sabato 5 settembre 2015

Overdose di immagini





Una cosa risulta davvero inconfutabile, questo è il regno dell’immagine.
Il fatto che in questa epoca siamo sempre più soggiogati e posseduti dalle immagini, dimostra quanto siamo inclini all’adorazione del passato e della morte e quanto poco siamo liberi di vivere nel presente e di costruirci un futuro senza avere la consapevolezza che, per andare avanti, citando Walter Benjamin, ci vuole una quota di “carattere distruttivo”.
Il capitalismo, che è l’accumulo del valore del lavoro morto a spese del lavoro vivo e a discapito della vita stessa dell’umanità -  e non per caso ha trasferito nella società spettacolare la propria "sede legale"-  ne viene continuamente giustificato e alimentato,  essendo ogni istanza rivoluzionaria, infatti, “recuperata” in questo continuo trasporre in immagini le pur commoventi ed emozionanti volontà di rivolta.
Queste ultime nascono magari in tutta autenticità ma presto diventano una sorta di auto contemplazione e con ciò si sottomettono al “gioco” complessivo di autofagia della realtà spettacolare capitalista e lasciano qua e là brandelli indecorosi di “selfie”  a testimoniare la propria sconfitta.
Questo continuo "rovesciamento di prospettiva", non nel senso ipotizzato da Karl Marx, ma nel senso descritto da Guy Debord - in modo molto meno ottimistico - dobbiamo fronteggiarlo, ciascuno dentro noi stessi (come ammoniva Giorgio Cesarano), a causa dell’antropomorfosi del capitale, un capitale che ci attraversa intimamente, e ci somiglia nella misura in cui noi stessi abbiamo messo  nelle immagini – nei sogni come nei monumenti o nel racconto della storia umana, o in ogni altra opera artistica e letteraria – tutta la cultura che ci accompagna e di cui potremmo davvero difficilmente fare a meno, tanto ci appartiene e fa parte e della nostra stessa struttura umana complessiva. Si tratta di un discorso molto complesso che mi interroga e non ho risposte definitive ma credo che possiamo continuare a osservare e imparare da altre culture che pure esistono ancora, in qualche sperduta foresta, più vincolate al presente e con ciò, più libere quanto più “povere” di cultura accumulata, più spensierate e innocenti quanto meno sovrabbondanti di merci e tecnologia “sostitutiva” dell’uomo.
In pratica, mi pare, ho paura che le immagini competano per ottenere TUTTA la nostra vita e la vita della natura TUTTA, fornendoci in cambio un film della nostra esistenza e della realtà complessiva, da contemplare nella più totale impotenza.
Ma possiamo anche renderci conto che siamo noi stessi a costruire questa impotenza preferendo il sogno alla vita vera, a causa del fatto che il presente non ci piace ma non sappiamo come affrontarlo, così rinunciando a costruire una vita degna, che non sia solo una pallida sembianza.