performance – mis à part l'attirail visuel de lumières et de danseurs – est du pur karaoké.

La défaite des révoltes anticapitalistes dans le monde s'est reflétée culturellement dans la postmodernité, une étape caractérisée par la décadence des idéologies progressistes, la perte de valeur du passé, la méfiance envers l'avenir, la consommation de masse, la réduction de la vie à l'image et l'individualisme extrême. Dans celle-ci, la catégorie « jeunesse » n'expliquait rien. La fête, le divertissement, l’animation, le spectacle, sont devenues des voies universelles, pour tous les publics, parfaitement intégrées dans la société et encouragées par les institutions. En perdant sa spécificité, la jeunesse a cessé de servir de référence identitaire distincte. Elle n’est plus un danger. Mais pas seulement à cause de leur pérennité supposée, à cause de la généralisation des clichés juvénilistes, mais aussi à cause de l'inclusion des jeunes sur le marché du travail, à cause de leur soumission forcée aux lois économiques dans les conditions les plus précaires que l'on pouvait attendre. C'est-à-dire à cause de leur prolétarisation. La dureté des crises économiques a réduit à néant leurs possibilités d'autonomie et par conséquent leur imprevisibilité. La jeunesse n'était plus qu'un élément neutre d'un marché, où tout, et bien sûr la musique, suit les règles fixées par la logique spectaculaire de l'argent. Un marché important qui l'a attrapée et lui a offert des produits étiquetés comme les siens. La musique, par exemple, n'importe quel type de musique, puisque chacun a son goût particulier et toutes les chansons sont disponibles online. En quelque sorte tous les styles -plus explicitement dans le gansta rap, le hip-hop mainstream ou le reggaeton- se caractérisent par l'exaltation sexiste du consommerisme. La musique ne changera certainement pas le monde.

Les années quatre-vingt du siècle dernier ont marqué le début de la mondialisation, une étape où le commerce et la finance allaient s'amalgamer avec la culture, le plaisir grégaire, la nostalgie et la musique pop. Le travail des bandes de producteurs l’emportait sur la personnalité isolée des musiciens; L’agencement normatif a trionphé de l’improvisation, le collage de l’originalité, l’affaire sûr de la créativité... Aucun détail ne sera laissé dehors de ce qu’on appelle “la production”. Les synthétiseurs, les séquencieurs et les vidéos seront des instruments d'une plus grande légitimation du spectacle. À la fin, les goûts, les modes et les styles des jeunes seront très largement régis à travers diverses chaînes et plate-formes de streaming. Néanmoins, le jeune public ne pourra pas éviter d'être une réserve de main-d'œuvre pressurée, dont les perspectives d'emploi et de vie seront plus que problématiques, et, musicalement parlant, peu formulables. L'énorme contraste entre le mode de vie frivole, fétichiste et accéléré du message marchand et la pauvreté réelle de ceux qui ne peuvent pas prendre le train hédoniste fournit un bon rappel à la réalité et on espère qu’un meilleur goût musical. Le desabusement ouvrira de nouvelles fissures et générera de nouveaux conflits qui, en général, vont essayer, comme c'est le cas maintenant, de faire aller la domination ailleurs avec sa musique. Qu'il en soit ainsi.

Miguel Amorós, Présentation du livre « Brève, histoire sociale du rock » le 6 septembre 2025 au Petit Festival de Puylaurens, en Occitanie.