di
Elisabetta Teghil
podcast
Questo testo è stato scritto e pubblicato
il 23 agosto del 2011. Lo vorrei riproporre alla riflessione sul perché come
ancora oggi non ci sia affatto chiarezza su quello che è avvenuto in Libia e
che costituisce un passaggio nodale per la comprensione del presente.
Le vicende libiche presentano due grandi
novità con cui dobbiamo fare i conti adesso e, tanto più, in futuro.
La novità non è certo il tipo di
aggressione e neanche l’intensificarsi delle guerre “umanitarie”, che,
ultimamente, presentano una scansione temporale sempre più serrata.
Da sempre, questo sistema usa tutto
l’armamentario possibile per rovesciare governi non graditi, compresi colpi di
stato e guerre. Tutti i governi rovesciati presentano una caratteristica in
comune: sono, per motivi politici o economici, asimmetrici agli interessi delle
multinazionali. E il loro destino non è dovuto al colore politico. Vengono
rovesciati indifferentemente Allende e Sankara, Saddam Hussein e Gheddafi. E la
strumentalizzazione dei motivi umanitari o dell’autodeterminazione dei popoli
da parte delle potenze occidentali, è palese, leggibile e ormai patrimonio di
tutte/i: l’autodeterminazione del Sud Sudan è osannata, quella del popolo basco
e del popolo irlandese viene rubricata nel terrorismo.
L’uomo bianco ha la lingua biforcuta,
dicevano le/i native/i d’America.
Dove stanno le novità?
La prima riguarda il fatto che le potenze
occidentali, nella necessità e nella smania di impossessarsi di materie prime e
nuovi mercati, sottraggono situazioni di privilegio e di rendita ad altre
nazioni occidentali che, nella filiera del dominio imperialista, vengono
percepite e sentite come più deboli.
Questo è la guerra in Libia. Uno Stato che
era sotto la sfera d’influenza italiana, con l’ENI in una posizione
predominante e privilegiata, passa sotto l’influenza francese e inglese.
L’Italia viene espulsa dal suo ruolo e sostituita dall’Inghilterra e dalla
Francia.
Non si tratta di essere nazionaliste, ma di
rendersi conto della fase cannibalesca a cui l’imperialismo è arrivato.
Da qui l’inconsistenza di chi parla di una
crisi del capitalismo che invece non c’è: le situazioni di restrizione, di
disagio, di povertà, di precarietà nei paesi occidentali e l’oppressione con le
rinnovate guerre coloniali nei paesi del terzo mondo, vengono scambiate per
segnali di una crisi, mentre sono scelte di fondo.
E’ in atto una ridefinizione dei rapporti
di forza fra le multinazionali occidentali, di cui i governi sono il braccio
esecutivo e la NATO quello militare.
Ma, l’anomalia, tutta italiana, è che, per
la prima volta, nella centocinquantennale storia unitaria, un partito di una
certa consistenza elettorale, senza giri di parole stiamo parlando del PD, non
sposa gli interessi di questo o quel settore della borghesia italiana, ma
interessi di borghesie straniere e, nella fatt ispecie, francesi e inglesi.
Non era mai successo. Questa è la seconda,
importante, novità.
Abbiamo sempre visto che nei paesi del
terzo mondo segmenti politici, anche organizzati, si sono prestati e si
prestano ad essere strumento di colonizzazione, ma questo avviene, per la prima
volta, anche in un paese europeo.
Tutto è cominciato con la riunione sul
panfilo Britannia che ha dato il via, nel nostro paese, ad una campagna di
denigrazione dei servizi pubblici e di demonizzazione dei lavoratori in
generale e di quelli pubblici in particolare e che ha creato il clima
favorevole per poter svendere il patrimonio pubblico alle multinazionali
anglo-americane, in particolare quello del settore agro-alimentare.
Questo progetto è stato portato avanti dai
governi Prodi, Amato, D’Alema.
Questo è il senso della discesa in campo
degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia e dei circoli atlantici a
favore del PD, perché quest’ultimo possa portare a termine il lavoro già
iniziato svendendo loro le poche industrie pubbliche rimaste, dando loro, come
garanzia dei prestiti internazionali, le riserve auree nazionali che sono parte
cospicua della ricchezza del nostro paese, di cui gli Stati sopra citati, hanno
grande bisogno visto che, da troppi anni, continuano a stampare carta moneta
che, essendo prodotta non in rapporto alle loro ricchezze nazionali, di fatto,
è carta straccia.
Questo è il senso della distruzione delle
economie irlandese, portoghese e greca, paesi ridotti a vendere le ricchezze
nazionali per pagare i soli interessi dei debiti contratti.
Nell’Ottocento, alla Grecia, hanno portato
via il frontone del Partenone, adesso, il Partenone, glielo vogliono portare
via tutto.
Operazione preparata e accompagnata da una
campagna di diffamazione che presenta quei popoli come pigri, indolenti e che
vivono al di sopra delle loro possibilità. Siamo al razzismo allo stato puro.
E, siccome è un piano inclinato e una cosa
tira l’altra, si vogliono ridurre quei paesi a condizioni di vita
ottocentesche, così come ha fatto l’Inghilterra a casa sua, mettendo in
preventivo rivolte e metodi per reprimerle.
Noi femministe non viviamo in un limbo, nel
nostro lottare per la liberazione dalla società patriarcale, dobbiamo sapere e
capire lo svolgersi dei processi che avvengono intorno a noi.
Sapere chi porta avanti le scelte e i
percorsi che abbiamo analizzato e come li conduce, magari saccheggiando lessico
e modalità che sono nostro patrimonio, ci evita e ci eviterà di essere complici
di questo progetto che è contro i nostri interessi, che vuol far diventare
questo paese una colonia anche dal punto di vista culturale, colonizzando anche
le nostre battaglie ed i nostri pensieri.