Il legame fra Stato e cittadini si fonda sulla convinzione
comune che, emanata una legge, a questa legge si obbedirà. Per meglio dire,
obbediranno i più; e di coloro che non obbediranno, alcuni verranno repressi
con il solito armamentario di polizia, tribunali, galere; e alcuni filtreranno
impuniti in maniera da dimostrare la necessità e l’urgenza di quella legge o
addirittura maggiori pressioni e inasprimenti della stessa.
Infatti, una legge cui tutti obbedissero senza difficoltà non
giocherebbe a favore dello Stato perché sarebbe una prova del suo essere non
necessario ma superfluo.
La crisi si presenta allorché, per le più diverse ragioni, a
una certa legge grandi masse di cittadini disubbidiscono.
Perché lo Stato può pretendere di imporre un comportamento
quando è evidente che folle immense intendono comportarsi in maniera opposta?
Un primo storico esempio lo abbiamo avuto con la (relativa) liberalizzazione
della prostituzione, che continua a essere accerchiata da divieti e regolamentazioni,
ma che si è comunque rinunciato a perseguire.
La preoccupazione dei governanti era, in sostanza, questa:
teoricamente, l’intera popolazione femminile (e in effetti anche quella
maschile) avrebbe potuto abbandonarsi alla prostituzione in assenza di alcun
freno imposto dall’alto. La pratica ha dimostrato che, al contrario, questo
mercato avrebbe finito per trovare un suo punto d’equilibrio sia perché questo
mestiere non attrae tutti quanti, sia perché esiste un limite commerciale oltre
il quale sarebbero i clienti a venire a mancare.
Il proibizionismo in questo caso è stato poco meno che
abbandonato in base alla dimostrazione pratica della sua non necessità. Il
fenomeno continua a rimanere spiacevole ma confinato in un ambito limitato e
sostanzialmente tollerabile.
Più complicato e tuttora irrisolto, è il proibizionismo relativo
agli stupefacenti: anche qui il timore di chi ha a cuore la coesione sociale è
che una completa liberalizzazione indurrebbe la totalità della popolazione a
consumare senza posa sostanze oggi proibite, nell’ozio e nei bagordi (l’esperienza
fatta negli Stati Uniti, quella che detta il nome del fenomeno del
proibizionismo, dimostrerebbe in effetti il contrario: in quel paese si beveva prima
della legge del 1919, si beveva altrettanto fino alla sua cancellazione, e non
si beve meno neppure ora).
Pur tuttavia si insiste nel mantenere assolutamente proibita
una pratica che coinvolge milioni di cittadini che continuano a violare la
legge, consumando stupefacenti a loro discrezione.
Questo stato di cose determina un’importante lesione al
principio di autorità dello Stato, senza che i poveri governanti, che continuano
ad arrovellarsi, riescano a trovare una via d’uscita.
Infatti la liberalizzazione totale non è concepibile perché
ridurrebbe il campo d’azione e competenza dello Stato; una gestione mista come
quella adottata per la prostituzione presenterebbe notevoli costi, grandi
fastidi politici, lasciando tuttavia un’area grigia di illegalità; mantenere le
leggi proibizioniste attuali continua a esporre lo Stato al quotidiano ludibrio
della disobbedienza di massa.
Da uno studio effettuato, paradossalmente si è dimostrato che
nel caso tutti consumatori di sostanze vietate si costituissero alle questure
nello stesso giorno, in poche ore l’Italia sarebbe ferma, in quanto si tratterebbe
di svariati milioni di cittadini attivi (nelle stesse questure probabilmente i
poliziotti per primi si dovrebbero ammanettare fra loro compilando a vicenda i
loro verbali di arresto).
Da molto tempo più o meno in tutti i paesi, sono state
introdotte leggi proibizioniste contro l’ingresso nei confini di cittadini
stranieri.
Naturalmente queste leggi prevedono un gran numero di
eccezioni (differenti e a volte contraddittorie fra Stato e Stato) al fine di lasciar
passare turisti, calciatori e businessmen; poi, scendendo nella scala sociale,
lavoratori considerati necessari e infine coloro che sarebbe troppo vergognoso
respingere in quanto profughi.
Questo sistema di leggi ha funzionato a lungo senza gravi
intoppi: fra gli immigrati permessi si infiltrava un certo numero di
clandestini privi di ciascuno dei titoli sopraindicati ma il fenomeno era
marginale e non destava alcun problema.
Dagli anni ’90 invece la pressione sulle frontiere è
aumentata e si è moltiplicata in maniera esponenziale e così pure le leggi in
materia, diverse nei diversi paesi, ma iscritte tutte in una medesima cornice
valida per tutta Europa. Queste leggi sono tutte incoerenti e totalmente inapplicabili
(si veda per fare un esempio l’invenzione del delitto di immigrazione clandestina,
che si vorrebbe ora cancellare perché ha
intasato interamente i tribunali, senza riuscire a essere effettivamente mai sanzionato,
ovvero il reato di ospitare o assumere stranieri senza il permesso di soggiorno
in regola, continuamente perpetrato da onestissime pensionate e ligi locatari).
In pratica anche in questo caso il proibizionismo,
dimostrandosi inefficace, non fa che moltiplicare ed estendere grandi e piccole
illegalità che coinvolgono non solo gli stranieri ma anche una grande parte
della popolazione residente.
Fino al vero e proprio delirio che conduce a proibire l’arrivo
in assenza di permessi validi sul territorio nazionale e impedisce quindi l’utilizzo
di linee aeree o marittime per il viaggio, salvo poi spedire navi militari,
governative e “non governative” a recuperare i viaggiatori considerati tutti (e
con valide ragioni) prossimi al naufragio oppure già naufragati.
Il risultato è paradossale: migliaia di morti in mare, decine
di migliaia di sbarcati che non vorrebbero in gran maggioranza rimanere in
Italia ma che nessun altro paese lascia entrare, la presenza sul territorio di
un numero neppure ben conosciuto di persone che in base alla legge andrebbero
rimpatriate cosa impossibile anche perché sovente di molti nemmeno si conosce
il paese d’origine.
Una volta ancora, posto di fronte alla disobbedienza di
massa, il proibizionismo si dimostra totalmente fallimentare. Esso non riesce a
tranquillizzare i cittadini che, per altre ragioni, ha tutto l’interesse di
mantenere allarmati; non riesce a frenare in alcun modo gli ingressi; meno
ancora riesce ad adempiere ai propri stessi diktat eseguendo le espulsioni; non
riesce a frenare i costi e gli sprechi fenomenali che ne derivano e che ormai
attirano la malavita organizzata; crea
un perpetuo contenzioso fra i diversi Stati europei ciascuno dei quali intento
a sbolognare il problema in capo al vicino (alla faccia dell’Europa unita).
La situazione non farà che aggravarsi specialmente per l’Italia
e la Grecia che fronteggiando il Nord Africa sono le mete predestinate dei
migranti provenienti da Sud.
D’altra parte si presentano unicamente due vie d’uscita,
entrambe difficilmente praticabili.
La prima è quella ventilata dall’Internazionale Razzista che
vorrebbe ritirare tutti i mezzi di soccorso dalle rotte dei migranti,
confidando nel fatto che, dopo un numero congruo di annegati la voce si
spargerebbe e dall’Africa non partirebbe più nessuno.
Si tratta di una soluzione per modo di dire, per varie
ragioni: la prima e più ovvia è che nessun governo avrebbe il coraggio di
praticarla al cospetto dell’opinione pubblica mondiale; la seconda è che
sarebbe praticamente impossibile impedire a strutture private di intervenire
comunque; la terza che certamente chi vuole partire ad ogni costo inventerebbe una
nuova via d’accesso, anche se oggi non indoviniamo quale potrebbe essere.
La seconda soluzione è di segno radicalmente opposto: abolire
i permessi di soggiorno, liberalizzando radicalmente i transiti e gli accessi.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a difficoltà quasi insormontabili:
innanzitutto un provvedimento del genere andrebbe preso concordemente a livello
europeo dal momento che nessun singolo paese potrebbe affrontare da solo la
prevedibile ondata migratoria. Il secondo motivo è che una tale svolta contrasta
con la vocazione stessa e la ragion d’essere proclamata degli Stati nazionali
che è quella di governare ogni possibile evento. Il terzo motivo è che,
considerando le condizioni disgraziate in cui versa l’Africa, nessuno può
davvero escludere che non sarebbero milioni e milioni coloro i quali
sceglierebbero di trasferirsi mettendo a dura prova i paesi già fittamente
popolati e duramente colpiti dalla disoccupazione, e quindi scarsamente
bisognosi di manodopera.
In pratica una tale soluzione comporterebbe un peggioramento
della qualità della vita in Europa che condurrebbe a un’immediata cacciata
dalla scena politica di quei governanti che adottassero un tale provvedimento. Che difatti nessun politico osa proporre.
In poche parole qualsiasi legge immaginabile non solo non
sarebbe in grado di risolvere la situazione presente ma verosimilmente
riuscirebbe soltanto ad aggravarla.
La prospettiva più realistica quindi risulta essere quella
apparentemente più utopistica: poiché alle leggi sempre meno persone obbediscono
e in un numero crescente di casi è divenuto proprio impossibile obbedire,
puntare direttamente all’abbattimento dello Stato liberandoci dalla sua pretesa
di emanare leggi, di disegnare frontiere, di emettere documenti e passaporti e
di gestire le vite di chi sta qui come
di chi ci voglia raggiungere ….. e qui comincerebbe tutta un’altra storia.