Testo
di Raoul Vaneigem per semplice informazione
o
in modo di eventuale contributo ai dibattiti in corso.
La
violenza della vita non ha nulla in comune con la violenza di cui si riveste la
morte. La vita non si cura di rispondere alla barbarie che la opprime.
Vivere
umanamente è un’esperienza tanto atemporale che storicamente parlante,
radicalmente nuova. Dedicarsi a essa perseguendola è sufficiente perché ogni
velleità di ostacolarne la libertà si mostri inammissibile. Siamo dunque giustificati
nel passare oltre ogni decreto liberticida.
La
disobbedienza civile è un’emanazione poetica di questa non accettabilità. Essa
non tollera alcuna forma di predazione, alcuna forma di potere. È l’inazione
che si afferma illuminando, è l’impulso vitale che avanza e, di anello in
anello, spezza quasi inavvertitamente, tutte le sue catene.
La
guerra civile è un gioco di morte in cui tutte e tutti si affrontano, la
disobbedienza civile è il gioco della vita solidale in cui le passioni si
vivono e si accordano.
Bisogna
porsi a ogni istante questa domanda: a chi giova?
La
strategia della confusione è appannaggio dei governi e delle potenze
finanziarie mondiali. L’arte della comunicazione serve a screditare le rivolte
della libertà offesa. In questo modo il movimento dei Gilet jaunes è stato
assimilato a un populismo in cui bazzicavano fascisti, antisemiti, omofobi,
misogini e pazzi furiosi. Queste grottesche calunnie non hanno davvero avuto
bisogno di essere denunciate. Sono state spazzate via con una disinvoltura
sbalorditiva dalla tranquilla determinazione dei manifestanti ad accordare una
priorità assoluta alle aspirazioni umane. Fatto sorprendente, l’opposizione di
sinistra, sia gauchista sia libertaria, aveva fatto mostra nei confronti dei
Gilet jaunes di una reticenza sprezzante, molto simile all’arroganza
oligarchica. Quando i burocrati politici e sindacali si sono resi conto del
loro errore e hanno cercato di unirsi al movimento dei ronds points (delle giratorie, NdT), sono stati messi da parte
dalla ferma e salutare risoluzione di non tollerare né capi né guide autoproclamate.
L’epidemia
è arrivata a punto per restituire al Potere vacillante unn po’ della sua
autorità repressiva.
Certo,
il coronavirus e le sue mutazioni costanti rappresentano un pericolo
incontestabile. Tuttavia, mentre delle misure favorevoli alla salute avrebbero
permesso di attenuarne l’impatto, si è assistito a una gestione catastrofica
del caos. La cattiva gestione ospedaliera, le menzogne a ripetizione, le marce
e le contromarce, la prevaricazione dei settori scientifici hanno aggravato il
pericolo. Ancora più tossico è stato il panico orchestrato dai mass media,
strofinaccio degli interessi privati. Il gioco valeva la candela per le grandi
industrie farmaceutiche i cui azionisti si arricchiscono ogni volta che i
cittadini-cavie pagano il rinnovo dei vaccini.
Tre
anni di Gilet esposti al sole in tutte le stagioni hanno rafforzato la
resistenza a una barbarie che non li ha risparmiati. C’è in questo di che
inquietare e irritare i fantocci statali, gli ultimi politicanti, i mercanti di
pesticidi ai quattro venti.
Non
bastando più la brutalità, ne ha preso il posto la vecchia pratica del capro
espiatorio. Esperta nella materia, l’estrema destra ha scelto di masticare i
migranti con il suo unico dente traballante. Con i Gilet jaunes e i loro emuli,
i gestori della corruzione nazionale e mondialista sono confrontati a un
progetto di un altro peso e di un’altra sostanza.
Nel
2018, il governo francese si era ridicolizzato trattando il popolo dei ronds points da bifolchi incolti e
irresponsabili. Che la popolarità del coronavirus gli dia l’opportunità di
riprendere l’offensiva con maggiore rilevanza non ha nulla di sorprendente.
Per
quel che riguarda i residui di chi ha distrutto il movimento operaio e il cui
elettoralismo ha fatto uscire dal vaso di Pandora un fascismo di paccottiglia,
hanno una rivincita da prendere su quel popolo che non riconoscono perché si
rifiuta di riconoscerli. Sostengono la grossolana manovra di colpevolizzazione
attraverso la quale i responsabili della devastazione sanitaria imputano la
propagazione dell’epidemia a degli insorti colpevoli soprattutto di aver capito
che l’obbligo di farsi vaccinare lasciava presagire un controllo sociale alla
cinese.
Invece
di denunciare i fautori della morbosità generalizzata, una fazione
d’intellettuali, di retro bolscevichi, di pretesi libertari hanno adottato la
novlingua orwelliana, diventata il modo di comunicazione tradizionale delle
istanze di governo. Negano al popolo il diritto di scegliere o no i vaccini
sperimentali. Apportano allo Stato un sostegno incredibile tacciando
d’individualismo i Gilet jaunes in lotta per il diritto di vivere e la libertà
che ciò implica. Ebbene, sono tre anni che gli insorti della vita quotidiana
non devono più dimostrare di essere degli individui indipendenti che riflettono
autonomamente, non degli individualisti il cui pensiero gregario ispira
propositi di questo tipo: ”Se tutti si facessero vaccinare, non ci sarebbe
bisogno di passaporto sanitario”.
Né paura né sensi di colpa.
Il vivente avrà ragione di questo mondo a rovescio e dei suoi complici. Anche
se la lotta per la gioia di vivere subisce parecchi rovesci, perché
preoccuparsi? L’incendio che si spegne si riaccenderà, quasi inavvertitamente,
al minimo soffio di vita.
Il ritorno alla base esclude i falsi
dibattiti. Solo la salute dell’Uomo astratto accetta di essere
trattata per statistiche e decreti.
Farsi
vaccinare o no contro il virus è una decisione che riguarda una libera scelta.
Io non lo impongo a nessuno – neanche vecchio o vulnerabile – e mi
batterò affinché nessuno me lo imponga.
L’individuo
autonomo trae la sua forza da se stesso e dalla solidarietà dei suoi simili.
L’individualista è un seguace del calcolo egoista, un volgare predatore, un
puro prodotto del capitalismo.
Abbandonando
l’elenco dei combattimenti fittizi, i popoli hanno imparato nella sofferenza
che solo i mercanti d’armi vincono una guerra. La nostra lotta non è
concorrenziale, si riassume nel tentare di vivere secondo i nostri desideri,
rivendicando per tutte e per tutti un identico diritto alla felicità.
La
gioia di vivere è un’inclinazione naturale È alla sua sovranità che la natura
dovrà di essere liberata dall’uomo predatore. Solo un’assoluta libertà
annienterà l’assolutismo che ci uccide.
Raoul Vaneigem, 8 agosto 2021
Désobéissance civile!
Texte de Raoul Vaneigem, pour simple information
ou en
mode d’éventuelle contribution aux débats en cours, apparu sur Mediapart (NdT).
La
violence de la vie n’a rien en commun avec la violence dont la mort se revêt.
La vie n’a cure de répondre à la barbarie qui l’opprime.
Vivre
humainement est une expérience à la fois atemporelle et, historiquement
parlant, radicalement nouvelle. S’y attacher et la poursuivre suffit pour que
toute velléité d’entraver sa liberté se heurte à une fin de non-recevoir. Ainsi
sommes-nous fondés à passer outre à tout décret liberticide.
La
désobéissance civile est une des émanations poétiques de cette fin de non-recevoir.
Elle ne tolère aucune forme de prédation, aucune forme de pouvoir. Elle est le
non-agir qui s’affirme en rayonnant, elle est la pulsion vitale qui va devant
soi et, maillon par maillon, brise, comme par inadvertance, la totalité de ses
chaînes.
La
guerre civile est un jeu de mort où toutes et tous s’affrontent, la
désobéissance civile est le jeu de la vie solidaire où les passions se vivent
en s’accordant.
A
chaque instant se poser la question : à qui cela profite-t-il ?
La
stratégie de la confusion est l’apanage des gouvernements et des puissances
financières mondiales. L’art de la communication sert à discréditer les
révoltes de la liberté offensée. Le mouvement des Gilets jaunes a été de la
sorte assimilé à un populisme où grenouillaient fascistes, antisémites,
homophobes, misogynes et fous furieux. Ces grotesques calomnies n’ont guère eu
besoin d’être dénoncées. Elles ont été balayées avec une manière de
désinvolture sidérante par la tranquille détermination des manifestants
d’accorder aux aspirations humaines une priorité absolue. Chose étonnante,
l’opposition de gauche, voire gauchiste et libertaire, avait fait montre à
l’endroit des Gilets jaunes d’une réticence méprisante, assez proche de
l’arrogance oligarchique. Quand les bureaucrates politiques et syndicaux
s’avisèrent de leur bévue et ambitionnèrent de rejoindre le mouvement des ronds
points, ils se trouvèrent mis à l’écart par la ferme et salutaire résolution de
ne tolérer ni chefs ni guides autoproclamés.
L’épidémie
est venue à point pour rendre au Pouvoir vacillant un peu de son autorité
répressive.
Certes,
le coronavirus et ses mutations constantes représentent un danger
incontestable. Mais là où des mesures favorables à la santé eussent permis d’en
atténuer l’impact, on a assisté à une gestion catastrophique du chaos. La
gabegie hospitalière, les mensonges en cascades, les marches et contremarches,
la prévarication des milieux scientifiques ont aggravé le péril. Plus toxique
encore a été et reste la panique orchestrée par les médias, serpillières des
intérêts privés. La partie était belle pour les grands laboratoires
pharmaceutiques dont les actionnaires s’enrichissent chaque fois que les
citoyens-cobayes paient le renouvellement des vaccins.
Trois
ans de gilets ensoleillés en toutes saisons ont affermi la résistance à une
barbarie, qui ne les a pas épargnés. Il y a là de quoi inquiéter et irriter les
fantoches étatiques, les derniers politicards, les marchands de pesticides à
tous vents.
La
brutalité ne suffisant pas, la vieille pratique du bouc émissaire a pris le
relais. Experte en la matière, l’extrême-droite a choisi de mâchouiller les
migrants de sa dent unique et branlante. Avec les Gilets jaunes et leurs
émules, les gestionnaires de la corruption nationale et mondialiste font face à
un projet d’une autre envergure et d’une autre substance.
En
2018, le gouvernement français s’était ridiculisé en traitant le peuple des
ronds-points de péquenauds incultes et irresponsables. Que la vogue du
coronavirus lui livre l’occasion de reprendre l’offensive avec plus de
pertinence n’a rien d’étonnant.
Quant aux résidus de ceux qui
bousillèrent le mouvement ouvrier et dont l’électoralisme a fait surgir de sa
boite de Pandore un fascisme de pacotille, ils ont une revanche à prendre sur
ce peuple qu’ils ne reconnaissent pas parce qu’il refuse de les reconnaître.
Ils cautionnent la grossière manœuvre de culpabilisation par laquelle les
responsables de la dévastation sanitaire imputent la propagation de l’épidémie
à des insurgés surtout coupables d’avoir compris que l’obligation de se faire
vacciner laissait augurer un contrôle social à la chinoise.
Au
lieu de dénoncer les fauteurs de la morbidité généralisée, une faction
d’intellectuels, de rétro-bolchéviques, de prétendus libertaires ont adopté la
novlangue orwellienne, devenue le mode de communication traditionnel des instances
gouvernementales. Ils dénient au peuple le droit de choisir ou non les vaccins
en cours d’expérimentation. Ils apportent à l’État un soutien effarant en
taxant d’individualistes les gilets jaunes en lutte pour le droit de vivre et
la liberté qu’elle implique. Or, cela fait trois ans que les insurgées et
insurgés de la vie quotidienne, n’ont plus à démontrer qu’ils sont des
individus autonomes, réfléchissant par eux-mêmes, non des individualistes, à
qui la pensée grégaire inspire des propos du genre : « si tout le
monde se faisait vacciner, on n’aurait pas besoin de passeport
sanitaire ».
Ni
peur ni culpabilité. Le vivant aura raison de ce monde à l’envers et de ses
complices. Même si le combat pour la joie de vivre subit maints revers,
pourquoi s’en inquiéter ? L’embrasement qui s’apaise se ravivera comme par
inadvertance au moindre souffle de la vie.
Le
retour a la base exclut les faux débats. Il n’y a que la santé de l’Homme
abstrait qui accepte d’être traitée par statistiques et par décrets.
Se
faire vacciner ou non contre le virus est une décision qui relève du libre
choix. Je ne l’impose à personne – soit-il vieux ou vulnérable – et je me
battrai pour que personne ne me l’impose.
L’individu
autonome tient sa force de lui-même et de la solidarité de ses semblables.
L’individualiste est un adepte du calcul égoïste, un vulgaire prédateur, un pur
produit du capitalisme.
Délaissant
la lice des combats factices, les peuples ont appris dans la souffrance que
seuls les marchands d’armes gagnent une guerre. Notre combat n’est pas
concurrentiel, il se résume à tenter de vivre selon nos désirs en revendiquant
pour tous et toutes un droit identique au bonheur.
La
joie de vivre est une inclination naturelle. C’est à sa souveraineté que la
nature devra d’être libérée de l’homme prédateur. Seule une absolue liberté
anéantira l’absolutisme qui nous tue.
Raoul
Vaneigem, 8
août 2021