Una cosa risulta davvero
inconfutabile, questo è il regno dell’immagine.
Il fatto che in questa epoca siamo
sempre più soggiogati e posseduti dalle immagini, dimostra quanto siamo inclini
all’adorazione del passato e della morte e quanto poco siamo liberi di vivere
nel presente e di costruirci un futuro senza avere la consapevolezza che, per
andare avanti, citando Walter Benjamin, ci vuole una quota di “carattere distruttivo”.
Il capitalismo, che è
l’accumulo del valore del lavoro morto a spese del lavoro vivo e a discapito
della vita stessa dell’umanità - e non per caso ha trasferito nella società spettacolare la propria "sede legale"- ne viene continuamente giustificato e
alimentato, essendo ogni istanza
rivoluzionaria, infatti, “recuperata” in questo continuo trasporre in immagini le
pur commoventi ed emozionanti volontà di rivolta.
Queste ultime nascono magari in
tutta autenticità ma presto diventano una sorta di auto contemplazione e con
ciò si sottomettono al “gioco” complessivo di autofagia della realtà spettacolare
capitalista e lasciano qua e là brandelli indecorosi di “selfie” a testimoniare
la propria sconfitta.
Questo continuo "rovesciamento
di prospettiva", non nel senso ipotizzato da Karl Marx, ma nel senso descritto da
Guy Debord - in modo molto meno ottimistico - dobbiamo fronteggiarlo, ciascuno dentro
noi stessi (come ammoniva Giorgio Cesarano), a causa dell’antropomorfosi del
capitale, un capitale che ci attraversa intimamente, e ci somiglia nella misura in cui noi stessi
abbiamo messo nelle immagini – nei sogni
come nei monumenti o nel racconto della storia umana, o in ogni altra opera artistica e letteraria – tutta la
cultura che ci accompagna e di cui potremmo davvero difficilmente fare a meno,
tanto ci appartiene e fa parte e della nostra stessa struttura umana
complessiva. Si tratta di un discorso molto complesso che mi interroga e
non ho risposte definitive ma credo che possiamo continuare a osservare e imparare da altre culture che pure esistono ancora, in qualche sperduta foresta, più
vincolate al presente e con ciò, più libere quanto più “povere” di
cultura accumulata, più spensierate e innocenti quanto meno sovrabbondanti di merci
e tecnologia “sostitutiva” dell’uomo.
In pratica, mi pare, ho paura
che le immagini competano per ottenere TUTTA la nostra vita e la vita della
natura TUTTA, fornendoci in cambio un film della nostra esistenza e della realtà
complessiva, da contemplare nella più totale impotenza.
Ma possiamo anche renderci conto che siamo noi stessi a costruire questa impotenza preferendo il sogno alla vita vera, a causa del fatto che il presente non ci piace ma non sappiamo come affrontarlo, così rinunciando a costruire una vita degna, che non sia solo una pallida sembianza.
Ma possiamo anche renderci conto che siamo noi stessi a costruire questa impotenza preferendo il sogno alla vita vera, a causa del fatto che il presente non ci piace ma non sappiamo come affrontarlo, così rinunciando a costruire una vita degna, che non sia solo una pallida sembianza.