lunedì 21 ottobre 2019

Appunti di fine vita (una vita vera e bella che può ancora durare a lungo, quién sabe)




Performance contro il consumismo a Natal, capitale del Rio Grande do Norte in Brasile 


Come, quando e dove ritrovare l’ora dell’orologio della coscienza?

Il complottismo è una sensibilità paranoica che cerca in complotti particolari ripetuti la spiegazione del complotto generale e ormai planetario. Quello del produttivismo e dell’oligarchia che, travestita con ideologie diverse e variate, se ne appropria i privilegi inventandolo e praticandolo da millenni.
Da sempre, ogni elemento di una coscienza infelice ritorna sottoforma d’ideologia che – reazionaria o rivoluzionaria – serve al Leviatano produttivista per riaffermare il potere riproduttivo di una qualche classe dominante (signori, guerrieri e clero ideologizzato di qualunque partitocrazia burocratica: fascismo, liberalismo, comunismo, anarchismo, femminismo, post-umanismo).
Il solo vero complotto evidente che li comprende tutti è la gerarchizzazione necessaria al produttivismo che ha ridotto la storia della specie umana a una becera lotta di classi e di generi, di dominanti o dominati impomatati dal mito. Da una parte degli ipocriti privilegiati malati di perversione narcisista, dall’altra degli umiliati resi succubi e sempre più anch’essi colpiti dalla peste spettacolare della perversione narcisista.
Da un lato come dall'’altro delle barricate erette sul palcoscenico sociale si mescolano tanto maschi che femmine, tanto bianchi che neri, tanto robusti che fragili, ma è chiaro - come direbbe Coluche - che in questo mondo infetto per qualunque donna nera e fragile la situazione è disperata e critica.
Laddove la produzione di beni è un atteggiamento naturale dell’animale umano in via di umanizzazione, l’ideologia produttivista ha rovesciato il rapporto tra l’essere umano e il bene prodotto dalla sua intelligenza sensibile e dal suo savoir faire, trasformando la produzione di beni per godere della vita nell’accumulazione di beni feticizzati dal valore economico astratto. Il denaro si è infatti imposto come il feticcio assoluto di ogni ricchezza alienata e reificata di cui è la materializzazione simbolica; anch’essa, tuttavia, in via di sparizione con la liturgia della comunione economicista officiata tramite l’ostia benedetta e personalizzata della carta di credito capitalista di fronte alla quale ognuno ormai s’inginocchia.
Nella sua moderna versione capitalista, il produttivismo è una produzione alienata e alienante perché reifica la ricchezza e mitizza il consumo anziché praticarlo puntualmente per soddisfare desideri e bisogni secondo i criteri naturali della raccolta per un consumo godibile. Il produttivismo ha inventato il bisogno di un desiderio da accumulare di cui impedisce l’appagamento alienando l’essere umano dai suoi desideri autentici e soprattutto dall'’autenticità della loro soddisfazione.
L’alienazione reifica la soddisfazione intima in consumo ossessivo. L’inquinamento dovuto alla scelta preistorica del produttivismo (a cui l’umanità ha resistito per millenni prima di arrendersi e diventarne schiava) ha fatto della storia una guerra tra vincitori (percentualmente sempre in calo) e vinti (percentualmente sempre in aumento). La schiavitù intima dell’essere umano è cominciata con l’assoggettamento materiale (sessuale e lavorativo) delle prime serve e dei primi servi ricavati dalle guerre e dalle imposte su chi lavora che il Leviatano statale (apparso con le prime Città Stato della civiltà produttivistica) si è incaricato di dichiarare e di prelevare.
Il crollo sistemico al quale ci ha portato oggi l’antropocene scientifico-industriale (cominciato a partire dalla metà del quindicesimo secolo) è il risultato finale di una scelta produttivistica integrata da sei millenni di progressiva denaturazione dell’animale umano e della sua poesia umanistica, dell’hubris della sua potenza orgastica trasformata in volontà di potenza (la volontà di potenza è il più chiaro dei sintomi dell’impotenza reale perché la potenza vissuta non si dice, si pratica).
La parte di lotta tra le specie che la natura del vivente include si è così generalizzata ideologicamente e continua a riprodursi identica nella storia pur in contesti specifici assolutamente diversi. Modernizzando costantemente il discorso che giustifica il potere all’interno di folclori diversi, si è passati dalle prime gerarchie tribali agli imperi antichi, per finire con il dominio reale del Capitale sull’umanità e sul pianeta.
Il progresso tecnologico al servizio delle oligarchie dominanti ha condotto l’essere umano sull’orlo del baratro in cui sembra ormai destinato a cadere, stupidamente fiero d’inventarsi l’ultima favola di una possibile sopravvivenza eterna sprovvista della minima traccia di una vita vera, ridotto al sorriso deficiente del suo cadavere post-umano diventato ideologicamente immortale in un selfie senza fine.
Dalle religioni primitive ai monoteismi produttivisti, fino al post-umanismo degli zombi (abbietta religione postindustriale della fase terminale di un capitalismo che da modo di produzione si è ormai trasformato in una corazza caratteriale) l’ideologia è la giustificazione alienata e reificata dell’alienazione e della reificazione che il produttivismo produce indefessamente sempre più a fondo in ogni angolo di vita sul pianeta trasformandolo in natura morta.
Fascismi e antifascismi caratteriali danzano sul ponte del Titanic che affonda. Il machismo è un ultimo fascismo scuro come la pece dell’impotenza orgastica di cui il femminismo rischia (come ogni antifascismo ideologico) di diventare il fascismo rosa. Ogni ideologia rivoluzionaria è stata sempre l’esorcismo di una mutazione radicale che il Leviatano s’incarica d’impedire offrendole un palcoscenico su cui farsi immortalare finché lo spettacolo in corso finisce e un altro comincia.
Qualunque ipotesi di un’emancipazione dal conflitto, il mito arcadico di una società pacificata, è lo spauracchio feticistico di tutti i potenti che sanno bene come la guerra permanente e quotidiana sia la condizione del perpetuarsi del loro dominio. Chiunque vinca va tutto bene per la società dominante, purché ci siano sempre i perdenti, i sottomessi, gli umiliati, i peccatori.
Per ogni predatore, la condizione del suo depredare dipende dalla debolezza della preda inseguita. Solo una gazzella indebolita e/o distratta è la possibile preda del leone, ma anche la debolezza e/o la distrazione del leone lo condanna alla morte. Un predatore malato non può sopravvivere.
Chi vivrà (se qualcuno ci riuscirà, come desidero ardentemente) vedrà l’evoluzione vitale della rivoluzione sociale.
Vive la Commune!



Sergio Ghirardi