Quanto sta accadendo in Francia, è tanto sorprendente quanto
prevedibile.
Inatteso per gli zombi della servitù volontaria che perseguono
la loro sottomissione al feticismo delle merci chiamandola libertà democratica,
atteso da chi, trovando insopportabile la condizione umana in un mondo sempre
più virtuale e insensato, sogna una reazione radicale dell'essere umano
organico che si sta riducendo a un prolungamento della macchina produttiva e si
appresta a morire con il resto del vivente.
L'esplosione di rabbia che imperversa non è accompagnata da un
progetto sociale alternativo da proporre. È importante dirlo, chiarendo che non
si tratta di una colpa, ma di una constatazione tragica.
Come sempre il potere, per sua natura di dominio, finge di sapere
come reagire quando la sua unica soluzione è continuare come prima: ritornare
sempre alla messa dell'economia politica che dirige il pianeta e l'umanità che
lo abita. La gestione della crisi – così i dominanti e i loro maggiordomi
mediatici chiamano tutte le nocività causate dalla loro civiltà – dimostra che
non capiscono nulla della situazione se non dal punto di vista del loro potere
cinico e ottuso: non hanno altra soluzione che la colpevolizzazione e la repressione.
Rovesciando le tesi del Libro, ormai è la colpa dei figli che ricadrà sui
padri. Nemmeno Orwell era arrivato a immaginarlo.
La società dello spettacolo che imperversa dalla fine della
grande guerra del 39/45 è arrivata al punto di non ritorno come un'ultima
sessione di un film che non vorrebbe mai finire mentre la parola "The end"
appare già da tempo sugli schermi del mondo virtuale che ripetono ovunque, il
più delle volte in forma subliminale, non detta ma al passo coi tempi: “No future”.
Dove il maggio 68 fu una rivolta dalle potenzialità radicali ma
in fondo ancora recuperabile a lungo termine dallo spettacolo politico e dalle
forme alienate del rivoluzionarismo, l'attuale rivolta di una gioventù che più
giovane non si può, appare dopo i Gilets
jaunes, mostrando continuità nella differenza. Essa evoca una critica priva
di un progetto di superamento della politica arcaica, un "Ya basta!" frutto anche
dell'accentuato condizionamento della reificazione quotidiana; questa rabbia
inaspettata e prevedibile è un ritorno del rimosso privo di coscienza di classe
nel momento in cui la coscienza di specie destinata a superarla non è ancora in
grado di produrre tutta la critica globale del produttivismo e del capitalismo
necessaria al rovesciamento di prospettiva.
Il condizionamento, tanto diffuso quanto onnipresente, fa pieno
uso di tutte le tecnologie più invasive (dai telefoni ai computer e tutto il
resto) per tessere la sua tela di ragno dove finiscono tutte le mosche umane
della società dei consumi artificiale, servile e interiorizzata.
Oltre l'innesco particolarmente potente della violenza poliziesca,
ciò che è letteralmente esploso ovunque in Francia è un'inconscia rivolta del
vivente di fronte alla morte che ci governa. Non si sa se la vita tornerà o se
il suo surrogato pestifero vincerà sotto forma di post-fascismo e credito
sociale alla cinese. Tutto è possibile e nulla è chiaro, tranne la rabbia
della moltitudine contro questo mondo capovolto.
La festa della rivolta in corso è una reazione spontanea priva
di una coscienza articolata. È
l’emergere prepotente di un sintomo piuttosto che una rivoluzione. Pur essendo sensibili al coraggio che nasconde la
disperazione e solidali con ogni rivolta del vivente, non è certo il caso di fidarsi
ciecamente di una gioventù educata al consumismo, generazioni intere cresciute
nell'artificialità e nel feticismo della merce, la cui identità organica è
stata strappata fin dalla nascita.
Che sia in Francia che questa rottura sociale si manifesta in
modo molto visibile e con una forza incredibile, non è un caso.
L'internazionale situazionista aveva radici politiche francesi tra i suoi fiori
cresciuti in quasi tutte le teste nel secolo scorso. Senza citare Marx quando
dice che la Francia è storicamente il
soggetto della rivolta politica, si direbbe che questa gioventù inferocita
abbia preso alla lettera il consiglio del guru Macron: “Basta attraversare la
strada per trovare un lavoro che dia accesso al denaro, quindi alla merce, vale
a dire alla felicità. Viva la Repubblica, viva la Francia!". Cazzate
provocatorie.
I giovani hanno quindi deciso di attraversare la strada per
appropriarsi direttamente della merce che la pubblicità e i suoi sgherri
propagandisti, mercenari narcisisti e opportunisti, hanno elevato al rango di
feticcio universale della felicità. Volevano schiavi sottomessi, hanno schiavi
ribelli. Volevano Stachanov, hanno un remake di Spartacus.
Sebbene la rivolta faccia loro paura, i primi della cordata
temono soprattutto l'interruzione della catena della schiavitù che ha
trasformato gli ex schiavi in salariati e disoccupati. Da molto tempo, i
governanti più saggi hanno persino costruito un decoro democratico per fare ingoiare
il suprematismo sociale di cui l’economia politica è la Bibbia e il
parlamentarismo è la migliore liturgia – pur se non l'unica.
Cercheranno di farci credere ancora una volta che il Reichstag
sta bruciando, mentre è la loro civiltà di stampo fascista che le fiamme stanno
consumando. Si confrontano due umanità amputate: i servitori volontari della società
spettacolare-mercantile e gli zombi di Romero che rifiutano il loro destino, defraudato
di un destino liberamente voluto. Gli uni includono dei predatori assassini, ma
anche gli altri hanno il loro lato cannibalistico.
Tuttavia, oltre tutti questi Frankenstein da cancellare si insinua
l'umano, pronto a rinascere. Sta a tutti noi inventarlo fuori dal mondo che sta
morendo, facendo risorgere un altro mondo possibile.
Sergio Ghirardi Sauvageon, 3 luglio 2023
J’accuse !
Ce qui est en train d’arriver en
France est aussi étonnant que prévisible.
Inattendu pour les zombies de la
servitude volontaire qui poursuivent leur soumission au fétichisme de la
marchandise en l’appelant liberté démocratique, attendu par ceux qui, trouvant
insupportable la condition humaine dans un monde de plus en plus virtuel et
insensé, rêvent d’un sursaut radical de l’être humain organique en train de se
réduire à une prolongation de la machine productiviste, s’apprêtant à mourir avec
le reste du vivant.
L’explosion de rage qui déferle
n’est pas accompagnée d’un projet social alternatif à proposer. C’est important
de le dire en précisant bien que cela n’est pas une faute, mais un constat
tragique.
Comme toujours, le pouvoir, par sa
nature de domination, fait semblant de savoir comment réagir alors que sa seule
solution c’est de continuer comme avant : revenir toujours à la messe de
l’économie politique qui dirige la planète et l’humanité qui l’habite. La
gestion de la crise – ainsi les dominants et leurs majordomes médiatiques
appellent-ils toutes les nuisances produites par leur civilisation – montre qu’ils
ne comprennent rien de la situation sinon du point de vue de leur pouvoir
cynique et borné : ils n’ont pas d’autre solution que la culpabilisation
et la répression. En renversant les thèses du Livre c’est désormais la faute
des enfants qui va retomber sur les pères. Même Orwell n’y avait pas pensé.
La société du spectacle qui sévit
depuis la fin de la grande guerre 39/45 est arrivée au point de non retour telle
la dernière séance d’un film qui ne voudrait jamais finir alors que le mot « The end » s’attarde déjà depuis un
moment sur les écrans du monde virtuel qui répètent partout, le plus souvent sous
forme subliminale, non dite mais dans l’air du temps : « No future ».
Là où mai 68 fut une révolte aux
potentialités radicales mais finalement encore récupérable dans le long terme par
le spectacle politique et par les formes aliénées du révolutionnarisme,
l’actuelle révolte d’une jeunesse que plus jeune tu ne peux pas, apparaît après les
gilets jaunes, montrant une continuité dans la différence. Elle évoque une critique
dépourvue de projet de dépassement de la politique archaïque, un « Ya basta ! » fruit aussi du
conditionnement accentué de la réification au quotidien ; cette rage
inattendue et prévisible est un retour du refoulé dépourvu de conscience de
classe alors que la conscience d’espèce destinée à la dépasser n’est pas encore
capable de produire toute la critique globale du productivisme et du
capitalisme nécessaire au renversement de perspective.
Le
conditionnement, aussi diffus qu’omniprésent, se sert à fond de toute la
technologie la plus envahissante (des téléphones aux ordinateurs et j’en passe)
pour tisser sa toile d’araignée où échouent tous les mouches humaines de la
société de consommation artificielle, servile et intériorisée.
Au delà du déclencheur particulièrement
puissant de la violence policière, ce qui a littéralement explosé partout dans
l’hexagone est une révolte inconsciente du vivant face à la mort qui nous
gouverne. On ne sait pas si la vie reviendra ou si son ersatz pestifère gagnera
sous forme de post fascisme et crédit social à la chinoise. Tout est
possible et rien n’est clair, sinon la rage de la multitude contre ce monde à
l’envers.
La fête de l’émeute qui est là est
une réaction spontanée dépourvue d’une conscience articulée. C’est plutôt
l’émergence brutale d’un symptôme qu’une révolution. Tout en étant sensibles au
courage qui cache le désespoir et solidaires avec toute révolte du vivant, pas
question de faire une confiance aveugle à une jeunesse éduquée par le
consumérisme, des générations entières élevées à l’artificialité et au
fétichisme de la marchandise, et dont l’identité organique a été arrachée de la
naissance.
Que ce soit la France où cette
rupture sociale se manifeste très visiblement et avec une force inouïe, ce
n’est pas un hasard. L’internationale situationniste a bien eu des racines
politiques françaises parmi ses fleurs poussant presque dans toutes les têtes au siècle
passé. Sans citer Marx disant que la
France est historiquement le sujet de la révolte politique, on dirait que
cette jeunesse enragée a pris à la lettre le conseil du gourou Macron : « Il
suffit de traverser la rue pour trouver un boulot qui donne accès à l’argent,
donc à la marchandise, c'est-à-dire au bonheur. Vive la République, vive la France ! ».
Foutaises provocatrices.
Les jeunes ont donc décidé de
traverser la rue pour s’approprier directement la marchandise que la publicité et
ses sbires propagandistes, mercenaires narcissiques et opportunistes, ont élevée
au rang de fétiche universel du bonheur. Ils voulaient des esclaves soumis, ils
ont des esclaves révoltés. Ils voulaient Stachanov, ils ont un remake de Spartacus.
Or si la révolte fait leur peur, les
premiers de cordée ont surtout peur de l’interruption de la chaine d’esclavage
qui a transformé les anciens esclaves en salariés et chômeurs. Depuis belle lurette,
les dominants plus avisés ont même échafaudé un décor démocratique pour faire
ingurgiter le suprématisme social dont l’économie politique est la Bible et le
parlementarisme la meilleure liturgie – mais pas la seule.
Ils vont chercher à nous faire croire
une fois de plus que le Reichstag brûle, alors que c’est leur civilisation fascisante
que les flammes consument. Deux
humanités amputées se confrontent : les serviteurs volontaires de la société
spectaculaire marchande et les zombies de Romero qui refusent leur destin
dépourvus de destinée. Les uns incluent des prédateurs meurtriers mais les
autres ont aussi leur côté cannibale.
Cependant, parmi tous ces Frankenstein
à effacer, se faufile l’humain prêt à renaître. A nous tous
de l’inventer en dehors du monde qui meurt, en faisant ressurgir un autre monde
possible.
Sergio Ghirardi
Sauvageon, 3 juillet 2023