sabato 8 maggio 2021

LA VITA - Beni comuni e proprietà privata

 



Democrazia radicale

La democrazia radicale è incompatibile con l’economia politica la cui messa in discussione è immediatamente la critica radicale dell’appropriazione privativa. Questa critica non è tanto quella dell’atto spontaneo di appropriarsi di qualcosa per la propria utilità o piacere, quanto del fatto di compierlo danneggiando gli altri, escludendoli dal loro sacrosanto diritto di avere accesso allo stesso bene e alla qualità di vita che esso può soggettivamente secernere. Non è dunque la proprietà che pone problema ma la sua privazione per tutti gli altri. La soluzione del problema è dunque una sola: la creazione di un’abbondanza qualitativa e la sua distribuzione equa per tutti. Questa concreta uguaglianza dei diseguali, tema di cui parla con cognizione di causa Murray Bookchin, si oppone alla diseguaglianza di fatto dei cittadini formalmente uguali nella democrazia fittizia, rappresentativa e parlamentarista, architettata dai dominanti. Una democrazia reale, incompatibile con lo Stato, presuppone, infatti, un’organizzazione orizzontale e acratica di una socialità che Marx definiva precisamente, nel suo tedesco originario, gemeinwesen – comunità umana organica, storicamente la Comune.

Non c’è dubbio che neppure il comunismo autoritario restituisce il potere al popolo. Il punto più debole dell’ideologia comunista, debitrice di Marx ed evoluta in peggio dopo di lui, è la critica della proprietà privata personale sostituita dalla “nazionalizzazione” che dissimula, di fatto, un’appropriazione statale della proprietà parallela e sintonica con la dottrina della violenza legittima di cui lo Stato si pretende il depositario. Lo Stato, non il popolo, è il nuovo proprietario esclusivo, cioè privativo, di cui i burocrati del Partito sono i gestori autoritari che sottomettono e prendono possesso della comunità.

Il fenomeno politico comunista è stato storicamente l’appropriazione spettacolare concentrata da parte di una burocrazia politica della comunità, laddove la democrazia rappresentativa del capitalismo liberale è soltanto la caricatura spettacolare diffusa dell’esigenza di autogestione della vita quotidiana confiscata da una burocrazia economica al servizio dei possidenti arcaici. Tanto la continuità liberale del produttivismo che la sua rivoluzione ideologica sedicente comunista, confermano il diritto di proprietà nella forma dell’appropriazione privativa garante del produttivismo originario. In entrambi i casi, i beni comuni spariscono e di comune resta solo l’etichetta statale, nemica intima della comunità umana. Lo Stato nasce, infatti, storicamente, come alternativa alla comunità umana. Esso contrappone la sua gemeinschaft (comunità artificiale, societas, basata su un’associazione di commercianti e guerrieri che garantiscono la schiavitù e le servitù necessarie al funzionamento del produttivismo) alla gemeinwesen strutturale delle comunità organiche. La gemeinschaft è l’ambito della progressiva artificializzazione della socialità.

Società e socialità

La socialità è la tendenza umana all’aiuto reciproco e alla solidarietà laddove il sociale è il livello raggiunto in concreto da questa tendenza. Meno il sociale realizza la socialità, più l’individualismo dell’economia politica genera la sua società artificiale espellendone tutte le manifestazioni sopravvissute della gemeinwesen come “asociali”, appunto perché organiche – non civilizzate. La società civile è storicamente la socialità artificiale imposta dallo Stato ai suoi sudditi, cioè il controllo autoritario della socialità umana organica. Così, nei tempi moderni, l’Antropocene ha instaurato e diffuso una civiltà alienata e reificata in lotta perentoria contro ogni scintilla di Rinascimento e Illuminismo, movimenti emancipatori recuperati e ridotti a fragili voti di un’umanità in via di archiviazione.

La trappola economicista è fondata su questo stratagemma: una volta instaurata l’appropriazione privativa giustificata come una proprietà personale, nessuna riforma può più rimetterla in discussione radicalmente. L’economia politica è come il nucleare: una volta in marcia solo gli specialisti dell’una come dell’altro possono interrompere il processo in corso, sotto pena di gravi rischi per l’incolumità degli individui coinvolti. Questo ricatto, congiuntamente tecnocratico e politico, rischia oggi di rendere l’artificialità ineluttabile per inquietante e deleteria che sia. Non si può fermare il progresso... verso il baratro.

Per uscire dalla trappola, l’umanità è dunque costretta a una delicata transizione contro la quale il Leviatano usa il metodo descritto nel Gattopardo di Tommasi di Lampedusa: “Che tutto muti affinché nulla cambi dell’essenziale” – vale a dire il processo feticistico di valorizzazione economica della merce in tutte le sue manifestazioni, dalle cose alla forza lavoro (compresa l’energia consumistica), merce tra le merci.

Meglio delle rivoluzioni sociali incompiute, troppo spesso inquinate da un estremismo che ne impedisce la radicalità, le pandemie hanno oggettivamente innescato un inizio di transizione verso una società più egualitaria, obbligando il potere a ridurre o interrompere temporaneamente la sua logica privativa e il suo sfruttamento cinico della forza lavoro. È verificato storicamente[1] che ogni epidemia pestifera ha diminuito incredibilmente le disuguaglianze aprendo un varco alla decisione collettiva della loro sparizione. Il fenomeno si è registrato puntualmente, prima che l’economia politica ristabilisse il dominio dopo ogni crisi epidemica. Tuttavia, nessuna riforma agraria (la proprietà della terra è l’appropriazione privativa che favorisce tutte le altre fino alla schiavitù), molto spesso storicamente accompagnata da una grande violenza dopo ogni crisi pandemica, ha mai fatto regredire radicalmente e definitivamente le disuguaglianze[2].

Tutte le pandemie della storia hanno drasticamente ridotto le disuguaglianze come un effetto meccanico cui è mancata una coscienza umana capace di spingere il processo fino al superamento dell’economia politica nella sintesi dialettica di una società organica totalmente nuova. Il Leviatano produttivista ha sempre saputo riprendere in mano le redini del sociale indebolito dalla pandemia di turno, ristabilendo sempre lo sfruttamento d’origine sui beni comuni e sul lavoro umano. Cosi è stato fino a ieri (quando la popolazione mondiale era ancora di un miliardo e trecentomila individui nel 1830) in conseguenza di un tasso di mortalità pandemica giunto talvolta fino al 50% della popolazione. Oggi, invece, una crescita demografica forsennata, arrivata ormai oltre i sette miliardi di persone, ha reso caduco il rapporto tra il numero di vittime della peste e l’aumento del costo della forza-lavoro.

L’abbondanza sovra numeraria dei potenziali lavoratori sopravvissuti al virus riduce il rischio meccanico di una diminuzione automatica delle disuguaglianze economiche. Tuttavia, il rischio nuovo di una fine della specie sposta il cursore della coscienza umana che determina i comportamenti verso una coscienza di specie obbligata a confrontarsi con l’insieme di artificializzazioni omicide operate da un Antropocene fuori controllo.

Diventa dunque urgente accompagnare la pur necessaria letteratura poetica e sociologica anticapitalista oltre i lamenti e gli esorcismi politici, con un progetto di transizione concreto che non permetta il recupero da parte dell’economia politica dell’insurrezione inevitabile. La questione ormai non è se ci sarà una rivoluzione sociale, ma chi ne sarà il soggetto durante il delicato e inevitabile periodo di transizione. Passaggio necessario per gettare le basi di un nuovo mondo umano e solidale perché le sue radici sono, purtroppo, impiantate in una storia ampiamente manipolata dai vincitori diversi che l’hanno scritta e diffusa. Tanto più oggi con la facilità e l’abbondanza becera del virtuale.

Tutte le ideologie rivoluzionarie (cioè le peggiori nemiche della teoria/prassi rivoluzionaria da produrre collettivamente come un primo risultato concreto dell’autogestione generalizzata della vita quotidiana) hanno installato il loro potere controrivoluzionario secondo i metodi totalitari con cui i Bolscevichi al potere hanno osannato il sedicente socialismo sovietico come un antipasto della società comunista, mentre si trattava dell’ennesima restaurazione omicida dell’economia politica. L’ironia della storia vuole che il sottotitolo di tutte le opere maggiori marxiane dal 1857 fino al Capitale (diventato la Bibbia dell’ideologia comunista, ma usato perversamente al meglio dai capitalisti liberali più svegli) sia: Per la critica dell’economia politica.

Una critica assai poco comunista, finita a fucilate contro il popolo e una repressione feroce a Cronstadt e nella Machnovcina ucraina, che ha internato i rivoluzionari, i disubbidienti e tutti i recalcitranti in Siberia, dietro il muro di Berlino, in Cina, in Cambogia eccetera, mentre la forma volgarmente liberale di una peste produttivista plurimillenaria continuava la sua opera mafiosa nel resto capitalista del mondo cosiddetto libero, libero soltanto di sottomettersi volontariamente al lavoro forzato di un salariato diffuso quanto il feticismo della merce.

Il mondo post Covid 19/84

Non credo assolutamente che una continuità con il passato sia possibile. L’ennesima pandemia prodotta dall’incrociarsi del progresso produttivista con la sua alienazione in maniera finalmente visibile (visibilità che mancava ai molti episodi precedenti d’invasioni virali micidiali) implica la presa di coscienza umana che un altro mondo possibile è ormai necessario. Se l’uomo non si decide a rispettare la natura di cui fa parte, ne pagherà il prezzo definitivo perché la natura non si vendica, ma continua il suo corso. Nessun vaccino ci riporterà al mondo di prima. Nel migliore dei casi (e non evoco i peggiori possibili) obbligherà a bucarsi ripetutamente come eroinomani, non per anestetizzarsi in paradisi artificiali, ma per potere uscire e continuare a consumare in purgatori consumistici che assomiglieranno sempre di più a un artificiale inferno planetario.

La pubblicità della merce, merci-cose e merci umane ormai equiparabili in un mondo virtuale che le accomuna, è più invadente che mai, virus o non virus, ma sempre più ridicola, patetica, stupida, insopportabile. Non si rendono ancora ben conto, i sacerdoti della merce, che il loro è ormai un discorso inaudibile che rischia di produrre se non una coscienza radicale delle reazioni patologiche sempre più irrazionali e violente come tutti gli oscurantismi religiosi hanno sempre prodotto e continuano a farlo. I suicidi e gli omicidi sono e saranno conseguenza del confinamento della vita in una sopravvivenza ormai chiaramente claustrofobica ma che era già insopportabile prima che lo diventasse visibilmente con la lente d’ingrandimento del Covid 19/84.

Il loro mito della sicurezza che usano per addomesticare le orde di servitori volontari terrorizzati che li seguono, alimenta in realtà sempre di più la violenza diffusa al quotidiano. La distruzione dell’umano, dell’altro come simile ridotto a portatore potenziale della peste, potenziale terrorista, vuoi un nemico di genere, di “razza” o di nazionalità, corrobora la peste emozionale che il produttivismo veicola fin dalle origini, quando l’irruzione della morale sessuale patriarcale ha introdotto il dominio, lo stupro e il furto nelle società a centralità femminile acratica, disfacendola[3].

Siamo al redde rationem, non più socialismo o barbarie ma umano organico o disumano artificiale, transumanista.

E qui mi fermo, per ora, ma non per smettere. Per cominciare insieme.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 6 maggio 2021



[1] Walter Scheidel, Une histoire des inégalités – de l’age de pierre au XXI siècle, Actes Sud, Arles 2021.

[2] Walter Scheidel, op. cit.

[3] B. Malinowski, La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale, Feltrinelli, Milano 1968; B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale, Newton Compton, Roma 1973; W. Reich, L’irruzione della morale sessuale coercitiva, Sugar, Milano 1972; Marija Gimbutas, « The Three Waves of Kurgan People into Old Europe, 4500-2500 BC », Archives suisses d’anthropologie générale, 1979, vol. 43, n° 2, pp. 113-137.

 

LA VIE – Biens communs et propriété privée

 

Démocratie radicale

La démocratie radicale est incompatible avec l’économie politique dont la mise en discussion est immédiatement la critique radicale de l’appropriation privative. Cette critique ce n’est pas tant celle de l’acte spontané de s’approprier quelque chose pour sa propre utilité ou son plaisir , mais plutôt le fait de le faire en nuisant aux autres, en les excluant de leur droit sacro-saint d’avoir accès au même bien et à la qualité de vie que celui-ci peut sécréter subjectivement. Ce n’est donc pas la propriété qui pose problème mais sa privation pour tous les autres. Il n’y a donc qu’une seule solution au problème : la création d’une abondance qualitative et sa distribution équitable pour tous. Cette concrete egalité des inégaux, thème dont Murray Bookchin parle en connaissance de cause, s’oppose à l’inégalité factuelle des citoyens formellement égaux de la démocratie fictive, représentative et parlementariste, échafaudée par les dominants. Une démocratie réelle, incompatible avec l’Etat, présuppose, en fait, une organisation horizontale et acratique d’une socialité que Marx définissait précisément, dans son allemand d’origine, gemeinwesen – communauté humaine organique, historiquement la Commune.

Il n’y a pas de doute que le communisme autoritaire non plus ne restitue le pouvoir au peuple. Le point le plus faible de l’idéologie communiste, redevable à Marx et évoluée en pire après lui, est la critique de la propriété privée personnelle remplacée par la « nationalisation » qui dissimule, en fait, une appropriation étatique de la propriété parallèle et en syntonie avec la doctrine de la violence légitime dont l’Etat se prétend le dépositaire. L’Etat, et non pas le peuple, est le nouveau propriétaire exclusif, c'est-à-dire privatif, dont les bureaucrates du Parti sont les gérants autoritaires qui soumettent et prennent possession de la communauté.

Le phénomène politique communiste a été historiquement l’appropriation spectaculaire concentrée par une bureaucratie politique de la communauté, alors que la démocratie représentative du capitalisme libéral n’est que la caricature spectaculaire diffuse de l’exigence d’autogestion de la vie quotidienne confisquée par une bureaucratie économique aux ordres des possédants archaïques. La continuité libérale du productivisme, autant que sa révolution idéologique soi-disant communiste, confirme le droit de propriété dans la forme de l’appropriation privative garantissant le productivisme d’origine. Dans les deux cas les biens communs disparaissent et reste de commun uniquement l’étiquette étatique, ennemie intime de la communauté humaine. Historiquement, en fait, l’Etat nait comme alternative à la communauté humaine. Il oppose sa gemeinschaft (communauté artificielle, societas, basée sur une association de marchands et de guerriers qui garantissent l’esclavage et les servitudes nécessaires au fonctionnement du productivisme) à la gemeinwesen structurelle des communautés organiques. La gemeinschaft est le lieu de l’artificialisation progressive de la socialité.

Société et socialité

La socialité est la tendance humaine à l’entraide et à la solidarité alors que le social est le niveau pratiquement atteint par cette tendance. Moins le social réalise la socialité, plus l’individualisme de l’économie politique génère sa société artificielle en expulsant toutes les manifestations survivantes de la gemeinwesen comme « asociales », précisément parce qu’elles sont organiques – non civilisées. La société civile est historiquement la socialité artificielle imposée par l’Etat à ses sujets, c'est-à-dire le contrôle autoritaire de la socialité humaine organique. Ainsi, dans les temps modernes, l’Anthropocène a instauré et répandu une civilisation aliénée et réifiée en lutte péremptoire contre toute étincelle de Renaissance et Lumière, mouvements émancipateurs récupérés et réduits à des vœux fragiles d’une humanité en voie de disparition.

Le piège économiste repose sur ce stratagème : une fois établie l’appropriation privative justifiée comme une propriété personnelle, aucune reforme ne peut plus la remettre en question radicalement. L’économie politique est comme le nucléaire : une fois en marche, seuls les spécialistes de l’un comme de l’autre peuvent interrompre le processus en cours, sous peine de risques graves pour la sécurité des personnes concernées. Ce chantage, technocratique et politique en même temps, risque aujourd’hui de rendre l’artificialité inéluctable, peu importe combien elle soit inquiétante et délétère. On arrête pas le progrès… vers l’abîme.

Pour sortir du piège, l’humanité est donc obligée à une délicate transition contre laquelle le Léviathan utilise la méthode décrite dans le Guepard de Tommasi de Lampedusa : « Que tout permute afin que rien de l’essentiel ne change » – c'est-à-dire le processus fétichiste de valorisation économique de la marchandise dans toutes ses manifestations, des choses à la force de travail (l’énergie consumériste incluse), marchandise parmi les marchandises.

Mieux que les révolutions sociales inachevées, trop souvent polluées par un extrémisme qui empêche leur radicalité, les pandémies ont objectivement déclenché un début de transition vers une société plus égalitaire, forçant le pouvoir à réduire ou interrompre temporairement sa logique privative et son exploitation cynique de la force de travail. Il est historiquement vérifié[1] que chaque épidémie pestifère a fortement réduit les inégalités en ouvrant la voie au choix collectif de leur disparition. Le phénomène a été enregistré ponctuellement, avant que l’économie politique retablisse sa domination après chaque crise épidémique. Cependant, aucune reforme agraire (la propriété de la terre est l’appropriation privative qui favorise toutes les autres, jusqu’a l’esclavage), historiquement accompagnée très souvent par une grande violence après chaque crise pandémique, n’a jamais fait régresser radicalement et définitivement les inégalités[2].

Toutes les pandémies de l’histoire ont drastiquement réduit les inégalités comme un effet mécanique dépourvu d’une conscience humaine capable de pousser le processus jusqu’au dépassement de l’économie politique dans la synthèse dialectique d’une société organique totalement nouvelle. Le Léviathan productiviste a toujours su reprendre les rênes de la socialité fragilisée par l’énième pandemie, rétablissant toujours l’exploitation d’origine sur les biens communs et le travail humain. Ce fut le cas jusqu’à hier (quand la population mondiale était encore de 1,3 milliard en 1830) en raison d’un taux de mortalité pandémique touchant parfois le 50% de la population. Maintenant, par contre, une croissance démographique effrénée, désormais au-delà des sept milliards d’individus, rend caduc le rapport entre le nombre de victimes de la peste et l’augmentation du coût de la force de travail.

L’abondance surnuméraire des potentiels travailleurs rescapés au virus réduit le risque mécanique d’une diminution automatique des inégalités économiques. Néanmoins, le risque nouveau d’une disparition de l’espèce déplace le curseur de la conscience humaine qui détermine les comportements vers une conscience d’espèce obligée à se confronter avec l’ensemble d’artificialisations meurtrières mises en branle par un Anthropocène hors-control.

Il devient donc urgent d’accompagner la nécessaire littérature poétique et sociologique anticapitaliste au-delà des lamentations et des exorcismes politiques, par un projet concret de transition qui ne permet pas à l’économie politique de récupérer l’inévitable soulèvement. Car la question n’est plus désormais si il y aura ou pas une révolution sociale, mais qui en sera le sujet pendant la période délicate et inévitable de transition. Passage nécessaire pour jeter les bases d’un nouveau monde humain et solidaire car ses racines sont implantées, hélas, dans une histoire largement manipulée par les differents vainqueurs qui l’ont écrite et répandue. Encore plus aujourd’hui avec la facilité et l’abondance bête du virtuel.

Toutes les idéologies révolutionnaires (c'est-à-dire les pires ennemies de la théorie/pratique révolutionnaire qu’on a à produire collectivement comme un premier résultat concret de l’autogestion généralisée de la vie quotidienne) ont installé leur pouvoir contrerévolutionnaire selon les méthodes totalitaires utilisées par les Bolcheviks au pouvoir afin de saluer le socialisme soi-disant soviétique comme un hors-d’œuvre de la société communiste, alors qu’il s’agissait d’une nouvelle restauration meurtrière de l’économie politique. L’ironie de l’histoire veut que le sous-titre de toutes les œuvres majeures de Marx depuis 1857 jusqu’au Capital (qui devint la Bible de l’idéologie communiste, mais fut utilisé perversement au mieux par les capitalistes libéraux les plus malins) soit : Pour la critique de l’économie politique.

Une critique très peu communiste, en fait, qui s’est terminé par des coups de feu contre le peuple et une répression féroce à Kronstadt et dans la Machnovcina ukrainienne, qui a interné les révolutionnaires, les désobéissants et tous les réfractaires en Sibérie, derrière le mur de Berlin, en Chine, au Cambodge etcetera, tandis que la forme vulgairement libérale d’une peste productiviste vieille de plusieurs milliers d’années, a continué son travail mafieux dans le reste capitaliste du soi-disant monde libre, libre seulement de se soumettre volontairement au travail forcé d’un salariat aussi répandu que le fétichisme de la marchandise.

Le monde post Covid 19/84

Je ne crois pas une seconde que la continuité avec le passé soit possible. La énième pandemie produite par le croisement du progrès productiviste avec son aliénation de manière finalement visible (visibilité qui manquait pendant les nombreux épisodes précédents d’invasions virales meurtrières) implique la conscience humaine qu’un autre monde possible est désormais nécessaire. Si l’homme ne décide pas de respecter la nature à laquelle il appartient, il en paiera le prix final car la nature ne se venge pas mais continue son cours. Aucun vaccin ne nous ramènera au monde d’avant. Dans le meilleur des cas (et je n’évoque pas les pires possibles) il nous obligera à nous shooter à répétition comme des héroïnomanes, non pas afin de nous anesthésier dans des paradis artificiels, mais pour pouvoir sortir et continuer à consommer dans des purgatoires consuméristes de plus en plus semblables à un artificiel enfer planétaire.

La publicité de la marchandise, marchandises-choses et marchandises-humaines désormais comparables dans un monde virtuel qui les unit, est plus intrusive que jamais, avec ou sans le virus, toujours plus ridicule, pathétique, stupide, insupportable. Les prêtres de la marchandise ne se rendent pas encore pleinement compte que leur discours est devenu inaudible et risque de produire, sinon une prise de conscience radicale, des réactions pathologiques de plus en plus irrationnelles et violentes semblables à celles que les obscurantismes religieux ont toujours produit et continuent de le faire. Les suicides et les meurtres sont et seront une conséquence de l’enfermement de la vie dans une survie maintenant clairement claustrophobe, ma déjà insupportable avant qu’elle ne le devienne visiblement à la loupe du Covid 19/84.

Leur mythe de la sécurité qu’ils utilisent pour domestiquer les hordes de serviteurs volontaires terrorisés qui les suivent, alimente, en fait, de plus en plus, la violence diffuse dans le quotidien. La destruction de l’humain, de l’autre comme semblable réduit à un porteur potentiel de la peste, un terroriste potentiel, voire un ennemi de genre, de « race » ou de nationalité, corrobore la peste émotionnelle que le productivisme a véhiculé depuis ses origines, lorsque l’irruption de la morale sexuelle patriarcale a introduit la domination, le viol et le vol dans les sociétés acratiques centrées sur le féminin, en les défaisant[3].

Nous sommes au redde rationem, non plus socialisme ou barbarie, mais humain organique ou inhumain artificiel, transhumaniste.

Et je termine ici, pour le moment, mais pas pour arrêter. Pour commencer ensemble.

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 6 mai 2021

 



[1] Walter Scheidel, Une histoire des inégalités – de l’age de pierre au XXI siècle, Actes Sud, Arles 2021.

[2] Walter Scheidel, op. cit.

[3] B. Malinowski, Mœurs et coutumes des Mélanésiens. Trois essais sur la vie sociale des indigènes trobriandais ː Le crime et la coutume dans les sociétés primitives, Le mythe dans la psychologie primitive et La chasse aux esprits dans les mers du sud » Payot, Paris 1934 ; B. Malinowski, Les Argonautes du Pacifique Occidental, Gallimard, Paris 1963 ; W. Reich, L’irruption de la morale sexuelle, Payot, Paris 1972 ; Marija Gimbutas, « The Three Waves of Kurgan People into Old Europe, 4500-2500 BC », Archives suisses d’anthropologie générale, 1979, vol. 43, n° 2, pp. 113-137.