Oltre al suo evidente valore storico
alla fine della prima guerra mondiale, questo manifesto è stato anche uno fra
gli ultimi scritti firmati da Rosa Luxembourg e Karl Liebknecht prima della
loro esecuzione voluta dalla socialdemocrazia tedesca (NdT).
La rivoluzione è scoppiata
in Germania. Le masse si sono sollevate: i soldati che per quattro anni erano
stati inviati al macello dagli speculatori capitalisti, gli operai che erano stati
sfruttati, oppressi, affamati. Quel terribile strumento di oppressione, quel
flagello del genere umano che era lo Stato prussiano è stato abbattuto; i suoi
rappresentanti più indicativi e più responsabili della guerra – il Kaiser e il
Kronprinz (principe ereditario) – hanno dovuto fuggire mentre in tutta la
Germania si costituivano Consigli di operai e di soldati.
Lavoratori di tutti i
paesi! Noi non affermiamo che il potere è ora in Germania totalmente nelle mani
delle masse lavoratrici né che la rivoluzione proletaria ha ottenuto una
vittoria completa. Tutti quei socialisti che nel 1914 abbandonarono il nostro
tesoro più prezioso e tradirono al contempo la classe operaia tedesca e
l’Internazionale, sono tuttora al governo.
Ora, però, lavoratori
di tutto il mondo, gli operai tedeschi si rivolgono direttamente a voi e noi
crediamo di avere il diritto di presentarci a voi in loro nome. Fin dai primi
giorni della guerra abbiamo tentato di compiere il nostro dovere d’internazionalisti
combattendo con tutte le nostre forze questo governo criminale, smascherandone
la vera natura di criminale, reo di questa guerra.
Noi siamo adesso giustificati
davanti alla storia, all’Internazionale, ai lavoratori tedeschi. Le masse hanno
approvato la nostra politica con entusiasmo e ogni giorno un numero crescente di
gruppi riconosce che è giunta l’ora di saldare i conti con la classe
capitalista dominante. La classe lavoratrice tedesca non può, però, condurre
trionfalmente in porto questa grande impresa da sola; può lottare e vincere soltanto
con la collaborazione dei lavoratori del mondo intero.
Compagni dei paesi
belligeranti! Riconosciamo tutta la difficoltà della vostra attuale condizione;
sappiamo benissimo che proprio adesso i vostri governi, avendo vinto, stanno abbacinando
la mente popolare con lo splendore apparente della gloria e della vittoria;
sappiamo che per effetto di questi successi militari sono in grado di far
dimenticare ai popoli le cause e gli scopi di quest’assassinio. Sappiamo, però,
anche qualcos’altro. La nostra classe lavoratrice è stata terribilmente
sacrificata ed è stanca di quest’orribile carneficina; tornando alle sue case
trova solo povertà e miseria mentre sa che i miliardi si sono accumulati nelle
mani di certi capitalisti; capisce e sa che anche il nostro governo ha
appoggiato la guerra nell’interesse dei portafogli rigonfi. Riconosce, altresì,
che i vostri governi, come il nostro, hanno in mente soltanto i benefici della
classe capitalista quando parlano dei “diritti della civiltà”, della “difesa
delle piccole nazioni”. Il proletariato del vostro paese capirà che la pace del
cosiddetto diritto della “Società delle Nazioni” conduce alla stessa vile e meschina
rapacità della pace di Brest-Litovsk. Qui come là, la stessa avidità sfacciata,
la stessa prontezza a opprimere, la stessa decisione nello sfruttare fino agli estremi
limiti la supremazia brutale delle armi omicide. L’imperialismo di tutti i
paesi non sa che cosa voglia dire la parola “conciliazione”. Conosce soltanto
un diritto: i profitti della classe capitalista; un solo linguaggio: quello
della spada; un solo mezzo: la violenza. E quando nei vostri paesi come nel
nostro, si parla di una “Lega delle Nazioni”, di “disarmo”, dei “diritti delle
piccole nazioni”, della “libertà dei popoli di disporre di se stessi”, non si
fa che ripetere le solite menzogne delle classi dominanti, utili come sonnifero
per la vigile attenzione del proletariato.
Lavoratori di tutti i
paesi! Questa guerra deve essere l’ultima. Questo almeno dobbiamo ai dodici
milioni di vittime assassinate, ai nostri figli, all’umanità.
Se i rappresentanti
delle classi lavoratrici stendessero le loro mani per conseguire la pace sotto
la bandiera del socialismo, essa sarebbe conclusa in poche ore: non vi
sarebbero divergenze riguardo alla riva sinistra del Reno, la Mesopotamia,
l’Egitto o le colonie. Non vi sarebbe che un popolo: l’umanità lavoratrice di
tutte le razze e di tutte le lingue. Vi sarebbe un solo diritto: l’uguaglianza
di tutti gli esseri umani; un solo scopo: la prosperità e il progresso di
tutti.
Il genere umano ha di
fronte due alternative: la dissoluzione nell’anarchia capitalista o la
rinascita per mezzo della rivoluzione sociale. L’ora della decisione è suonata!
Se avete fede nel socialismo, è ora di provarlo con i fatti! ...
Lavoratori di tutti i
paesi! Se oggi noi vi chiamiamo a una lotta comune, non è nell’interesse dei
capitalisti tedeschi che cercano di sottrarsi alle conseguenze del loro delitto
designandosi come “nazione tedesca”; no, lo facciamo solo nell’interesse tanto
nostro che vostro. Riflettete! I vostri capitalisti trionfanti sono pronti a
soffocare nel sangue la nostra rivoluzione per la quale provano altrettanto
sgomento che per la vostra. Voi stessi, come frutto della “vittoria” non avete
maggior libertà; anzi, la “vittoria” ha rinsaldato le vostre catene. Se le
vostre classi governanti riescono a soffocare la rivoluzione proletaria in
Germania come in Russia, si rivolgeranno poi contro di voi con maggiore
ferocia. I vostri capitalisti sperano che la vittoria su di noi e sulla
rivoluzione russa permetta loro di punire voi e di stabilire sulla tomba del
socialismo, un impero, un millennio di sfruttamento! Ecco perché vi gridiamo:
avanti, alla lotta! Avanti, all’azione! Non è più il tempo delle vuote
manifestazioni, delle deliberazioni platoniche, delle frasi squillanti: per
l’Internazionale è suonata l’ora dell’azione. Noi vi sproniamo a eleggere
ovunque dei Consigli di operai e di soldati che s’impadroniscano del potere
politico e ristabiliscano la pace agendo di comune accordo.
Né Lloyd George, né
Poincaré, né Sonnino, né Wilson, né Erzberger, né Scheidemann dovrebbero stipulare
la pace. Questa dovrebbe essere stabilita soltanto sotto le bandiere della
rivoluzione socialista mondiale.
Lavoratori di tutti i
paesi! Noi vi chiamiamo a compiere il lavoro della liberazione socialista; a
ridare un’organizzazione al genere umano violentato e a tradurre in realtà la
frase con cui già un tempo usavamo salutarci prima di separarci:
“L’internazionale salverà il genere umano!”.
Firmatari: Clara Zetkin, Rosa Luxembourg, Karl
Liebknecht, Franz Mehring
MANIFESTO “NEOSPARTACHISTA”
AI LAVORATORI/CONSUMATORI DEL MONDO
Proposta
di détournement del manifesto spartachista ai tempi della “guerra”del virus. Sergio
Ghirardi, Agosto 2020
Lo spirito di rivolta ricomincia
a circolare nel mondo. Le masse cominciano appena a sollevarsi in modo nuovo, con
una nuova sensibilità, con una nuova coscienza di specie affiorante contro un
capitalismo che sfrutta, opprime, affama, aliena, inquina e fa morire più che
mai. Quel terribile strumento di oppressione, quel flagello del genere umano
che sono i singoli Stati mascherati da nazioni, ha distrutto la comunità umana nel
locale, nel nazionale e nell’internazionale.
Il produttivismo non era
abbastanza contento di avere ridotto gli insediamenti locali – i borghi, le
città, poi le regioni – a Città-Stato mercantili et guerriere, di avere poi fatto
un uso ideologico della nazione per imporre – tra feudalesimo e capitalismo –
quegli Stati-Nazione che hanno fatto del nazionalismo una paranoia fascista dissimulatrice
di un becero statalismo predatore. Ha infine inventato il super Stato europeo la
cui logica totalitaria ha definitivamente decomposto le nazioni di origine,
facendo risorgere per reazione, peste contro peste, un’ottusa retorica
sovranista che non ha nulla a che fare con la nazione organica. Quest’ultima,
infatti, è stata – e potrebbe esserlo ancora, una volta liberata della
connotazione reazionaria che oggi la inquina irrimediabilmente – un passaggio
obbligato dal locale al planetario, dal particolare all’universale. Essa
rappresenta, infatti, un momento di sintesi progressiva e di superamento dialettico
del clan d’appartenenza primario, successivamente allargatosi alla gens (il
génos greco) e in seguito alla tribù, poi alla dimensione regionale e finalmente,
appunto, alla nazione intesa nel senso datole, per esempio, dai popoli
originari d’America che la civiltà produttivista ha sterminato quasi totalmente
nell’arco di tempo di meno di un secolo.
Guarda caso, questo
genocidio statalista programmato è stato immortalato dal cinema hollywoodiano
con La Nascita di una nazione (Birth of a
Nation, D. W. Griffith, 1915). Così, gli Stati Uniti, effettivamente
nascenti, si sono presentati – ancora una volta come tutti i loro predecessori
e i loro eredi suprematisti a venire – sotto l’apparenza illusoria di quella
nazione organica che stavano sterminando, segregando in ghetti concentrazionari
chiamati riserve i sopravvissuti delle nazioni autoctone d’origine del nuovo
continente.
Dovunque sul pianeta,
sono le nazioni indigene delle civiltà antiproduttiviste (un esempio tra i
tanti, gli Irochesi, la cui Confederazione includeva cinque nazioni), che ci
mancano crudelmente per rompere con una civiltà predatrice di cui restiamo
figli anche dopo aver letto Marx e la sua pertinente critica radicale
dell’economia politica.
Dentro e oltre il
marxismo, infatti, la rivoluzione sociale deve ancora riappropriarsi del
concetto di società organica e, precisando il suo sviluppo storico, distinguere
la nazione organica da quella politica che implica lo Stato predatore e
imperialista della civiltà produttivista. Questa confusione coltivata fin dalla
nascita dello Stato, passato dal controllo delle città a quello delle nazioni
praticando cinicamente la stessa logica imperialista, è alla radice del
sovranismo. Trionfante ieri, il nazionalismo più becero piagnucola o sbraita
oggi contro il totalitarismo europeo per opporgli un ritorno ai colonialismi
nazionali passati che hanno reso malato l’intero pianeta praticandovi i
genocidi, lo schiavismo e lo sfruttamento.
Liberata, e noi con
lei, dalla peste emozionale produttivista, la nazione organica è incompatibile
con lo Stato e non ha nulla a che vedere con il nazionalismo che è nei fatti
un’ideologia suprematista dello Stato travestitosi in nazione. In origine, quest’ultima
è, infatti, l’affermazione dell’identità collettiva mobile di un soggetto non
suprematista, aperto e costantemente cangiante per il contributo di
rinnovamento culturale che i movimenti di popolazione possono, eventualmente,
apportargli; questa nazione, oggi annichilita, come tutto l’umano, dalla
civiltà produttivista e dalla sua peste emozionale sociale e politica, è un
punto nodale cruciale che dal locale permette il passaggio a quell’universalità
che gli internazionalisti hanno sempre sostenuto, includendo il concetto di
nazione che volevano superare dialetticamente.
Così l’abrogazione
dell’attuale super Stato Europeo sarà l’atto preparatorio di una vera Organizzazione delle Nazioni Unite planetaria il cui internazionalismo impedirà il ritorno al
passato sognato da tutti i fascismi.
Così, per esempio,
nessuna nazione detta “indiana” ha mai voluto eliminare i suoi vicini. Come
sempre e dovunque nelle società organiche, le guerre erano unicamente dei
conflitti tribali per la difesa dei territori di raccolta, di coltivazione e di
caccia che le società matricentriche sapevano spesso regolare senza ricorso
alla violenza bruta[1].
Così gli zapatisti
hanno per loro difesa un esercito zapatista
di liberazione nazionale (EZLN), pur professandosi assolutamente e fortemente
internazionalisti; così al Rojava, dove si aborre il patriarcato che
dell’ambiguo connubio tra Stato e nazione ha fatto il totem moderno del suo
suprematismo predatore, si rivendica una storia peculiare curda pur nell’intesa
tra le numerose culture ed etnie presenti.
La riappropriazione
libertaria del concetto antropologico di nazione
organica permetterebbe di riconoscersi uguali internazionalmente appunto
perché la storia delle nazioni organiche è quella dell’aiuto reciproco, della
solidarietà e degli affetti ricambiati che costituiscono un popolo in quanto
tale. Questa nazione non ha nemici se non i suoi aggressori, non esclude lo
straniero che arriva amichevolmente, esule o semplicemente in viaggio.
Mentre lo Stato,
patriarcale per natura, attacca, preda e ghettizza, la nazione, matricentrica, non
fa che difendere la sua vita per esistere in natura. Essa non è altro che l’identificazione
riconosciuta da un popolo del luogo, cibo, lingua, costumi, cultura, gusti comuni,
il tutto in costante mutazione per un’evoluzione condivisa in mezzo ad altre
storie diverse e altrettanto rispettabili. Ecco perché il concetto di nazione
organica riguarda la nascente rivoluzione mondiale antiproduttivista: perché un
movimento a vocazione planetaria non può che partire dal locale percorrendo sintesi
dialettiche successive di cui la nazione è un passaggio inevitabile.
La crisi del
coronavirus è stata un rivelatore potente e definitivo del cinismo e del
pericolo della società dominante per la nostra sopravvivenza e per la nostra salute.
La gente di potere mente come respira. In ogni nazione colpita dal virus, dei
gruppi di affinità spontanei[2] hanno costituito
briciole preziose di comunità umana reale e hanno risposto con coraggio e
abnegazione all’indecenza burocratica di politici e di baroni della medicina sul
libro paga delle multinazionali farmaceutiche che dai loro trespoli mediatici difendevano
il sistema globale manipolando la plebe, le sue paure giustificate e il suo
irrazionalismo gregario capace di tutti i deliri mistici.
L’umano e il disumano
non si possono più confondere in un magma consumistico che ha ridotto gli umani
a schiavi reali di un’apparenza di cui la rete numerica è la nostra nuova prigione.
Il vomito discorsivo dei “socials”virtuali fa sì che ormai più nessuno è
abilitato a parlare in nome dei lavoratori/consumatori schiavi di una merce
feticizzata. Passando per i computer e i telefonini, la merce ha invaso il
pianeta, le menti e i cuori, i sentimenti e la sessualità, l’universo e il
quotidiano. Nessuna rivoluzione sarà più possibile se non a partire dalle
Comuni locali, da gruppi di affinità vissuta nel quotidiano di ogni soggetto, per
arrivare, di assemblea in assemblea, al planetario, all’universale
internazionalista.
L’emancipazione del
proletariato assoluto creato dal capitale finanziario sarà l’opera della sua
autorganizzazione senza partiti di destra o di sinistra, di dio o del diavolo, fascisti
o socialisti, che pretendano di guidarlo verso giorni più felici decisi
dall’alto, qualunque sia l’alto in questione, Dio, il capo di Stato, il
computer o il telefono portatile. Solo i Consigli di gruppi d’affinità locali
federati sempre meglio e sempre di più, a tutti i livelli della sfera sociale,
coscienti che la loro autonomia è necessaria alla libertà di tutti, potranno soppiantare
la truffa della democrazia parlamentare e l’ipnosi del mondo virtuale, realizzando
il sogno infranto dalle rivoluzioni sedicenti comuniste del tragico ventesimo
secolo.
Lavoratori/consumatori
di tutti i paesi! Questa guerra deve essere l’ultima. Questo almeno dobbiamo ai
nostri figli, all’umanità, ai morti di tutte le rivoluzioni fallite, a quelli di
corona virus, delle patologie cancerogene e delle altre pesti dovute
all’industrializzazione, ai miliardi di sfruttati senza vergogna, a tutte le
vittime delle nocività che il produttivismo nella sua fase terminale
capitalista ci impone come una forma di sfruttamento aggiunto a quello
tradizionalmente subito e combattuto dal movimento operaio di un tempo.
Come la
socialdemocrazia tedesca ha assassinato i rivoluzionari spartachisti, i
socialisti di oggi sono complici di tutti i servi del sistema che distrugge la
biosfera, inquina il pianeta, aumenta la crisi climatica ben oltre i suoi
aspetti naturali e prepara come unica fine del capitalismo quella dell’umanità
che lo subisce da secoli. La questione ecologica è troppo importante per
lasciarla nelle mani degli ambientalisti, appropriamocene collettivamente come
cuore della questione sociale, per una difesa concreta dell’ecosistema, introducendo
dei Consigli delle Comuni, delle regioni e così via fino a una coerente azione
planetaria che instauri, senza tentennamenti, un’autogestione generalizzata
della vita quotidiana.
A differenza dei
teorici di un tempo che criticavano il capitalismo senza mai mettere in
discussione il produttivismo, noi – gruppi di affinità in via di costituzione
per una democrazia diretta che cancelli l’attuale democrazia totalitaria –, vi
chiediamo di riflettere e capire che produrre per il bene di tutti o produrre
per arricchire l’economia politica e l’oligarchia che ne approfitta sono due
mondi ancora più inconciliabili di quanto lo fossero la classe dominante borghese
e la classe dominata del proletariato.
Oggi è direttamente e
definitivamente la società umana organica, capace d’inventare soluzioni nuove
ai problemi antichi, che riaffiora dai ricorsi della storia, senza nessuna
concessione al primitivismo, per criticare la società mostruosa che il
Leviatano produttivista ha realizzato come risultato finale di millenni di
schiavitù e gerarchie di potere. Alla loro orrenda visione del progresso noi
risponderemo con la nostra rivoluzione acratica, senza vendette né punizioni –
soltanto l’abolizione definitiva, decisa collettivamente, di un mondo
invivibile e intollerabile, sostituito da quella società organica messa al
bando da sei millenni di produttivismo.
Le masse cominciano a
muoversi con entusiasmo e non solo con rabbia, nonostante l’educazione atavica alla
logica del dominio gerarchico che forgia dei servi aditi alla sottomissione e
allo sfruttamento sia da parte dei padroni dell’economia che dei burocrati di
una rivoluzione sociale tradita e tradotta in un capitalismo di Stato. Ad altri
stabilire dalle loro soporifere poltrone intellettuali se questo progetto sia
troppo ottimista o troppo pessimista, troppo pacifico o troppo violento;
limitiamoci a scommettere, senza certezze ma neppure piagnucolii, sulla volontà
di finirla con le sconfitte tragiche che il fascismo rosso dell’ideologia
rivoluzionaria ha offerto al fascismo nero dei capitalisti fieri di esserlo e
agli eserciti bianchi di servitori volontari che marciano senza capire dove
vanno.
Compagni di tutti i
paesi, di tutte le nazioni colpite ora da un virus planetario, il nostro comune
interesse è di rimettere la vita al centro del progetto sociale al posto dell’economia
che ne fa le veci da troppo tempo, sempre di più e sempre peggio. Nessuna
ideologia ci libererà, solo la nostra voglia concreta di vivere in fraternità,
libertà e uguaglianza. Nessuno ci obbligherà a ciò se non la coscienza che al
di fuori di questa solidarietà comune c’è solo la morte in attesa. Nessun
progresso potrà più venderci l’alienazione come un affare redditizio, la
perdita del proprio essere come un vantaggio calcolabile in averi che crescono
a dismisura, lasciando sempre più posto all’apparenza. Alla fine di quest’ipnosi
collettiva, c’è soltanto quella morte che fa paura e che ride di noi, umiliati
sotto la maschera che ci protegge un po’ (almeno dalle multe a chi non la porta),
ma non abbastanza. Ci stiamo rendendo conto, volenti o nolenti, che la morte è resa
ben peggiore dal fatto di aver rinunciato alla vita inginocchiandosi di fronte
al feticcio della merce che sta rendendo virtuale la nostra stessa esistenza.
Lavoratori/consumatori
di tutti i paesi! Noi vi chiamiamo a compiere il lavoro della liberazione
sociale; a ridare un’organizzazione al genere umano violentato e a tradurre in
realtà la frase con cui già un tempo usavamo salutarci prima di separarci:
“L’internazionale salverà il genere umano!”.
[1] L’incremento maggiore alle guerre tra i popoli è stato dato, infatti, dal bisogno di racimolare schiavi e schiave per far funzionare al massimo il pesante lavoro agricolo produttivista.
[2] Il pensiero va al personale medico, mal protetto, che ha curato i malati infettati anche in forme gravi e a volte mortali, ma anche ai lavoratori della distribuzione dei beni di consumo necessari, solidali con i consumatori obbligati a frequentare i supermercati per sopravvivere durante il confinamento.
Manifeste spartakiste aux travailleurs du monde
Au-delà de son évident intérêt historique à la fin de la première guerre
mondiale, ce manifeste fut aussi un des derniers écrits signés par Rosa
Luxembourg et Karl Liebknecht avant leur exécution voulue par les
sociaux-démocrates allemands (NdT).
La révolution a éclaté en Allemagne. Les masse se sont soulevées : les soldats qui pendant quatre années avaient été envoyés au massacre par les spéculateurs capitalistes, les ouvriers qui avaient été exploités, opprimés, affamés. Ce terrible instrument d’oppression, ce fléau de l’être humain qui était l’Etat prussien a été abattu ; ses représentants les plus significatifs et les plus responsables de la guerre – le Kaiser et le Kronprinz (prince héritier) – ont du s’enfuir alors que partout en Allemagne se constituaient des Conseils ouvriers et de soldats.
Travailleurs de tous les pays ! Nous ne disons pas que maintenant le
pouvoir en Allemagne est totalement dans les mains des masses travailleuses ni
que la révolution prolétaire a obtenu une complète victoire. Tous ces
socialistes qui en1914 abandonnèrent notre trésor le plus précieux et trahirent
en même temps la classe ouvrière allemande et l’Internationale, sont toujours
au gouvernement.
Maintenant, toutefois, travailleurs de tout le monde, les ouvriers allemands
vous interpellent directement et nous croyons d’être en droit de nous présenter
à vous en leur nom. Depuis les premiers jours de la guerre nous avons essayé
d’accomplir notre devoir d’internationalistes en combattant avec toutes nôtres
forces ce gouvernement criminel, en démasquant sa vraie nature criminelle,
coupable de cette guerre.
Nous sommes maintenant justifiés devant l’histoire, l’Internationale, les
travailleurs allemands. Les masses ont approuvé notre politique avec
enthousiasme et chaque jour un nombre croissant de groupes reconnait que
l’heure est arrivée de régler les comptes avec la classe capitaliste dominante.
La classe travailleuse allemande ne peut pas, néanmoins, conduire toute seule
triomphalement à bon fin cette grande entreprise, elle peut se battre et gagner
uniquement avec la collaboration des travailleurs du monde entier.
Camarades des pays en guerre ! Nous reconnaissons toute la difficulté
de votre condition actuelle ; on sait très bien que juste maintenant, vos
gouvernements, en ayant gagné, sont en train d’éblouir les idées populaires
avec la splendeur apparente de la gloire et de la victoire ; on sait qu’à
cause de ses succès militaires ils peuvent faire oublier aux peuples les causes
et les buts de cet assassinat. On sait, néanmoins, aussi autre chose. Notre
classe travailleuse a été terriblement sacrifiée et elle est fatiguée de cet
horrible carnage ; revenant à la maison elle ne trouve que pauvreté et
misère alors qu’elle sait que les milliards se sont accumulés dans les mains de
certains capitalistes ; elle comprend et sait que même notre gouvernement
a appuyé la guerre dans l’intérêt des portefeuilles bien remplis. Elle reconnaît,
d’ailleurs, que vos gouvernements, comme le notre, ne pensent qu’aux bénéfices
de la classe capitaliste quand ils parlent des « droits de la
civilisation », de la « défense des petites nations ». Le prolétariat
de votre pays comprendra que la paix du soi-disant droit de la « Société
des Nations » conduit à la même lâche et vulgaire rapacité de la paix de
Brest-Litovsk. Ici comme là, la même avidité sans gène, la même promptitude à
opprimer, la même détermination à exploiter jusqu’aux limites extrêmes la
brutale supériorité des armes homicides. L’impérialisme de tous les pays ne
sait pas ce que signifie le mot « conciliation ». Il ne connaît qu’un
droit : les profits de la classe capitaliste ; un seul langage :
celui de l’épée ; un seul moyen : la violence. Et quand dans vos pays
comme dans le notre, on parle d’une « Ligue des nations » de
« désarmement », de « droits des petites nations », de la
liberté des peuples à disposer d‘eux-mêmes » on ne fait que répéter les
mensonges habituelles des classes dominantes, utiles comme somnifère pour
l’attention vigile du prolétariat.
Travailleurs de tous les pays ! Cette guerre doit être la dernière. On
doit au moins ça aux douze millions de victimes assassinées, à nos enfants, à
l’humanité.
Si les représentants des classes travailleuses étendraient leurs mains pour
obtenir la paix sous le drapeau du socialisme, elle serait chose faite en
quelques heures ; pas de divergences concernant la rive gauche du Rhin, la
Mésopotamie, l’Egypte ou les colonies. Il n’y aurait qu’un peuple :
l’humanité travailleuse de toutes les races et de toutes les langues. Il y
aurait un seul droit : l’egalité de tous les êtres humains ; un seul
but : la prospérité et le progrès pour tous.
Le genre humain a en face de lui deux possibilités : la dissolution
dans l’anarchie capitaliste ou la renaissance par la révolution sociale.
L’heure de la décision est sonnée ! Si vous croyez dans le socialisme
c’est l’heure de le prouver par les faits ! …
Travailleurs de tous les pays ! Si nous vous appelons aujourd’hui à
une lutte commune, ce n’est pas dans l’intérêt des capitalistes allemands qui
cherchent de se soustraire aux conséquences de leur délit en se désignant comme
« nation allemande » ; non, nous le faisons uniquement dans
votre intérêt autant que du nôtre. Réfléchissez ! Vos capitalistes
triomphants sont prés à étouffer dans le sang notre révolution pour laquelle
ressentent autant d’effroi que pour la votre. Vous-mêmes, comme fruit de la
« victoire » vous n’avez pas une majeure liberté ; au contraire,
la « victoire » a renforcé vos chaines. Si vos classes gouvernantes
arrivent à suffoquer la révolution prolétaire en Allemagne comme en Russie, ils
se dirigeront après contre vous avec une plus grande férocité. Vos capitalistes
espèrent que la victoire sur nous et sur la révolution russe leur permettra de
vous punir et d’établir sur la tombe du socialisme, un empire, un millénaire
d’exploitation ! Voilà pourquoi on vous crie : avant, à la
lutte ! Avant, à l’action ! Ce n’est plus le temps aux manifestations
vides, aux délibérations platoniques, aux phrases sonores : pour
l’Internationale a sonne l’heure de l’action. Nous vous invitons à élire
partout des Conseils d’ouvriers et de soldats qui s’emparent du pouvoir
politique et rétablissent la paix en agissant de commun accord.
Ni Lloyd George, ni Poincaré, ni Sonnino, ni Wilson, ni Erzberger, ni
Scheidemann devraient signer la paix. Celle-ci devrait être conclue uniquement
sous les drapeaux de la révolution socialiste mondiale.
Travailleurs de tous les pays ! Nous vous appelons à accomplir le
travail de la liberation socialiste, a redonner une organisation au genre
humain violenté et à traduire en réalité la phrase qu’on utilisait déjà
auparavant pour nous saluer avant de se
séparer : « L’Internationale sauvera le genre humain ! ».
Signataires :
Clara Zetkin, Rosa Luxembourg, Karl Liebknecht, Franz Mehring
Manifeste « néo
spartakiste » aux travailleurs/consommateurs du monde
Proposition de détournement du
manifeste spartakiste à l’époque de la « guerre » au virus. Sergio
Ghirardi, Aout 2020
L’esprit de révolte recommence à circuler dans le monde. Les masses
commencent à peine à se soulever de façon nouvelle, avec une nouvelle
sensibilité, avec une nouvelle conscience d’espèce émergeant contre un
capitalisme qui exploite, opprime, affame, aliène, pollue et fait mourir plus
que jamais. Ce terrible instrument d’oppression, ce fléau du genre humain que
sont les Etats – chacun d’eux individuellement– affublés en nations, a détruit
la communauté humaine au niveau local, national et international.
Le productivisme n’était pas assez satisfait d’avoir réduit les
installations locales – les bourgs, les villes, puis les régions – à des Cités-Etat
marchandes et guerrières ; d’avoir ensuite fait une utilisation idéologique
de la nation pour imposer – entre féodalisme et capitalisme – ces Etats-Nation
qui ont fait du nationalisme une paranoïa fasciste dissimulatrice d’un vulgaire
étatisme prédateur. Il a finalement inventé le super Etat européen dont la
logique totalitaire a définitivement décomposé les nations d’origine, en
faisant ressurgir par réaction, peste contre peste, une obtuse rhétorique
souverainiste qui n’a rien à faire avec la nation organique. En fait, celle-ci
a été – et elle pourrait encore être, une fois libérée de la connotation
réactionnaire qui la pollue aujourd’hui irrémédiablement – un passage obligé du
local au planétaire, du particulier à l’universel. Car elle représente un
moment de synthèse progressive et de dépassement dialectique du clan
d’appartenance primaire, élargi ensuite à la gens (le génos grec) puis à la
tribu et à une dimension régionale et enfin, justement, à la nation entendue
dans le sens, par exemple, des peuples originaires d’Amérique que la
civilisation productiviste a exterminé presque totalement pendant la période d’un
petit siècle.
Quel hasard que ce génocide étatiste programmé ait été immortalisé par le
cinéma hollywoodien par La naissance
d’une nation (Birth of a Nation, D. W. Griffith, 1915). Ainsi, les Etats
Unis, effectivement naissants, se sont présentés – une fois de plus, comme tous
leur prédécesseurs et leurs héritiers suprématistes à venir –- affublés de l’apparence
trompeuse d’une nation organique qu’ils étaient en train d’exterminer en
ségrégant dans des ghettos concentrationnaires appelés réserves les rescapés
des authentiques nations autochtones d’origine du nouveau continent.
Partout sur la planète, ce sont les nations indigènes des civilisations
anti productivistes (un exemple entre autres, les Iroquois dont la
Confédération incluait cinque nations) qui nous manquent cruellement pour
rompre avec une civilisation prédatrice dont nous restons les fils même après
avoir lu Marx et sa pertinente critique radicale de l’économie politique.
Dedans et au-delà du marxisme, en fait, la révolution sociale doit encore
se réapproprier du concept de société organique et, en précisant son développement
historique, distinguer la nation organique de la nation politique qui implique
l’Etat prédateur et impérialiste de la civilisation productiviste. Cette
confusion entretenue depuis la naissance de l’Etat, passé du contrôle des cités
à celui des nations par la pratique cynique de la même logique impérialiste,
est à la racine du souverainisme. Hier triomphant, le nationalisme le plus
grossier pleurniche ou braille aujourd’hui contre le totalitarisme européen
pour lui opposer un retour aux colonialismes nationaux passés qui ont rendue
malade la planète entière en y pratiquant les génocides, l’esclavagisme et
l’exploitation.
Libérée, et nous avec elle, de la peste émotionnelle productiviste, la
nation organique est incompatible avec l’Etat et n’a rien à voir avec le
nationalisme qui est, en fait, une idéologie suprématiste de l’Etat déguisé en
nation. Car celle-ci est, en origine, l’affirmation de l’identité collective
mouvante d’un sujet non suprématiste, ouvert et constamment changeant par la
contribution de renouvèlement culturel que les mouvements des populations peuvent,
éventuellement, lui apporter ; cette nation, aujourd’hui annihilée, comme
tout l’humain, par la civilisation productiviste et sa peste émotionnelle
sociale et politique, est un nœud crucial que du local permet le passage à
cette universalité que les internationalistes ont toujours soutenu, en incluant
le concept de nation qu’ils voulaient dépasser dialectiquement.
Ainsi l’abrogation du super Etat Européen sera l’acte préparatoire d’une vraie
Organisation des Nations Unies planétaire dont l’internationalisme empêchera le retour au
passé rêvé par tous les fascismes.
Ainsi, par exemple, aucune nation dite« indienne » n’a jamais
voulu éliminer ses voisins. Comme depuis toujours et partout dans les sociétés
organiques, les guerres étaient uniquement des conflits tribaux pour la défense
des territoires de cueillette, de culture et de chasse que les sociétés matri
centriques savaient souvent régler sans recours à la violence brutale[1].
Ainsi les zapatistes ont pour leur défense, une Armée zapatiste de liberation nationale (EZLN), tout en se professant
absolument et fortement internationalistes ; ainsi au Rojava, tout en
conchiant le patriarcat qui a fait de l’ambigu mélange d’Etat et nation le
totem moderne de son suprématisme prédateur, on revendique une histoire particulière
kurde dans l’entente, néanmoins, entre les nombreuses cultures et ethnies
présentes.
La réappropriation libertaire du concept anthropologique de nation organique permettrait de se
reconnaître égaux internationalement car, justement, l’histoire des nations
organiques est celle de l’entraide, de la solidarité et des affections
réciproques qui constituent un peuple en tant que tel. Cette nation n’a pas
d’ennemis sinon ses agresseurs, n’exclue jamais l’étranger qui arrive
amicalement, exilé ou simple voyageur.
Alors que l’Etat, patriarcal par nature, attaque, pille et bâtit des
ghettos, la nation, matri centrique, ne fait que défendre sa vie pour exister
en nature. Elle n’est rien d’autre que l’identification reconnue par un peuple
du lieux, nourriture, langue, mœurs, culture, goûts communs, le tout en perpétuelle
mutation par une évolution partagée côtoyant d’autres histoires differentes et
aussi respectables. Voilà pourquoi le concept de nation organique concerne la
naissante révolution mondiale anti productiviste : parce qu’un mouvement à
vocation planétaire ne peut que partir du local parcourant des synthèses
dialectiques successives dont la nation est un passage incontournable.
La crise du Coronavirus a été un révélateur puissant e définitif di cynisme
et du danger de la société dominante pour notre survie et pour notre santé. Les
gens du pouvoir mentent comme ils respirent. Dans chaque nation frappée par le
virus, des groupes d’affinité spontanés[2] ont
constitué des miettes précieuses de communauté humaine réelle en répondant avec
courage et abnégation à l’indécence bureaucratique des politiciens et des
barons de la médicine au solde des multinationales pharmaceutiques qui del
leurs perchoirs médiatiques défendaient le système global manipulant la plèbe,
ses peurs justifiées et son irrationalisme grégaire capable de tous les délires
mystiques .
L’humain et l’inhumain ne peuvent plus être confondus dans un magma
consumériste qui a réduit les humains à des esclaves réels d’une apparence dont
le réseau numérique est notre nouvelle prison. A la suite du vomi discursif des
« socials » virtuels, plus personne, désormais, est habilité à parler
au nom des travailleurs/consommateurs esclaves de la marchandise fétichisée. Laquelle,
passant par les ordinateurs et les téléphones portables, a envahi la planète,
les cerveaux et les cœurs, les sentiments et la sexualité, l’univers et le
quotidien. Aucune révolution ne sera plus possible sinon à partir des Communes
locales, de groupes d’affinité vécue dans le quotidien de chaque sujet, pour
arriver, d’assemblée en assemblée, au planétaire, à l’universel internationaliste.
L’émancipation du prolétariat absolu crée par le capital financier sera
l’œuvre de son auto organisation sans partis de droite ou de gauche, de dieu ou
du diable, fascistes ou socialistes qui prétendent de le conduire vers des
jours plus heureux décidés par le haut, peu importe de quel haut est-il
question, Dieu, le chef de l’Etat, l’ordinateur ou le telephone portable. Seuls
les Conseils de groupes d’affinités locaux fédérés toujours mieux et toujours
plus, à tous les niveaux de la sphère sociale, conscients que leur autonomie
est nécessaire à la liberté de tous, pourront supplanter l’arnaque de la
démocratie parlementaire et l’hypnose du monde virtuel, en réalisant le rêve
brisé par les révolutions soi-disant communistes du tragique vingtième siècle.
Travailleurs/consommateurs de tous les pays ! Cette guerre doit être
la dernière. On doit au moins ça à nos enfants, à l’humanité, aux morts de
toutes les révolutions ratées, à ceux du coronavirus, des pathologies
cancérigènes et des autres pestes dues à l’industrialisation, aux milliards
d’exploités sans vergogne, à toutes les victimes des nuisances que le productivisme
dans sa phase terminale capitaliste nous impose comme une forme d’exploitation
ajoutée à celle traditionnellement subie et combattue par le mouvement ouvrier
d’antan.
Comme la social démocratie allemande a assassiné les révolutionnaires
spartakistes, les socialistes d’aujourd’hui sont complices opportunistes de
tous les serviteurs du système qui abîme la biosphère, pollue la planète,
augmente la crise climatique bien au-delà de sa modification naturelle et
prépare comme seule fin du capitalisme celle de l’humanité qui le subit depuis
des siècles. La question écologique est trop importante pour la laisser aux
mains des environnementalistes, saisissons-la collectivement comme le cœur de
la question sociale, pour une défense concrète de l’écosystème, en introduisant
des Conseils des Communes, des régions, et ainsi de suite jusqu’à une action
planétaire cohérente qui instaure, sans atermoiements, une autogestion
généralisée de la vie quotidienne.
A la différence des théoriciens d’antan qui critiquaient le capitalisme
sans jamais mettre en cause le productivisme, nous – groupes d’affinité en voie
de constitution pour une démocratie directe qui efface l’actuelle démocratie
totalitaire – vous demandons de réfléchir et comprendre que produire pour notre
bien à tous ou produire pour enrichir l’économie politique et l’oligarchie qui
en profite, sont deux mondes bien plus inconciliables encore que ceux de la
classe dominante bourgeoise et de la classe dominée du prolétariat.
Aujourd’hui est directement et définitivement la société humaine organique,
capable d’inventer des nouvelles solutions aux problemes anciens, qui émerge de
nouveau des recours de l’histoire, sans cautionner aucun primitivisme, pour
critiquer la société monstrueuse que le Léviathan productiviste a réalisé comme
résultat final de millénaires d’esclavage et de hiérarchies de pouvoir. A leur horrible
vision du progrès, nous répondrons avec notre révolution acratique sans
vengeances ni châtiments – uniquement l’abolition définitive, décidée
collectivement, d’un monde invivable et intolérable, substitué par une société
organique mise sur la touche par six millénaires de productivisme.
Les masse commencent a bouger avec de l’enthousiasme et pas uniquement de
la rage, malgré l’éducation atavique à la logique de la domination hiérarchique
qui forge des larbins près à la soumission et à l’exploitation autant par les
patrons de l’économie que par les bureaucrates d’une révolution trahie et
traduite en un capitalisme d’Etat. A d’autres d’établir dans leurs soporifiques
fauteuils intellectuels si ce projet est trop optimiste ou trop pessimiste,
trop pacifique ou trop violent ; limitons-nous à parier sans certitudes
mais sans pleurnichements non plus, sur la volonté d’en finir avec les défaites
tragiques que le fascisme rouge de l’idéologie révolutionnaire a offert au
fascisme noir des capitalistes fiers de l’être et aux armées blanches de
serviteurs volontaires qui marchent sans comprendre où ils vont.
Camarades de tous les pays, de toutes les nations frappées maintenant par
un virus planétaire, notre intérêt commun est de remettre la vie au centre du
projet social à la place de l’économie qui l’a révoquée depuis longtemps,
toujours plus et toujours pire. Aucune idéologie ne nous libérera, seule notre
envie concrète de vivre en fraternité, liberté et egalité. Personne ne nous y obligera
sinon la conscience qu’en dehors de cette solidarité commune il n’y a que la
mort en attente. Aucun progrès ne pourra plus nous vendre l’aliénation comme une
affaire rentable, la perte de son être comme un avantage calculable en avoirs
qui s’accroissent à démesure, en laissant de plus en plus la place au paraître.
A la fin de cette hypnose collective, il n’y a que cette mort qui fait peur et
qui se moque de nous, humiliés sous le masque qui nous protège un peu (du moins
des contraventions infligées à qui ne le porte pas), mais pas assez. On est en
train de se rendre compte, qu’on le veuille ou pas, que la mort est rendue bien
pire par le fait d’avoir renoncé à la vie en s’agenouillant face au fétiche de
la marchandise en train de rendre virtuelle notre existence même.
Travailleurs/consommateurs de tous les pays ! Nous vous appelons à
accomplir le travail de la liberation sociale, a redonner une organisation au
genre humain violenté et à traduire en réalité la phrase qu’on utilisait déjà
auparavant pour nous saluer avant de se
séparer : « L’Internationale sauvera le genre
humain ! ».
[1] L’incrément majeur des guerres entre les peuples a été du
au besoin de ramasser des esclaves des deux genres pour faire fonctionner au
maximum l’harassant travail agricole productiviste.
[2] On pense au personnel médical, mal protégé, qui a soigné les
malades infectés par le virus aussi en formes graves et parfois mortelles, mais
aussi aux travailleurs de la distribution des biens de consommation nécessaires,
solidaires avec les consommateurs obligés à fréquenter les supermarchés pour
survivre dans le confinement.