Performance contro il consumismo a Natal, capitale del Rio Grande do Norte in Brasile
© Reuters
|
Come, quando e dove ritrovare l’ora dell’orologio della
coscienza?
Il complottismo è una sensibilità
paranoica che cerca in complotti particolari ripetuti la spiegazione del
complotto generale e ormai planetario. Quello del produttivismo e
dell’oligarchia che, travestita con ideologie diverse e variate, se ne
appropria i privilegi inventandolo e praticandolo da millenni.
Da sempre, ogni elemento di una
coscienza infelice ritorna sottoforma d’ideologia che – reazionaria o
rivoluzionaria – serve al Leviatano produttivista per riaffermare il potere riproduttivo
di una qualche classe dominante (signori, guerrieri e clero ideologizzato di
qualunque partitocrazia burocratica: fascismo, liberalismo, comunismo, anarchismo,
femminismo, post-umanismo).
Il solo vero complotto evidente
che li comprende tutti è la gerarchizzazione necessaria al produttivismo che ha
ridotto la storia della specie umana a una becera lotta di classi e di generi,
di dominanti o dominati impomatati dal mito. Da una parte degli ipocriti privilegiati
malati di perversione narcisista, dall’altra degli umiliati resi succubi e sempre
più anch’essi colpiti dalla peste spettacolare della perversione narcisista.
Da un lato come dall'’altro delle
barricate erette sul palcoscenico sociale si mescolano tanto maschi che
femmine, tanto bianchi che neri, tanto robusti che fragili, ma è chiaro - come
direbbe Coluche - che in questo mondo infetto per qualunque donna nera e
fragile la situazione è disperata e critica.
Laddove la produzione di beni è
un atteggiamento naturale dell’animale umano in via di umanizzazione, l’ideologia
produttivista ha rovesciato il rapporto tra l’essere umano e il bene prodotto dalla
sua intelligenza sensibile e dal suo savoir faire, trasformando la produzione
di beni per godere della vita nell’accumulazione di beni feticizzati dal valore
economico astratto. Il denaro si è infatti imposto come il feticcio assoluto di
ogni ricchezza alienata e reificata di cui è la materializzazione simbolica;
anch’essa, tuttavia, in via di sparizione con la liturgia della comunione
economicista officiata tramite l’ostia benedetta e personalizzata della carta
di credito capitalista di fronte alla quale ognuno ormai s’inginocchia.
Nella sua moderna versione
capitalista, il produttivismo è una produzione alienata e alienante perché
reifica la ricchezza e mitizza il consumo anziché praticarlo puntualmente per
soddisfare desideri e bisogni secondo i criteri naturali della raccolta per un
consumo godibile. Il produttivismo ha inventato il bisogno di un desiderio da
accumulare di cui impedisce l’appagamento alienando l’essere umano dai suoi
desideri autentici e soprattutto dall'’autenticità della loro soddisfazione.
L’alienazione reifica la
soddisfazione intima in consumo ossessivo. L’inquinamento dovuto alla scelta
preistorica del produttivismo (a cui l’umanità ha resistito per millenni prima
di arrendersi e diventarne schiava) ha fatto della storia una guerra tra
vincitori (percentualmente sempre in calo) e vinti (percentualmente sempre in
aumento). La schiavitù intima dell’essere umano è cominciata con l’assoggettamento
materiale (sessuale e lavorativo) delle prime serve e dei primi servi ricavati dalle
guerre e dalle imposte su chi lavora che il Leviatano statale (apparso con le
prime Città Stato della civiltà produttivistica) si è incaricato di dichiarare
e di prelevare.
Il crollo sistemico al quale ci
ha portato oggi l’antropocene scientifico-industriale (cominciato a partire
dalla metà del quindicesimo secolo) è il risultato finale di una scelta
produttivistica integrata da sei millenni di progressiva denaturazione
dell’animale umano e della sua poesia umanistica, dell’hubris della sua potenza
orgastica trasformata in volontà di potenza (la volontà di potenza è il più
chiaro dei sintomi dell’impotenza reale perché la potenza vissuta non si dice,
si pratica).
La parte di lotta tra le specie
che la natura del vivente include si è così generalizzata ideologicamente e continua
a riprodursi identica nella storia pur in contesti specifici assolutamente
diversi. Modernizzando costantemente il discorso che giustifica il potere
all’interno di folclori diversi, si è passati dalle prime gerarchie tribali
agli imperi antichi, per finire con il dominio reale del Capitale sull’umanità
e sul pianeta.
Il progresso tecnologico al
servizio delle oligarchie dominanti ha condotto l’essere umano sull’orlo del baratro
in cui sembra ormai destinato a cadere, stupidamente fiero d’inventarsi l’ultima
favola di una possibile sopravvivenza eterna sprovvista della minima traccia di
una vita vera, ridotto al sorriso deficiente del suo cadavere post-umano diventato
ideologicamente immortale in un selfie senza fine.
Dalle religioni primitive ai
monoteismi produttivisti, fino al post-umanismo degli zombi (abbietta religione
postindustriale della fase terminale di un capitalismo che da modo di
produzione si è ormai trasformato in una corazza caratteriale) l’ideologia è la
giustificazione alienata e reificata dell’alienazione e della reificazione che
il produttivismo produce indefessamente sempre più a fondo in ogni angolo di
vita sul pianeta trasformandolo in natura morta.
Fascismi e antifascismi caratteriali
danzano sul ponte del Titanic che affonda. Il machismo è un ultimo fascismo scuro
come la pece dell’impotenza orgastica di cui il femminismo rischia (come ogni
antifascismo ideologico) di diventare il fascismo rosa. Ogni ideologia
rivoluzionaria è stata sempre l’esorcismo di una mutazione radicale che il
Leviatano s’incarica d’impedire offrendole un palcoscenico su cui farsi
immortalare finché lo spettacolo in corso finisce e un altro comincia.
Qualunque ipotesi di
un’emancipazione dal conflitto, il mito arcadico di una società pacificata, è
lo spauracchio feticistico di tutti i potenti che sanno bene come la guerra permanente
e quotidiana sia la condizione del perpetuarsi del loro dominio. Chiunque vinca
va tutto bene per la società dominante, purché ci siano sempre i perdenti, i
sottomessi, gli umiliati, i peccatori.
Per ogni predatore, la condizione
del suo depredare dipende dalla debolezza della preda inseguita. Solo una
gazzella indebolita e/o distratta è la possibile preda del leone, ma anche la
debolezza e/o la distrazione del leone lo condanna alla morte. Un predatore
malato non può sopravvivere.
Chi vivrà (se qualcuno ci
riuscirà, come desidero ardentemente) vedrà l’evoluzione vitale della
rivoluzione sociale.
Vive la Commune!
Sergio Ghirardi