Miquel Amorós Peidro (Alcoi, 1949) ha partecipato alle
mobilitazioni studentesche e operaie degli anni Settanta; ha scritto numerosi
libri e articoli su temi come la Rivoluzione del 1936, il movimento autonomo o
le tesi contro lo sviluppo; ha appena pubblicato El proletariado salvaje. Movimiento
asambleario y autonomía obrera (Editoriale
Milvus). Abbiamo parlato con lui a Casal de Barri de Prosperitat, vicino alla
piazza – ribattezzata dal quartiere – dei lavoratori della ditta Harry Walker,
che nel 1971 fecero il primo grande sciopero autonomo a Barcellona.
Non sono stati scritti
molti libri sull'autonomia operaia e sul movimento assembleare...
Non molti, perché l'autonomia operaia disturba. Migliaia di
libri sono stati scritti sulla guerra civile, perché è così lontana che tutti
possono rivendicarne una parte e trovare una certa legittimità, ma questo è
recente. Un movimento operaio abbastanza indipendente ha guidato le proteste
più importanti dell'epoca destabilizzando il franchismo. Di fatto, la
legalizzazione dei sindacati è stata rapida per porre fine alle assemblee. L'ho
vissuto intensamente, sono stato esiliato in Francia, ho incontrato il popolo
del maggio 1968 e poi è avvenuta la rivoluzione in Portogallo, con occupazioni
di fabbriche e quartieri militari. Pensavamo che fosse possibile un'azione
autonoma del proletariato; e tanto più sapendo che se avessimo lasciato agire
l'opposizione ufficiale, sarebbe stata d'accordo con la parte del regime che
voleva rinnovarsi e questo avrebbe dato vita a un sistema politico ibrido, con
aspetti parlamentari, ma fondamentalmente autoritario, perché totalmente erede
della dittatura: legislazione, polizia, giudici, militari, curati, tutto
intatto. Il movimento operaio fu gravato dai Patti di Moncloa, dove si è
patteggiato di non scioperare; e con lo Statuto dei lavoratori, che
praticamente vietava le assemblee, si legiferava in modo che fossero
impossibili. Quelle erano assemblee dove andava gente di altre fabbriche, anche
gente del quartiere, chiunque poteva parlare, si andava alla pratica, attraverso
l’azione, l’azione rivendicativa. Non era come le assemblee di adesso, dei 15M
e tutto il resto, che è un'altra storia...
In che senso?
Quelle erano assemblee di lotta. Non c'erano sindacati,
allora i lavoratori crearono strutture che erano forme di libertà, senza
rendersene conto: assemblee, delegati eleggibili e revocabili, picchetti,
commissioni, coordinatori... Tutte queste erano creazioni del movimento operaio
dell'epoca, che scopriva forme di libertà che si potevano applicare a tutto. In
alcuni luoghi, soprattutto nei Paesi Baschi, ad esempio a Errenteria, si
tenevano assemblee popolari, dove già si decideva la politica e la gestione del
consiglio comunale, costringendolo a dimettersi. Erano assemblee trascendenti,
c'era una struttura offensiva, una struttura politica superiore, c'erano molti
consigli di fabbrica. Ce n'erano molti a Barcellona, soprattutto nella cintura,
non nel Baix Llobregat, dove dominavano i comunisti, ma piuttosto nella zona
del Vallès. Ho sostenuto scioperi come quelli di Onda, della ceramica, di Elx
nel settore calzaturiero, poi anche di Valladolid. Il movimento è terminato
perché non aveva abbastanza forza o lucidità per fare un passo avanti. Gli
insegnanti, ad esempio, sono stati coinvolti, ma le assemblee degli insegnanti
si sono rapidamente trasformate in sindacati, come l'USTEC. Nei Paesi Baschi, la maggior parte delle assemblee è entrata in
LAB; e qui molti nella CNT. La gente si muoveva per rivendicazioni, stipendi,
orari, vacanze, condizioni... Certo, c'era molta solidarietà, c'era gente che
si fermava per solidarietà. Lo sciopero di Laforsa, ad esempio, è uno sciopero
di solidarietà. C'era molta effervescenza. Ricordo che quando venivi arrestato
a una manifestazione, se mostravi la tessera sindacale, ti lasciavano stare e,
se non facevi parte di nessun sindacato, ti trattenevano e ti iscrivevano. Sto
parlando del 1977 e del 1978, quando sono arrivato al Barcellona.
Dove abitavi nel maggio
1968?
A Valencia, all'università, in coincidenza con la formazione del
Sindacato Democratico degli Studenti. Quel che voleva il Partito Comunista di
Spagna (PCE), che era il partito più organizzato dell'università, era creare
una seria alternativa sindacale per negoziare con le autorità accademiche e
questo significava bloccare gli scioperi. Tuttavia ovunque c'era un'atmosfera di
continui scioperi e assemblee. C'era anche gente del PSV, del Felipe, dell'Inters e qualche anarco sperduto,
come me. Gli scioperi sono iniziati nel 1964 a Madrid, per l’interdizione di
conferenze degli insegnanti dissidenti, come Aranguren (1909-1996), persone
molto moderate, in seguito si è tenuta un'assemblea. L'assemblea ha portato
allo sciopero, c'è stata la repressione, la repressione ha provocato le
assemblee e questa è una spirale che ha cominciato a progredire. Né il regime
voleva dare troppa corda, né quel poco che dava poteva soddisfare gli studenti,
e questo ha spinto oltre. Le manifestazioni che si sono svolte ovunque hanno
fatto cadere il regime, è stato dichiarato lo stato di emergenza, è stato
creato un servizio segreto chiamato Servicio
Central de Documentación de Presidencia del Gobierno (SECED), la madre del
CNI; ed è stata creata una legislazione speciale, la Legge generale dell’educazione, il tutto per fermare gli studenti.
Hanno creato università autonome per separare la concentrazione degli studenti
e isolarli molto lontano. Si è poi entrati
in una dinamica di piccoli gruppi emersi dal crollo del PCE e soprattutto del Frente de Liberación Popular (FLP), con
perdita d’importanza. D'altra parte, il movimento operaio stava già allentando
la morsa della politica stalinista, carrillista, che consisteva nell’occupare
il sindacato verticale dei lavoratori, il CNS. C'era un'altra linea che voleva
uscire dalle crepe del sindacato verticale e organizzare assemblee per decidere
collettivamente. Lo sciopero di Blansol, a Palau de Plegamans, è uno dei primi
scioperi con una chiara struttura assembleare. L'ufficiale è quello di Harry Walker.
Vitoria-Gasteiz è stato
il punto più alto.
Sì, lì il movimento si è auto-organizzato su scala cittadina.
Anche se le assemblee più grandi erano quelle che si tenevano a Elche, al campo
di calcio. Elx era piena di calzaturifici, espadrillas... Ora è piena di negozi
cinesi, d’importazione, non ci sono più lavoratori. Ebbene, è successo che
hanno concentrato lì così tanti lavoratori che il tutto è straripato e ha
creato una propria dinamica di rivendicazioni. È stato il punto di forza perché
raccoglieva persone di ogni tipo, ma anche il punto debole perché impediva di passare
a rivendicazioni e azioni politiche, che erano lasciate ai partiti.
Come sono iniziati gli
scioperi autonomi?
Sono iniziati nel 70-71 con l'Authi, a Pamplona, l'Harry Walker
e qualche altro, ma hanno fatto subito macchia d'olio. Tutti avevano persone in
fabbrica, lo sciopero era molto politicizzato, c'erano prospettive di
miglioramento, di andare oltre nelle idee. Tuttavia, con la scusa dell'ETA, la
normativa antiterrorista fu applicata nel 1976 anche agli scioperi non legali.
La gente si è gradualmente disincantata e i sindacati hanno gradualmente
riguadagnato tutto il terreno. È stato un alto costo personale, meglio lasciare
che il sindacato negoziasse. Era
molto divertente essere licenziati, inseriti nella lista nera e non trovar più
lavoro. Il movimento autonomo ha impiegato del
tempo per emergere e lo ha fatto discutendo sulle strategie. Nel 1958, la
dittatura creò la Ley de Convenios,
dove ammise che, attraverso la Unión de
Trabajadores y Técnicos, l'accordo poteva essere discusso con il datore di
lavoro e il sindacato verticale. Questa legge regolava gli scioperi e gli
operai iniziarono a portare alle trattative i delegati che eleggevano in
assemblea, invece dei delegati sindacali, che erano zii molto controllati. Questo è successo in molte fabbriche quasi
spontaneamente. C'erano molte persone che difendevano questi metodi assembleari,
era qualcosa che si apprendeva all'interno del movimento operaio, anche le Comissions Obreres (CCOO) erano, all'inizio,
assembleari.
Il movimento libertario
era presente nel movimento autonomo?
Pochi libertari. I libertari iniziarono ad esistere, qui a Barcellona, in seguito alla sconfitta del Fronte Operaio Catalano (FOC), il ramo catalano del Felipe (FLP). La CNT è emersa come un riflusso del movimento assembleare perché coloro che provenivano da movimenti autonomi pensavano che solo la CNT potesse essere un sindacato dell’autonomia. Questi erano molto sindacaleros, rivendicativi, laburisti; all'interno della CNT c'erano invece altre correnti: gente dell'università, tipi che volevano fare la lotta armata, cattolici, ex falangisti, cincpuntisti. Era come un movimento difensivo per entrare nella CNT, ma era mettersi in un pasticcio, un labirinto di persone con lotte di fazione, anche molto violente; e lo sono ancora, perché non sono sparite. La CNT ha raggiunto i trecentomila membri e li ha persi. Hanno organizzato una manifestazione contro i Patti della Moncloa, una soltanto di 15.000 persone. Ci sono state polemiche contro gli autonomi, c’è stata una lotta contro di loro perché si stavano allontanando dai principi libertari e gli altri volevano fare una CNT ortodossa, con i vecchi statuti e tutto il resto. Certo, al loro interno c'erano diverse ortodossie, perché c'erano persone che accettavano la prassi politica, i pestañistes (sindacalisti che credono alla politica e al parlamentarismo, seguaci di Angel Pestaña, ex segretario della CNT, fondatore fortemente riformista di un Partido Sindicalista nel 1934. NdT) ; c'erano molte persone che non erano operai, erano studenti o non lavoravano; persone che hanno fatto rapine; un po’ di tutto Quello che non si può fare è ricostruire un'epoca storica come quella del 1936, perché il proletariato non è lo stesso, né le strutture dei sindacati. Sono entrati in una dinamica molto interna, fagocitaria, mangiandosi a vicenda in modo che l'alternativa libertaria si annulla, finendo per diventare minoritaria. E addio.
A quell’epoca sono
apparsi sulla scena nuovi movimenti sociali.
Nel 1976, con la legalità democratica, sono apparsi i movimenti
sociali. Tutto questo è arrivato dagli USA, a cominciare dai maoisti, i più
presenti in Francia dopo il maggio 68. Quasi tutti terzomondisti e super-autoritari,
ma quelli di Vive la révolution (VLR)
hanno aperto una serie di fronti: fronte gay, fronte giovanile, ecc. Avevano
una rivista, Tout, dove circolavano
disegni nello stile dei Freak Brothers e Robert Crumb, l'underground americano,
riprodotto qui da El Víbora. Più
tardi, questo movimento è finito, ma le strutture identitarie sono rimaste. Qui
c'è stato un movimento ecologista, soprattutto antinucleare, molto forte a partire
dal 1977; anche la Coordinadora de Presos
en Lucha (COPEL), i movimenti femministi... Tutto andava un po' di pari
passo e si diceva che la rivoluzione doveva risolvere tutto, non solo la
questione operaia, ma anche queste altre tematiche.
E la classe operaia ha
perso importanza.
Va tenuto presente che dal 1978 c'è un processo di riconversione
industriale, le industrie chiudono e molte persone sono disoccupate. C'è un nuovo
orientamento verso la globalizzazione e dalla metà degli anni Settanta la quota
di servizi, dipendenti pubblici e impiegati è molto maggiore della gente in
fabbrica, fatto che riduce l’importanza degli operai dell'industria. Funzionari
e impiegati potevano tenere assemblee, ma non avevano la spinta che avevano gli
altri. C'erano poi gli apparati politici: se avevi un pedigree di lotta potevi
iscriverti a partiti come il PSOE, che non ne aveva. Tutti ti accettavano.
Molti della CNT sono entrati nel PSOE. E anche quelli del PSUC e di Bandera Roja. Si sono rivolti al nazionalismo
e persino a Convergència. Molte persone sono entrate negli apparati politici e sono passati
ai consigli, dove avevano il potere di assumere persone. Le autonomie hanno
facilitato un apparato politico importante e anche i sindacati.
C'erano anche gruppi
armati autonomi.
Alcuni di Roca hanno formato un gruppo armato e la polizia li ha
sorpresi durante una rapina. Il 1979 è quando sono usciti i gruppi armati e
c'erano gruppi sciolti come i Grupos
Autónomos Libertarios, gente di Madrid, Barcellona, Valencia, ecc. Sono
stati arrestati subito, non avevano infrastrutture, alcuni di loro sono stati
rinchiusi per molti anni, molti sono morti di overdose. Negli anni '80, farsi
un buco di eroina costava come prendere un caffè. La disperazione ha spinto le
persone ad andare avanti, a rubare e tutto il resto. Anche a Valladolid hanno
formato un gruppo armato che pure lui è durato poco. La lotta armata è una
spirale molto pericolosa, non ha nulla di eroico. Gli anni Ottanta sono gli
anni dell'inizio della globalizzazione, della scomparsa della classe
industriale come centro del proletariato e della scomparsa del militantismo,
per cooptazione, per rassegnazione, per droga...
E dopo gli anni ottanta
che è successo?
Sono partito per la Francia, abbiamo fatto una rivista teorica,
era necessario riconsiderare tutto, riqualificarsi socialmente, fare letture
che non si erano fatte. Criticavamo l'ideologia del progresso, pensavamo che il
movimento antinucleare potesse essere la punta di diamante dei movimenti
sociali e lo difendevamo. Poi sono arrivati i partiti verdi e hanno cooptato
tutto. Le riflessioni che abbiamo sviluppato dagli anni Ottanta,in cui c'era
poca mobilitazione, mi sono poi servite per la critica urbana, alla metropolizzazione,
alla distruzione delle campagne... la difesa del territorio, a partire dagli
anni novanta.
Le assemblee sono uno
strumento di lotta?
Le assemblee degli anni '70 erano per uscire in piazza,
qualsiasi assemblea si creasse, la prima cosa che facevo era uscire in piazza,
una manifestazione immediata e poi uno scontro con la polizia e, se possibile,
l'occupazione di qualche edificio, rompere vetrine di banche... Erano manifestazioni
per fare delle cose. Quando c'è spirito di classe, fai parte di un collettivo
e, quando parli, parli per difendere questo collettivo, non per dire quello che
hai voglia, per realizzare te stesso. Questo grado di frustrazione e
repressione e un qualche narcisismo esistente tra i giovani è quel che blocca
qualsiasi movimento assembleare. Più che assemblee sembrano sedute di terapia
psicoanalitica per sfogarsi e rilassarsi, non riunioni per andare nella
direzione concreta e chiarire le tattiche da seguire o che cosa c’è da chiedere.
Ora non sono assemblee che rappresentano un collettivo, ma piuttosto una somma
di individui solitari, con le loro manie, le loro frustrazioni e tutto il
resto. È il risultato del capitalismo, il capitalismo è penetrato nella vita quotidiana,
ha saputo colonizzare l'immaginario.
Le lotte in difesa del
territorio possono fare un passo oltre?
In Francia ci sono lotte molto grandi in questo senso, sono
comitati emersi dalle lotte delle ZAD e si sono diffusi; e sono collegati. Sono
circa duecento e hanno un'altissima capacità di mobilitazione, occupano
territori e affrontano la polizia. C'è un forte movimento di difesa del
territorio, antisviluppo, anti industriale; ed è totalmente contrario ai movimenti elettorali. In Catalogna ci
sono molte piattaforme, contro la costruzione di parchi eolici offshore per
esempio, sulla Costa Daurada, o a Roses, contro la costruzione di un tratto
autostradale a Blanes... Un centinaio di piccoli movimenti locali, e una certa
opposizione. È quello che abbiamo fatto con l'Encyclopédie
des Nuisances, discussione e analisi teorica sulla critica del progresso.
La critica radicale dello sviluppo era ciò che avrebbe sostituito la vecchia
lotta di classe, la lotta di fabbrica. Siamo in questa impasse, è da tempo che
penso che il prossimo punto di conflitto scaturirà da qui.
Che cosa fare con la
tecnologia, si deve tornare indietro?
Non si può tornare indietro, si tratta di smantellare le
metropoli e avere un rapporto diretto e reciproco con la natura e la campagna,
si tratta di concretizzare strategie comunitarie che vadano in questa
direzione, che siano realistiche. Questa lotta permette di trovare soluzioni
positive, ci sono persone che vanno in campagna e si rendono indipendenti e
organizzano reti, come quella di Fraguas, o prima di Itoiz. Ma sono movimenti
molto piccoli. A Nantes si sono riunite facilmente duemila persone.
Quindi, dovremmo
sfruttare la tecnologia?
Credo di si. Prima di noi, la migliore riflessione sulla
tecnologia è quella di Lewis Munford. Ha fatto un lavoro molto importante, è il
nostro Karl Marx, il mio soprattutto. Ha detto che ci sono due tipi di
tecnologia, una autoritaria e l’altra democratica, che favorisce
l'organizzazione egualitaria della società mentre quella autoritaria favorisce
un'organizzazione verticale. Va difeso l'uso della tecnologia per promuovere
uno sviluppo umano equilibrato con la natura. Nella misura in cui la tecnologia
favorisce questo equilibrio, viva la tecnologia!
Come vede oggi il
movimento anarchico?
L'anarchismo scade molto nel primitivismo e
nell'insurrezionalismo, dimostrando di non essere fornito di una chiara
alternativa alla società. Si dedica principalmente a creare piccoli sindacati
che non vanno da nessuna parte o a sognare insurrezioni che non arriveranno
mai, queste fantasie sono utopiche, irreali. C'è un'eredità che non è arrivata
fino a qui. Sembra che gli anarchici guardino alla storia come se fossero
ciechi, non prestano attenzione alle collettività, ai dibattiti anarchici che
si stanno svolgendo ora, ecc. Gli anarchici hanno ignorato il passato e un
movimento senza storia è un movimento senza radici, senza contenuto, puramente
estetico, ovviamente. La postmodernità ha spiazzato il pensiero socialista
classico.
C’è bisogno di
riportare in auge i classici?
SÌ; di parlare di cose nuove come la critica radicale dello sviluppo.
Lo sviluppo economico è la base del capitalismo, è necessario attaccare dove il
capitalismo sta avanzando, ora sono le energie rinnovabili, il turismo,
l'edilizia... Devi attaccare lì, devi toccare questi temi.
Sei ottimista sulla
lotta anticapitalista?
Sono un pessimista che crede nella rivoluzione. Stiamo andando
verso la distruzione del pianeta, il capitalismo se ne sta incaricando; o l’uno
o l’altro:, o lo affrontiamo o ne pagheremo le conseguenze. Ci sono poche
persone che fanno fronte. In Catalogna ci sono un milione di residenze secondarie,
il che significa circa cinque milioni di persone che hanno una condizione
sociale di classe media. La classe media è la peggiore di tutte perché è la
classe conservatrice per eccellenza; quando è colma si mostra di sinistra, se
ci sono troppe sinistre si mostra di destra. La Catalogna è passata dall'essere
un paese operaio a essere un paese della classe media, un 60% di popolazione è
di classe media. E, sebbene la classe media stia arretrando, poco alla volta,
la mentalità si conserva. In Germania ciò diede origine al fascismo, grazie al
quale questa mentalità si mantenne in molti strati della popolazione, anche i
più poveri. Qui ha ingrossato i ranghi del nazionalismo, è una falsa
opposizione che nasconde tutte le contraddizioni, la società borghese ti vuole
sfruttare, non gli importa se sei nero, donna o altro. Questa lotta identitaria
elimina la questione centrale, che è la questione sociale, la vita delle
persone, quell’alienazione per cui non hai potere sulla tua vita, condizionata
dagli interessi finanziari.
La classe media è
controrivoluzionaria perché...
La classe media è una mentalità. Ci sono persone molto povere
che hanno questa mentalità, che a malapena hanno quattro pelli e cambiano auto,
comprano di tutto. È più una condizione mentale che sociale. Il sistema crea
questa mentalità facilitando il consumismo. Il sistema avanza perché tutti i
bisogni primari costano poco: cibo, vestiti o scarpe sono altamente
industrializzati, molte cose arrivano dalla Cina o dall'India, perché costa
meno che farle qui. Ci sono molti salariati che sono borghesi, che hanno questa
mentalità. È un prodotto dell'alienazione capitalista, il sistema ha molta
esperienza nella propaganda di mercato.
Quindi la battaglia
della propaganda è la prima cosa da fare?
Non è male fare cose in questo senso, ma sono le persone stesse
che devono cambiare, si deve dare esempi, indicare la giusta direzione. Si devono
toccare tutti i temi che riguardano le persone.
A cosa stai lavorando adesso?
Sto preparando una riedizione de La revolución traicionada (La rivoluzione tradita), perché sono in
possesso di più informazioni; e de La
Columna de ferro (La colonna di ferro).
D'altra parte, ho fatto qualche discorso sul movimento che sta avvenendo in Francia;
Farò alcune presentazioni di questo libro... E continuo, il fatto è che non
sono più abbastanza forte per fare molto di più.
Per consultare l’originale in catalano: https://directa.cat/els-anarquistes-han-fet-cas-omis-al-passat/